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Prospettive per l’economia italiana ed emiliano-romagnola

Nel documento Rapporto 2009 (.pdf 2.5mb) (pagine 170-175)

politiche, misure e opinioni a confronto

4.1. Prospettive per l’economia italiana ed emiliano-romagnola

I più recenti dati congiunturali lasciano intravedere alcuni primi segnali di ripresa dalla crisi in cui tutte le economie sono precipitate dall’autunno del 2008. Rispetto alla primavera sono migliorate le prospettive sullo sviluppo dell’attuale fase recessiva e si va diffondendo la percezione di essere fuoriusciti dalla fase più intensa della crisi e che il rischio di eventi finanziari traumatici sia in rapida riduzione, anche per effetto delle politiche monetarie messe in atto dalle Banche Centrali. Tali segnali positivi non sono tuttavia sufficienti a rimuovere le incertezze sui tempi e l’intensità di una ripresa che, a livello nazionale, stando alle informazioni disponibili, si profila graduale e, almeno per un certo periodo, con un impatto scarsamente significativo sull’occupazione. Gli interventi di politica economica che potranno essere realizzati nel prossimo biennio saranno limitati dall’esigenza di non compromettere l’equilibrio di bilancio pubblico e, senza negare l’effetto positivo, ma complessivamente modesto, di alcuni interventi a sostegno di consumi e investimenti, sembra che in generale la ripresa dell’economia italiana e in particolare il miglioramento delle prospettive per l’industria dipendano in larga misura dal rilancio dell’economia mondiale piuttosto che da politiche interne.

Il recupero dell’economia italiana appare condizionato da una duplice tenaglia in termini di vincoli alla crescita, come spiega il Prof. Andrea Ginzburg. Un primo vincolo è legato alla caduta

delle esportazioni, mentre un secondo attiene alla restrizione del credito, nonostante sia in atto una politica monetaria espansiva. L’attuale crisi mostra una grande discontinuità rispetto al passato, perché è la prima che colpisce il cuore del sistema delle economie avanzate, piuttosto che toccare i paesi emergenti, traendo le sue

origini negli Stati Uniti e da un modello di sviluppo mondiale basato sulla crescita dei paesi emergenti e sull’espansione dei consumi delle famiglie americane. L’elevato indebitamento delle famiglie, dovuto anche alla squilibrata distribuzione del reddito americano, ha finanziato la crescita mondiale. La crisi, letta in una prospettiva non congiunturale, pone la necessità di cambiare modello, perché la domanda per consumi generata dall’indebitamento non sarà più in grado di garantire lo stesso ritmo di crescita sperimentato in passato. Emerge oltretutto un vincolo più particolare, legato alla difficoltà di impiegare negli Stati Uniti la politica monetaria in senso restrittivo, dato l’elevato indebitamento delle famiglie. Ma se la politica monetaria permane espansiva per alleviare la situazione delle famiglie, essa finisce per finanziare la speculazione sulle commodities nei mercati futures, alimentando così l’inflazione. Questa dinamica ha creato in passato una fragilità strutturale che è destinata a proiettarsi anche nel futuro. Altri due meccanismi perversi sono: in primo luogo il Patto di crescita e di stabilità del Trattato di Maastricht, il

Una duplice tenaglia sull’economia italiana…

quale impone che quanto più un paese è in deficit, tanto più dovrà operare tagli al bilancio pubblico, e operare quindi in senso pro ciclico. In secondo luogo, la normativa di Basilea 2, che è anch’essa pro ciclica in quanto tanto più un’impresa si trova difficoltà, tanto più si riduce il suo rating, diminuendo così il suo accesso al credito e/o aumentandone l’onere del finanziamento. Queste sono due trappole automatiche negative in quanto non tengono conto dei meccanismi sistemici della crisi. Sono state infatti, progettate senza considerare il caso di una crisi economica generale, ma solo di crisi isolate, di singole imprese, settori, o paesi.

Ulteriori vincoli alla crescita in Italia e in regione sono evidenziati dal Prof. Massimo Baldini e legati alla struttura della popolazione e al suo progressivo invecchiamento, ad un sistema scolastico che produce una bassa quota di laureati, una scuola dell’obbligo di fatto lasciata a sé stessa e poco innovativa, oltre alla difficoltà nell’attirare forza lavoro straniera qualificata. A queste problematiche si aggiungono vincoli che riguardano il sistema paese legati all’eccesso di spesa pubblica clientelare, ad una pressione fiscale molto elevata, una spesa sociale squilibrata sul fronte pensionistico, una scarsa spesa in ricerca e sviluppo e un elevato tasso di evasione fiscale.

Sul sistema italiano gravano vincoli dal lato della domanda e dell’offerta – commenta la Prof.ssa Tindara Addabbo – che richiedono di procedere ad una riorganizzazione della spesa conseguendo vantaggi in termini di efficienza nel settore pubblico e nello stesso tempo procedere ad una riforma tributaria che tenga conto della osservata disuguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza e del carico fiscale. Precedenti crisi (di portata inferiore a quella che stiamo vivendo) hanno mostrato il peso in Italia di rigidità nel mercato dei beni solitamente trascurate nel dibattito. Alcuni interventi tentati a livello nazionale in precedenti legislature andrebbero ripresi e realizzati, in riferimento ad esempio all’elevato grado di regolamentazione che interessa servizi e professioni. Occorre potenziare il credito alle imprese perché l’economia possa espandersi e consolidarsi uscendo dalla crisi.

All’interno del quadro appena delineato, l’Emilia-Romagna mostra nel 2009 una caduta inferiore a quella sperimentata a livello nazionale, ma non per questo da recessione deriva innanzitutto da vincoli posti a livello internazionale.

La ripresa del commercio mondiale – sottolinea il Prof. Marco Onado – sembra anche più intensa del previsto, ma sulle imprese italiane, comprese quelle regionali, pesano problemi di competitività di prezzo e soprattutto il fatto che la piccola dimensione delle nostre imprese si può rivelare un fattore di svantaggio nei mercati della globalizzazione. La domanda mondiale sembra crescere più velocemente del previsto, ma è in atto una ricomposizione, che vede calare il ruolo degli Stati Uniti, ad esempio, a fronte di una crescita molto più forte dei mercati di paesi come Brasile, Russia, Cina e India.

Per quanto concerne l’economia regionale, un moderato recupero sarà visibile dal prossimo anno e – secondo l’opinione del Prof. Stefano Zamagni – è necessario essere meno pessimisti di quanto si crede, perché la regione ha il suo fuoco sulla meccanica specialista e d’avanguardia e continuerà ad essere, almeno in alcuni comparti, leader mondiale. Quando l’anno prossimo il ciclo si invertirà, accompagnato da una ripresa di domanda estera, le imprese in regione torneranno ad esportare come nei migliori anni.

Il sistema produttivo emiliano-romagnolo – evidenzia il Prof. Patrizio Bianchi – è fortemente proiettato sull’export, tanto che la regione mostra un profilo più esposto anche rispetto ad altre grandi regioni del Nord come la Lombardia, perché più aperta e dipendente dall’evoluzione dei mercati

internazionali e più esposta alla concorrenza mondiale anche per la ricerca. La regione è stata tra le prime ad entrare in crisi perché esposta a livello internazionale, ma proprio per questo sarà tra le prime a sentire i venti di ripresa, considerando anche una base di presenze produttive molto dinamiche.

Paradossalmente – aggiunge il Prof. Andrea Ginzburg – sono cadute di più le esportazioni nei settori che registravano le migliori performance, tanto che anche in Emilia-Romagna le esportazioni dell’industria meccanica, che avevano registrato un’espansione molto intensa, sono risultate più colpite dalla caduta di

…e molteplici

domanda proveniente dalla Germania e dagli altri mercati esteri, come quelli dell’Europa Orientale, che avevano avviato prima della crisi processi di industrializzazione. Queste dinamiche spiegano le forti difficoltà della regione di fronte alla caduta della domanda estera e aprono spazi per ragionare su come la regione potrà riprendere quel cammino che consisteva nel fornire a questi sistemi economici i prodotti intermedi.

Per l’economia mondiale le prospettive sono positive ed anche per quella europea – sottolinea il Prof.

Massimo Baldini – ma il giudizio sull’Italia è più pessimista. Rispetto alle opinioni sulla ripresa, si distinguono due scuole di pensiero. Da un lato chi sostiene che il problema chiave sia

il crollo della domanda estera, quindi che le esportazioni torneranno a crescere vivacemente non appena la recessione globale sarà finita; dall’altro chi sottolinea problemi strutturali delle imprese nazionali. Più probabile la seconda ipotesi, in quanto i paesi in via di sviluppo hanno fatto passi da gigante anche sul fronte della qualità,

quindi anche se il ciclo mondiale potrà riprendere a buoni ritmi, ciò non implica che aumenterà altrettanto anche la domanda per i beni e servizi prodotti dalle imprese nazionali. La domanda chiave è la seguente:

le esportazioni italiane ed emiliane-romagnole aumenteranno allo stesso ritmo di quelle tedesche?

Difficile crederlo e se andrà così, sbaglia chi si accontenta della ripresa del ciclo mondiale.

L’uscita dalla crisi tanto in regione quanto nello scenario nazionale apparirà più trainata dal recupero di domanda estera, piuttosto che dal contributo della domanda interna. Se nel 2009 gli investimenti fissi lordi risultano la componente della domanda interna più colpita dagli effetti della crisi

finanziaria, condizionati anche da un grado di utilizzo degli impianti ai minimi storici, nel 2010 non sembrerebbero esservi le condizioni per una loro veloce ripresa, benché le diverse misure messe in atto (dalla Tremonti ter alle agevolazioni fiscali per le

ristrutturazioni del patrimonio abitativo, ect.), ne consentiranno a livello nazionale di arrestarne la caduta.

Gli effetti positivi derivanti dagli incentivi statali dovrebbero evidenziare in Emilia-Romagna un profilo di sviluppo più intenso rispetto alla sostanziale stagnazione che interesserà gli investimenti a livello nazionale, tanto da risultare nel prossimo anno la componente più dinamica della domanda interna.

Positivo il giudizio del Prof. Stefano Zamagni, secondo il quale le imprese in questi ultimi anni hanno rallentato il rinnovo degli impianti, pertanto una volta avviata la ripresa, gli investimenti saranno il segmento più rilevante.

Su tale aspetto – sottolinea il Prof. Andrea Ginzburg – è plausibile ritenere che in regione vi sarà una ripresa degli investimenti, ma probabilmente si tratterà di investimenti a carattere intensivo e non estensivo, data la bassa quota di capacità

inutilizzata degli impianti. È difficile immaginare un aumento degli investimenti a carattere estensivo, sino a quando non si ridurrà la capacità inutilizzata. Certamente vi sarà spazio per un aumento degli investimenti legati all’innovazione dei prodotti e dei processi, anche utilizzando gli incentivi della Tremonti ter, che potrebbero avere successo, anche perché già in passato sono state sfruttate agevolazioni fiscali in questo senso. Queste agevolazioni contengono, tuttavia, due forti limitazioni: la prima è la restrizione degli incentivi ai soli investimenti di tipo metalmeccanico, senza coinvolgere il software

e i prodotti informatici. Questa è una scelta singolare, proprio in un momento in cui il sistema produttivo è chiamato a fare automazione dei processi. La seconda limitazione è quella temporale, che sembra troppo limitata, perché è lecito

pensare che coloro che intraprendono attività di investimento debbano avere un orizzonte temporale più ampio. Per quanto riguarda gli investimenti in costruzioni, l’edilizia – che ha rappresentato un importante motore di sviluppo della regione – sta vivendo una crisi importante legata alle difficoltà del mondo del credito e alla lenta crescita del reddito delle famiglie, ma anche da una possibile saturazione del mercato edilizio, che non lascia immaginare una crescita degli investimenti con gli stessi ritmi che hanno caratterizzato gli anni passati.

La spesa delle famiglie é stata sinora la componente della domanda che ha avuto il minore impatto negativo, mostrando in regione un contraccolpo anche inferiore rispetto alla media nazionale. Nel prossimo triennio saranno comunque commercio estero e investimenti a dare il segnale della ripresa, mentre la spesa per consumi reagirebbe più lentamente. Nei prossimi anni i consumi delle famiglie sia in Italia che La ripresa potrebbe

in regione dovrebbero aumentare complessivamente in misura modesta, sostenuti dalla proroga degli incentivi all’acquisto di beni durevoli (auto/moto, mobili ed elettrodomestici), come anche dai probabili effetti dello scudo fiscale, sebbene in misura decisamente minore in quest’ultimo caso.

Come sottolineato dal Prof. Stefano Zamagni, lo sviluppo prospettico del mercato interno è limitato dal fatto che la popolazione italiana, oltre a non essere numericamente elevata, è in calo per la componente naturale. La popolazione, infatti, in generale è aumentata negli ultimi anni, ma solo grazie all’apporto degli immigrati, che neutralizzano l’effetto negativo del saldo naturale. La domanda degli immigrati è, tuttavia, una domanda più povera, condizionata da livelli di reddito meno elevati.

D’altro canto il progressivo invecchiamento della popolazione italiana sta ingrossando la fascia più alta della piramide, quella della popolazione anziana, che esprime anch’essa una più bassa domanda rispetto a quella giovane. Per queste ragioni l’Italia non può che puntare sulla domanda estera, perché in prospettiva quella interna è destinata a diminuire, in ragione del calo della popolazione italiana e per i bassi consumi della popolazione immigrata.

4.2. Mercato del lavoro

La ripresa dell’economia, i cui primi segnali incerti si manifestano già a partire dalla seconda metà del 2009, appare ancora troppo debole per incidere in maniera significativa sull’occupazione sia nel 2009 che ancora nel 2010. In regione, tuttavia, l’occupazione scenderà meno della media italiana. La crisi sta colpendo più intensamente in Emilia-Romagna gli occupati dell’industria, mentre sono relativamente meno colpiti i servizi, che anche dal confronto con la dinamica nazionale sperimentano una riduzione occupazionale più attenuata. Nei primi trimestri di recessione l’aggiustamento di occupazione è stato effettuato utilizzando i margini di flessibilità concessi dalla normativa vigente, mentre per i lavoratori più tutelati, quelli con contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato operanti in determinate imprese e settori, si é fatto ampio ricorso alla cassa integrazione guadagni, con un numero di ore accordate cresciuto velocemente a partire dall’autunno del 2008, soprattutto in regione dato il basso utilizzo di questo strumento negli anni passati.

Commenta la Prof.ssa Tindara Addabbo come il contesto regionale, pur mantenendo tassi di occupazione e di attività al di sopra della media nazionale, per la presenza di settori maggiormente toccati dalla crisi, ha visto accentuate variazioni tendenziali della disoccupazione rispetto alla media nazionale. La disaggregazione dei tassi di attività, occupazione e disoccupazione forniti dall’ISTAT con riferimento al secondo trimestre 2009 mostra una maggiore flessione dell’occupazione maschile tendenziale, tale da ridurre al 13% il gap di genere nei tassi di occupazione. I settori dell’economia regionale in cui inizialmente si è diffusa la crisi hanno prodotto un forte aumento della disoccupazione maschile (che passa dal 2,3% nel secondo trimestre 2008 al 4% nel secondo trimestre 2009), il minore aumento della disoccupazione femminile ha ridotto il divario di genere nei tassi di disoccupazione.

Secondo il Prof. Marco Onado per il momento le misure adottate per affrontare l’emergenza economia, come ammortizzatori sociali, decreto anti-crisi e moratoria sui debiti delle PMI, hanno evitato le tensioni maggiori. Gli effetti della crisi sull’occupazione saranno lunghi e proseguiranno anche quando la ripresa sarà consolidata, tanto che potrebbero occorrere 15 anni secondo alcune stime per tornare ai livelli di benessere precedenti la crisi. Di fronte a questo (e alle tensioni che ne

derivano) provvedimenti certo importanti, ma volti a tamponare l’emergenza come quelli indicati, sono solo il primo passo. L’opportunità che può derivare dalla crisi, come sempre, è la possibilità di sfruttare l’occasione per realizzare misure e riforme trascurate in passato.

Il prolungamento della cassa integrazione guadagni – come spiega il Prof. Patrizio Bianchi – ha evitato di dare un alibi a chi voleva ritirarsi dall’attività già prima della crisi e rappresenta uno strumento tampone per superarne la fase più intensa. Il prolungamento della crisi richiede anche di reinventare gli

Una maggiore flessibilità del lavoro presenta costi sociali che le analisi economiche hanno ampliamente evidenziato – sottolinea la Prof.ssa Addabbo – e questi costi sono amplificati da un mancato adeguamento del sistema di ammortizzatori sociali ancora troppo carente proprio per quei lavori intermittenti e non standard e per chi cerca di entrare per la prima volta o rientrare (e qui la connotazione di genere è particolarmente rilevante lo cogliamo dai tassi di disoccupazione femminili più elevati anche in fasce non giovanili) nel mercato del lavoro. Questa maggiore protezione, oltre a

essere necessaria per migliorare l’equità del sistema e ridurre le diseguaglianze nell’accesso al welfare, riuscirebbe a ridurre l’impatto negativo sui consumi proprio in quei contesti in cui la flessibilità del lavoro appare più diffusa.

Sino ad ora gli stanziamenti sulla cassa integrazione guadagni – commenta il Prof. Andrea Ginzburg – hanno parzialmente sostenuto i redditi da lavoro e i tavoli di concertazione con le banche hanno permesso di tamponare le crisi aziendali più gravi. Misure che hanno contenuto la caduta dei consumi, ma che non appaiono tuttavia sufficienti. Sugli ammortizzatori sociali pesa, infatti, non solo un problema di proroga della cassa integrazione guadagni, ma anche della sua estensione al settore dei servizi, comparto che non ha sostegno al reddito e nel quale si annidano molti giovani precari, i più colpiti dalla crisi. Sarebbe, infatti, auspicabile una tutela particolare per i giovani, la cui situazione era già difficile prima della crisi. Un’altra categoria considerata più a rischio è quella degli oltre

45enni, investiti dal problema di conversione verso un altro impiego. Per questa fascia di lavoratori sarebbe opportuno formulare una politica di investimento specifica, mirata ad evitare che questa forza lavoro esca dal mercato del lavoro per diventare oggetto, in seguito, di misure assistenziali.

Sarebbe interessante verificare – considera la Prof.ssa Tindara Addabbo – quali siano a livello regionale gli effetti sulla disuguaglianza dei redditi per tipologie di lavoratori. Il sistema di ammortizzatori sociali attualmente vigente copre diversamente i lavoratori con diverse tipologie di contratto dalla perdita del posto di lavoro. E’ quindi rilevante verificare come si riflette l’ineguale copertura della perdita di lavoro sulla distribuzione dei redditi in regione sapendo che, prima della crisi si registrava un differenziale retributivo per tipologia contrattuale a svantaggio dei lavoratori a tempo determinato – con una distanza maggiore in regione di quanto rilevabile in media in Italia – e una disuguaglianza dei redditi più accentuata rispetto alla media delle regioni del Nord Italia.

L’intervento pubblico ha già fatto molto in funzione anticongiunturale, soprattutto in funzione di cuscinetto, sottolinea il Prof. Massimo Baldini, ma non c’è consapevolezza che questa crisi non è eccezionale solo per le sue dimensioni congiunturali, ma si inserisce in una dinamica critica dell’economia regionale e nazionale in genere, che richiede scelte coraggiose di cui si vedono scarse tracce.

Sulle opportunità non colte dalla crisi in atto aggiunge qualche ulteriore elemento il Prof. Stefano Zamagni. Poiché l’impatto della crisi in Italia, per le note ragioni, è stato inferiore ad altri paesi, come gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Spagna, le misure attuate, sia pure contenute, hanno sortito un effetto desiderato e mitigato in parte la crisi. Non sono state fatte, tuttavia, riforme strutturali, come quelle del mercato lavoro, che

avrebbero permesso di non sprecare la crisi. La struttura del mercato del lavoro è, infatti, rimasta quella di prima. Per questa ragione si può affermare che l’Italia sta sprecando la crisi. Una crisi contiene sempre un lato di per sé positivo e questo ci viene ricordato anche da Alessandro Manzoni quando nei Promessi Sposi Don Abbondio afferma: “È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più…”, cioè la peste ha spazzato via tutti quei tipi di cui era bene che la società si liberasse. Questo ci fa capire che la crisi provoca disastri, ma può avere effetti positivi se la si sa cogliere. Crisi è una parola greca (krisis), che in prospettiva storica significa constatare e cercare di comprendere una trasformazione, quando l’equilibrio esistente si rompe per lasciare posto a un’altra forma di staticità. Sprecare è perdere gli effetti positivi che questa transizione può presentare e le molte opportunità che non sono state colte.

…e sostenere le

Sottolinea la Prof.ssa Tindara Addabbo che se dal punto di vista teorico si possono

Sottolinea la Prof.ssa Tindara Addabbo che se dal punto di vista teorico si possono

Nel documento Rapporto 2009 (.pdf 2.5mb) (pagine 170-175)