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In molte province della RSI furono dunque aperti campi di concentramento per ebrei: come detto, furono utilizzate strutture già in funzione durante la guerra, che non smisero mai di essere operative o che al contrario furono chiuse dopo l'8 settembre e riaperte per questo scopo dal governo repubblicano; e allo stesso tempo, si approntarono rapidamente ex novo dei campi provinciali in una ventina di città dell'Italia centro settentrionale. Con l'espressione “campo di concentramento” si intendono qui quelle strutture che così furono denominate nei documenti prodotti dalle stesse autorità ministeriali e locali. Si potrebbe azzardare l'ipotesi che questa espressione venne adottata per indicare tutte quelle strutture che non fossero già delle carceri cittadine. In realtà, l'uso di questo termine non fu affatto casuale: per le autorità dell'epoca la denominazione di “campo di concentramento” significava qualcosa di ben preciso, come dimostra del resto la rapidità con la quale l'amministrazione locale riuscì a approntare in pochi giorni luoghi che rispondessero agli ordini ricevuti dall'alto. Non va dimenticato, infatti, che quella dell'internamento nei campi era una pratica ormai consolidata: appena scoppiato il conflitto, aveva colpito gli stessi ebrei e in generale tutta una categoria di persone considerate pericolose per la sicurezza dello Stato in guerra (civili stranieri soprattutto), per le quali quindi si reputava necessario prendere misure di controllo. La continuità con meccanismi già conosciuti e collaudati fu dunque determinante per la realizzazione a livello locale dei campi. In realtà, la presunta pericolosità degli ebrei, affermata nei discorsi, nei manifesti politici e sui giornali, non fu mai esplicitata nelle disposizioni ministeriali trasmesse a partire da dicembre 1943. È interessante notare che mentre il sequestro dei beni veniva giustificato come una misura che avrebbe portato beneficio ai cittadini della Repubblica e alle casse di uno Stato duramente provato dalla guerra, sull'arresto degli ebrei non si dava alcuna spiegazione. Le autorità italiane eseguirono cioè una disposizione, quella dell'arresto, che non necessitava di essere chiarita, perché

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colpiva un gruppo di persone comunemente riconosciuto pericoloso dalla politica e dalla propaganda di governo, nonché discriminato dalla legge ormai da cinque anni85.

Quella di istituire dei “campi di concentramento” fu dunque una scelta strumentale agli obiettivi dell'ordinanza ministeriale, la quale del resto contemplava esplicitamente l'utilizzo di queste strutture. Da un punto di vista economico, la reclusione e la permanenza degli ebrei nei campi assicurava alle autorità il tempo necessario per potersi appropriare dei loro averi. Lo spostamento forzato degli ebrei dalle loro abitazioni permetteva inoltre di sequestrare e confiscare i beni lasciati, per così dire, incustoditi, nonché di utilizzare queste case ormai vuote per ospitare i numerosi sfollati e i militari in continuo movimento sul territorio della RSI. Da un punto di vista meramente pratico, la presenza di un campo risolveva il problema di dove mettere gli arrestati, dal momento che le carceri erano sempre più affollate di persone imprigionate per motivi di ordine pubblico, di renitenti, di antifascisti e di partigiani.

Il ministero dell'Interno affidò dunque l'esecuzione dell'ordinanza n. 5 ai suoi organi locali (prefetture e questure), ma chiarì sin dall'inizio che ogni decisione doveva essere presa in accordo con gli uffici centrali. Lo dimostra, per esempio, l'atteggiamento tenuto nella vicenda del campo istituito in provincia di Grosseto. Se infatti tutti gli altri campi provinciali furono creati dopo le disposizioni del ministro Buffarini Guidi, quello di Roccatederighi nacque qualche giorno prima, grazie allo zelo dimostrato dal capo provincia locale nell'interpretare l'orientamento antisemita del nuovo Stato. Il 25 novembre, cinque giorni prima dell'invio della circolare ministeriale, il capo provincia Ercolani comunicava alla Direzione generale di PS che a partire dal 28 sarebbe stato aperto un campo di concentramento per gli ebrei catturati in quella zona. Ercolani segnalava che avrebbe esaminato lui stesso i singoli casi degli internati e che avrebbe utilizzato circa 100.000 lire dai fondi della prefettura, che sarebbero state recuperate grazie al sequestro dei beni ebraici86. Già nelle settimane precedenti, del resto, la linea dura del capo provincia si era concretizzata in iniziative non sempre legittimate dalle norme governative, come avvenuto anche in molte altre province della RSI: spoliazioni arbitrarie, censimento degli alloggi e delle proprietà ebraiche, compilazione di elenchi nominativi inviati alle autorità tedesche. Il campo di Roccatederighi fu approntato nel giro di pochi giorni all'interno dei locali di un seminario estivo vescovile, e dopo la circolare ministeriale n. 5 cominciarono ad affluirvi gli ebrei arrestati nella provincia. Secondo la studiosa Luciana Rocchi, l'atteggiamento di Ercolani non fu determinato soltanto dalle sue convinzioni antisemite, ma anche da considerazioni di opportunismo politico, come il

85 Si confrontino, ad esempio, i commenti dei giornali all'ordinanza n. 5 analizzati nel precedente paragrafo. 86 ACS, MI, PS, Massime M4, b. 142, fasc. 18 “Località di internamento”, fasc. “Grosseto”, il capo provincia Ercolani a ministero dell'Interno, Direzione generale PS, telegramma n. 04874, 24 novembre 1943.

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dimostrare un particolare zelo nella sua attività di capo provincia87. Il 7 dicembre, la Direzione generale della pubblica sicurezza inviava a Grosseto un telegramma nel quale si faceva presente che «la costituzione e l'organizzazione dei campi di concentramento, come è noto, sono di competenza di questo Ministero» e si chiedeva di fornire ulteriori notizie sul campo di Roccatederighi e sulla persona che era stato nominata direttore88. La risposta dalla prefettura arrivò il giorno di Natale:

In evasione alla nota suindicata comunico che l'ordine di istituire dei campi per il concentramento dei cittadini di razza ebraica fu impartito a Firenze dall'Eccellenza Buffarini nella riunione dallo stesso tenuta ai Capi della Provincia. Poiché disposizioni in dettaglio da parte di codesta Direzione generale si sono attese invano, in adempimento dell'ordine impartito dal Ministero ho ritenuto urgente ed indifferibile istituire il campo in oggetto affidandone la direzione al maresciallo di PS di questa Questura Rizziello Gaetano segnalatomi dal Questore come elemento idoneo e capacissimo89.

Dopo questi chiarimenti, gli uffici centrali del ministero non si occuparono più della vicenda dell'apertura anticipata del campo in provincia di Grosseto. Salvo questo caso, in ogni modo, le autorità periferiche si attennero agli ordini ministeriali e riferirono di solito al ministero le decisioni prese localmente. I capi provincia inviarono informazioni e telegrammi concernenti le loro operazioni antiebraiche, sia perché erano stati sollecitati dagli uffici ministeriali responsabili (in particolare la Direzione generale di Pubblica sicurezza o direttamente il capo della Polizia), sia per avere delucidazioni su alcune questioni poco chiare90. La vicenda di Grosseto dimostra in ogni modo quanto l'intensità della persecuzione ebraica a livello locale dipendesse dall'iniziativa della singola autorità provinciale, spesso ligia nell'applicare le disposizioni ministeriali e più o meno volenterosa di tradurre in pratica l'orientamento antisemita sancito dal nuovo Stato. La responsabilità delle fasi preliminari che portavano all'istituzione di un campo provinciale ricadeva infatti sulle singole persone, principalmente sul capo provincia e il questore. Era di solito quest'ultimo che metteva in moto la macchina amministrativa dopo aver ricevuto dalla prefettura la circolare di Buffarini: chiedeva cioè ai comandi territoriali dei carabinieri o ai funzionari di pubblica sicurezza se vi fossero strutture

87 «Dunque non un intreccio episodico tra iniziativa tedesca e condiscendenza più o meno marcata e intraprendente di dirigenti e “gregari”, ma la costruzione e messa in moto preventiva della macchina persecutoria già nell’ottica di quello che di lì a poco sarebbe stato il sistema delle regole e delle pratiche antiebraiche dell’Italia fascista repubblicana» in L. Rocchi, Ebrei nella Toscana meridionale, in E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana cit., p. 268.

88 ACS, MI, PS, Massime M4, b. 142, fasc. 18 “Località di internamento”, fasc. “Grosseto”, ministero dell'Interno, Direzione generale di PS, al capo provincia, 7 dicembre 1943.

89 Ivi, il capo provincia a ministero dell'Interno, Direzione generale di PS, 25 dicembre 1943.

90 Vedremo nel prossimo capitolo che questi chiarimenti si riferirono soprattutto alla tipologia di ebrei da internare e ai rapporti con l'occupante tedesco, ma non mancarono, come spiegheremo poco più avanti, domande concernenti il rimborso delle spese effettuate e altre questioni più pratiche legate all'organizzazione dei campi.

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adatte a ospitare un campo di concentramento. Nella maggior parte dei casi, venivano individuati luoghi in posizione periferica, lontani da un grande centro abitato ma facilmente raggiungibili dai mezzi di trasporto (macchine, autocorriere), con uno spazio all'esterno dove permettere agli internati di uscire. Nei casi in cui non ci fosse stato nella zona un campo in funzione, si cercava solitamente una struttura già attrezzata, nella quale non fosse troppo difficile avere l'acqua corrente, allacciare l'elettricità e approntare altri servizi essenziali (una linea telefonica, una cucina ecc.). Nella scelta del posto, le autorità locali si attennero alle direttive ministeriali inviate all'inizio del conflitto e relative alle località che avrebbero dovuto accogliere, tra il 1940 e il 1943, i civili in internamento libero o in campo di concentramento91. I campi sorsero dunque all'interno di ville, di seminari, di colonie estive, di alberghi o di caserme, edifici cioè con caratteristiche che rispondevano a criteri stabiliti negli anni precedenti dal ministero centrale. La scelta dello stabile, molto probabilmente, non fu fatta tenendo in considerazione le centinaia di persone di razza ebraica spesso accertate nelle province, censite negli elenchi compilati dagli stessi uffici della questura e della prefettura, per le quali era ora previsto un mandato d'arresto. Se si fosse tenuto conto di ciò, infatti, le autorità avrebbero dovuto individuare ovunque degli edifici molto ampi, dove poter rinchiudere cioè un gran numero di persone. Così non fu, perché la scelta ricadde quasi sempre su strutture in grado di contenere al massimo un centinaio di individui. D'altronde, a parte alcune eccezioni (Roma, Firenze, Venezia) le prime operazioni di arresto effettuate a inizio dicembre portarono a risultati di gran lunga inferiori alle attese: dopo l'8 settembre, e ancor più dopo la diramazione dell'ordinanza n. 5, molti ebrei erano scappati dalle località d'internamento o si erano resi irreperibili laddove erano stati registrati. Di conseguenza ad ogni campo si trovarono destinati in media solo alcune decine di individui – in pochi casi si raggiunse il centinaio di internati. In molte occasioni, l'apertura di un campo di concentramento servì a rinchiudere un numero veramente ridotto di persone, che spesso non superava i venti o trenta ebrei. Caso limite fu quello di Massa, provincia nella quale furono fermate, come si è detto, solo tre donne: nonostante ciò, fu istituita una struttura che prese il nome di “campo di concentramento”92.

91 ACS, MI, PS, Massime M4, b. 99, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Prescrizioni per i campi di concentramento e per le località d’internamento, 8 e 25 giugno 1940. Si veda quello che si è già detto per i campi per ebrei nel periodo 1940-1943 all'interno del Capitolo I, paragrafo 3.3 “Ebrei italiani e stranieri in Italia: tra internamento e precettazione al lavoro (1940-1943)”; cfr. K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, La Nuova Italia, Firenze 1996, vol. II, p. 53.

92 In realtà il capo della provincia comunicò al ministero centrale l'arresto di cinque ebrei, «fermati et associati» al campo di concentramento provinciale istituito a Marina di Massa nell’Albergo “Italia”. Di questi, rimasero solo tre donne, perché gli altri due si erano «allontanati ignota destinazione». Allora il capo provincia chiese di trasferire le tre internate al campo di concentramento di Lucca. Alla base vi erano motivi economici, quali la riduzione delle spese gravanti sull’amministrazione, cfr. documentazione in ACS, MI, PS, Massime M4, b. 114, fasc. 16 “Campi di concentramento”, fasc. “Apuania”.

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Una volta individuati i locali adatti, il questore (e in certe occasioni il capo provincia) nominava un direttore, che poteva essere un funzionario di Pubblica sicurezza - un commissario di PS ad esempio - o, raramente, una figura amministrativa locale, come il podestà del paese. Stabiliva inoltre il personale addetto alla sorveglianza, costituito di solito da un piccolo nucleo di agenti di PS, carabinieri o militi della GNR. Il numero di queste guardie variava naturalmente a seconda della grandezza del campo e della presenza degli internati, come detto, quantificabile in media in poche decine di civili disarmati e praticamente inoffensivi da un punto di vista strettamente militare. Non mancarono certo le eccezioni. Il capo provincia di Grosseto, sempre lui, sembrò ossessionato dal possibile rapporto tra gli internati e il mondo esterno. Adottò dunque una soluzione che si può forse definire “eccessiva” anche per un campo destinato a ospitare circa un centinaio di ebrei. Oltre al commissario di PS direttore e i tre agenti destinati, insieme a lui, a vigilare la vita all'interno del campo, dispose che:

Il comando della 98° legione [...] invierà sul posto 20 militi con un ufficiale, muniti di almeno due mitragliatrici e due fucili mitragliatori ed un congruo numero di bombe per ciascun milite. Con detta forza, che sarà scaglionata lungo il reticolato, provvederà alla vigilanza sia di notte che di giorno, perché gli internati per nessun motivo varchino il reticolato stesso od abbiano comunque comunicazioni con le persone esterne, che d'altra parte, non possono avvicinarsi ai detti reticolati93.

E, come se ancora non bastasse, proseguiva:

L'Arma dei carabinieri provvederà a tenere permanentemente all'esterno dei reticolati una pattuglia che vigilerà che nessuna persona, ad eccezione di quelle autorizzate si avvicini a detto campo, coadiuvando la milizia per le eventuali evasioni di detti internati94.

Al contrario, per quanto riguarda altri campi non sono poche le testimonianze che ricordano una sorveglianza ridotta e non troppo rigida, che certo non avrebbe impedito la fuga degli internati qualora questi ne avessero avuto l'intenzione95.

Il direttore e il proprietario dello stabile prescelto per diventare campo per ebrei firmavano un accordo di concessione e un contratto di affitto, mentre la prefettura iniziava le pratiche di

93 ACS, MI, PS, Massime M4, b. 142, fasc. 18 “Località di internamento”, fasc. “Grosseto”, il capo provincia Ercolani a ministero dell'Interno, Direzione generale PS, telegramma n. 04874, 24 novembre 1943.

94 Ibidem.

95 Ad esempio a Padova, come si legge nelle testimonianze raccolte in F. Selmin (a cura di), Da Este ad Auschwitz. Storia degli ebrei di Este e del campo di concentramento di Vo’, Coop. Giordano Bruno Editrice, Este (Padova) 1987; o a Parma, dove i problemi relativi alla scarsa sorveglianza dei campi risalivano anche al periodo precedente la RSI, cfr. M. Minardi, Tra chiuse mura cit., pp. 19-52.

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requisizione della struttura presso le autorità competenti96. Al direttore spettava la gestione del campo e il suo funzionamento. Per far questo, si rivolgeva ad aziende e fornitori della zona, che avevano il compito ad esempio di procurare il vitto per gli internati, la legna per il riscaldamento invernale e alcuni materiali necessari per l'alloggio (coperte, lenzuola). Si veda l'esempio di Aosta:

La direzione del campo di concentramento verrà assunta dal Commissario PS Cav. Dott. Alberto [poco leggibile], il quale è pregato di prendere fin d’ora contatto con il Commissario prefettizio del comune di Aosta per la pulizia e la disinfestazione dei locali, per la sistemazione del recinto metallico atto ad impedire evasioni dal campo di concentramento, per il collocamento delle stufe e relative tubazioni per il riscaldamento dei locali, per l’adattamento dei lavatoi, latrine, cucina, per lo impianto della luce elettrica e del telefono e per tutte le altre opere necessarie per il normale funzionamento del campo di concentramento, tenendo presente che l’allestimento è previsto per circa 50 ebrei. Il funzionario verrà coadiuvato per la parte contabile e burocratica dall’applicato sig. D. C. M. il quale dovrà avere un proprio ufficio nell’ex caserma Mottino, provvisto di tavolo sedie e armadietto [...] Il direttore del campo di concentramento provvederà perché siano allestiti i locali necessari per la permanenza nel campo dei militari […] scrittoio, armadietto e sedie per il sottoufficiale preposto al servizio di vigilanza. Il Cav. Dott. [...] prenderà accordi con il comando della Milizia forestale e con il Direttore del consorzio agrario di Aosta Cav. B. per la fornitura di combustibile per il riscaldamento. Provvederà inoltre alla fornitura di tutte le brande, pagliericci, lenzuola coperte, stoviglie e gavette, utensili di cucina, necessari per i dormitori e per il funzionamento della cucina; nonché alla fornitura giornaliera dei generi di alimentazione […]97.

Molto spesso, gli ebrei erano invitati a portare con loro quelli che nei documenti ufficiali venivano definiti gli “effetti letterecci”, ovvero lenzuola e pagliericci:98 alla direzione del campo spettava al limite di rifornire materiale in più, come ad esempio delle ulteriori coperte durante l'inverno.

Dotata di un direttore, della sorveglianza e dell'attrezzatura necessaria, la struttura era pronta per accogliere gli ebrei arrestati nella zona. La questura poteva così comunicare ufficialmente

96 È il caso della villa a Vò Vecchio, in provincia di Padova (vedi paragrafo successivo), e del seminario vescovile di Roccatederighi a Grosseto (cfr. E. Collotti (a cura di), Ebrei in Toscana cit., vol. II, Documenti, Documento II.B4, pp. 86-87, dove viene riprodotta copia del contratto d'affitto e della concessione dello stabile firmata dal vescovo Galeazzi e il commissario di PS Rizziello, direttore del campo).

97 Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Archivio storico (d'ora in poi ACDEC), Archivio generale (d'ora in poi AG)-5F, Campi di concentramento e carceri in Italia, fasc. “Persecuzione e sterminio Italia”, “Campi di concentramento”, Aosta, copia della comunicazione del questore di Aosta Labbro al Capo della Provincia, al Commissario di PS [Messo?] Alberto, al comando della 12° legione MVSN Aosta, al comando compagnia carabinieri Aosta Ivrea, Comando tenenza dei carabinieri di Cuorgné, al Commissario prefettizio del comune di Aosta, al comando gruppo carabinieri di Aosta, 12 dicembre 1943.

98 «A detti internati è consentito portare le masserizie, pagliericci, coperte e indumenti personali», in ACS, MI, PS, Massime M4, b. 142, fasc. 16 “Campi di concentramento”, fasc. “Grosseto”, questura di Grosseto ai comandi territoriali dei carabinieri e p.c. al ministero dell'Interno Direzione generale di PS, al capo provincia, al comando legione MVSN e al direttore del campo, 5 dicembre 1943.

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l'apertura al capo provincia, trasmettendo una breve descrizione del luogo e il numero degli internati. Da parte sua la prefettura doveva occuparsi delle pratiche burocratiche ed economiche, in particolare quelle relative alle spese sostenute e da sostenere, segnalate dal questore e dal direttore99. Era lo stesso capo provincia che aveva il compito tra l'altro di mettere a conoscenza delle autorità centrali le operazioni effettuate contro gli ebrei in quel territorio, specificando se si fosse aperto o no un campo provinciale. Del resto, le pratiche economiche passavano tutte per gli uffici centrali del ministero: ad esempio quello responsabile dell'alimentazione si occupava del rimborso delle spese effettuate per garantire il vitto agli internati e agli agenti di sicurezza. Per ottenere il pagamento delle spese sostenute per il funzionamento del campo, le autorità locali erano tenute a presentare un dettagliato rendiconto composto dalle fatture rilasciate dai fornitori della zona: falegnami, fabbri, alimentari ecc. Spesso sono proprio le ricevute di pagamento gli unici documenti che permettono di avere notizie più particolareggiate su queste strutture, in mancanza di comunicazioni dettagliate inviate al ministero o di altro materiale presente nei fondi d'archivio. È il caso di Vercelli: grazie allo scambio di telegrammi inviati tra capo provincia e ministero centrale è possibile risalire al meccanismo e alle competenze dei pagamenti per le spese sostenute.

A seguito delle disposizioni emanate da codesto ministero dal 24 dicembre scorso anno è stato istituito in questa città un campo di concentramento per ebrei della provincia. Da tale data nel detto campo si trovano internati undici ebrei di ambo i sessi. Ciò premesso si prega compiacersi fare conoscere se le spese per l'attrezzatura del campo, l'affitto dei locali, il riscaldamento e la sussistenza siano a carico dell'amministrazione centrale, nonché quali siano le indennità da corrispondersi agli internati100.

E la risposta del ministero fu: «Si gradirà conoscere quali spese sono state sostenute e verranno erogate per l'attrezzatura dei locali, l'ammontare del fitto ed il riscaldamento. Tali spese sono a carico di questo Ministero e debbono gravare sul capitolo 119 bis del bilancio in