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Stranieri e nemici: gli ebrei nella Repubblica sociale italiana

Nell’estate del 1943, il numero di ebrei italiani e stranieri nel territorio del Regno si aggirava intorno alle 40.000 persone121. Con la firma dell’armistizio, nonostante il pericolo imminente di un’occupazione tedesca, solo un migliaio di questi riuscì a spostarsi nel sud d’Italia, ovvero nella zona che veniva progressivamente liberata dall’esercito anglo-americano. Al momento della nascita della Repubblica sociale italiana, si trovavano nella parte settentrionale della penisola all’incirca 39.000 persone considerate di «razza ebraica» (in prevalenza italiani, ma anche 8.000 tra stranieri e apolidi). Lo spostamento di individui e gruppi di persone all’interno del paese o verso l’estero in questi mesi convulsi rende in realtà difficile stabilire una cifra esatta. Dalle più recenti ricerche risulta che, tolti coloro che ebbero la possibilità di rifugiarsi in Svizzera e nell’Italia meridionale (forse 6.000 persone), in tutto gli ebrei presenti nel territorio della RSI e sotto occupazione tedesca dal settembre 1943 fino alla liberazione erano circa 32.000/33.000, divisi in 7.000 stranieri e 25.000 italiani. La maggior parte degli italiani viveva nelle grandi città (Roma, Torino, Firenze, Milano, Venezia, Genova, Trieste), all’interno di storiche comunità; gli stranieri, invece, erano molto spesso sparsi in piccoli comuni o città di provincia, ovvero in quelle località d’internamento cui erano stati destinati nei primi anni della guerra122.

Con l’invio in Italia di un ufficio mobile della famigerata sezione IV B 4 di Eichmann, della polizia di sicurezza germanica (RSHA), ai primi di ottobre, il programma di deportazione nei campi di sterminio dell'Europa orientale venne esteso, come si è detto, anche agli ebrei della penisola, senza alcuna distinzione tra italiani e stranieri – come invece era avvenuto negli anni precedenti nelle zone militari occupate dall’Italia. Nelle operazioni tra settembre e dicembre, i tedeschi riuscirono a procedere con eccezionale rapidità di esecuzione, dal momento che la fase “burocratica” (censimenti e accertamenti di razza) era già stata effettuata dal governo fascista durante i cinque anni di legislazione razziale123. Di fronte alle richieste tedesche, le autorità locali italiane fornirono generalmente ai nazisti le liste e gli schedari conservati nei loro uffici, necessari per reperire gli ebrei stranieri già internati durante il periodo bellico e gli

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I dati presenti in questo paragrafo sono presi da L. Picciotto Fargion, Il Libro della memoria cit., p. 855; M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., p. 252.

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Al sud, la liberazione dei campi di concentramento di Ferramonti e Campagna da parte dell’esercito anglo- americano mise fuori pericolo più di 2.000 ebrei stranieri, mentre in Italia settentrionale rimasero quelli rinchiusi nei campi di concentramento (Civitella del Tronto e Nereto a Teramo, Farfa Sabina a Rieti, Civitella della Chiana a Arezzo, Urbisaglia e Pollenza a Macerata) e nelle località d’internamento libero, cfr. K. Voigt, Il rifugio precario cit., vol. II, pp. 401-403.

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italiani censiti dal 1938 in poi (l’ultimo aggiornamento sulla popolazione ebraica presente in Italia era stato fatto in alcune città proprio durante l’estate del 1943)124.

Il nuovo Stato di Salò adottò, fin dalla sua nascita, una politica decisamente antisemita. Le disposizioni politiche e amministrative nei confronti degli ebrei furono precedute da alcune prese di posizione dei vertici del partito repubblicano, della pubblicistica e della propaganda, segno che, come afferma Luigi Ganapini, l’antisemitismo ricopriva un ruolo importante nella

costruzione dell’identità del nuovo fascismo125. Del resto, il “tradimento” che aveva

determinato la caduta del fascismo e l’abbandono dell’alleanza con l’Asse da parte del re e di Badoglio era imputato, oltre che a personaggi interni al partito stesso, anche alle congiure massoniche e giudaiche:

Le parole d’ordine antisemite entrarono a pieno titolo nel patrimonio politico-ideologico con il quale il fascismo di Salò si poneva non solo in continuità con il vecchio fascismo ma anche in polemica con quella parte della tradizione fascista di cui si auspicava la rigenerazione e la rivitalizzazione al di fuori dei compromessi con la monarchia e appunto con i circoli massonici e giudaici, che erano accomunati nella congiura che aveva colpito a morte il fascismo del ventennio126.

Secondo un argomento già ampiamente utilizzato in precedenza e diffuso in tutta Europa, la visione di un complotto ebraico quale causa del conflitto in corso fu motivo ricorrente nella propaganda del governo repubblicano e dei giornali127. Come abbiamo detto, durante i 45 giorni di Badoglio gran parte della stampa si era generalmente schierata a favore di

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Si veda ad esempio Archivio di Stato (d'ora in poi AS) di Mantova, Prefettura, Gabinetto, b. 15, fasc. 18 “Razza ebraica – norme”, la Militärkommandatur di Brescia al prefetto di Mantova, 28 ottobre 1943: «Il comando militare prega di far avere una lista degli ebrei residenti nella provincia di Mantova secondo il modello di cui sotto. In questo elenco devono essere anche indicati e nella rubrica osservazioni di fare in specie rilevare, quegli ebrei che attualmente non si trovano nella loro residenza ma si trattengono altrove. Sono da considerarsi come ebrei:1) chi appartiene alla comunità religiosa ebraica o che abbia appartenuto in passato alla stessa; 2) chi deriva da almeno tre generazioni (avi) di ebrei puri; 3) chi deriva da due avi di ebrei puri ed è sposato con ebreo. Nella rubrica osservazioni deve essere particolarmente rilevata la convivenza delle singole famiglie (distinguere nelle stesse abitazioni, i vari nuclei familiari)». Il prefetto inviò il 12 novembre 1943 al comando germanico un primo elenco di ebrei «che risultano residenti in questa provincia perché iscritti all’anagrafe», comunicando che nella colonna osservazioni era stata apposta a fianco di alcuni nomi la parola “discriminato” in conformità alle disposizioni del ministero dell’Interno del 1938 (citati nel documento inviato gli articoli di riferimento del RDL del 1938), a significare che nei loro confronti non fossero applicati i provvedimenti razziali. Si riservava inoltre di comunicare al più presto i nominativi di coloro che risultavano assenti, nonché i nomi di ebrei (chiamati qui «giudei») con pratiche in corso di accertamento.

125

L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit., p. 138.

126

E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., p. 127

127

P. Corsini, P.P. Poggio, Materiali per lo studio del collaborazionismo conservati presso la Fondazione Micheletti, in L. Cajani, B. Mantelli (a cura di), Una certa Europa. Il collaborazionismo con le potenze dell’Asse 1939-1945. Le fonti, Annali della fondazione Luigi Micheletti, 6, 1992, pp. 196-198. Si veda anche: A. Ventrone, Il nemico interno: immagini, parole e simboli della lotta politica nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2005; B. Pompei, Il proiettile di carta. L’uso dei simboli nella propaganda del regime fascista e della Repubblica sociale italiana, Settimo Sigillo, Roma 2004.

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un’abrogazione delle leggi razziali, mentre adesso ripiegava di nuovo su posizioni antisemite. In periferia, in particolare, si distingueva per i toni molto violenti, anche perché influenzata dalle iniziative di quei fascisti locali che, con la formazione del nuovo governo, erano ritornati al loro posto lasciato dopo il 25 luglio128. Nei quotidiani nazionali, le accuse contro gli ebrei erano un classico ritornello all’interno degli articoli che trattavano le operazioni di guerra o che si occupavano della situazione politica e economica del paese: individuati quali i nemici storici dell’Italia fascista e della Germania nazista, gli ebrei assumevano i contorni di un gruppo non ben definito, quasi astratto, nei confronti del quale scagliare le colpe della drammatica situazione venutasi a creare in Europa129. Seppur rivolte a un pubblico italiano, descritto dalla più recente storiografia come intriso di sentimenti antisemiti,130 le pagine di quotidiani come il «Corriere della Sera»131 evitavano di parlare delle operazioni antiebraiche tedesche, in linea con quanto accadeva del resto negli altri paesi d’Europa. Anche le autorità naziste, del resto, da Hitler a Heydrich fino ad arrivare agli esecutori locali, erano consapevoli che le atrocità commesse nei confronti della popolazione ebraica, ad esempio in Polonia, non sarebbero state tollerate dall’opinione pubblica132. Le operazioni di sterminio dovevano rimanere segrete agli Alleati e, soprattutto, agli ebrei stessi. Osserva Raul Hilberg:

il primo stadio della repressione consisteva nel bloccare la fonte delle informazioni a tutti coloro che non dovevano essere al corrente. Chi non partecipava, si supponeva non ne sapesse nulla. Il secondo stadio consisteva nell’assicurarsi che tutti coloro che erano al corrente, partecipassero133.

Sui giornali italiani, quindi, erano taciute le stragi delle truppe germaniche nell'Italia settentrionale e non trovavano spazio neppure le retate di ottobre e novembre nelle grandi città. Scorrendo, ad esempio, gli articoli che compaiono su «Il Messaggero» di Roma in quelle drammatiche settimane di autunno del 1943, il tema dell’ebreo nemico del fascismo e del nazismo aleggia quasi sempre negli editoriali di prima pagina, negli articoli di commento e nei discorsi dei gerarchi riportati per l’occasione. Salvare l’Europa, Il nemico numero tre: la

Plutocrazia sono solo due dei tanti possibili esempi che si possono citare, nei quali gli ebrei

128

Cfr. L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit., pp. 132-156.

129

«Gli ebrei reali cedevano il posto all’EBREO, categoria universale e indifferenziata», E. Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Il Mulino, Bologna 2002, p. 158.

130

L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit., p. 151.

131

Diretto da Ermanno Amicucci. Cfr. G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 1976; E. Amicucci, I 600 giorni di Mussolini: dal Gran Sasso a Dongo, Faro, Roma 1948; G. Afeltra, I 45 giorni che sconvolsero l’Italia. 25 luglio - 8 settembre 1943. Dall’osservatorio di un grande giornale, Rizzoli, Milano 1993;

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N. Frei, Lo Stato nazista cit., p. 190; I. Kershaw, L’opinion allemande sous le nazisme. Bavière 1933-1945, CNRS Editions, Paris 1995, p. 324.

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sono accusati di aver scatenato la guerra a fianco degli inglesi e degli americani e di aver congiurato contro il regime insieme alla massoneria134. Manca però del tutto la pubblicità delle violenze nei loro confronti e non vi è, di conseguenza, alcun accenno alla retata nazista del 16 ottobre al ghetto di Roma (neppure nella cronaca di Roma). Al contrario, l'arresto e l'uccisione di partigiani e antifascisti erano riportati per dimostrare la forza delle formazioni nazifasciste nei confronti di un nemico considerato, forse, più reale e concreto anche dagli stessi lettori135.

All'interno della RSI, come accennato, molte personalità fasciste sbandieravano apertamente rozze idee antisemite e insistevano affinché il governo di Salò prendesse provvedimenti più drastici nei confronti degli ebrei, spinti anche dal desiderio di dimostrare in tal modo un’indiscutibile fedeltà ai tedeschi136. In realtà, la richiesta di inasprire la politica antiebraica emerse spesso, a livello locale, durante tutto il conflitto: non sono pochi i casi, infatti, in cui, sin dal 1940-1941, le autorità provinciali (questori e prefetti), segnalavano la presenza di ebrei nella loro regione e chiedevano provvedimenti nei loro confronti137. Adesso, però, non solo i toni erano decisamente violenti, ma era richiesta al governo una persecuzione più efficace. Il prefetto di Lucca, ad esempio, già l’11 settembre 1943, proponeva al ministero, «a scanso di eventuali responsabilità», di rinchiudere in un campo di concentramento gli ebrei presenti nella zona, affinché questi, allarmati dalla presenza dei tedeschi, non potessero scappare:

Si informa codesto Ministero che da qualche giorno tra gli ebrei internati nei comuni di Castelnuovo Garfagnana e di Bagni di Lucca si è diffuso del panico, assai preoccupante, in seguito a notizie loro pervenute da ebrei residenti in altre giurisdizioni, secondo le quali le autorità germaniche starebbero raccogliendo dati e notizie sul loro conto. Ciò fa supporre che i tedeschi abbiano in animo di condurre gli elementi ebraici in Germania. Tale supposizione avrebbe determinato in taluni il proposito di darsi alla montagna. Sta di fatto che il locale Comando tedesco ha richiesto a questa Prefettura l’elenco di tutti gli ebrei residenti nella Provincia. Siffatto stato d’animo, che ha pervaso ormai tutti gli internati ebraici, è certamente pericoloso perché può indurre costoro a fuggire da un momento all’altro. E, per quanto la vigilanza da parte degli organi di Polizia possa essere diligente ed accurata, non è certo sufficiente a sventare l’attuazione di tale proposito, anche perché, come è noto a codesto

134

«Il Messaggero», 28 settembre 1943, Salvare l’Europa, prima pagina; Ivi, Il nemico numero tre: la Plutocrazia, prima pagina.

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Ad esempio, nei giorni successivi alla strage delle Fosse Ardeatine, a fine marzo 1944, i principali quotidiani riportarono, seppur in maniera non troppo evidente, il breve comunicato tedesco che segnalava l’esecuzione della rappresaglia seguita all’attentato di via Rasella. Si veda a questo proposito A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito: Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999.

136

M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista cit., pp. 266-268; L. Ganapini, La repubblica delle camice nere cit., pp. 129-251.

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Si veda ad esempio il caso di Treviso: l’insofferenza delle autorità locali per l’arrivo di ebrei dalla Dalmazia e dalla Slovenia durante il 1941-1943 si traduce in una richiesta inoltrata al ministero dell’Interno di allestire un campo di concentramento dove richiuderli, in ACS, MI, PS, Massime M4, b. 146, fasc. 18 “Località di internamento”, “Treviso”.

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ministero, gli ebrei internati vivono per proprio conto in abitazioni private; ciò che li mette in condizione di approfittare, volendo, delle ore di notte per rendersi irreperibili. A scanso pertanto di eventuali responsabilità, si propone a cotesto Ministero che tutti gli internati di razza ebraica vengano avviati d’urgenza ad un campo di concentramento, dove sarà più agevole seguirli e controllarli. Si resta in attesa delle superiori determinazioni in merito138.

Il ministero rispose tuttavia che non era possibile inviarli in un campo di concentramento, ma che si dovesse intensificare la vigilanza e prendere accordi con le autorità germaniche139. Una radicalizzazione delle tendenze antisemite si osserva anche nei manifesti programmatici di alcuni gruppi armati che si andavano formando autonomamente nei primi mesi d’occupazione grazie a iniziative prese a livello locale da esponenti del fascismo di provincia: la lotta all’ebraismo costituiva uno dei punti principali, a fianco di motivi quali l’alleanza con i nazisti o la guerra ai traditori e ai partigiani:

PARTITO FASCISTA REPUBBLICANO, Comando Gruppo Squadre D’Azione “Ettore Muti” Padova

Gli squadristi della “Muti” riunitisi per l’esame della situazione politica locale deliberano di agire con fermezza e disciplina allo scopo di servire la Patria nel nome di Ettore Muti purissimo Eroe della rinascita fascista. Invitiamo la Reggenza a voler collaborare con lealtà di intenti e provvedere analogamente alle deliberazioni del gruppo esecutivo delle squadre, con spirito rivoluzionario senza compromessi ed esitazioni. Ciò premesso chiedono che il Triumvirato disponga:

1) Trattare l’internamento di tutti gli ebrei;

2) Provvedere al fermo di tutti i seguaci e simpatizzanti dell’ex re e di tutte le sue case imparentate;

3) Provvedere al fermo dei maggiori esponenti dei partiti sovversivi specie quelli annunciatisi dopo il 25 Luglio; […]

7) Proporre la chiusura immediata delle iscrizioni al Partito Fascista Repubblicano;

8) Ripulire in pieno l’ambiente universitario antifascista, antitaliano, antitedesco, antieuropeo. È meglio chiudere l’Università piuttosto che lasciare in vita un focolare d’infezione libero-massonico-comunista

9) Stringere, infine, rapporti più camerateschi e fruttuosi con le Autorità Tedesche. […] Padova, 21-10-XXI, firmato: Il gruppo esecutivo delle squadre d’azione140.

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ACS, MI, PS, Massime M4, b. 142, fasc. 18 “Località d’internamento”, “Lucca”, R. Prefettura di Lucca, “urgentissima” al ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Affari Generali e Riservati, 11 settembre 1943.

139

Ibidem.

140

ACS, Segreteria particolare del Duce (SPD), RSI, Carteggio riservato (CR), b. 34, fasc. 280, Delibera del comando della Squadra d’azione “E. Muti” di Padova, 21 ottobre 1943. Squadrista della prima ora, distintosi come abile pilota d’aereo nella guerra d’Etiopia, Ettore Muti divenne segretario del Partito nazionale fascista nel 1939, prendendo il posto di Starace ma fu sostituito poco dopo da Adelchi Serena. Con lo scoppio della guerra, infatti, si unì ai corpi dell’aviazione e divenne membro dello stato maggiore dell’aeronautica militare. Fu arrestato da agenti di pubblica sicurezza a fine agosto 1943 sul litorale laziale e in quell’occasione ucciso in circostanze misteriose, divenendo così un martire agli occhi della Repubblica sociale italiana. In suo onore furono create formazioni militari e intitolata una Brigata nera nel 1944, cfr. Dizionario del fascismo cit., ad vocem.

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Il riferimento al pericolo rappresentato dagli ebrei era presente inoltre nei discorsi degli uomini della nuova compagine governativa, talvolta anche con accenni alla purezza del sangue e della razza,141 collegati, del resto, al motivo propagandistico che metteva in guardia gli italiani dall’avanzata di un esercito americano composto da orde di soldati neri142. Da parte sua, Mussolini non si espresse mai in maniera troppo chiara nei confronti degli ebrei, accennandone solo di sfuggita143. A dare retta a una nota testimonianza dell'allora direttore de «Il Messaggero», Bruno Spampanato, in un colloquio avuto con lui a fine dicembre 1943 riguardo i rapporti con l’alleato germanico il duce affermava che «il manifesto della razza poteva evitarsi», in quanto prodotto di «una astruseria scientifica di alcuni docenti e giornalisti»: egli considerava al contrario il popolo italiano «un mirabile prodotto di diverse fusioni etniche sulla base di una unitarietà geografica, economica e specialmente spirituale» e dava il merito della grandezza dell’Italia allo spirito che animava un’unica civiltà italiana. E concludeva: «anche quella è una posizione da rettificare»144. Qualunque peso si voglia dare a queste parole, è indubbio che in quei mesi Mussolini fosse preso da molti problemi, legati principalmente alla condotta della guerra e alla ricerca di spazi autonomi dove il governo della RSI potesse muoversi eludendo l’ingerenza dell’alleato germanico. Sconfitto sul piano della ricostruzione dell’esercito, come detto, il duce provò a giocarsi la carta di un’indipendenza di azione su altre questioni rimaste ancora in sospeso: il progetto di socializzazione dell’industria, il destino dei militari italiani internati in Germania, il futuro delle regioni al confine orientale ora amministrate dal Reich, la guerra ai partigiani e la sicurezza interna del paese145. In questo contesto, se da un lato la politica nei confronti degli ebrei poteva rappresentare la conferma dell’alleanza ideologica con il nazismo del rinato fascismo repubblicano, dall’altra poteva essere un ambito nel quale affermare una propria libertà di condotta, come già avvenuto negli anni precedenti nei territori occupati dalle truppe italiane (Francia e Jugoslavia in particolare).

141

Si veda ad esempio il discorso del segretario del Partito fascista repubblicano, Alessandro Pavolini, fatto in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della marcia su Roma, il 28 ottobre 1943, testo riportato sui giornali dell’epoca, cfr. «Il Messaggero», 29 ottobre 1943, Le celebrazioni del XXI annuale della marcia su Roma. I compiti e le méte del Fascismo repubblicano illustrati in un discorso alla radio da Alessandro Pavolini, prima pagina.

142

L. Ganapini, La repubblica delle camicie nere cit., p. 139.

143

E. Collotti, Il fascismo e gli ebrei cit., p. 128. Sull'antisemitismo di Mussolini si veda soprattutto G. Fabre, Mussolini razzista. Dal socialismo al fascismo: la formazione di un antisemita, Garzanti, Milano 2005. 144

B. Spampanato, Contromemoriale, Edizioni di Illustrato, Roma 1951, vol. II, pp. 127-132.

145

Cfr. F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò cit., pp. 669-670; R. De Felice, Mussolini, l’alleato cit., pp. 469-470.

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Il più attivo fautore di una feroce campagna antiebraica fu Giovanni Preziosi146. Rimasto in Germania al momento della nascita della RSI, teneva da Radio Monaco (la stessa che aveva annunciato la ricostituzione del partito fascista a settembre) animati discorsi contro ebrei, massoni e traditori. Vicino agli ambienti nazisti radicalmente antisemiti, non lesinava critiche nemmeno alle personalità del nuovo fascismo (duce incluso), scagliandosi soprattutto contro quelli che, a suo avviso, erano considerati dei filo-ebrei e massoni – primo fra tutti il neo ministro dell'Interno Buffarini Guidi, del quale, nel dicembre 1943, chiese perfino l’arresto direttamente al generale Wolff e al plenipotenziario Rahn147. Da una parte, dunque, svolgeva attività di propaganda presso le autorità tedesche sperando, come afferma Meier Michaelis, di vedersi affidare un incarico importante nel governo italiano, quale unico e vero loro interlocutore: insisteva soprattutto sul fatto che, sebbene il fascismo fosse caduto a causa dei complotti ebraici e della massoneria, nella RSI continuavano ancora a governare elementi compromessi con tali ambienti148. Dall’altra, inviava memoriali al duce per convincerlo che si sarebbero risolti i mali dell’Italia solo se si fosse messo fine al problema ebraico e si fosse perseguita finalmente una dura lotta ai massoni149. Le sue idee radicali e, forse, la sua propensione non certo disinteressata a mettere in cattiva luce presso i vertici tedeschi molti