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Le scelte comunitarie: fattori interni ed estern

GLI APPALTI PUBBLICI E LA POLITICA INDUSTRIALE

3. Le scelte comunitarie: fattori interni ed estern

Le scelte delle istituzioni comunitarie circa l’utilizzo degli appalti pubblici come strumenti di politica industriale si sono rivelate abbastanza uniformi.

Infatti, sia la Commissione, la Corte di giustizia che il legislatore hanno assunto un atteggiamento restrittivo di fronte alla prassi dei Paesi membri di intervenire nelle regole sugli acquisti pubblici per conseguire benefici economici a vantaggio dell’industria nazionale o locale.

Tra i fattori all’origine di una tale scelta è possibile senz’altro comprendere la diffusione, all’interno della disciplina comunitaria degli appalti, della teoria economica del cd. “purity principle”104, secondo la quale il contratto deve essere aggiudicato alla sola “best financial proposal”, senza tener conto di altri fini secondari.

Inoltre, sempre tra i fattori contrari, rientrano i risultati delle analisi di politica economica sui benefici conseguiti a livello nazionale dall’impiego degli appalti pubblici come strumenti di politica industriale. Tali indagini, infatti, hanno dimostrato che nella maggior parte dei casi, a lungo termine, questi interventi statali si sono rivelati fortemente negativi per l’economia nazionale105. Ad esempio, le piccole e medie imprese locali protette dalla concorrenza internazionale non sono state incentivate a crescere.

Tuttavia, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, anche le istituzioni comunitarie ed, in particolare, la Commissione, hanno iniziato ad interrogarsi sulla possibilità di intervenire sulla regolamentazione degli appalti pubblici per apportare

104 Si v., sul c.d. “purity principle”, C.M

CCRUDDEN, Using public procurement to achieve social

outcomes, cit., pp. 257 ss.

105 Sul tema, si v.M.M

OUGEOT,F.NAEGELEN, A political economy analysis of preferential public

procurement policies, in European Journal of Politica Economy, vol. 21, 2005, pp. 483 ss.; F.

TRIONFETTI, The Economics of Opening up Public Procurement, paper presentato alla conferenza Public

Procurement Global Revolution II, Nottingham, UK, 2001 e Id., The Government Procurement Agreement and International trade: Theory and Empirical Evidence, paper scritto per la World Bank,

35 benefici alle industrie europee. Si pensi, ad esempio, alle iniziative comunitarie a sostegno delle piccole e medie imprese ed a quelle relative alla promozione dell’industria europea della difesa.

Tra i fattori all’origine di una tale attenzione è possibile senz’altro comprendere la nascita di una politica industriale comune.

E’ necessario, pertanto, riepilogare, brevemente, l’evoluzione della politica industriale106 dell’Unione europea, al fine di evidenziare il carattere trasversale che ha assunto tale politica comunitaria rispetto alle altre e l’interdipendenza funzionale tra queste.

Il Trattato istitutivo non attribuiva esplicitamente alla Comunità il compito di perseguire una politica industriale comune. All’inizio, infatti, si era preferito affidare lo sviluppo delle imprese europee agli strumenti legati alla realizzazione del mercato interno.

La politica industriale del dopoguerra era, dunque, essenzialmente rimessa alla competenza dei singoli Stati membri, i quali si preoccupavano di proteggere le rispettive imprese nazionali e di garantire loro capacità strutturali e dimensioni tali da poter affrontare la concorrenza internazionale. In questa situazione, la Comunità si limitava a coordinare le varie iniziative nazionali ed a conciliarle con i superiori principi del libero mercato e della libera concorrenza.

La disciplina europea del settore industriale avveniva, quindi, in via indiretta, attraverso la vigilanza sul rispetto delle regole in materia di concorrenza e di abuso di posizione dominante, oltre che di quelle relative agli aiuti di Stato.

Le prime enunciazioni di una politica industriale comunitaria si hanno solamente all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. La mutata situazione economica ed il sottodimensionamento delle imprese europee rispetto ai nuovi spazi aperti del mercato internazionale richiedevano, infatti, alla Commissione di farsi promotrice di azioni a sostegno delle imprese comunitarie per aiutarle ad adeguarsi alla competizione globale.

106 Il principale obiettivo della politica industriale dell’Unione europea consiste nel creare le condizioni più favorevoli allo sviluppo delle imprese e all’innovazione, in modo da attrarre nel mercato comune maggiori investimenti e posti di lavoro. Si v. Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Esame

Si avvertiva, in sostanza, l’assenza di un complesso normativo che affrontasse il problema della competitività del sistema produttivo europeo in una prospettiva di confronto con i Paesi terzi.

È in questi anni che cominciano a susseguirsi una serie di iniziative da parte della Commissione per porre in essere una strategia comune a sostegno dell’industria europea107.

Tuttavia, la vera e propria svolta nella politica industriale europea si ha solamente con la presentazione, in occasione del Consiglio europeo di Milano del giugno 1985, del Libro bianco sul completamento del mercato interno108, contenente le linee di sviluppo dell’azione comunitaria per il rafforzamento dell’integrazione economica. In questa sede, infatti, la Commissione attribuisce alla politica industriale un carattere strumentale al raggiungimento di finalità ulteriori.

Spetta, poi, al rapporto, presentato dalla Commissione al Parlamento europeo nel novembre 1990, sulla politica industriale in un contesto aperto e concorrenziale (c.d. Rapporto Bangemann), aprire la strada all’introduzione della politica industriale tra le finalità che la Comunità europea si impegna a perseguire.

Di conseguenza, mentre prima lo sviluppo delle imprese era visto dalle istituzioni comunitarie come un fine esclusivamente nazionale e come un potenziale pericolo per la realizzazione del mercato unico, dopo il 1990, la tutela del settore industriale diventa una politica comune, da perseguire al pari di quella sulla concorrenza109.

107

In quest’ottica si inquadra, innanzitutto, il c.d. Memorandum Colonna (così chiamato dal nome del Commissario europeo che lo firmò) del 1970, predisposto dalla Commissione per il Consiglio, ed intitolato “Principi ed orientamenti della politica industriale delle Comunità”. Il Memorandum può essere considerato, infatti, il primo documento nel quale si individuano le linee direttrici di una organica politica industriale comunitaria. In seguito, nel 1973, sulla base del Memorandum, il Consiglio ha emanato una risoluzione che stabiliva un programma d’azione, dove si individuavano gli obiettivi che la Comunità intendeva perseguire, i mezzi per conseguirli ed i termini entro i quali svolgere questa azione. In particolare, tra gli obiettivi indicati nell’atto figurava l’eliminazione degli ostacoli tecnici alla circolazione del prodotti industriali e l’apertura dei mercati, mediante una regolamentazione uniforme dei rapporti tra pubblica amministrazione ed imprese, ed, in particolare, degli appalti pubblici. Successivamente, nel 1978, il Rapporto Davignon ha evidenziato l’esigenza di procedere ad una politica comune industriale “attiva”, fondata cioè su una serie di sovvenzioni settoriali all’industria e strettamente collegata alla politica commerciale europea. Il rapporto si distingue, inoltre, per un primo cenno alla piccola e media impresa ed all’importanza di sostenerla.

108 Libro bianco della Commissione per il Consiglio europeo, Il completamento del mercato

interno, Milano, 28-29 giugno 1985, COM (1985), 310 def., disponibile on line alla seguente pagina internet http://europa.eu/documents/comm/white_papers/index_it.htm#before.

109 Il Trattato di Maastricht ha, infatti, introdotto uno specifico titolo dedicato all’industria europea, il XVI, precisando, tuttavia, all’articolo 157 Tr. che “il presente titolo non costituisce una base per l’introduzione da parte della Comunità di qualsivoglia misura che possa comportare distorsioni di

37 In questo periodo, le istituzioni comunitarie cominciano a realizzare che lo sviluppo industriale in Europa può essere raggiunto solamente attraverso una serie di interventi trasversali ed integrati. In particolare, a seguito dell’influenza delle teorie ordo-liberali110, la Comunità, prendendo spunto proprio dalle scelte dei governi nazionali, che fino ad allora aveva fortemente contrastato, inizia ad apprezzare i benefici degli appalti pubblici come mezzi per rafforzare la competitività dell’industria europea111.

4. Gli appalti pubblici come strumenti di politica industriale in altri regimi