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Marchi commerciali e marchi collettivi

Oltre alle norme di commercializzazione istituzionali, molti operatori hanno messo a punto ulteriori loro norme che si riferiscono a determinati requisiti speci-

fici di marca. Il brand, infatti, può costituire un importante veicolo di informazio-

ni esplicite o implicite circa la qualità di un frutto che il solo aspetto esteriore non è sufficiente a trasmettere al cliente-consumatore; il marchio industriale o com- merciale, in sostanza, assume la natura di garanzia per il consumatore e di veicolo pubblicitario.

Tuttavia, trattandosi di una commodity, il ricarico sul prezzo di vendita dei

costi di promozione e comunicazione connessi all’attuazione delle politiche di mar- ca rischia di porre il prodotto agrumicolo fresco fuori mercato, soprattutto quando lo standard qualitativo non raggiunge livelli tali da conferirgli un vantaggio compe- titivo.

Occorre evidenziare che l’estrema frammentazione della produzione agrumi- cola italiana, caratterizzata da un numero elevato di produzioni di volume modesto per quanto concerne l’offerta, alti costi di produzione e difficoltà di proporre una vasta gamma diversificata di prodotti durante tutto l’anno, rende lo sviluppo dei mar- chi estremamente limitato in questo settore. Senza contare che la gestione di un mar- chio individuale è legata ad economie di scala che spesso non sono compatibili con la dimensione stessa dell’impresa.

I marchi d’impresa (Box 5.1) degli agrumi destinati al consumo fresco, più che trasmettere contenuti qualitativi particolari, fatta eccezione per il caso dei pompel- mi importati da Israele con il marchio Jaffa di proprietà dello Stato, devono la loro immagine alla comunicazione e alla presenza storica sul mercato delle imprese mul- tinazionali che, per il tramite di importatori con una limitata gamma di prodotti, basa- no il proprio marchio solo su una massiccia comunicazione (strategia di notorietà e fidelizzazione al marchio) piuttosto che sugli aspetti qualitativi e sulle metodologie

Marchio d’impresa - identifica le caratteristiche del prodotto con il produttore e può

essere:

• marca industriale (brand), che può essere di gamma, di linea o di prodotto; si carat-

terizza per l’indicazione del nome del produttore e l’attuazione della relativa promo- zione, fornendo una garanzia esplicita nei confronti del consumatore;

• marca commerciale (private label), che indica il nome del distributore; si caratte-

rizza per l’indicazione del nome del distributore, l’attuazione della relativa promo- zione, un prezzo leggermente più contenuto del brand (può essere la semplice mar-

ca di insegna o una marca primo prezzo/discount o una marca premium/prodotto di

qualità, o una marca di filiera certificata da terzi o una marca di prodotto biologico certificata da terzi);

• marca di fantasia (generic); si caratterizza per l’impiego di un nome di fantasia

diverso da quello del distributore, per una qualità ed un prezzo inferiori rispetto ai prodotti di marca industriale e commerciale e per l’assenza dell’apporto promozio- nale da parte del distributore.

Marchio comunitario (CTM- Community trade mark) - istituito con il reg. CEEn. 40/94 per tutelare a livello comunitario il marchio d’impresa (marchio di prodotto, di servizio o marchio collettivo); la registrazione viene rilasciata dall’Uami, l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli), dopo un esame di validità ed ha effetto in tutti i paesi dell’Unione Europea.

Marchio internazionale - recepito dall’Italia con il d.lg 447/99, tutela a livello inter-

nazionale il marchio d’impresa; la registrazione internazionale, a differenza di quella comunitaria, dà luogo a una serie di marchi aventi effetto a livello nazionale, per cui la registrazione concessa dall’ufficio internazionale (OMPI) è subordinata ad eventuali rifiuti da parte dei paesi designati che effettuano un esame di validità.

Box 5.1 - La qualità commerciale: il marchio di impresa

La tradizionale leva di marketing della comunicazione, tuttavia, da sola non

basta a conquistare la fiducia del consumatore39, così che al tradizionale marchio

d’impresa che garantisce la qualità commerciale – ovvero l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto e dei servizi in esso incorporati che massimiz- zano la qualità percepita dal cliente-consumatore, soddisfacendone esigenze e gusti – si affiancano i marchi di qualità (Box 5.2-5.4), che si possono suddividere in:

39 Il legame tra marchio e prodotto tende a rafforzarsi quanto più le leve del marketing favoriscono la percezione co-

gnitiva del valore e del contenuto del prodotto; le tecniche della comunicazione (educazione alimentare; promo- zione delle pregevoli varietà di agrumi italiani) devono essere precedute da politiche volte al miglioramento del- la qualità dei prodotti (miglioramento delle caratteristiche organolettiche) e affiancate da quelle di commercializ- zazione (estensione della gamma, con varietà a maturazione precoce o tardiva; certificazione delle proprietà dei prodotti anche attraverso il potenziamento dei metodi di rintracciabilità, in grado di offrire ai consumatori garan- zie igieniche e sanitarie).

marchi di qualità certificata regolamentata che assicurano il mantenimen- to di standard rispondenti a un disciplinare di produzione appositamente predisposto, oltre a garantire, a seconda dei casi, il legame con il territorio

e/o con la tradizionalità del processo produttivo (DOP/IGP) o l’impiego di

pratiche agronomiche ecocompatibili (prodotti biologici e integrati); – marchi di qualità certificata volontaria che garantiscono la capacità di ope-

rare dell’azienda, anche quando tale garanzia non è richiesta specificatamen-

te dal cliente-consumatore, rappresentando quindi un plus commerciale.

Box 5.2 - La qualità certificata regolamentata: i marchi geografici collettivi e i marchi di origine

1) Marchio collettivo - si configura per la separazione tra uso e titolarità del marchio

e può essere:

• marchio dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici - è un marchio collettivo affi-

dato in gestione, in seguito a legge nazionale, a Consorzi di tutela costituiti ai sen- si dell’art. 2602 del c.c: i Consorzi svolgono funzioni di tutela, promozione, valo- rizzazione, informazione del consumatore e di cura generale degli interessi rela- tivi alle denominazioni;

• marchio regionale - istituito con legge regionale anche per più categorie mer-

ceologiche di prodotto ed è attribuito ad enti o associazioni (pubblici o privati) per identificare le produzioni agricole locali, in genere ottenute daiprogrammi di agricoltura integrata;

• marchio istituito con provvedimenti delle Amministrazioni locali e di cui sono tito- lari le Camere di Commercio per identificare le produzioni agricole tipiche dei

territori di Province, Comunità montane, Comuni e altri Enti locali purché non siano utilizzati toponimi;

• marchio d’area - marchio dei Consorzi d’area, localizzati in una zona delimitata

per lo svolgimento di attività esterne di promozione e vendita dei prodotti delle imprese consorziate tramite un ufficio comune (art. 2612 c.c.)

Il marchio collettivo è dinatura pubblica quando è promosso da Regioni, Enti locali,

Enti parco, Associazioni pubblico-private (Consorzi, Consorzi d’area localizzati in zone delimitate, Cooperative) mentre è di natura privatistica quando è promosso da sog-

getti privati (Associazioni di produttori, Consorzi di imprese ed Unioni volontarie) e, in tal caso, è assoggettato alle norme del Codice Civile e dal codice della proprietà indu- strile (d.lgs. 30/05).

2) Marchio di origine - identifica le caratteristiche di un prodotto agricolo o alimen-

tare indissolubilmente legate all’area geografica di provenienza ed è concesso solo ai produttori di quella zona.

2.1) Per tutti i prodotti agro-alimentari (escluso il vino): il reg. CEn. 510/06 dispone

che può essere assegnata a un prodotto agricolo o alimentare originario di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese:

a) la DOP(Denominazione di Origine Protetta) quando “le caratteristiche sono

dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione ed elabo- razione avvengono nella zona geografica delimitata”;

b) la IGP(Indicazione Geografica Protetta) quando “una determinata qualità, la

reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuiti all’origine geografi- ca e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nell’area geografica determinata”.

2.2) Esclusivamente per i vini sono riconosciute, in base alla legge 164/92 e al D.P.R. 348/94 e nel rispetto di specifici disciplinari di produzione approvati con decre- to ministeriale, le seguenti denominazioni di origine:

a) DOCG(Denominazione di Origine Controllata e Garantita): contraddistingue vini

di particolare pregio qualitativo, di notorietà nazionale e internazionale prodotti in aree di limitate dimensioni (pochi comuni);

b) DOC(Denominazione di Origine Controllata): contraddistingue vini prodotti in zone delimitate (piccole e medie dimensioni) di cui portano il loro nome geo- grafico;

c) IGT(Indicazione Geografica Tipica): contraddistingue vini le cui zone di produ-

zione sono generalmente ampie, accompagnata da menzioni (vitigno, tipologia enologica, ecc.).

I vini DOCe DOCGrientrano nella definizione VQPRD(Vini di qualità prodotti in Regio- ni determinate) di cui al reg. CEn. 1493/99. Dal 1° agosto 2009, con l’entrata in vigo-

re della riforma del settore vitivinicolo (reg. CE n. 479/08), la nuova classificazione dei vini è ispirata a quella che oggi tutela le produzioni tipiche.

2.3) Menzione aggiuntiva “Prodotto nella montagna” - l’art. 85 della legge 289/02

prevede per i prodotti DOPe IGPdelle aree montane la possibilità di fregiarsi del- la menzione aggiuntiva, previa iscrizione a uno specifico albo istituito presso il MIPAAF(DM 30 dicembre 2003).

Segue Box 5.2 - La qualità certificata regolamentata: i marchi geografici collettivi e i marchi di origine

Marchio di Specialità garantita - il reg. CEn. 509/06 assegna a un prodotto agrico- lo o alimentare tradizionale – a esclusione del vino – la Specialità tradizionale garan-

tita (STG) quando la composizione tradizionale del prodotto o il metodo di produzione

tradizionale sono consolidati da almeno 25 anni e la cui specificità è “l’elemento o l’in- sieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria”.

Marchio di Prodotto tradizionale (d.lgs. 173/98; d.m. 350/99) - identifica la catego-

ria di prodotti agro-alimentari iscritti nel registro istituito presso il MIPAAF, aggiornato

da ultimo con il DM 16/08/08, le cui metodiche di lavorazione, conservazione e stagio- natura – riconosciute in deroga alla normativa comunitaria – risultano consolidate da almeno 25 anni.

Marchio di Produzione da agricoltura biologica - prevede la menzione “biologico”

per i prodotti agricoli vegetali e animali ottenuti con metodo biologico ai sensi del reg. CEn. 834/07 (che sostituisce il reg. CEEn. 2092/91), il numero di codice dell’autorità o dell’organismo di controllo cui è soggetto l’operatore che ha effettuato la produzio- ne o la preparazione più recente e un logo da apporre sulle confezioni (obbligatorio a partire dal 2010) unitamente alla dicitura “Agricoltura UE”, quando la materia prima è

stata coltivata in Europa, “Agricoltura non UE”, quando la materia prima agricola è sta- ta coltivata in paesi terzi, “Agricoltura UE/non UE”, quando parte della materia prima agricola è stata coltivata nella Comunità e una parte di essa è stata coltivata in un pae- se terzo.

Box 5.3 - La qualità certificata regolamentata: i marchi di produzione con metodi tra- dizionali e il marchio da agricoltura biologica

La scelta del percorso di certificazione della qualità, come si avrà modo di illu- strare nelle pagine seguenti, dipende da molteplici fattori, declinati nelle tabelle 5.9, 5.10a e 5.10b, riportate in appendice al presente capitolo.

In particolare, l’interesse per la certificazione dei prodotti e dei processi produt- tivi, che garantisca i consumatori sull’effettivo valore ambientale dei prodotti, e per una politica di marchio, che renda facilmente riconoscibili tali prodotti, ha favorito la diffusione, nel settore ortofrutticolo, dei marchi collettivi. Il marchio collettivo è un marchio commerciale che tende a unire il concetto di qualità nell’origine a quello di qualità indotta, ovvero legata alla marca; in esso, elementi quali la tipicità e la tra- dizionalità delle produzioni assumono una connotazione di fattore competitivo.

Il marchio collettivo funge da ombrello sotto il quale si raccolgono numerosi produttori di piccole dimensioni; esso si configura per la separazione tra uso e tito- larità del marchio ed è promosso da associazioni di produttori (consorzi, cooperati- ve) e unioni volontarie che garantiscono la corrispondenza tra il marchio (concesso agli associati) e le caratteristiche del prodotto, assicurando il mantenimento di stan-

1) Marchio di certificazione di prodotto:

• Marchio di certificazione di prodotto agro-alimentare (DTP) - è un marchio di

conformità a determinati requisiti con il logo dell’Ente che ha effettuato la certi- ficazione.

• Marchio di qualità alimentare/Marchio di qualità superiore/Marchio di filiera controllata/Marchio di percorso di qualità - è una certificazione di prodotto agro-

alimentare a marca commerciale (private label) della GDOi cui prodotti seguo- no un disciplinare di produzione (ad esempio, linee produttive “OGM-free”) e com-

mercializzazione e sono soggetti a un sistema di controllo certificato da terzi (c.d “filiera controllata”).

• Marchio di certificazione di rintracciabilità dell’azienda agro-alimentare/rintrac - ciabilità interaziendale - garantisce e documenta un sistema di rintracciabilità

applicato al/ai materiali utilizzati avente/i rilevanza per le caratteristiche del pro- dotto al fine di rintracciare lotti di materiali e di prodotti finiti all’interno del- l’azienda (norme UNIENISO11020:2002).

• Marchio di certificazione di rintracciabilità della filiera agro-alimentare - garan-

tisce e documenta il processo di produzione lungo la filiera e si applica a tutto il settore agro-alimentare, comprese le produzioni mangimistiche (norma UNIEN

ISO22005).

2) Marchio di certificazione di sistema:

• Marchio di certificazione del sistema di gestione per la qualità (SGQ) - attesta che

le procedure di organizzazione e gestione, applicate in una determinata azienda, risultano essere conformi a un determinato manuale, redatto precedentemente e riportante una serie di criteri riconosciuti a livello internazionale (norme UNIEN

ISO9001:2000 - VISION2000).

• Marchio di certificazione del sistema di gestione per l’autocontrollo igienico dei prodotti e dei processi - rilasciato da un ente terzo accreditato, attesta che l’au-

tocontrollo è effettato in linea con i principi dell’HACCP, che consente di eviden-

ziare nella filiera produttiva i possibili rischi, individuarne i punti critici e pre- vedere per ognuno di essi modalità di controllo tali da prevenirli (norma UNIEN

ISO10854:1999). N.B. Questa certificazione è diventata obbligatoria dal 1° gen- naio 2006 per tutti gli operatori della catena agro-alimentare e per i produttori di mangimi per animali.

• Marchio di certificazione del sistema di gestione della sicurezza in campo alimen- tare - garantisce e documenta gli standard relativi alla sicurezza alimentare dei

prodotti e dei processi (norma UNIENISO22000:2005). N.B. la sua specifica tec-

nica ISO/TS22003:2007 fornisce informazioni, criteri e linee guida per la realiz-

zazione degli audit e delle certificazioni.

40 I disciplinari di produzione integrata si caratterizzano per l’impiego delle tecniche di lotta biologica, per le forti

limitazioni nell’uso di fertilizzanti chimici e per il divieto dell’uso di diserbanti chimici residuali; i prodotti so- no conservati con il solo ausilio del freddo e quindi non subiscono alcun trattamento chimico di conservazione, maturazione accelerata o deverdizzazione. A livello comunitario, non esistono regole cogenti ma indicazioni pro- grammatiche su questo tipo di produzioni e se ne incentiva l’utilizzo, così come avviene per i sistemi di produ- zione biologici, nell’ambito delle misure agro-ambientali nei Programmi di sviluppo rurale; a livello nazionale,

proprio per permettere agli agricoltori di fruire dei finanziamenti nell’ambito dei PSR, il Comitato Produzione In-

tegrata, costituitosi presso il MIPAAFin base al DM 2722 del 17/04/2008, ha approvato, il 4 settembre 2008, le Li-

nee Guida Nazionali di Produzione Integrata 2008-2009, un documento costituito dalle “Linee guida nazionali per la Difesa Integrata” e dai “Principi generali, criteri e linee guida per le Pratiche Agronomiche”. Tale documento rappresenta la base di riferimento per la predisposizione dei disciplinari regionali e i relativi piani di controllo; al- tri punti di riferimento, anche se non diretti, sono la legislazione relativa ai marchi collettivi.

dard rispondenti a un disciplinare di produzione appositamente predisposto. Spes- so, il marchio collettivo è un marchio regionale (Box 5.2), ovvero un marchio isti- tuito con legge regionale anche per più categorie merceologiche di prodotto, attribui- to a enti o associazioni (pubblici o privati) per identificare produzioni agricole loca- li; esso è concesso in uso ai produttori locali, i quali aderiscono agli obblighi e alle condizioni previste dalla stessa legge istitutiva del marchio e alle caratteristiche qua- litative codificate nei disciplinari di produzione, appositamente predisposti. La Regio- ne non si limita all’attività legislativa, ma si occupa del finanziamento totale o par- ziale dell’attività e interviene anche sugli aspetti organizzativi e gestionali (azioni di marketing collettivo).

Dunque, il marchio regionale è volto a consolidare l’immagine della Regione

quale area produttrice del prodotto di qualità ottenuto da agricoltura integrata40, in

modo da mantenere e incrementare i livelli di notorietà e di penetrazione sul mer- cato acquisiti nelle zone di maggior interesse commerciale. L’utilizzo del marchio regionale ha come ulteriore obiettivo quello di migliorare la remunerazione del pro- dotto a seguito di un’accresciuta notorietà nell’ambito dei consumatori a reddito medio-alto. In diverse Regioni sono stati istituiti marchi regionali pubblici di quali- tà per i prodotti integrati locali e per molti prodotti agro-alimentari tipici. Esempi di marchi collettivi per le produzioni ortofrutticole da agricoltura integrata che hanno ottenuto un buon posizionamento di mercato si sono sviluppati in alcune Regioni,

inizialmente al Nord, negli anni Novanta del secolo scorso (“Ombrello Azzurro -

dal Piemonte frutta e verdura controllata”; “Marlene” in Trentino, “Gli Orti di Giu- lietta” in Veneto; “Qc - Qualità controllata” in Emilia Romagna) e, successivamen- te, al Sud per le produzioni biologiche, mediante cooperative.

A livello locale si è anche diffusa la DE.C.O (Denominazione Comunale di

Origine), un marchio che attesta l’origine del prodotto e la sua composizione, rila- sciato dai Comuni nell’ambito dei principi sul decentramento amministrativo (che discendono dalla legge 142/90), che conferisce loro la possibilità di disciplinare la valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali presenti sul loro territorio.

41 Circolare del Ministero delle politiche agricole e forestali ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome

di Trento e Bolzano del 30 marzo 1998, n. 61059.

42 Si ribadisce, quindi, che nel marchio collettivo privatistico di proprietà di organizzazioni o soggetti privati o di

proprietà di forme miste pubblico-privato, possono essere usati toponimi per attestare l’origine geografica del pro- dotto a marchio (es. marchio Chianti per il vino).

43 Regolamento CEn. 1383/03; regolamento CEn. 350/03; Circolare dell’Agenzia delle dogane n. 32/D del 3 giu-

gno 2004.

Va peraltro rilevato – lo stesso MIPAAFin passato aveva sollevato la questio-

ne41– che i marchi collettivi di natura pubblica, qualora utilizzano un toponimo,

ovvero un nome entità geografica (nazione, regione, provincia, città, monte, lago,

fiume, podere), sono incompatibili con l’attuale normativa comunitaria (reg. CEn.

510/06 sulle denominazioni di origine), rappresentando una restrizione quantitativa (regionale o comunale) della protezione prevista a livello comunitario che favorisce queste produzioni rispetto a quelle originarie di altri Stati membri di cui all’articolo

34 (ex art. 28) del Trattato UE(versione consolidata - Trattato di Lisbona, 2008).

L’articolo 34 del Trattato UE, sulla base del quale può essere vietato il ricor-

so a un marchio collettivo che utilizza un toponimo, si applica, tuttavia, solo alle misure di natura pubblica (marchio collettivo nazionale, regionale o locale), lascian- do impregiudicate le iniziative private; resta fermo, comunque, il divieto del singo- lo imprenditore di utilizzare un marchio che utilizza un toponimo, perché il nome di una zona, indicando la provenienza di un certo territorio, è patrimonio comune di tutti i produttori di quel determinato luogo i quali hanno diritto a usarlo (Germa-

nò, 2006)42.

Riguardo alla DE.C.O, pur configurandosi come un marchio collettivo pubbli-

co di cui viene concesso il diritto d’uso ai produttori che rispettano determinate rego- le, in realtà rappresenta non tanto un marchio di qualità, quanto un semplice certifi- cato di origine rilasciato dal Consiglio comunale. A livello nazionale è evidente l’im- portanza di estendere la tutela della proprietà intellettuale alle denominazioni geografiche nel settore alimentare, nonché di rafforzare la tutela dei marchi e brevet- ti per contrastare le contraffazioni nel settore industriale. Su questo fronte, i1 1° luglio

2004 sono entrate in vigore specifiche misure comunitarie e nazionali43per contrasta-

re il commercio illegale, sul piano internazionale, di merci contraffatte e/o usurpati- ve, che precisano procedure e adempimenti dell’Autorità doganale a tutela dei diritti

sulla proprietà intellettuale e sui prodotti originali, compresi i marchi DOP/IGP.

Nella moderna distribuzione, si è registrata, negli ultimi anni, la crescita dei prodotti ortofrutticoli a marchio commerciale e a marchio collettivo – soprattutto nei centri urbani di grandi dimensioni del Centro Nord – con la creazione di linee di private label e l’espansione dei prodotti biologici e integrati. L’offerta è strutturata

in cinque tipologie di operatori così individuate (ISMEA, 2000):

– consorzi che commercializzano una linea completa (grandi gruppi che com- mercializzano prodotti biologici e integrati);

– importatori con una limitata gamma di prodotti (filiali italiane o europee di multinazionali) supportati da una forte comunicazione;

– catene di distribuzione che hanno creato una linea di prodotti con marchio proprio, soprattutto prodotti biologici e integrati;

– cooperative o consorzi di produttori biologici.

I produttori a marchio si concentrano nel Nord Italia, dove sono diffuse for- me di associazionismo, mentre al Sud l’offerta appare poco strutturata, ad esclusio- ne di poche realtà (cooperative biologiche in Basilicata).

Un’analisi condotta nel 2006 da IRI-INFOSCANsui prodotti ortofrutticoli a mar-

chio commerciale (private label) nel Largo consumo confezionato (LOC), ha mostra-

to che solo il 5% delle vendite dell’ortofrutta (a valore sul totale delle marche com-

merciali del LOC) ha interessato prodotti con private label, con una penetrazione nel