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Le operazioni antiebraiche tra settembre e dicembre 194

Secondo quanto stabilito dalle decisioni prese a Berlino a settembre, le autorità tedesche trasferirono nella penisola le forze di polizia e delle SS, poste agli ordini dell'Obergruppenführer SS Karl Wolff82. Questi era stato nominato consigliere speciale di Polizia del capo del governo di Salò e si doveva quindi occupare del coordinamento con le autorità italiane, prendendo accordi con i comandanti delle forze di polizia fasciste83. Secondo lo schema previsto dalla Direzione generale per la sicurezza del Reich

(Reichssicherheitshauptamt, RSHA)84 e della Direzione generale della Polizia

(Hauptamtordnungspolizei) si stabilirono in Italia:85

- «la polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza» (Befehlshaber der Sicherheitspolizei, BdS), comandata da Harster, composta da sezioni e presidi distaccati (Aussenkommandos – AK; Aussenposten – AP);

- «la polizia d’ordine» (Befehlshaber der Ordnungspolizei, BdO), comandata da von Kamptz.86

82

Per la ricostruzione dello schema di suddivisione delle forze di polizia tedesche in Italia ci si è basati sui testi: L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., pp. 84-93; L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria cit., pp. 858-866; E. Collotti, L’occupazione tedesca in Italia con particolare riguardo ai compiti delle forze di polizia, in C. Di Sante (a cura di), I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940- 1945), FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 251-268; P.P. Battistelli, Il “buco nero” nella storia della RSI. Analisi storiografica dell’apparato militare della Repubblica di Salò, in «Storia contemporanea», n. 1, a. XXVI, febbraio 1995, pp. 101-130; M. Borghi, Tra fascio littorio cit..

83

ACS, PS, MI, A5G II guerra mondiale, b. 151, fasc. 229 “Ufficiali di collegamento della Polizia tedesca con la Polizia italiana”, il comandante delle SS e della Polizia in Italia a Capo della polizia generale Tamburini, 29 ottobre 1943.

84

Comandata da Heydrich e poi da Kaltenbrunner.

85

Comandata da Daleuge e successivamente da Wünnenberg.

86

Questo schema riguarda la suddivisione delle forze di polizia tedesche nella RSI, escluse le due zone di operazione al confine orientale, che rispondevano ad altri comandanti locali e a un capo superiore delle SS e della polizia di sicurezza. Nel Litorale Adriatico, ad esempio, si insediò Odilo Globocnik, reduce dallo sterminio degli ebrei in Polonia (“aktion Reinhard”): «Il comando superiore della polizia nella zona di operazioni del litorale adriatico, Trieste, 29/9/1943. Il controllo della popolazione e il fermo di elementi indesiderabili è esclusivamente di competenza territoriale del Comandante di Polizia incaricato il capo di polizia di sicurezza e del servizio di sicurezza Ober-Sturmbann (ten. col. dott. Weimann). Tale attività si estende a tutti gli elementi di nazionalità e razze straniere. Invito perciò tutti i comandi di tralasciare qualsiasi attività di propria iniziativa in tali questioni per le quali verranno dati corrispondenti istruzioni dal BDS (capo della polizia). Ciò si riferisce particolarmente a tutti i valori mobili ed immobili del cui sequestro è incaricato unicamente il capo della polizia. Soprusi in questo campo da qualunque comando verranno puniti con le misure più severe. Firmato Globonik S.S. Grup unfuhrer und Generalleutenant der Polizei», ACS, MI, DGPR, RSI, Segreteria capo della polizia, b. 46, fasc. “Carceri giudiziarie”, “Ambasciata di Germania”, Comunicazione del comando superiore della polizia nella zona di operazioni del litorale adriatico, inviata a tutti gli uffici dei superiori Comandi di Polizia e a tutti gli uffici italiani, 29 settembre 1943.

90

Pur essendo la più alta carica di polizia in Italia, Wolff tuttavia non poteva interferire nell'attività di quegli uffici dipendenti direttamente dai comandi centrali di Berlino, come ad esempio quelli delle forze della polizia e del servizio di sicurezza comandati da Hartser, comandante locale della Direzione generale per la sicurezza del Reich (RSHA), organizzata in Italia secondo il modello centrale: la polizia criminale (Gestapo) e quella con compiti di spionaggio (SD). Questo ufficio, stabilitosi a Verona, aveva il compito di arrestare le persone per motivi di sicurezza, rinchiuderle nelle prigioni o nei campi di concentramento e, successivamente, poteva disporre la loro deportazione nei lager del Reich. Si trattava di partigiani, antifascisti, oppositori politici, sospetti appartenenti a bande, militari renitenti alla leva o componenti delle loro famiglie. Osserva Lutz Klinkhammer:

esagerando un poco, si potrebbe dire che il comandante della polizia e del servizio di sicurezza Harster in molte faccende, soprattutto nelle “faccende quotidiane” di polizia, ebbe più importanza del comandante supremo delle SS e della polizia Wolff, che formalmente occupava una carica gerarchicamente superiore. Tuttavia quest’ultimo ebbe un’importanza da non sottovalutare nel definire gli obiettivi della politica di occupazione e la scelta dei metodi per dominare la popolazione italiana87.

All’interno dell’Ufficio della Polizia di sicurezza che, come detto, rispondeva direttamente ai vertici della RSHA a Berlino, cominciò a operare anche in Italia, durante il mese di settembre, la sezione IV B 4, dipendente da Eichmann, l’ufficio responsabile della «soluzione finale» della questione ebraica. Azioni antiebraiche erano state eseguite dalle autorità tedesche fin da subito nei confronti delle persone che si trovavano nei territori d’occupazione un tempo sotto giurisdizione italiana: in Jugoslavia, in Grecia e in Francia. Come abbiamo visto, durante i 45 giorni di governo Badoglio l’atteggiamento delle autorità italiane aveva garantito una certa protezione per la popolazione ebraica. Dopo l’8 settembre, invece, la situazione mutò improvvisamente a causa del disfacimento e della ritirata dell’esercito italiano. In Jugoslavia, gli ebrei allontanatisi dai luoghi di concentramento abbandonati dagli italiani dovettero trovare da soli un modo per sfuggire alle retate naziste. In Grecia, dove le truppe dell'esercito regio erano state violentemente disarmate e deportate in Germania, la popolazione ebraica cadde nelle mani dei tedeschi e finì, nell’estate del ’44, nei campi di sterminio dell’Europa orientale88. Per sfuggire alle retate naziste, gli ebrei che si trovavano nella Francia Meridionale si unirono alla IV armata italiana in ritirata dal territorio francese. Alcune centinaia di ebrei, come ad esempio quelli internati nella cittadina di St. Martin Vésubie,

87

L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., pp. 87-88.

88

91

passarono il confine al seguito dei soldati italiani, riuscendo a raggiungere i comuni della provincia di Cuneo il 15 settembre 1943, in una zona però già presidiata dal comando militare tedesco89. Il 18 settembre, il capitano locale delle SS Müller fece affiggere dei manifesti nei paesi delle vallate circostanti, nei quali ordinava a tutti i cittadini stranieri che si trovavano nel territorio di presentarsi alla caserma del comune di Borgo San Dalmazzo, sede del comando Germanico delle SS. Sebbene nella versione definitiva del testo non figurasse la parola ebrei, sembra che Müller intendesse proprio questi utilizzando il termine «stranieri»90. Circa 350 ebrei, la maggior parte dei quali si consegnò spontaneamente ai tedeschi, furono rinchiusi il giorno dopo nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, approntato negli edifici di una ex caserma alpina. A questi se ne aggiunsero un’altra cinquantina, finiti nelle retate di ottobre effettuate dai tedeschi sempre nella provincia. Il 21 novembre 1943, furono deportate ad Auschwitz 349 persone, passando per Nizza e per il campo di concentramento di Drancy, vicino a Parigi91. La scelta di non includere nella lista dei deportati anche gli ebrei rastrellati successivamente in territorio italiano va probabilmente ricondotta ai criteri organizzativi delle autorità naziste. Gli ebrei fuggiti dalla Francia dovevano essere trattati secondo il meccanismo pensato per quel paese,92 mentre quelli catturati in Italia dipendevano dalle autorità che operavano nella penisola93.

Secondo Liliana Picciotto Fargion, durante le prime settimane di occupazione le operazioni tedesche contro gli ebrei non rispondevano a criteri riconducibili a un sistematico programma di «soluzione finale» in Italia. Prima della razzia del 16 ottobre 1943 al ghetto di Roma le azioni antiebraiche furono condotte cioè non secondo i piani programmati dalla Polizia di sicurezza, ma «sono da attribuire a contingenze belliche e ai comandi della Wehrmacht, quei comandi che per primi si misurarono nell’Italia occupata con problemi di sicurezza»94. I primi ebrei colpiti furono quelli sospettati di poter agire contro l’esercito tedesco e per questo trasferiti altrove. L’eccidio sul lago Maggiore di 54 ebrei sfollati negli alberghi e nelle case della zona (15-23 settembre 1943), il citato episodio degli ebrei provenienti dalla Francia e finiti a Borgo San Dalmazzo (18 settembre) e il rastrellamento di 24 ebrei di Cuneo il 28

89

Un dettagliata ricostruzione di questa vicenda in A. Muncinelli, La deportazione ebraica in provincia di Cuneo, in B. Mantelli (a cura di), Il Libro dei deportati cit., pp. 67-108; A. Cavaglion, Nella notte straniera. Gli ebrei di S. Martin Vésubie, L’arciere, Cuneo 1981; G. Mayda, Storia della deportazione cit., pp. 89-91. La vicenda fa anche da sfondo ad alcuni romanzi del premio nobel per la letteratura J.M.G. Le Clézio (ad esempio l'atmosfera dell'occupazione italiana e la marcia verso l'Italia sono descritti in J.M.G. Le Clézio, Étoile errante, ed. Gallimards, Paris 1992).

90

Come testimoniano le minute dettate da Müller stesso al segretario comunale, nelle quali veniva utilizzata esplicitamente la parola “ebrei” al posto di “stranieri”, A. Cavaglion, Nella notte straniera cit., pp. 76-77.

91

Ivi, pp. 98-99.

92

D. Peschanski, La France des camps. L’internement 1938-1946, Gallimard, Paris 2002, pp. 345-360.

93

M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia cit., p. 261.

94

92

settembre, furono opera degli uomini della divisione Adolf Hitler – LSSAH (Leibstandarte Adolf Hitler), già operativa sul fronte russo a fianco alle famigerate Einsatzgruppen, le formazioni responsabili delle stragi di ebrei in quelle zone. Tuttavia, il compito di queste unità altamente specializzate, che si muovevano a fianco dell’esercito tedesco, non era in realtà quello di svolgere azioni antiebraiche, ma di occupare le principali città, combattere e disarmare le truppe italiane, nonché impossessarsi degli impianti militari95. Nelle stesse settimane, la richiesta dei comandi militari germanici alle autorità locali italiane di farsi consegnare le liste degli ebrei residenti o presenti nelle province, così come gli arresti di settembre/ottobre nelle Marche,96 furono dunque, sempre secondo la Picciotto Fargion, non il frutto di iniziative razziali della Polizia di Sicurezza e delle SS, ma piuttosto disposizioni di carattere militare riguardanti zone d’operazione vicine al fronte di guerra97. Molto spesso – è il caso della strage di Meina98 e degli altri eccidi sul Lago Maggiore del 14-15 settembre 1943 (a Baveno, Arona, Stresa) – la decisione di uccidere gli ebrei partiva quindi dall'iniziativa di singoli comandi locali, come quelli della divisione Adolf Hitler, passata per i meccanismi della guerra ideologica nazionalsocialista praticata nell’Europa orientale99.

In questo contesto, l’operazione al ghetto di Roma del 16 ottobre rappresentò un momento di svolta per vari motivi. Innanzitutto fu la prima azione condotta secondo un piano deciso dall’alto con fini prettamente razziali e affidata, per questo motivo, alla polizia di sicurezza germanica, specializzata nella persecuzione. I vertici nazisti avevano esteso anche alla penisola e agli ebrei di nazionalità italiana il programma di deportazione e sterminio attuato già nel resto d’Europa, secondo quanto stabilito dalla circolare inviata dalla RSHA, il 23 settembre 1943, ai suoi corrispondenti all’estero: redatta «su speciale carta bianca listata in nero e che portava l’indicazione di Geheime Reichssache – affare segreto del Reich», disponeva l’arresto per il 1° ottobre di tutti gli ebrei che si trovavano nelle zone controllate dai tedeschi, senza nessun riguardo alla nazionalità, e il loro invio in Germania «per liquidazione»100. Di conseguenza, cadevano del tutto gli accordi precedenti riguardanti gli ebrei italiani. Fin dalla metà di settembre, il capo della polizia di Sicurezza di Roma, Herbert

95

L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia cit., p. 55. D’altronde, nello stesso periodo questo territorio, durante la ritirata della IV armata, fu teatro di una delle prime rappresaglie naziste nei confronti della popolazione civile: nel comune di Boves la stessa divisione bruciò centinaia di abitazioni e uccise decine di civili.

96

L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria cit., pp. 870-872; C. Di Sante, L’internamento civile nell’ascolano e il Campo di concentramento di Servigliano, 1940-1944: documenti e testimonianze dell’internamento fascista, Ascoli Piceno, stampa 1998.

97

L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria cit., pp. 870-872.

98

Su questa strage: M. Nozza, Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Mondadori, Milano 1993; G. Mayda, Storia della deportazione cit., pp. 88-107.

99

L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia cit., p. 60.

100

E. F. Moellhausen, La carta perdente. Memorie diplomatiche 25 luglio 1943 – 2 maggio 1945, Edizioni Sestante, Roma 1948, pp. 112-119.

93

Kappler, aveva ricevuto direttamente da Himmler l’ordine di procedere a Roma in maniera fulminea e segreta per evitare una reazione e una protesta da parte della Chiesa101. Il rastrellamento di Roma, durante il quale furono arrestati nel ghetto circa 1.250 ebrei, è un episodio noto102. Ripercorrere brevemente la vicenda è però interessante per cogliere la dinamica interna alle autorità tedesche: queste infatti si divisero sulle modalità di attuazione dell’ordine proveniente da Berlino e inviato a Kappler, che prevedeva l’arresto e la deportazione a Mauthausen di 8.000 ebrei della capitale. Qualche dubbio fu espresso fin da subito dal consigliere d’ambasciata Moellhausen (rappresentante del plenipotenziario Rahn), favorevole piuttosto a un loro impiego in lavori di guerra, come già fatto in Tunisia103. Secondo il racconto proprio di quest’ultimo, per eludere il piano della RSHA – che prevedeva esplicitamente la «liquidazione» degli ebrei romani nei campi di sterminio nazisti – Moellhausen provò a coinvolgere l’autorità militare, ovvero Kesserling il quale, se si fosse pronunciato contro la disposizione, avrebbe potuto creare un buon motivo per non eseguirla104. Nella vicenda finirono coinvolte quindi le tre autorità d’occupazione presenti in Italia: le forze di polizia di sicurezza, dalle quali partiva in realtà l’iniziativa, da compiere rapidamente e soprattutto in segreto; il ministero degli Esteri e il plenipotenziario Rahn, non interpellati in maniera diretta nell’occasione (e probabilmente risentiti per questo); il comandante generale dell’esercito, contattato dal consigliere Moellhausen. La questione fu infine risolta a Berlino a favore dell’autorità di polizia e delle SS:105 i primi giorni di ottobre, Eichmann inviò a Roma un suo fiduciario, Theodor Dannecker, accompagnato da una decina di uomini a sua disposizione, per eseguire operazioni contro gli ebrei nelle comunità delle principali città italiane. Dannecker organizzò in pochissimo tempo il rastrellamento di Roma, condotto casa per casa da 365 uomini appartenenti alla polizia di sicurezza e alla polizia

101

L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria cit., p. 878.

102

Sulla vicenda si veda ad esempio S. Friedländer, Gli anni dello sterminio. La Germania nazista e gli ebrei, 1939-1945, Garzanti, Milano 2009, pp. 654-670; A. Riccardi, L'inverno più lungo, 1943-1944: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma, Laterza, Roma 2008; R. Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2002; S. Zuccotti, Il Vaticano e l'Olocausto in Italia, Bruno Mondadori, Milano 2001, pp. 172-196; G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano 2000.

103

ACDJC, Fondo Archivio di Norimberga, CXXVII-9, Moellhausen a Inland II, 6 ottobre 1943: «Obersturnbannführer Kappler hat von Berlin den Auftrag erhalten, die achttausend in Rom wohnenden Juden festzunehmen und nach Oberitalien zu bringen, wo sie liquidiert werden zollen […] Ich persönlich bin Ansicht, das es besseres Geschäf wäre, Juden, wie Tunis, zu Befestigungsarbeiten heranzuziehen […]»

104

Nelle sue memorie, Moellhausen riferisce che in effetti Kesserling era contrario a una simile operazione perché avrebbe impegnato forze utili in un momento delicato di guerra, E. F. Moellhausen, La carta perdente cit., pp. 112-119.

105

ACDJC, Fondo Archivio di Norimberga, CXXVII-9, telegramma di von Thadden dell’Inland II diretto agli uffici di Roma, 9 ottobre 1943, nel quale si dice che in risposta alle osservazioni del console Moellhausen la questione degli 8000 ebrei di Roma deve essere lasciata alle SS.

94

d’ordine tedesca, aiutati anche da italiani. Moellhausen, che aveva interessato della questione il ministero degli Esteri, ricevette un severo ammonimento:

Il signor Ministro degli Affari esteri la invita insistentemente a mantenersi all’infuori di tutte le questioni riguardanti gli ebrei. Queste questioni, secondo un accordo intervenuto tra il Ministero degli esteri ed il Reichssicherheithauptampt sono di pertinenza esclusiva delle SS. Interferenze su tali questioni potrebbero causare serie difficoltà al Ministro degli Esteri106.

In particolare, gli veniva rimproverato di aver utilizzato il termine «liquidare» in un telegramma ufficiale107. L’azione al ghetto rappresentò insomma una prova di forza da parte delle autorità tedesche, che dimostrarono ad esempio il loro potere di fronte alle autorità italiane recentemente rinate a Salò. La scelta di agire proprio nel centro di Roma costituiva inoltre un banco di prova per testare le reazioni del Vaticano, distante solo poche centinaia di metri, oltre che una “sfida” a questa istituzione. Dopo l’8 settembre e l’occupazione tedesca dell’Italia, infatti, la Chiesa si trovava di fronte a gravi questioni da gestire: la sua sede era in una «città aperta» e, non avendo riconosciuto la Repubblica di Salò, si poneva il problema di garantire la sovranità sulle proprietà extraterritoriali ecclesiastiche in Italia; i suoi organi dovevano impegnarsi per un sostegno alla popolazione italiana duramente provata dalla guerra; contro il pericolo di un’invasione comunista in caso di sconfitta delle forze nazifasciste, si era aperta la prospettiva di un eventuale accordo tra gli Alleati e una Germania priva del suo capo Hitler108. Questi motivi indussero il Vaticano a evitare uno scontro frontale con i tedeschi e ad attenersi, invece, a discorsi umanitari:

La situazione sembrava imporre da un lato un particolarissimo riserbo, dall’altra di mantenere a ogni costo un contatto con i tedeschi […] L’unica strada considerata utile dalla Santa Sede per venire incontro ai bisogni della popolazione sarà così quella della supplica umanitaria. Il 7 ottobre, forse in base a tutto ciò, il ministro degli esteri tedesco Ribbentrop comunicò ufficialmente che «la sovranità e l’integrità territoriale del Vaticano sarebbe stata rispettata». E a questo il Vaticano si attenne anche di fronte ai tragici fatti del 16 ottobre109.

Sull’operazione al ghetto, quindi, le proteste vaticane non furono pubbliche ma si limitarono a una semplice minaccia inviata ai vertici. Come dimostra la documentazione conservata presso il Centre de documentation juive contemporaine a Parigi, lo stesso 16 ottobre, il Vescovo Hudal, rettore della chiesa cattolica tedesca a Roma, comunicava al comandante militare della

106

E. F. Moellhausen, La carta perdente cit., pp. 112-119.

107

Ibidem.

108

Cfr. G. Miccoli, I silenzi e i dilemmi di Pio XII cit., pp. 202-241.

109

95

città Stahel che, se si fossero ripetuti simili episodi, il Papa sarebbe stato costretto a protestare ufficialmente:

la prego di dare subito l’ordine di mettere fine immediatamente a questi arresti sia a Roma che nelle vicinanze; altrimenti temo che il Papa prenderà posizione pubblicamente contro questi arresti, ciò che darà un’arma in più alla propaganda che i nostri nemici fanno contro noi tedeschi110.

Anche l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Weizsäcker, convocato d’urgenza dal segretario di Stato vaticano, comunicava il 17 ottobre al suo ministero degli Esteri che la deportazione degli ebrei di Roma aveva fatto una cattiva impressione nelle autorità vaticane, costernate perché i fatti si erano svolti «sotto le finestre del Papa». L’ambasciatore affermava che la reazione sarebbe stata forse più attenuata se gli ebrei fossero stati impiegati al lavoro in Italia; in caso contrario il Papa avrebbe preso una netta posizione di protesta, analoga a quella dei vescovi francesi. Questi eventi, concludeva Weizsäcker, servivano solo agli “ambienti” ostili ai tedeschi per spingere il Vaticano a uscire dalle sue riserve111. In realtà, un articolo dell’«Osservatore romano», pubblicato in quei giorni, si era limitato a ribadire la vicinanza del pontefice agli innocenti che soffrivano, senza distinzione di nazionalità, religione o

razza112. Pochi giorni dopo la sua prima comunicazione, Weizsäcker scriveva sempre al

ministero degli Affari esteri tedesco una lettera molto indicativa della situazione, affermando innanzitutto che il Papa «non si era lasciato trascinare in nessuna dimostrazione di protesta riguardo la deportazione degli ebrei di Roma». Secondo l’ambasciatore, il pontefice era consapevole che questo suo atteggiamento gli sarebbe stato rimproverato da molte parti, ma dichiarava di averlo fatto per «non mettere alla prova le relazioni con il governo tedesco e gli ambienti [uffici] tedeschi presenti a Roma»113. Le minacce del Papa non sortirono alcun effetto: nel corso dei mesi successivi altre centinaia di persone furono arrestate a Roma e deportate. In realtà, come si vedrà più avanti, l’atteggiamento della Chiesa seguì nel corso di questi mesi una duplice strada: se ufficialmente non ci furono mai dichiarazioni pubbliche di protesta da parte del pontefice, a livello locale gli istituti religiosi presero alla lettera le