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Le repliche alle censure di costituzionalità avanzate

2.2. La parte resistente

2.2.1. Le repliche alle censure di costituzionalità avanzate

a)Sui commi 2° e 2-bis lettera a)

Innanzitutto, in replica ai rilievi critici operati nei confronti dell’articolo 70 commi 2° e 2-bis lettera a), la difesa regionale chiarisce che con queste previsioni si è inteso definire ex ante criteri e parametri da poter impiegare praticamente al fine di identificare con precisione quando si è di fronte ad una “confessione religiosa” con le implicazioni che ne seguono. Così facendo si è cercato di arginare il problema che produce, tra l’altro, un notevole contenzioso amministrativo. Il problema della

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qualificazione di un’insieme di persone come “confessione religiosa” è stato a lungo oggetto di discussione nel nostro ordinamento. L’essere riconosciuti come confessione religiosa ha delle implicazioni all’interno dell’ordinamento come l’accesso ai contributi regionali, alla pianificazione urbanistica di strutture destinate al culto; ma occorre individuare la nozione rilevante a questi fini. Per tanto la difesa regionale, richiamandosi anche lei alla sentenza n.195 del 1993, ritiene che l’esclusione dai benefici finanziari ossia dall’attribuzione delle risorse derivanti dagli oneri di urbanizzazione, delle confessioni che manchino di una regolamentazione dei loro rapporti con lo Stato ai sensi dell’articolo 8 comma 3° della Costituzione sia discriminatoria ed in contrasto con il principio costituzionale secondo il quale “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.”(articolo 8 comma 1° Costituzione). Al tempo stesso però rileva che per accedere al regime dei benefici suddetti non è sufficiente l’auto-qualificazione del richiedente come confessione religiosa e quindi che, in assenza di una disciplina dei propri rapporti con lo Stato, il carattere religioso dell’ente e delle sue finalità istituzionali dovrà risultare da precedenti riconoscimenti pubblici, da esplicite enunciazioni statutarie o dalla generale considerazione. Registrando un accentuarsi del fenomeno del pluralismo religioso, sociale e culturale sul territorio lombardo e nazionale in generale, il legislatore

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regionale ha avvertito l’esigenza di porre criteri per poter distinguere una confessione religiosa da altre associazioni di persone anche proprio per la necessità di differenziare, sul piano della disciplina, fra edifici e attrezzature destinati a servizi religiosi e sedi di circoli, comitati e associazioni che pure devono essere garantite in quanto espressione di altre libertà di pari tenore costituzionale quali quelle di associazione, riunione e comunicazione. In definitiva su questo primo punto la difesa regionale afferma che le norme del Capo III del Titolo IV della Parte II della legge regionale n.12 del 2005 come modificate dalla legge regionale n.2 del 2015 per la realizzazione di edifici di culto e attrezzature destinate a servizi religiosi si applicano a tutte le confessioni religiose e ci tiene a precisare che dato il rilievo “fisico”, cioè urbanistico, di tali strutture è ragionevole condurre una attività finalizzata ad accertare l’effettiva finalità di culto dell’ente richiedente nonché la reale presenza sul territorio di una domanda diffusa di attività religiose. L’ente, cioè, deve essere in grado di dimostrare l’esistenza di una richiesta forte in tal senso e quindi, conseguentemente, anche di spazi di cui poter disporre per le pratiche del culto. Ciò perché si vuole evitare che si celi, invece, dietro a tali istanze il perseguimento di scopi diversi, per esempio di natura commerciale.

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b)Sui commi 2-bis lettera b) e 2-quater

Sempre con riguardo all’articolo 70 la difesa regionale reagisce alle censure mosse nei confronti dei commi 2-bis lettera b) e 2- quater premurandosi di far osservare che la valutazione del requisito di cui alla lettera b) del comma 2-bis, ossia quello che prescrive che “i relativi statuti esprimono il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione”, era già previsto nella normativa precedente e che non era mai stato messo in discussione. La difesa ha cura di precisare inoltre che si tratta di una condizione la valutazione della cui sussistenza è inesorabilmente assegnata ad autorità differenti da quella statale; e ciò è previsto in tutte le leggi regionali in materia. Per quanto concerne quindi il comma 2-quater la previsione dell’istituzione di una consulta regionale avente il compito di rilasciare pareri preventivi ed obbligatori sulla sussistenza di tali requisiti è, a giudizio della difesa regionale, pienamente rispettosa delle attribuzioni dei comuni poiché rilascia loro pareri non vincolanti. Semplicemente, sempre ad avviso della difesa regionale, il suo operato rende il più possibile corretta l’applicazione della legge grazie alla natura consultiva della sua attività. La possibilità per i comuni di disporre di pareri non vincolanti costituisce un ausilio nell’attività valutativa delle istanze che vengono avanzate perché essi

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rappresentano degli indici, dei criteri orientativi uniformi provenienti da soggetti esperti.

c)Sul comma 2-ter secondo periodo

La difesa regionale argomenta poi in merito alla supposta incostituzionalità del comma 2-ter dell’articolo 70, che prevede ai fini dell’applicazione delle disposizioni del Capo III la stipula da parte degli enti delle confessioni di cui ai commi 2° e 2-bis (enti di confessioni con le quali lo Stato ha approvato con legge l’intesa ai sensi dell’articolo 8 comma 3° della Costituzione ed enti di altre confessioni che presentino i requisiti di presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale ed un significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi disciplinati dalle norme del Capo III ed i cui statuti esprimono il carattere religioso delle loro finalità istituzionali ed il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione) di una convenzione a fini urbanistici con il comune interessato. In particolare, con riguardo alla previsione espressa da parte delle convenzioni della possibilità della risoluzione o della revoca in ipotesi di accertamento da parte del comune dello svolgimento di attività non previste, la difesa osserva che il legislatore regionale non ha voluto in assoluto vietare l’esecuzione di attività diverse da quelle propriamente legate al culto, ma ha voluto che esse siano appunto “previste” e quindi

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disciplinate all’interno della convenzione. Peraltro la difesa puntualizza che l’istituto della revoca è soggetto alle norme in materia di “tutela dei terzi contraenti” previste dall’ordinamento civile e amministrativo e che pertanto eventuali abusi possono essere portati all’attenzione delle competenti autorità giudiziarie affinché, una volta accertati, vengano sanzionati.

d)Sui commi 2-bis, 2-ter e 2-quater

Per quanto riguarda, invece, le censure complessivamente operate ai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’articolo 70 in riferimento ai “principi europei ed internazionali” esse son, ad avviso della Regione, inammissibili in quanto generiche. La difesa, anzi, asserisce che non solo tali principi sovranazionali sono pienamente rispettati dalle suddette disposizioni ma che, addirittura, esse li esaltino apprestando una disciplina che ne assicura l’effettività. Inoltre si pone l’accento su quanto il legislatore regionale abbia innovato riconducendo al concetto di attrezzature religiose, fra quelle considerate dall’articolo 71 come “attrezzature di interesse comune per servizi religiosi”, anche “gli immobili destinati a sedi di associazioni, società o comunità di persone in qualsiasi forma costituite, le cui finalità statutarie o aggregative siano da ricondurre alla religione, all’esercizio del culto o alla professione religiosa quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali.” (lettera c-bis)

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introdotta dall’articolo 12 comma 1° lettera m) della legge regionale 21 febbraio 2011, n.3 recante “Interventi normativi per l’attuazione della programmazione regionale e di modifica e integrazione di disposizioni legislative – Collegato ordinamentale 2011”. La difesa regionale sostiene quindi che la Regione, nell’approntare tale normativa in materia di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, abbia semplicemente offerto alla materia una disciplina omaggiando il principio costituzionale secondo il quale “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” ma, affermando al tempo stesso, un canone di responsabilità delle stesse verso i propri fedeli e verso il territorio di insediamento. Viene pertanto rigettata la critica di aver operato in modo discriminatorio poiché, in merito alle limitazioni disposte nei confronti degli enti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e da quelle con intesa approvata con legge dello Stato, asserisce la difesa, ogni momento di regolamentazione normativa di un dato fenomeno implica necessariamente una restrizione, la quale è tuttavia ammessa solo in quanto legislativamente prevista e purché sia necessaria, nel rispetto di canoni di proporzionalità e diretta correlazione, alla salvaguardia di altri diritti e libertà fondamentali quali la sicurezza e l’ordine pubblico, la morale e la sanità pubblica.

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2.2.2.Le repliche alle censure di costituzionalità avanzate nei confronti dell’articolo 72

a)Sui commi 4° e 7° lettera e)

Per quanto attiene invece alle censure rivolte all’articolo 72, in primo luogo la Regione contesta l’asserita violazione degli articoli 117 comma 2° lettera h e 118 comma 3° della Costituzione ad opera dei commi 4° e 7° lettera e) della suddetta norma come introdotti dall’articolo 1 comma 1° lettera c) della legge regionale n.2 del 2015. In particolare si eccepisce l’insussistenza di simili violazioni sulla base dello stesso tenore letterale della disposizione la quale, nel disporre che nel corso del procedimento per la predisposizione del piano per le attrezzature religiose vengano acquisiti pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica, afferma “fatta salva l’autonomia degli organi statali.” Ciò anche con riguardo alla disposizione del comma 7° lettera e) che prescrive la previsione da parte del piano per le attrezzature religiose anche di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio. Pertanto secondo la difesa regionale in merito non si pone alcun profilo di incostituzionalità perché il suddetto comma 4° sancisce in modo esplicito che il coordinamento con gli organi dello Stato

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in materia debba svolgersi nel rispetto della loro autonomia. Una forma di dialogo sul piano della disciplina di determinate materie fra Stato e Regioni espressione, secondo una consuetudine secolare, di leale collaborazione.

b)Sul comma 4° ultimo periodo

In secondo luogo il comma 4° dell’articolo 72 è stato tacciato di incostituzionalità anche con riferimento al suo ultimo periodo, il quale prevede “la facoltà per i comuni di indire referendum nel rispetto delle previsioni statutarie e dell’ordinamento statale”, per violazione dell’articolo 19 della Costituzione. La resistente fa notare che la possibilità per i Comuni di coinvolgere i propri cittadini sensibilizzandoli verso determinati temi e rendendoli attivamente partecipi a problematiche che li riguardano da vicino attraverso consultazioni referendarie non va ad intaccare in alcun modo le prerogative degli enti locali. Addirittura si sostiene che la dinamica partecipava che si realizza attraverso questo tipo di consultazione costituisce un elemento di legittimazione delle scelte di pianificazione del territorio dando piena attuazione ad un principio fondamentale che la Costituzione sancisce in materia di articolazione amministrativa dello Stato in Regioni, Province e Comuni che è quello della sussidiarietà orizzontale. Tale principio è espresso dall’articolo 118 comma 4° dove si prevede che “Stato, Regioni, Città metropolitane,

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Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”.

c)Sul comma 7° lettera g)

In terzo luogo la difesa regionale respinge, perché infondate, le critiche rivolte al comma 7° lettera g) dell’articolo 72. Tale disposizione prescrive che il piano per le attrezzature religiose, a fianco ad altri aspetti indicati, deve anche prevedere “la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo, così come individuate nel PTR.”. L’infondatezza dei rilievi di costituzionalità operati risiede nella circostanza che le caratteristiche paesaggistiche lombarde, tanto generali quanto peculiari, sono già individuate nel piano territoriale regionale e che anche la pianificazione comunale dà indicazioni normative e linee guida al fine di assicurare che la realizzazione degli edifici sia ad uso pubblico, che privato, che produttivo sia effettuata in piena sintonia con la cornice paesaggistica ed urbanistica generale.

d)Sul comma 5°

Infine reagendo alle censure articolate nei confronti del comma 5° dell’articolo 72 per violazione dell’articolo 117 comma 2° lettera l) della Costituzione ed in particolare dell’articolo 3 del

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d.m. n.1444 del 1968 con riferimento alla asserita mancanza di obbligatorietà di approvazione del piano delle attrezzature religiose da parte di tutti i comuni, la resistente fa notare come invece tale approvazione non sia facoltativa ma debba avvenire “entro diciotto mesi” dalla data di entrata in vigore della legge regionale n.2 del 2015 e che decorso tale termine “il piano è approvato unitamente al nuovo PGT”. La difesa regionale mette, poi, in rilievo la circostanza che l’articolo 3 del d.m. n.1444 del 1968 non fissa un obbligo di realizzazione di nuove attrezzature religiose, mentre è proprio la contestata disciplina regionale a stabilire le modalità con cui il Comune regolamenta la previsione di nuove strutture religiose. Addirittura si ha cura di sottolineare come il Titolo V della Parte II Costituzione valorizzi fortemente le potestà comunali in materia di governo del territorio e quindi di regolamentazione urbanistica, di pianificazione; molto più di quanto previsto dalla legge 6 agosto 1967, n.765 recante “Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150” alla quale il d.m. n.1444 del 1968 dà attuazione. I Comuni,quindi, vedono esaltato il loro ruolo in questo ambito diventando direttamente responsabili delle scelte di governo del territorio, titolari di competenze e potestà autonome in ragione della loro prossimità alle collettività locali, che consente loro di porsi come le istituzioni che meglio sono in grado di rilevare e comprendere i bisogni del territorio e della comunità che lo

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abita, facendosi carico delle soluzioni da adottare proprio in coerenza con i principi consacrati nel Titolo V di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza .