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L'occupazione tedesca e la nascita della RSI: attori nuovi e vecchi

Colti quasi di sorpresa, sebbene sospettassero da tempo l’esistenza di intrighi interni al fascismo49, i tedeschi non si erano fidati delle assicurazioni di Badoglio riguardo la condotta di guerra dell’Italia fatte l'indomani del 25 luglio. Facendo il punto sulla situazione, Hitler sosteneva che la dichiarata alleanza con l’Asse da parte di Badoglio era «una mascherata» per guadagnare qualche giorno di tempo in attesa di stabilizzare e consolidare la nuova situazione. E aggiungeva: «a eccezione degli ebrei e dei loro compari che provocano i disordini di Roma,

dietro al nuovo regime non c’è nessuno, questo è evidente»50. Quando Badoglio firmò

l’armistizio, infatti, l’occupazione del territorio italiano era già stata decisa dal Reich: doveva soltanto essere messa in atto51. Fin dalla primavera del 1943 i vertici nazisti avevano prospettato di subentrare alle autorità fasciste nel caso in cui fosse caduto il regime. Nel maggio del 1943 il Comando supremo tedesco aveva stabilito un piano per assicurarsi il controllo dei Balcani nell’eventualità di un collasso dell’esercito italiano e, subito dopo, cominciò la preparazione del cosiddetto “piano Alarich”, consistente in un intervento diretto nella penisola52. Dopo l’annuncio dell’armistizio, come già stabilito, in Jugoslavia, nell’Egeo,

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Il capo della polizia ricevette solo 4 risposte: in una veniva assicurato che gli ordini erano stati eseguiti, in un'altra si prendeva tempo e nelle ultime due, giunte dopo due settimane, si chiedeva conferma delle disposizioni, cfr. P. Carucci, Il Ministero dell’Interno cit., p. 58.

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ACS, MI, PS, Massime, M4, b. 99, fasc. 16, “Campi di concentramento”, “Liberazione internati”, circolare capo della polizia a prefetti, 13 settembre 1943; documento citato anche in L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria cit., pp. 873-874.

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L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 26; d’altronde anche una parte dei vertici nazisti, come ad esempio l’ammiraglio Dönitz, capo supremo della marina e consigliere militare del Fuhrer, intravedeva la possibilità di un colpo di stato tedesco se non fosse caduto il fascismo il 25 luglio; si veda, a questo proposito, E. Collotti, L’amministrazione tedesca dell’Italia occupata. 1943-1945, Lerici editori, Milano1963, p. 31.

50

F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963, p. 487. E ancora: «[gli italiani] dichiarano che intendono combatter, ma questo è tradimento», passo citato in L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 28.

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Ivi, p.32.

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Per una ricostruzione degli avvenimenti relativi all’occupazione tedesca dell’Italia ci si è basati sui lavori: E. Collotti, L’amministrazione tedesca cit.; Id., L’occupazione tedesca in Italia, in Dizionario della Resistenza cit.,

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in Francia meridionale e in Italia l'esercito tedesco disarmò le truppe italiane, disorientate dagli ordini ambigui provenienti da Roma. Queste operazioni avvennero in maniera violenta, soprattutto là dove i militari italiani si rifiutarono di deporre le armi: si pensi ad esempio al caso di Cefalonia, dove furono fucilati dai nazisti migliaia di soldati che si opposero alla resa53. Nei mesi successivi, centinaia di migliaia di soldati italiani furono presi dalla Wehrmacht e deportati nei campi di concentramento in Germania, impiegati spesso come manodopera al servizio dell’economia di guerra tedesca54.

Lo sbarco degli anglo-americani a Salerno, il 9 settembre, accelerò le operazioni di occupazione. A nord, il gruppo di armate B dell’esercito tedesco procedette all’occupazione del territorio, impossessandosi delle maggiori città dell’Alta Italia. Nella zona centro- meridionale, invece, la Wehrmacht (gruppo di armate C) dovette vedersela con l’avanzata anglo-americana e l’insurrezione della città di Napoli: la ritirata tedesca si assestò ai primi di ottobre sulla linea di Cassino, dove resistette fino al maggio del 1944. Solo nell’estate di quell’anno, infatti, con il crollo di questa linea difensiva, l’avanzata alleata liberò la parte centrale dell’Italia fermandosi, però, in autunno, sull’Appennino nei pressi di Bologna, dove si assesterà fino alla primavera del 1945. In questo modo, nei venti mesi successivi all’8 settembre, i tedeschi si assicurarono il controllo della parte centro-settentrionale del paese, importante non solo da un punto di vista strategico-militare, ma anche per la possibilità di sfruttarne le risorse economiche e la disponibilità di manodopera55.

A partire da settembre 1943 iniziò dunque quello che può essere definito un vero e proprio «regime d’occupazione» dell’Italia da parte delle forze del Reich, sottoposta alle leggi di guerra tedesche56. La struttura di controllo del territorio occupato dipendeva da tre autorità: quella militare, sotto il generale plenipotenziario del Reich, comandante militare territoriale, generale Rudolf Toussaint; quella politica, rappresentata da Rudolf Rahn, nominato plenipotenziario del Reich presso il governo di Salò; e, infine, quella di polizia, impersonata dal “comandante delle SS e della polizia in Italia” Karl Wolff, alle dipendenze di Himmler e consigliere speciale del governo fascista. Il territorio occupato venne inoltre diviso in zone di operazione vicine al fronte e alle coste, mentre a nord-est furono create dall'autorità tedesca due zone sotto il controllo di amministrazioni civili, comandate cioè da Alti commissari

pp. 42-58; F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò cit.; L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., in particolare pp. 24-47; Id., Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1945), Donzelli, Roma 1997.

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Cfr. G. E. Rusconi, Cefalonia 1943: quando gli italiani si battono, Einaudi, Torino 2004.

54

Cfr. G. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento del Terzo Reich 1943-1945, Ufficio storico del Ministero della Difesa, Roma 1992.

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L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 47.

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(Gauleiter) dipendenti direttamente dalle strutture centrali del Reich: la zona d’operazione Litorale Adriatico (Adriatische Küstenland), che comprendeva le regioni al confine italiano orientale, incluse quelle annesse dopo l’invasione della Jugoslavia; la Zona delle Prealpi (Alpenvorland), ovvero le province di Trento, Bolzano e Belluno57. Nel resto della penisola, l’amministrazione militare di Toussaint si articolava in 19 comandi territoriali, denominati Militärkommandaturen. Caso a parte era quello di Roma che, data la sua importanza strategica – capitale d’Italia, nonché sede del Vaticano – era dichiarata «città aperta» (23 settembre 1943) ed era presidiata da un comando esterno alle dirette dipendenze del comandante del gruppo d’armata C Kesserling. A conferma che uno degli obiettivi principali fosse quello di sfruttare nel miglior modo possibile le potenzialità economiche dell’Italia occupata, a capo dell’Amministrazione militare fu posto il segretario di stato all’Economia del Reich, Landfried. Questa nomina agevolò l’azione diretta degli uffici preposti allo sfruttamento dell’economia e alla razzia di manodopera dipendenti dal ministero degli Armamenti e della produzione bellica (facenti capo a Speer) e di quelli che facevano riferimento al Gauleiter Sauckel, responsabile della ricerca di lavoratori per l’economia di guerra tedesca in tutta Europa58. Questa organizzazione del territorio rimase sostanzialmente invariata fino alla fine della guerra, anche se nell’estate del 1944 si verificò un accentramento dei poteri nell’apparato di polizia delle SS, quando il ruolo di generale plenipotenziario passò al capo delle forze SS Karl Wolff, concentrando così in un’unica figura l’autorità militare e di polizia.

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«La nomina delle amministrazioni civili in cui prevaleva la presenza di funzionari di origine austriaca e l’aggregazione di fatto delle due zone di operazione alle dipendenze rispettivamente del Gauleiter del Tirolo (Franz Hofer come supremo commissario per la zona delle Prealpi) e della Corinzia (Friedrich Rainer come supremo commissario per il Litorale Adriatico) stava a sottolineare l’inserimento organico delle due aree all’interno dello spazio politico e amministrativo del Terzo Reich, che qui più che altrove si riservava mano libera, sottraendo questi territori alla sovranità della Repubblica di Salò», E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Laterza, Bari 2003, p. 140. Sulle due zone d'operazioni, si vedano anche M. Cattaruzza, L’Italia e il confine orientale, Il Mulino, Bologna 2008; E. Collotti, Il litorale adriatico nel Nuovo Ordine Europeo, 1943-1945, Vangelista, Milano 1974; Istituto veneto per la storia della Resistenza, Tedeschi, partigiani e popolazioni nell’Alpenvorland (1943-1945). Atti del convegno di Belluno, 21-23 aprile 1983, Marsilio, Venezia 1984; L. Baratter, Le Dolomiti del Terzo Reich, Mursia, Milano 2005; G. Bresadola Banchelli, Politiche amministrative, strutture della repressione e propaganda nella zona d'operazione Litorale adriatico, in S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria della Repubblica sociale italiana: atti del convegno nazionale di sutdi di Fermo, 3-5 marzo 2005, Carocci, Roma 2006, pp. 249-275; A. Di Michele, R. Taiani (a cura di), La zona d'operazione delle Prealpi nella seconda guerra mondiale, Fondazione Museo storico del Trentino, Trento 2009.

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Sullo sfruttamento economico della penisola durante l'occupazione tedesca si rimanda in particolare a E. Collotti, L’amministrazione tedesca cit.; L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit.; G. Mayda, Storia della deportazione cit.; F. Cereja, B. Mantelli (a cura di), La deportazione nei campi di sterminio nazisti. Studi e testimonianze, FrancoAngeli, Milano, 1986; Istituto storico della Resistenza di Torino, Una storia di tutti: prigionieri, internati, deportati italiani nella seconda guerra mondiale, FrancoAngeli, Milano 1989; I. Tibaldi, Compagni di viaggio, dall’Italia ai lager nazisti: i trasporti dei deportati, 1943-1945, FrancoAngeli, Milano 1994; si vedano anche i più recenti risultati delle ricerche portate avanti dal 2002 da un gruppo di lavoro coordinato dai prof. Brunello Mantelli e Nicola Tranfaglia, pubblicati in: Il Libro dei deportati, Mursia, Milano 2009-2010, vol. I-IV.

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L’infiltrazione e la penetrazione in Italia, durante quei primi mesi, di organizzazioni e uffici nazionalsocialisti portarono, infatti, a un progressivo svuotamento del ruolo dell’Amministrazione militare della Wehrmacht. Questa evoluzione era d’altronde in linea con la dinamica dei rapporti tra i vari organi di occupazione tedeschi, tipica anche negli altri paesi europei: era caratterizzata cioè da una costante lotta tra i diversi poteri nazisti e dalla presenza di uffici in competizione fra loro, che godevano ognuno di una «rilevante libertà d’azione» e di interpretazione degli ordini impartiti dall’alto59. In Italia, il braccio di ferro per accaparrarsi il dominio della penisola tra l’autorità politica e quella militare dell’esercito si risolse in una soluzione doppia: una vera e propria occupazione militare e, allo stesso tempo, un controllo politico del territorio da attuarsi attraverso un’alleanza politico-ideologica con un rinato governo fascista al quale affidare, in parte, l’amministrazione civile del paese60.

Già nella notte tra l’8 e il 9 settembre, la radio tedesca aveva annunciato la formazione di un nuovo governo fascista, che si stava ricostituendo in Germania intorno ad alcuni gerarchi fuggiti a Monaco dopo il 25 luglio: Farinacci, Preziosi, Pavolini, Ricci e Vittorio Mussolini61. Il 12 settembre, la liberazione da parte di un gruppo di paracadutisti tedeschi di Benito Mussolini, imprigionato dal governo Badoglio a Campo Imperatore sul Gran Sasso, rispondeva alla volontà dello stesso Hitler di rimettere proprio il duce a capo del nuovo governo fascista:

l’esigenza di sostenere Mussolini non era un fatto di natura soltanto sentimentale […] era viceversa per lui [Hitler] un’esigenza politica mostrare ancora al nemico un’alleanza valida fondata su un binomio che, per quanto apparente potesse essere la cogestione di Mussolini agli affari dell’Asse, era pur sempre prestigioso e ricco di suggestione. Di fronte ai piccoli dittatori del calibro di un Antonescu o di un Horty, che vacillavano e nei

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Quelli che Klinkhammer definisce «rapporti di forza policratici» all’interno del Reich si estero dunque anche al territorio italiano occupato , L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., p. 418.

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Ordine del Führer del 10 settembre 1943, in L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., pp. 52-53.

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In seguito raggiunti anche dall’ex sottosegretario agli interni Guido Buffarini Guidi, liberato dalla prigionia al forte Boccea di Roma, cfr. V. Paolucci, La Repubblica Sociale Italiana e il partito fascista repubblicano. Settembre 1943 - marzo 1944, Argalia Editore, Urbino 1979. Già il 19 luglio, prima della caduta del fascismo, una lettera di Himmler a Bormann analizzava la situazione di crisi in Italia: «Ho ricevuto da fonte attendibile la seguente comunicazione che proviene con assoluta certezza dall’ambiente vicino al Comitato dei cinque e che ti prego di portare a conoscenza del Fuhrer non appena ti è possibile… Per difendersi gli ambienti italiani favorevoli all’Asse hanno creato un contromovimento organizzato elasticamente… come capo è stato designato Riccardi. Il movimento è diretto da un Comitato dei cinque [secondo questo rapporto aderivano al Comitato Ricci, Farinacci, Rossoni, Preziosi, Bastianini e altri generali e prefetti, nda] e mira a creare un Gabinetto di guerra che attui una politica antimassonica, antiebraica e filo tedesca, l’esclusione radicale dei traditori di ogni risma, il rinnovamento del Gran Consiglio fascista in seduta permanente, la creazione di un comando militare unificato per le forze dell’Asse. Chiedono che la Germania li aiuti catechizzando senza tregua il Duce affinché conceda immediatamente i pieni poteri a Riccardi, ovvero ad uno dei citati collaboratori», citato in F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò cit., pp. 415-416.

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confronti dei quali il Reich incominciava a nutrire sfiducia, Mussolini era l’unico grande alleato cui Hitler potesse fare appello per vantare la solidarietà del fascismo internazionale62.

Agli occhi del Führer il duce impersonava la continuità del fascismo, la garanzia, cioè, che fosse ancora in vita quell’«onda lunga» nata nel 1919 e proseguita per più di vent’anni63. Le ragioni politiche di tenere in piedi uno stato fascista andavano tuttavia di pari passo con quelle di ordine pratico, legate alla necessità di un’amministrazione italiana locale che collaborasse con gli organi di occupazione tedeschi nella gestione del territorio. E questo soprattutto per quanto riguardava il mantenimento dell’ordine pubblico, dal momento che i nazisti non disponevano di un numero sufficiente di forze da impiegare in quell’ambito64. Nonostante l’opposizione dei comandi della Wehrmacht, favorevoli a una pura e semplice occupazione diretta dell’Italia, vinse alla fine la strategia sostenuta da Hitler, dal ministero degli Esteri e dalle SS: il 15 settembre 1943 la radio tedesca annunciava la rinascita del fascismo con a capo Mussolini, giunto ormai in Germania. Alessandro Pavolini sarebbe stato il Segretario del Partito repubblicano fascista, le cui organizzazioni avrebbero appoggiato i tedeschi, dato assistenza al popolo e riesaminato la posizione dei loro membri in base al “tradimento” di luglio; le autorità militari, politiche, amministrative e scolastiche avrebbero ripreso le regolari funzioni; era proclamata la ricostituzione della milizia fascista, comandata dall’ex presidente dell’Opera nazionale Balilla Renato Ricci;65 infine, per ordine di Mussolini, gli ufficiali delle forze armate erano sciolti dal giuramento prestato al re66. Il nuovo governo capeggiato da Mussolini si riunì, per la prima volta, il 27 settembre, alla Rocca delle Caminate nella residenza del duce a Forlì. Scartata l’ipotesi di insediare il governo a Roma per l’opposizione dei tedeschi, gli apparati del nuovo Stato si stabilirono infine nella zona tra il Lago di Garda e Milano. Quel regime che sembrava essere crollato come un “castello di carte” nella notte del 25 luglio ritornava ora in vita grazie soprattutto alla presenza di personalità fedeli al capo del fascismo, in grado di far sopravvivere, anche nella nuova avventura statale, quelle istituzioni e

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E. Collotti, L’amministrazione tedesca cit., pp. 31-32.

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S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria cit., p. 210.

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«La presenza di un’amministrazione italiana rimase comunque per i tedeschi un male necessario; essa copriva funzioni amministrative, per male che fossero gestite, che i tedeschi da soli non avrebbero potuto assolvere», E. Collotti, L’occupazione tedesca cit., p 52.

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Fascista e squadrista della prima ora, Renato Ricci fu nominato nel 1927 presidente dell’Opera nazionale Balilla (Onb, poi diventata nel 1937 Gioventù italiana del littorio), organizzazione nata per educare le giovani generazioni, diffondere il culto e i valori del fascismo e creare quindi quello che veniva definito l’“italiano nuovo”. Mantenne questa carica fino al 1937, anno in cui diventò sottosegretario. Nel 1939 fu ministro delle Corporazioni; scoppiato il conflitto, chiese al duce di partire volontario in guerra, cfr. Dizionario del fascismo cit., ad vocem. Si veda anche S. Setta, Renato Ricci. Dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Milano 1976.

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quelle organizzazioni nate già nel Ventennio67. A cominciare dal partito, ribattezzato Partito fascista repubblicano (PFR), guidato dal fiorentino Pavolini,68 che raccoglieva nomi del vecchio fascismo e figure nuove, uniti dalla volontà di battersi a fianco dei tedeschi e di combattere i “traditori” di luglio.

La Repubblica sociale italiana dovette fin dall’inizio fare i conti con una limitata autonomia d’azione, conseguenza del controllo che l’alleato nazista aveva in quasi tutti i settori della vita economica, politica e militare69. Questo valeva, in primo luogo, per la ricostituzione delle forze armate e di polizia. Nel mese di dicembre 1943 la ex Milizia (MVSN) veniva trasformata in Guardia nazionale repubblicana (GNR), comandata da Ricci, nella quale confluirono i carabinieri e la polizia dell’Africa italiana, con il principale compito di reprimere il movimento partigiano e effettuare operazioni di ordine pubblico – sempre sotto la supervisione delle autorità tedesche. Accanto a questo organo operavano non soltanto gli uomini della polizia di Stato, dipendente dal ministero dell’Interno, ma anche altre formazioni di polizia autonome parallele, autorizzate e non dal governo, frutto di iniziative di singole figure o fascisti locali: la Legione autonoma Ettore Muti, la X Mas di Junio Valerio Borghese, o alcune violente “bande” – Koch, Pollatrini, Collotti – presenti in città come Milano, Roma, Trieste70. Si formò inoltre un gruppo di SS italiane di circa ventimila volontari italiani, costituitosi sul modello tedesco71. Nell’estate del 1944, infine, nacquero le Brigate Nere,

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E. Gentile, La via italiana al totalitarismo cit., p. 304. Sulla rinascita dello stato in continuità con gli apparati e le istituzioni del precedente regime si veda in particolare M. Borghi, Tra fascio littorio e senso dello stato. Funzionari, apparati, ministeri della RSI (1943-45), CLEUP, Padova 2001.

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Anch’egli fascista della prima ora, si unì alle squadre fiorentine nella Marcia su Roma. Durante il ventennio fece parte del direttorio dei Gruppi universitari fascisti (Guf), fu delegato provinciale dell’Opera nazionale Balilla, centurione della Milizia volontaria e, nel 1929, federale e leader del Partito fascista di Firenze. Partì volontario per l’Etiopia e al suo ritorno fu nominato ministro della Cultura popolare, cfr. Dizionario del fascismo cit., ad vocem. In quanto segretario del partito, ricevette anche la carica di ministro di Stato, L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere. I combattenti, i politici, gli amministratori, i socializzatori, Garzanti, Milano 1999, p. 159.

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«I tedeschi crearono un’estesissima rete di propri uffici tale da ricoprire praticamente tutti i settori dell’amministrazione italiana, almeno per i compiti più direttamente concernenti la condotta politica ed economica della guerra. Essi esercitavano cioè un controllo capillare assai al di là di quanto non possa apparire da una ricostruzione esterna degli organi dell’Amministrazione militare e di quelli di rappresentanza politica, come è possibile documentare più dettagliatamente per il settore dell’economia», in E. Collotti, L’amministrazione tedesca cit., p. 139. Tra i principali testi di riferimento sulla Repubblica sociale Italiana si citano tra gli altri: F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò cit.; P. P. Poggio (a cura di), La repubblica sociale italiana 1943-1945. Atti del convegno, Brescia 4-5 ottobre 1985, in Annali della Fondazione Micheletti, Brescia 1986; L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit.; L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit.; S. Bugiardini (a cura di), Violenza, tragedia e memoria cit.; G. Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, 1943- 1945, Edizioni Visto, Milano 1966; G. Bocca, La repubblica di Mussolini, Laterza, Roma Bari 1977; M. Borghi, Tra fascio littorio cit.; D. Gagliani, Brigate Nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Bollati Boringhieri, Torino 1999.

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L. Klinkhammer, L’occupazione tedesca cit., pp. 294-317.

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Questi volontari dichiararono fedeltà alla Germania e al nazismo, non all’Italia, e furono impiegati in azioni contro la guerriglia partigiana al comando di ufficiali tedeschi, cfr. R. Lazzero, Le SS italiane: storia dei 20.000 che giurarono fedeltà a Hitler, Rizzoli, Milano 1982; P. de Lazzari, Le SS italiane, Teti editore, Milano 2002.

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corpo armato del partito72. Poco successo ebbe il tentativo di ricostituire un esercito nazionale sotto la guida di Rodolfo Graziani73, sia per l'opposizione delle autorità tedesche, non intenzionate a rafforzare militarmente il nuovo stato fascista, sia perché la chiamata alle armi disposta da Salò non solo portò risultati poco significativi, ma provocò la fuga di molti giovani renitenti nelle file della Resistenza74. Oltre a quello militare e poliziesco, un settore nel quale il nuovo Stato provò a giocarsi le carte dell’autonomia fu quello socio-economico. Presentata ufficialmente in occasione della prima assemblea del partito a Verona nel novembre 1943, la “socializzazione” dell’industria fu un obiettivo centrale del governo, sotto

la spinta del ministero dell’Economia corporativa presieduto da Angelo Tarchi75. Senza

entrare troppo nel dettaglio, anche in questo caso il governo repubblicano si trovò di fronte