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2.1 Regione Campania: terrazze sul mare

2.1.1 Le origini

In Campania, secondo alcuni, il limone sarebbe arrivato fin dal I secolo a.C., portato dagli Ebrei, per i quali aveva un valore rituale, come testimoniato anche dal- le rappresentazione di limoni nei mosaici e nei dipinti rinvenuti negli scavi di Pom- pei (la famosa “casa del frutteto” riportata alla luce nel 1951), che dimostra il loro uso comune nell’area sin dall’antichità.

Il Bertagnolli riferisce la presenza di agrumeti nel napoletano durante la domi- nazione normanna (X secolo), ma le più importanti documentazioni sulla presenza di limoni nella zona risalgono all’epoca rinascimentale, di cui rimangono atti di ven- dita, dipinti, trattati di letteratura e di botanica che raccontano l’impiego dei limoni prodotti localmente per i più svariati usi.

Torquato Tasso (nato a Sorrento nel 1544) descrive nella Gerusalemme Libe- rata a proposito del meraviglioso giardino di Armida, la caratteristica della fioritura ricorrente; Giovanni Pontano (1429-1503) e Giambattista Della Porta (1535-1615) descrivono in vario modo l’abilità dei Sorrentini nella coltivazione del limone.

I primi limoneti condotti in forma specializzata in Penisola Sorrentina sono stati, però, opera dei Padri Gesuiti, che nel 1600 realizzarono un’azienda ad hoc nel- la Conca di Guarazzano, tra Sorrento e Massalubrense, da cui questa coltura rice- vette forte impulso. Proprio qui, nel tempo, si è andato differenziando un ecotipo del-

la varietà Femminelle Ovale, da cui deriva l’attuale cultivar definita appunto Ovale

di Sorrento o Massese o Limone di Massalubrense, che ha assunto caratteristiche di notevole pregio. Ancora oggi esiste uno dei primi fondi coltivati, nominato appunto il “Gesù”, situato nella Conca di Guarazzanno, tra Sorrento e Massalubrense. Que- sta testimonianza avvalora la tesi secondo cui proprio da questi due Comuni della Penisola Sorrentina hanno avuto origine i nomi della varietà da cui si trae il prodot- to: “Ovale di Sorrento” e “Massese”.

Nella lettura della pianta di Sorrento al 1600, la città appare con una plani- metria sapientemente pianificata e fortificata, suddivisa in insule cinte da muri che hanno tuttavia il loro interno non occupato da costruzioni, ma da splendidi giardini

produttivi, caratteristiche non più immediatamente percepibili nella città contempo- ranea. È, infatti, ancora apprezzabile la splendida disposizione scenografica ed è per- cepibile l’antica trama ortogonale, ma gli spazi agricoli sono stati in gran parte satu- rati dalle architetture e ridotti a pochi ultimi e preziosi giardini nascosti. Tali spazi, invece, sono ancora il fattore strutturante la campagna, dove la minore pressione edi- lizia e, soprattutto, i vantaggi economici creati dalla produzione agricola ne hanno permesso la permanenza.

Le stesse differenze di organizzazione del paesaggio all’interno della Peniso- la dipendono dal valore dei frutti coltivati, che determina due differenti tipologie di muri di contenimento: il giardino murato nelle pianure con la coltivazione degli agru- mi e il terrazzamento nelle colline adibito prevalentemente agli oliveti. Si è forma- ta, quindi, nelle aree pianeggianti un’agricoltura che si può definire “urbana”, con particelle racchiuse da muri e divise da stradine ortogonali.

Nell’Ottocento, lo storico Bonaventura da Sorrento testimonia la spedizione del “Limone di Sorrento” in tutto il mondo, soprattutto attraverso i bastimenti diret- ti verso l’America. È in questo secolo, infatti, che il limone assunse grande valore economico e sociale per l’intera area, grazie alla realizzazione sulle colline circostan- ti di terrazze coltivate a limoneti.

Nei periodi successivi numerosissime testimonianze – Can. Iovino, Archivio dei Padri Gesuiti di Roma, documenti catastali e notarili e numerosissimi documen- ti che attestano le spedizioni di limoni in tutto il mondo a partire dall’Ottocento – dimostrano la prosecuzione della coltura fino ad oggi.

La diffusione della coltivazione degli agrumi – e del limone in particolare – nel- la Penisola sorrentina nell’Ottocento deriva anche dalla crisi settecentesca della col- tura del gelso, prevalente a quel tempo, e dalla concorrenza dei prodotti importati dal- la Cina. L’inizio della coltivazione intensiva si ebbe in alcuni fondi storici come il fon- do del “Gesù” tenuto dai Gesuiti a Massalubrense, il “Pizzo” a Sant’Agnello e la ”Strazza” a Piano.

In questo periodo, ogni particella coltivata è racchiusa da muri di contenimen- to e di protezione che danno ai campi l’aspetto misterioso e magico di giardini mura- ti. Il muro a secco o con legante di calce qui non è solo usato nei pendii per la crea- zione di terrapieni, ma racchiude anche le coltivazioni in pianura in straordinaria con-

tinuità con i perimetri murari delle ville agrarie e con le domus romane. Questo

processo si è amplificato nel tempo con la diffusione della coltivazione degli agrumi che necessitano di particolari tutele, sia per evitare il furto dei frutti altamente reddi- tizi sia per la delicatezza delle piante. Allo stesso tempo la città non esclude il mon- do vegetale, avendo al suo interno gli stessi giardini murati disposti sull’arcaica tra- ma viaria regolare. Ne deriva un paesaggio che realizza la sempre auspicata integra- zione tra città e campagna.

2.1.2 L’importanza dei giardini nell’economia attuale

La coltivazione degli agrumi svolge, tuttora, un importante ruolo nell’economia della zona e contribuisce in maniera rilevante alla creazione del paesaggio. Le arance, meno delicate, sono coltivate prevalentemente nella Piana di Sorrento, mentre i limo- ni, che necessitano di superfici ampiamente soleggiate, sono più abbondanti nella zona di Massa Lubrense. Gli agrumeti sorrentini, trovandosi più a Nord della fascia che nor- malmente accoglie tali colture, sono più esposti alla grandine e alle gelate e vengono quindi protetti da murature, barriere di legno frangivento, pergole e coperture. I muri realizzati in blocchi di tufo squadrati contengono il terreno nella parte a monte del pen- dio e fungono da recinzioni di sicurezza e riparo dai venti negli altri lati. Questa pro- tezione è ancora aumentata in altezza da innalzamenti delle murature fatte da pali di legno e stuoie. All’interno, un fitto pergolato realizzato con pali di castagno è protet-

to da una copertura fatta da stuoie di paglia – le pagliarelle – che, secondo le necessi-

tà climatiche, possono essere distese su tutta la superficie o assemblate in cataste.

Nella tradizione, sotto la copertura a pagliarelle si produce un ulteriore tepo-

re creando vapori caldi, bruciando paglia umida o foglie di erba, pratica già riscon- trata al tempo dei Romani. Ad ogni campo coltivato è associato un appezzamento a bosco ceduo di castagno, che rinnova la risorsa pali nello stesso tempo in cui que- sta si consuma. Il paesaggio agrario della Penisola assume, così, l’aspetto minuzio- samente organizzato e fortemente antropizzato in una trama fitta di rapporti e scam- bi in cui ogni anello è indispensabile all’esistenza del sistema complessivo.

L’agricoltore sorrentino è da sempre direttamente coinvolto in un processo di scambi commerciali, sociali e culturali. Le comunità contadine partecipavano a tut- to titolo alla conduzione urbana e intraprendevano spesso la via del mare riportan- done conoscenze e saperi riprodotti negli elaborati intrecci lignei delle paratie dei giardini murati.

Nella città di Sorrento l’antico hortus conclusus ha dovuto soccombere all’ap-

petibilità del valore fondiario delle aree e solo pochi giardini permangono tra gli hotel e le piscine incombenti. Nei dintorni della città e nel Piano di Sorrento la tecnica stra- ordinaria dei giardini murati con l’insieme delle elaborate protezioni ha permesso la coltivazione degli aranceti anche nelle pianure e con esposizioni a settentrione. Nell’area di Massa Lubrense i leggeri declivi costieri, favorendo l’insolazione, ren- dono possibile la coltivazione del limone, la cui redditività consente il mantenimen- to pressoché intatto delle alte caratteristiche di valore del paesaggio. Sull’area colli- nare l’agricoltura rimane, invece, maggiormente legata al vigneto, l’uliveto, il bosco e il seminativo e quindi ad attività marginali.

Il coltivatore dei sistemi terrazzati è stato responsabile per secoli, oltre che del- la produzione agricola, anche e soprattutto di stabilità idrogeologica e di un paesag- gio di enorme valore culturale e sociale. Il mantenimento del territorio e la difesa del-

la sua peculiarità sono affidati al puntuale assolvimento delle operazioni di manuten- zione connesse con la coltivazione: la cura delle piante e la conservazione dei muri di contenimento sono indispensabili per evitare pericolosi dissesti. Laddove la pre- senza dell’uomo si allenta, l’insorgere del degrado è immediato.

A causa dello scarso controllo sulla vegetazione, dell’abbandono della manu- tenzione della rete idrica e dei rifacimenti con tecniche non tradizionali dei paramen- ti murari diminuisce, fino alla completa scomparsa, la funzione drenante della mura- tura. Questo provoca una forte pressione del terreno fino al collasso del muro di con- tenimento; con il crollo, anche solo di una parte dei muretti di un pendio, tutto il sistema entra in crisi perché la verticalità della trama territoriale determina che il mancato presidio nella parte superiore propaghi i suoi effetti rovinosi a valle.

La vulnerabilità è dovuta sia alla mancanza di manutenzione e di rifacimen- to, che ha condotto al degrado della zona, sia alla distruzione diretta degli antichi insediamenti, conseguenza dalla pressione esercitata in aree di particolare valore urbano dalla cementificazione e della costruzione abusiva.

I fenomeni di degrado legati alla redditività della produzione agricola sono in diretto rapporto con il tipo di coltivazione esistente. Generalmente, i terrazzi dove si coltivano uva da vino o limoni situati, rispettivamente, in terreni vulcanici o in ter- reni calcarei ben esposti, risultano meglio conservati. Gli appezzamenti in cui è dif- fusa la coltivazione dell’olivo sono in maggiore stato di distruzione; i terrazzi posti in zone elevate a contenimento del terreno risultano ormai per lo più in completo sta- to di abbandono. In questi casi la scomparsa degli asini e dei muli, come coadiu- vanti nel trasporto, ha decretato la fine delle produzioni agricole e dei lavori di manu- tenzione ad esse collegate.

Quando un muro di terrazzamento crolla, per il suo rifacimento è necessario circa il 30% di nuovo pietrame che, se non reperibile sul posto, deve essere traspor- tato a mano per scalette e pendii difficoltosi. Per questo motivo le aree montane sono in completo abbandono; proprio la loro manutenzione risulta necessaria per evitare movimenti franosi di grande pericolo. Con i recenti cambiamenti climatici, che deter- minano periodi di siccità alternati con periodi di piogge concentrate, i declivi sono sottoposti a condizioni di maggiore instabilità per i movimenti di rigonfiamento e di diminuzione della massa dei suoli.

Nella Penisola Sorrentina la generale crisi dell’agricoltura, che ha fatto senti- re i suoi effetti negativi su tutto il paesaggio nazionale, ha inciso pesantemente sul- l’agrumicoltura. Questa è soggetta, per il particolare modello di conduzione, a costi di produzione altissimi a fronte di ricavi sempre più contenuti. Ciò si è verificato anche per effetto dell’invecchiamento dei piantati e per il deterioramento delle strut- ture, a cui si è contrapposta la sempre più agguerrita concorrenza sorretta da un for- te supporto tecnologico.

Gli spazi di mercato per gli agrumi della Penisola Sorrentina si sono inesora- bilmente ridotti fino ad annullare, soprattutto per le arance, ogni beneficio. La par- ticolare posizione del territorio agricolo all’interno dell’area del Golfo di Napoli ha rappresentato l’ulteriore e decisivo elemento che ha dato luogo alla trasformazione fondiaria, a vantaggio dell’espansione urbana della vicina metropoli partenopea. L’ampliamento a macchia d’olio della città ha dato luogo alla trasformazione dei ter- reni agricoli in più remunerativi suoli edificatori.

Così, la crisi dell’agricoltura da un lato, e la richiesta di suoli, dall’altra, han- no sommato il loro effetto devastante dando luogo alla repentina accelerazione ver- so il declino dell’economia agricola e verso il degrado ambientale.

Nella Costiera Amalfitana la produzione dei limoni ha sorretto in una certa misura la manutenzione delle opere più accessibili. Tuttavia, per i terrazzamenti posti in posizione più elevata le condizioni di abbandono sono sempre crescenti. Si deter- mina una situazione di rischio molto elevato, dovuto al fatto che proprio il mancato controllo dei suoli e delle acque nelle situazioni più a monte può determinare il col- lasso rovinoso del pendio verso valle.

In generale, l’antico sistema di captazione, conservazione e distribuzione del- le acque è completamente abbandonato. Nel complesso, la trama dei terrazzamenti, su cui si è nel tempo realizzata la gran parte del paesaggio del Golfo di Napoli, è oggi fortemente in pericolo. In quest’area, marcata da un’antropizzazione intensa e stori- ca, nessuna parte dell’ambiente è completamente naturale ma costituisce un paesag- gio culturale in cui i terrazzamenti, i “giardini murati”, i sentieri, le scale, i pergola- ti sono la cristallizzazione di conoscenze adatte alla corretta gestione e manutenzio- ne ambientale.

L’abbandono e scomparsa dei sistemi dei campi terrazzati determina la per- dita di un patrimonio paesaggistico di enorme valore e prelude alla completa “deser- tificazione” fisica e culturale.