politiche, misure e opinioni a confronto
4.5. Le politiche pubbliche: welfare e imprese
Le politiche pubbliche devono sostenere l’upgrading del conto terzismo nella filiera, perché si passi da produzioni standardizzate, dove elevata è la concorrenza con l’estero, a produzioni più specializzate.
Questo richiederebbe la creazione di un’agenzia di sviluppo che sostenga l’upgrading del conto terzismo.
La caduta del fatturato in conto terzi, secondo i dati CNA, è la più significativa, poiché le imprese sono in sofferenza sia per la carenza di finanziamenti sia per la standardizzazione dei prodotti. Appaiono, invece, relativamente meno colpite le imprese situate nelle posizioni più alte della filiera. Più che parlare di riconversione, si tratta di fare meglio le cose che il sistema produttivo regionale già fa.
Una delle cose positive della crisi è che per la prima volta è emersa con forza l’importanza dei sistemi di piccole e medie imprese e la necessità di salvaguardarne le filiere produttive. Questo contraddice la tesi ribadita più volte in passato dalla Banca d’Italia secondo la quale le maggiori difficoltà del sistema produttivo italiano nascono dal nanismo delle imprese italiane. Si è, invece, compresa l’importanza di salvaguardare
l’integrità di questa rete, così da consentire al sistema di reggere la competizione sul mercato. Sulla ridotta dimensione di impresa va sempre mantenuta l’idea che l’impresa sia valutata non come isolata, ma in un'ottica di rete. Se vi è nel sistema bancario un’ottica che valuti l’impresa in maniera isolata, è auspicabile la presenza di un’agenzia finanziaria regionale che abbia una visione diversa. La sottocapitalizzazione è una costante del sistema italiano, non solo delle piccole e medie imprese, ma anche delle grandi. Il problema è meno intenso per le imprese che producono beni intermedi, che hanno una minore incidenza dei costi fissi, mentre risulta maggiore per quelle che producono per il mercato finale, sulle quali pesano i costi di commercializzazione, marketing e distribuzione.
La crisi ha evidenziato come forti problematicità abbiano interessato non solo le piccole e medie imprese, ma anche le grandi imprese. Il motivo per cui la grande impresa ha grandi difficoltà nei confronti dei concorrenti europei dipende dal fatto che la produttività è troppo bassa dato il rapporto esistente fra Valore aggiunto e investimenti. La produttività del lavoro nella grande impresa è certamente superiore a quella della piccola impresa, ma non tale da compensare i maggiori investimenti per unità di prodotto. Il margine di profitto è quindi maggiore nella grande impresa, ma dato un rapporto valore aggiunto su investimenti più piccolo, queste hanno una redditività per unità di investimento più bassa, evidenziando un fenomeno paradossale.
Tra le politiche pubbliche da incentivare in questa fase di crisi, rientra anche la modernizzazione della Pubblica Amministrazione. La crisi mette a nudo la necessita di “manutenzione” non solo dell’apparato produttivo, ma di tutti i livelli del sistema, anche di quelli istituzionali. Nessun attore può essere esentato dalla riconversione e l’idea che questa sia solo industriale è un grande errore. Lo Stato italiano, ad esempio, non sta “spendendo” una quota significativa del PIL sotto forma di pagamenti arretrati che aiuterebbe l’economia in questo momento di grande difficoltà.
Lo strumento di medio periodo per lo sviluppo regionale – secondo l’opinione del Prof. Patrizio Bianchi – è il Tecnopolo. Se, infatti, la prima politica è stata quella di tentare di prolungare la cassa integrazione guadagni come tampone per superare la fase più intensa della crisi, una volta avviata la ripresa sarà il momento di favorire gli spostamenti su nuovi prodotti, secondo un rinnovamento nella continuità.
Più critico, invece, il giudizio del Prof. Stefano Zamagni rispetto all’assetto della ricerca in regione, secondo il quale la Regione deve risolvere il nesso tra Università e imprese. In Emilia-Romagna sono presenti quattro università, con moltiplici insediamenti universitari distribuiti nella regione. Dato questo e puntando
scenario è necessario trovare dei modelli di concertazione. Troppe le risorse sprecate, ad esempio, quando per lo stesso progetto si finanzia il laboratorio in diverse università, creando duplicazioni di costi e sprechi di energie umane notevoli.
Gli enti pubblici dovrebbero, inoltre, condizionare gli aiuti allo sforzo delle imprese nell’unirsi in rete, internalizzando certe esternalità, al fine di favorire forme di tipo distrettuale, perché una piccolissima impresa non può vivere da sola, ma deve inserirsi all’interno di un network distrettuale.
L’intervento pubblico ha già fatto molto in funzione anticongiunturale – evidenzia il Prof. Massimo Baldini – ma non può essere l’artefice principale della ripresa e sarebbe già un buon risultato la riduzione dei tempi di pagamento dei debiti verso i fornitori privati. Sono, poi, auspicabili interventi continuativi sui punti critici delle imprese emiliane-romagnole per sostenerle nell’arrivare sui mercati mondiali, supportare quelle che vogliono capitalizzarsi e unirsi con altre imprese, oltreché incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Nell’attuale fase di reidentificazione che sta attraversando la regione è necessario sviluppare un’attenta riflessione sull’assetto territoriale, ragionando su quale sia il processo di integrazione alla luce del Piano Territoriale Regionale (PTR). Riflessione condotta dal Prof. Patrizio Bianchi, che denota come il problema fondamentale segnalato anche dal PTR è quello della scala o delle dimensioni delle politiche territoriali: si potrebbe definire una politica hub & spoke, ma questa va inserita in una visione strategica ampia e integrata del territorio, in grado di alzare la centralità della
ragione anche rispetto allo sviluppo di grandi poli come Milano, evitando in questo modo il rischio di uno sviluppo, quale quello francese, più incentrato sul ruolo delle “metropoli dominanti”. Tali politiche necessitano però di un ruolo centrale delle politiche regionali e quindi di un Governo nazionale che non riduca gli strumenti e le capacità di governo locale e regionale.
Sul ruolo delle politiche pubbliche e su come queste possano sostenere il sistema produttivo e la struttura sociale del paese, il Prof. Massimo Baldini pone in primo luogo una domanda. Queste azioni sono state o saranno sottoposte ad una valutazione della loro efficacia e dei loro risultati? Non basta fare politiche, ma bisogna che siano efficaci e ottengano risultati visibili, perché ogni azione pubblica ha un costo/opportunità, costituito dalle possibili destinazioni alternative delle risorse spese. Il pubblico deve prioritariamente intervenire per ridurre gli ostacoli a cui si trovano di fronte le imprese, sul fronte burocratico e del carico fiscale, favorendole nella dotazione di capitale infrastrutturale ed umano. Tutto ciò sarebbe importantissimo, soprattutto in Italia.
In tema di politiche per il welfare la Prof.ssa Tindara Addabbo sottolinea come un elemento che distingue strutturalmente l’Italia rispetto ad altri paesi industrializzati sia il bassissimo tasso di occupazione femminile. Questo elemento incide sulla crescita e l’adozione di politiche di attivazione (sociali e del lavoro) appare ineludibile. A questo proposito il contesto regionale si caratterizza, rispetto alla media italiana per un’elevata presenza di servizi all’infanzia fortemente voluti dalle associazioni femminili e essenziali per garantire una migliore conciliazione fra tempi di vita e di lavoro. Nel territorio regionale sono sperimentate anche con successo forme di collaborazione e coordinamento a livello locale fra enti pubblici e privati che migliorano sensibilmente l’offerta dei servizi all’infanzia. L’elevato indice di invecchiamento che caratterizza la regione induce a potenziare l’offerta rivolta agli anziani bisognosi di assistenza. Ciò potrebbe contribuire positivamente a raggiungere l’obiettivo di maggiore occupazione femminile, favorendo l’accesso al mercato del lavoro e la continuità del profilo lavorativo delle donne (attualmente le principali responsabili del lavoro non pagato domestico e di cura). Nel disegno delle politiche occorre non perdere di vista l’eguaglianza di genere incentivando la maggiore presenza degli uomini a questa sfera lavorativa e non penalizzando chi presta lavoro di cura con discriminazioni salariali e o occupazionali.
Sul sistema formativo – considera il Prof. Massimo Baldini – la Regione Emilia-Romagna deve intervenire di più, dalla scuola primaria alle università. Attualmente non sembrano sufficienti le azioni volte all’inserimento nelle scuole dei bambini e dei ragazzi immigrati, rischiando di trasformare le scuole pubbliche in ghetti e di spingere le famiglie degli studenti autoctoni a ricorrere all’insegnamento privato. Le priorità dovrebbero
quindi essere l’integrazione degli immigrati, anche con politiche abitative più coraggiose e una politica per e condizionando
la scuola che sposti il baricentro dai corsi di formazione post-studio formale alla formazione primaria. Nel breve periodo queste misure non daranno risultati immediatamente visibili, ma la loro efficacia va valutata in un’ottica di lungo periodo, anche perché la scarsa attenzione a queste tematiche rischia di generare problemi sociali non indifferenti.
I provvedimenti messi in campo a livello nazionale per la tenuta sociale del sistema – sottolinea il Prof. Stefano Zamagni – hanno prodotto effetti sul fronte emergenziale, ma il giudizio cambia se si passa da una prospettiva di breve termine ad una di più lungo termine. I provvedimenti realizzati non sono, infatti, intervenuti sugli istituti che presiedono alla coesione sociale a livello nazionale ed è prevalso un approccio di tipo assistenzialistico. Esistono due differenti modelli di strategie di welfare:
il primo è volto a migliorare le condizioni di vita delle persone, il secondo la capacità di vita delle persone. In Italia prevale la prima componente, mentre è agendo sulla seconda, vale a dire incidendo sulla capacità di vita delle persone che si ottengono effetti di lungo periodo. Ad esempio questo può avvenire sostituendo l’unità di riferimento del welfare, dall’individuo alla famiglia. Se questo avviene si creano forme di Corporate Family Responsability, dove famiglie e imprenditori sensibili alla
responsabilità familiare delle imprese danno vita a modelli in cui l’organizzazione del processo lavorativo sia compatibile con la vita familiare. In questo nuovo modello di welfare bisogna fare interagire le imprese con l’associazionismo e gli enti pubblici. Sotto questo punto di vista un vincolo della regione è la difficoltà di mettere in interazione la sfera degli enti pubblici, la business community o società commerciale e la sfera della società civile. L’Emilia-Romagna è al di sotto del suo potenziale secondo questa definizione, se non trova il modo di fare interagire più efficacemente queste tre sfere. La regione presenta, infatti, un’ottima sfera commerciale, enti pubblici di livello elevato ed un elevato grado di associazionismo nella sfera civile. Livelli ottimali presi singolarmente, ma che nell’insieme dovrebbero dialogare e interagire maggiormente tra di loro.
Il quadro che emerge dalle interviste ai testimoni qualificati appare estremamente composito e si snoda lungo un filo invisibile che parte dallo scenario previsivo per estendersi a temi diversi, ma fortemente intrecciati tra loro. L’idea prevalente che emerge è quella di una regione che ha in sé gli strumenti per affrontare la crisi e riagganciarsi a quel virtuoso percorso di crescita che l’ha caratterizzata negli ultimi anni. Questo grazie alla presenza di una solida base di presenze produttive dinamiche, che in larga parte si erano già ristrutturate prima della crisi e che guardano al futuro puntando all’innovazione, grazie anche alla nascita dei poli di crescita tecnologici e al rafforzamento del presidio sui mercati esteri, anche attraverso le richiamate politiche che aiutino le piccole imprese a mettersi in rete per affrontare la competizione internazionale. Nondimeno è necessario favorire un’ottica di sistema che sappia guardare oltre la crisi, attraverso ad esempio la creazione di un’agenzia finanziaria regionale che sostenga il conto terzismo nella filiera con l’upgrading delle produzioni, valutando le imprese in relazione al loro posizionamento nella catena produttiva, data anche la difficoltà che il sistema bancario incontra nell’azione di supporto al sistema produttivo regionale. Rispetto al ruolo della politica economica regionale emerge la necessità di identificare uno strumentario post crisi funzionale ad una nuova stagione di programmazione territoriale. Dal punto di vista sociale l’Emilia-Romagna per decenni è stata rappresentata come territorio singolare a straordinaria coesione sociale, in cui meglio che in altri realtà, la crescita economica ha portato ad una condivisione di obiettivi e di valori, creando un forte senso di appartenenza ed identità. Negli ultimi anni, tuttavia, la regione, come del resto larga parte del paese, ha sperimentato rilevanti mutamenti legati al progressivo invecchiamento della popolazione e al movimento migratorio. La dinamica migratoria, per l’intensità e la velocità con cui è avvenuta, ha portato a trasformazioni sociali difficilmente assorbibili nel breve periodo, sulle quali sono chiamate ad intervenire le politiche di welfare per non prefigurare ampi squilibri sociali in una prospettiva di più lungo periodo.
attraverso un modello di welfare volto a migliorare le capacità di vita delle persone
Ringraziamenti
Si ringraziano i seguenti Enti e Organismi per la preziosa documentazione e collaborazione fornita:
Abi – Associazione bancaria italiana
Aeradria, aeroporto Federico Fellini di Rimini Agci – Associazione generale cooperative italiane Amministrazioni provinciali dell’Emilia-Romagna
Arpa – Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna Assaeroporti
Assoporti
Associazione generale cooperative italiane Assoturismo Confesercenti
Autorità portuale di Ravenna Banca centrale europea Banca d'Italia
Borsa merci di Modena Borsa merci di Reggio Emilia Carisbo
Cna Emilia-Romagna Cofiter
Comune di Modena Confcooperative
Confindustria Emilia-Romagna Confindustria nazionale. Centro studi.
Consorzio di tutela del formaggio Parmigiano-Reggiano Coop.e.r.fidi
Cresme Europa Servizi Eurostat
Financial Times
Federazione Banche di Credito Cooperativo dell’Emilia-Romagna Fidindustria
Fmi - Fondo monetario internazionale Infocamere
Inps Isae Istat
Istituto Guglielmo Tagliacarne Lega delle cooperative Mercato avicunicolo di Forlì
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Direzione regionale del lavoro per l’Emilia-Romagna
Ministero dell’Economia e delle Finanze NuovaQuasco scrl
Ocse
Organization Design & Management Prometeia
Regione Emilia-Romagna – Assessorato all’Agricoltura e Osservatorio mercato del lavoro Ref - Irs
Sab, aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna Scenari Immobiliari
S.e.a.f., aeroporto Luigi Ridolfi di Forlì
Sipr – Sistema informativo filiera Parmigiano-Reggiano Sogeap, aeroporto Giuseppe Verdi di Parma.
Tecnocasa Trademark
Unione italiana delle Camere di commercio
Uffici agricoltura delle Cciaa Uffici prezzi CCIAA
Uffici provinciali di statistica delle Camere di commercio dell’Emilia-Romagna Unifidi
Unione europea – Commissione europea
Un sentito ringraziamento va infine rivolto alle aziende facenti parte dei campioni delle indagini congiunturali su industria in senso stretto, edile, artigianato e commercio e ai Segretari generali e agli Uffici studi delle Camere di commercio dell’Emilia-Romagna.
Il presente rapporto, e i dati utilizzati per la sua redazione, è disponibile sul web al’indirizzo:
www.rer.camcom.it sito di Unioncamere Emilia-Romagna