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2. La politica antiebraica fascista e i provvedimenti del regime

2.3 Nemici, in guerra

Poco dopo la promulgazione delle leggi del 1938, il sottosegretario all'Interno Guido Buffarini Guidi inviava una relazione al duce nella quale avanzava tre proposte per accelerare la soluzione della questione ebraica in Italia, al fine di risolvere anche gli aspetti meno chiari della normativa: la parificazione giuridica di tutti gli ebrei convertiti sposati con ariani, «l’eliminazione assoluta dalla Nazione di tutti gli altri ebrei – italiani e stranieri –» che non rientravano in questa categoria, attraverso facilitazioni (economiche, patrimoniali ecc.) per coloro che erano destinati a lasciare il Regno; il divieto di ingresso nel Regno agli ebrei già allontanati o stranieri128. La soluzione della questione ebraica in Italia doveva essere conseguita dunque attraverso «l’eliminazione assoluta dalla Nazione» di tutti gli ebrei “puri”, fossero essi italiani o stranieri. È paradossale che questo documento venga citato dal figlio del

126

K. Voigt, Il rifugio precario cit., p. 308.

127

M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 187.

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Relazione senza data citata in Glauco Buffarini Guidi, La vera verità. I documenti dell’archivio segreto del Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi dal 1938 al 1945, Sugar Editore, Milano 1970, pp. 38-43.

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futuro ministro dell’Interno della Repubblica sociale italiana con lo scopo di assolvere il padre dalle responsabilità nella politica antiebraica fascista e repubblicana. Innanzitutto, infatti, il sottosegretario all’Interno proponeva una semplificazione della procedura, per limitare i casi controversi e snellire le pratiche di accertamento. Ancor più evidente è però la parificazione tra ebrei di nazionalità italiana e «ebrei stranieri», accomunati dallo stesso destino: l’espulsione dall’Italia. Come abbiamo visto, il governo aveva differenziato le misure nei confronti degli ebrei italiani e di quelli stranieri. Per i primi aveva decretato l’“espulsione” dalla vita sociale, politica e culturale del paese. I secondi invece erano stati destinati a un’«eliminazione» (per riutilizzare il termine di Buffarini Guidi) fisica dal Regno, non nello stesso senso ad essa attribuito dai nazisti negli anni successivi, ma intendendo, sotto questo termine, l’emigrazione e l’allontanamento dalla penisola.

Lo scoppio della guerra accelerò il processo avviato con le leggi razziali. All’inizio del 1939, il governo fascista era stato costretto a sospendere le procedure di espulsione dal Regno degli ebrei stranieri a causa di problemi di cui probabilmente non aveva tenuto conto al principio, primo fra tutti, come detto, l’indisponibilità da parte degli altri paesi ad accogliere un gran numero di profughi ebrei in fuga. Contemporaneamente all’allontanamento degli ebrei stranieri, era stata decisa anche la chiusura delle frontiere, per evitare l’ingresso di nuovi indesiderati. Tuttavia, il governo continuò a rilasciare visti “turistici”, rendendo così possibile l’entrata nella penisola, mediante questa scorciatoia, di almeno 5.000 persone. Dal 7 settembre 1938 al giugno 1940, lasciarono dunque il paese tra i 10.000 e gli 11.000 ebrei stranieri; ne rimasero poco meno di 4.000129. Con l’inizio del conflitto il regime si apprestò a prendere provvedimenti nei confronti dei sudditi stranieri in base alla corrente legislazione bellica, messa a punto con il decreto legge del luglio 1938, che seguiva il piano generale per l’organizzazione del paese in guerra votato nel 1925: questo prevedeva, tra le altre cose, la disposizione d’internamento. Per reprimere il dissenso e l’opposizione al fascismo, il governo aveva disposto nel Ventennio misure di polizia che contemplavano ammonizioni, diffide e, nei casi estremi, l’arresto e il confino. Quest’ultimo era stato introdotto nel 1926 con le nuove leggi di pubblica sicurezza, e aveva scopi di repressione politica (subentrò al domicilio coatto

deciso a fine Ottocento per contrastare il fenomeno del brigantaggio)130. Quella

129

K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, La Nuova Italia, Firenze 1996, vol. II, pp. 2- 3.

130

Un’analisi completa dell’evoluzione del sistema di misure di pubbliche sicurezza in: P. Carucci, L’ordinamento dei servizi di Polizia dopo l’approvazione del testo unico delle leggi di PS nel 1926, in «Rassegna degli archivi di stato», XXXVI, 1976, pp. 183-199; G. Tosatti, Il prefetto e l’esercizio del potere durante il periodo fascista, in «Studi storici», 4/2001, pp. 1022-1039; Id., La repressione del dissenso tra età liberale e fascismo: l’organizzazione della polizia, in «Studi storici», 1/1997, pp. 219-254.

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dell'internamento, invece, era una pratica diffusa in Europa e in Italia fin dalla prima la Prima guerra mondiale per colpire i sudditi nemici, i sospetti di spionaggio, gli anarchici, i socialisti e i contrari alla guerra131. Nel 1938 venne definitivamente disciplinata: tramite apposito decreto, il ministero dell’Interno poteva disporre l’internamento di tutti i sudditi nemici in grado di portare le armi o che potessero svolgere una qualsiasi attività ai danni dello Stato e la possibilità, quindi, di obbligare i cittadini di una potenza nemica a risiedere temporaneamente in una località del Regno. Le misure nei confronti dei sudditi nemici erano dunque decise tramite decreto del duce e il loro trattamento rispondeva alle norme applicate per i prigionieri di guerra132. Con l'entrata in vigore, il 21 maggio 1940, delle disposizioni per l’organizzazione del paese in guerra, fu ordinato alle prefetture di disporre l’internamento di cittadini stranieri e italiani considerati pericolosi. Vale la pena di ricordare che

secondo il diritto internazionale [l’internamento] è una misura restrittiva della libertà personale che, in caso di conflitto, gli Stati hanno il potere di prendere nei confronti di certe categorie di stranieri o di propri cittadini, allontanandoli dalle zone di guerra e relegandoli in località militarmente non importanti ove esercitare agevolmente la vigilanza133.

Le misure di internamento e l’organizzazione dei campi di concentramento vennero stabilite nella circolare ministeriale del 1 giugno 1940, con cui si ordinava ai prefetti, una volta entrata l’Italia in guerra, di procedere all’arresto delle persone pericolose straniere e italiane, «di qualsiasi razza», che potessero nuocere al paese, nonché all’internamento degli individui segnalati dai Centri di Spionaggio. Le istruzioni per aprire i campi e per individuare le località d’internamento erano comunicate con la circolare dell’8 giugno 1940 (n. 442/12267), ribadita e integrata da quella successiva del 25 giugno quando ormai l'Italia era entrata in guerra134. Infine, il decreto legge del duce del 4 settembre 1940 sanciva giuridicamente le misure già adottate tramite circolare nei mesi precedenti135.

131

Sulla vicenda dell'internamento in Italia durante la Prima guerra mondiale si veda ad esempio A. Tortato, La prigionia di guerra in Italia, 1915-1919, Mursia, Milano 2004.

132

P. Carucci, Confino, soggiorno obbligato, internamento: sviluppo della normativa, in C. Di Sante, I campi di concentramento in Italia. Dall’internamento alla deportazione (1940-1945), FrancoAngeli, Milano 2001, pp. 15- 39; K. Voigt, Il rifugio precario cit., vol. II, pp. 10-15; G. Antoniani Persichilli, Disposizioni, normative e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940 - luglio 1943), in «Rassegna degli archivi di Stato», n. 1-3, 1978, pp. 77-96; C. Spartaco Capogreco, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino 2004, pp. 40-84.

133

P. Carucci, Confino, soggiorno obbligato, internamento cit., p. 20.

134

ACS, MI, PS, Massime M4, b. 99, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Prescrizioni per i campi di concentramento e per le località d’internamento, 8 e 25 giugno 1940.

135

Decreto del Duce del fascismo, 4 settembre 1940, in «Gazzetta Ufficiale», LXXXI, 11 ottobre 1940, n. 239; copie di questo decreto legge e di quello del 17 settembre 1940 (riguardante modifiche e aggiunte al testo unico di legge di pubblica sicurezza per il periodo bellico) sono presenti in ACS, MI, PS, Massime M4, b. 131, fasc. 16

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Nel periodo di preparazione alla mobilitazione bellica, pochi erano stati gli accenni a eventuali provvedimenti da adottare nei confronti degli ebrei. Il 25 settembre 1939 il capo della polizia Bocchini aveva inviato ai prefetti il seguente telegramma, nel quale si riferiva di un generale atteggiamento antinazionale degli ebrei nella penisola:

è stato segnalato che notizie false et tendenziose che circolano Regno momento politico attuale sarebbero diffuse da elementi ebraici scopo creare disorientamento tra il popolo alt Raccomandasi impartire precise categoriche disposizioni dipendenti autorità P.S. singole province perché sia esercitata oculata vigilanza sugli ebrei et ove risultino accertati nella specie elementi concreti responsabilità siano adottati provvedimenti rigore loro confronti alt. Informare Ministero eventuali emergenze136.

Né la legislazione del 1938 né questi primi documenti parlavano pertanto di internamento degli ebrei. Il primo riferimento ai campi di concentramento fu la comunicazione del sottosegretario all’Interno Buffarini Guidi al capo della polizia Bocchini, il 26 maggio del 1940, nella quale si riportava la volontà del Duce di preparare campi di concentramento per ebrei nel caso di guerra:

Caro Bocchini, il Duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei, in caso di guerra. Ti prego di riferire direttamente137.

I giorni seguenti, il capo della polizia invitò le prefetture a inviare gli elenchi degli ebrei considerati pericolosi e, per questo motivo, da internare: la pericolosità degli ebrei italiani andava esaminata «anche nei riguardi loro capacità propaganda disfattista et attività spionistica»138. Le disposizioni di giugno, dunque, compresero nelle misure di internamento gli «ebrei stranieri», sudditi di Stati nemici, e gli ebrei italiani sospetti. Tra gli stranieri, le circolari del giugno 1940 contemplarono anche gli ebrei stranieri sudditi di paesi che applicavano una politica razziale. La misura prevedeva l’internamento libero (ovvero il domicilio obbligato) in comuni del Regno per le donne e i bambini, mentre per gli uomini il campo di concentramento139. Queste disposizioni erano basate dunque su criteri razziali, perché presupponevano l’individuazione di una categoria di persone distinta in base

“Campi di concentramento”, Affari per provincia, Ins. 24 “Matera”. Cfr. anche G. Antoniani Persichilli, Disposizioni, normative e fonti per lo studio dell’internamento in Italia (giugno 1940 - luglio 1943), in «Rassegna degli archivi di Stato», n. 1-3, 1978, pp. 77-96; C.S. Capogreco, I campi del duce cit., pp. 63-64.

136

Documento citato in C.S. Capogreco, I campi del duce cit., p. 91.

137

ACS, MI, PS, Massime, M4, b. 100, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Comunicazione di Buffarini Guidi al capo della Polizia, 26 maggio 1940.

138

Ivi, b. 99, fasc. 16 “Campi di concentramento”, Dispaccio telegrafico ai prefetti del Regno, 6 giugno 1940.

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all’appartenenza alla razza ebraica. Tuttavia le misure d’internamento furono soprattutto una conseguenza dello scoppio della guerra e insistevano su motivazioni di ordine pubblico o politico, ovvero trovavano giustificazione nella pericolosità delle persone. Osserva Paola Carucci che:

mentre Buffarini Guidi, per quanto concerne gli ebrei, mira a interventi di massa basati esclusivamente sull’appartenenza alla razza ebraica, intensificando la politica razziale e invitando i prefetti a inviare nei campi di concentramento “gli ebrei che più danno luogo a sospetto”, il capo della polizia limita l’interpretazione della norma alla circostanza che gli ebrei svolgano attività antinazionale140.

Emergono cioè qui due piani differenti, uno relativo alle caratteristiche della normativa, l’altro concernente la reale applicazione delle disposizioni. Innanzitutto i provvedimenti di internamento libero in comuni del Regno o in campo di concentramento, adottati nei confronti degli ebrei di nazionalità straniera e, in parte, degli ebrei italiani, sono da collocarsi all’interno di una soluzione più ampia che riguardava gruppi di persone o singoli individui che il governo fascista riteneva potessero essere «pericolosi in contingenze belliche»141. Una parte della più recente storiografia ha molto insistito sul carattere razzista delle misure prese ai danni degli ebrei: le considerazioni di ordine politico da parte del governo fascista, dovute alla situazione bellica, sarebbero state comunque subordinate a motivi razziali. La pericolosità degli ebrei, quindi, non era determinata soltanto dalle contingenze della guerra ma aggravata dalla loro appartenenza a un popolo nemico a prescindere142. Riemergeva qui, è vero, un tradizionale tema antisemita quale quello dell’ebreo visto come “straniero minaccioso”, organizzatore di complotti internazionali: un’immagine diffusa in Italia e in Europa e, come abbiamo visto,

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P. Carucci, Confino, soggiorno obbligato, internamento cit., p. 23. Sulla differenza di vedute riguardo i provvedimenti di internamento tra Buffarini Guidi e il capo della Polizia Senise, si veda anche G. Tosatti, Storia del Ministero cit., pp. 198-200; P. Carucci, Il Ministero dell’Interno: prefetti, questori e ispettori generali, in Istituto veneto per la storia della Resistenza, Sulla crisi del regime fascista 1938-1943, Marsilio, Venezia 1996, pp. 35-36.

141

Si veda a questo proposito S. Carolini, Pericolosi nelle contingenze belliche: gli internati dal 1940 al 1943, Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti, Roma 1987. Un approfondimento sulla presunta pericolosità degli ebrei come giustificazione per l'internamento in G. Antoniani Persichilli, Disposizioni, normative e fonti cit., pp. 85-86.

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«Nella valutazione del ruolo assunto dall’internamento nell’ambito della politica razziale riveste quindi un significato particolare l’analisi delle motivazioni dei provvedimenti; a questo riguardo, in linea generale è possibile dire che, se la decisione di internare gli ebrei italiani era basata sul principio della loro pericolosità in relazione alle contingenze belliche – che costituiva già un fattore discriminante – l’applicazione della normativa configurava l’ebraicità talora come un’aggravante di una militanza o di un generico orientamento antifascista, in altri casi un fatto di per sé pericoloso per l’ordine pubblico» in M. Toscano, L’internamento degli ebrei italiani cit. pp. 103-104. Con questa linea interpretativa che sostiene il prevalere di motivazioni razziste alla base dei provvedimenti che colpirono gli ebrei nel periodo 1940-1943 concordano anche Carlo Spartaco Capogreco e Michele Sarfatti.

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utilizzata fin dall’inizio come giustificazione di una politica antiebraica dello Stato fascista143. Osserva David Bidussa:

all’interno del discorso fascista questo tema assume due significati specifici. Ossia: 1) l’ebreo come componente del complotto presunto per la destrutturazione dell’“Italiano vero e autentico” (ciò che nel linguaggio di regime è indicato come minaccia “plutogiudeomassonica”); e 2) l’ebreo come sovvertitore della comunità144.

Il fatto che gli ebrei venissero distinti ora dal resto degli italiani, tuttavia, non attribuisce per forza un valore razzista aggiunto ai provvedimenti in questione, ma si può forse spiegare come una conseguenza di motivi pratici derivanti da un processo già iniziato in precedenza con l’emanazione delle leggi razziali. Nelle disposizioni degli anni 1940-1943 si conservò, cioè, l’approccio razzista sancito nel 1938, che aveva individuato gli ebrei come una categoria a parte. Del resto, negli stessi documenti d’identità risultava ormai specificata l’appartenenza alla razza ebraica e, quindi, qualsiasi ordine ministeriale o legge non poteva prescindere da una simile distinzione. L’elemento nuovo e determinante rispetto agli anni precedenti fu in realtà la motivazione bellica: vennero infatti disposte dal governo misure più rigide nei confronti della popolazione presente in Italia e furono adottate soluzioni repressive specifiche della guerra e previste dal diritto internazionale, come l’internamento in campi di concentramento, difficilmente giustificabili in periodo di pace. In maggior numero furono colpiti gli ebrei sudditi di Stati schierati in guerra contro il regime: la decisione di estendere le misure di internamento anche ai sudditi di Stati che applicavano una politica razziale rientrava coerentemente anche nell’ambito di valutazioni di ordine politico e propagandistico, indirizzate a colpire un “capro espiatorio”, ovvero un nemico esterno e interno all’Italia. Gli ebrei tedeschi, considerati acerrimi nemici dalla Germania nazista, a loro volta diventavano elementi pericolosi per un’Italia fascista alleata del III Reich. Una valutazione analoga può essere estesa alla vicenda degli ebrei italiani. Anche loro furono colpiti per la pericolosità politica e non secondo considerazioni esclusivamente razziali. Il progetto di un allontanamento dall’Italia di tutti gli ebrei italiani era stato presto abbandonato, nonostante fossero continuati tentativi in questa direzione anche durante gli anni del conflitto: il 9 febbraio 1940, ad esempio, Mussolini comunicò ufficialmente a Dante Almansi, neo presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche italiane, che gli ebrei italiani avrebbero

143

Nel precedente paragrafo relativo alla questione della “razza” si è visto come fossero continui i riferimenti, nei documenti del 1937-1938, all’idea che dell'ebreo nemico del fascismo. A questo proposito si veda il recente F. Germinario, Costruire la razza nemica: la formazione dell'immaginario antisemita tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, Utet, Torino 2010.

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dovuto lasciare gradualmente il paese e non farvi più ritorno145. Falliti i progetti di espulsione,

la misura dell’internamento riguardò circa 400 ebrei italiani146. Le motivazioni

dell’internamento dichiarate dalle autorità di polizia sono varie e non è facile stabilire se queste avessero un fondamento o fossero piuttosto dei pretesti: in ogni modo riconducono a un orientamento antifascista e antinazista e a una generale ostilità al Regime (espressa ad esempio tramite sentimenti espliciti di insofferenza per le leggi razziali)147. Osserva a questo proposito Enzo Collotti:

la decisione di considerare gli ebrei, stranieri o italiani, come gruppo a sé stante derivava evidentemente dagli orientamenti assunti nel momento stesso in cui era stata varata la prima legislazione razzista; l’internamento e l’invio nei campi di concentramento sotto questo profilo era la coerente prosecuzione (e forse anche la normale e inevitabile conclusione) di quell’indirizzo; l’aggravamento della pressione sugli ebrei in concomitanza con lo stato di guerra aveva anche una indubbia valenza propagandistica, in consonanza con l’inasprimento della guerra psicologica che vedeva gli ebrei più che mai sul banco degli accusati148.

L’adozione di misure di controllo più rigide rispetto agli anni precedenti e l’utilizzo, ora, di strutture prese in prestito dalla pratica bellica (quali appunto il campo di concentramento) rappresentarono del resto anche “un salto di qualità” nello sviluppo della politica di terrore e di repressione di uno Stato già di per sé autoritario149.

145

M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 193-194.

146

Ancora non si sa la cifra esatta degli internati italiani, cfr. M. Toscano, L’internamento degli ebrei italiani cit., pp. 105-108; M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 199. Si vedano anche i fascicoli generali e per provincia degli anni 1940-1942, con gli elenchi degli ebrei italiani segnalati dalla Demorazza perché considerati pericolosi, da internare o allontanare dalle province di appartenenza in caso di emergenza (guerra), ACS, MI, PS, A5G II guerra mondiale, bb. 65-68, fasc. 32, “Internati civili pericolosi”. All’interno di questi fascicoli anche telegrammi provenienti dalle varie province riguardanti la non necessità di internare ebrei italiani, perché non presente alcun pericolo.

147

M. Toscano, L’internamento degli ebrei italiani cit., pp. 105-108.

148

E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., pp. 105-106.

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