Ritratto di L. N. Tolstoj
in uniforme di tenente d'artiglieria dopo ia campagna di Crimea
(1855).
Nell'anno in cui si celebra con impor-tanti convegni internazionali il cento-cinquantenario della nascita di Leone Tolstoj (1828-1910), non parrà fuori luogo ricordare ai Piemontesi un episo-dio assai poco conosciuto della giovinez-za del grande scrittore russo, la visita cioè da lui fatta al nostro Paese nel cor-so di un viaggio nell'Europa Occiden-tale che durò dal gennaio al luglio 1857. L. N. Tolstoj aveva allora 29 anni ed era già celebre; i suoi ricordi autobio-grafici e di vita militare, le pagine fre-menti di dignitoso patriottismo e di spi-rito pacifista dei Racconti di
Sebasto-poli avevano assicurato la sua fama di
forte talento, di sottile indagatore di ani-me. Sicché quando, di ritorno dalla campagna di Crimea, egli si congedò, la sua vita a fasnaja Poljana, nel quieto « nido » paterno, non doveva significa-re un ritiro dall'agone della letteratura militante, dove già contava ferventi am-miratori. Erano gli anni che precedet-tero le riforme, in cui, a seguito
del-l'ascesa al trono del nuovo zar Ales-sandro II, più forti erano le speranze dell'intelligencija liberale in una « svol-ta » dell'arretrato Paese verso i modelli europei; e Tolstoj, dalla pace della te-nuta avita, seguiva ogni sussulto della lotta politica, mentre meditava di libe-rare i suoi contadini dalla condizione servile (ne troviamo un riflesso nel
Mattino di un proprietario), o
vagheg-giava di realizzare nel matrimonio il suo romanzo sentimentale con Valeria Ar-sen'eva (la Maia della Felicità
fami-liare).
Quando Tolstoj decide il suo primo viaggio all'estero, tutto in Russia è in pieno rivolgimento e nulla ha ancora ritrovato stabilità. Alla fine di gennaio 1857 egli parte per Varsavia, di dove raggiunge Parigi ai primi di febbraio; qui incontrerà Nikolaj Nekrasov, « il poeta dell'ira civile » e Ivan Turgenev, novellista e romanziere già affermato, entrambi conosciuti da poco nel circolo dei collaboratori del Sovremennik, la ri-vista liberale che ha spalancato a Tol-stoj le sue pagine.
A Parigi egli resterà due mesi; ottimo conoscitore della lingua e della lettera-tura francese, frequenta teatri, concerti, conferenze; però all'entusiasmo iniziale succede la delusione, cosicché ai primi di aprile abbandona la capitale francese per Ginevra e il suo lago. Qui progetta il grand tour alpino che lo porterà in Piemonte e in Val d'Aosta e che mi ap-presto a tradurre e commentare sulla scorta dei Diari e dei Taccuini
d'appun-ti e di viaggio, l'unica fonte cui si può
attingere per ricostruire il suo itinera-rio, non avendo Tolstoj mai più in se-guito fatto cenno nelle sue opere a que-sto viaggio.
« 13 giugno. Ginevra-Chambéry... Alle sei partiti per Chambéry con un Savoiardo, un francese burlone e gentile, pieno di salute, col suo cane.
14 giugno. Chambéry-Lanslebourg. Dormi-to sino a mezzogiorno. Poi in ferrovia e oltre sino a Lanslebourg. Con un Piemon-tese brillo e un fulvo conducente dai gran-di occhi e dal sorriso canzonatorio... 15 giugno. Lanslebourg-Torino. Dormito sino alle 5. Attraversato il Mont Cenis. Lago trasparente. Alle 9 sedetti in diligen-za. Un cortese Torinese. Arrivammo alle
12, all'una incontrammo Botkin. È ammalato, vecchio, ed è penoso stare con l u i -Arrivati DruSinin e Botkin junior, piace-vole compagnia. Andammo in due teatri, al caffè. Cantanti di strada. Un Apollo che fa piroette ».
Tolstoj è partito da Clarens, un'amena località sul lago di Ginevra, per la Sa-voia e il Piemonte. Forse ve l'ha spinto, oltre il desiderio di incontrare a Torino i due amici D r u i i n i n e Botkin, letterati, critici e giornalisti liberali, la curiosità di visitare le bellezze delle regioni al-pine evocate dagli stranieri, soprattutto inglesi, che per primi percorrevano le nostre vallate e affrontavano le nostre montagne Dagli appunti laconici dei
Diari tolstojani dobbiamo pensare che
egli godette intensamente delle impres-sioni di natura e dell'ambiente. A Chambéry, ancora parte del Regno di Sardegna ed anzi capitale della Savoia, trovò la ferrovia Victor-Emmanuel, sta-ta inaugurasta-ta l'anno prima, che in tre ore lo portò a St. Jean-de-Maurienne, poi prosegui in diligenza per Lansle-bourg, ai piedi del Moncenisio. Il ser-vizio « per poste » era allora assicurato dai Fratelli Bonnafous, dei savoiardi della Moriana trasferiti a T o r i n o2; il percorso da St. Jean a Susa durava cir-ca 12 ore e altre due ore erano neces-sarie per raggiungere Susa da Torino, come ci dicono le Guide dell'epoca. Ma Tolstoj, a quanto pare, preferi pernot-tare a Lanslebourg per affronpernot-tare sul far dell'alba le balze del Moncenisio; e co-si le impresco-sioni gli prendono la mano e ammira la trasparenza delle acque del lago presso il colle e gode della con-versazione di un cortese torinese, come il giorno prima si era divertito alle chiacchiere sconclusionate di un pie-montese brillo, suo compagno di viag-gio.
A mezzogiorno del 15 giugno Tolstoj è finalmente a Torino e all'una s'incontra con gli amici russi che l'avevano invi-tato a raggiungerli nella capitale subal-pina.
Ora possiamo immaginarci quel primo pomeriggio trascorso in città, sulla scor-ta degli avari appunti di viaggio. Sce-gliendo un albergo in centro, Tolstoj sarà forse stato attirato dalla fama
del-Ftitratto di L. N. Tolstoj al tempo del matrimonio
(1862).
l'Hotel d'Europe, in piazza Castello, che
aveva ospitato molti anni prima lo scrit-tore e poeta Vasilij 2ukovskij, istitu-tore dell'Erede al trono russo, nel corso del suo viaggio per le capitali europee del 1838 3; o anche dal
Métropole-Bon-ne Femme-Eeder, in via Guardinfanti,
oggi Barbaroux, lodato da Alessandro Herzen per la buona accoglienza rice-vutavi nel 1851, nei giorni delle «se-conde nozze » con la diletta e infelice moglie Natalie4. Poi è l'atmosfera cor-diale dei caffè torinesi che lo seduce: quei Ditey, Nazionale, S. Carlo, Fiorio, dove ci si svagava e insieme si faceva politica, com'è ben noto; e infatti gli amici russi qui trovano suonatori am-bulanti e acrobati da strada (« un Apol-lo che fa piroette »), ma non trascurano neppure di visitare due teatri, forse sen-za successo, essendo il lunedi giorno di chiusura 5.
« 1 6 giugno. Torino. Dormito troppo (per-so la diligenza) per Genova. Andai in due Musei, delle Armi e delle Statue e alla Camera dei Deputati. Abbiamo pranzato tutti insieme magnificamente. Poi siamo andati a passeggiare... A un concerto, a udire le sorelle Ferni. La migliore società del regno sardo. Piacevolmente
chiacchie-rai con Dru&nin e mi coricai tardi. Botkin prova per Druzinin un tacito odio. 17 giugno. Torino-St. Martin. Mi sono svegliato presto, ho fatto un bagno, sono corso ali'Atheneum. Senso d'invidia per quella vita giovane, forte, libera. Andam-mo al caffè. Dovunque si può vivere e bene. Partimmo con Vladimir Botkin per Chivasso. Commento all'interpellanza di Brofferio. — In diligenza con Angelet, un suo compagno e un Italiano biondo. Un ufficiale a riposo, burlone, che ha stima dei postriboli. Una signora, alla cui pre-senza si parla di... Abbiamo pranzato a Ivrea. Gli amici ci hanno offerto il caffè. Siamo giunti stancandoci molto sino a St. Martin. Vigneti a terrazze e lucciole. Si, signore (in it. nel testo) ».
Ecco altri due giorni di soggiorno tori-nese e l'inizio del viaggio valdostano, che vale la pena di seguire attraverso le notazioni dei Diari. Curioso anzitutto
è l'appunto su Genova, che ci fa
pen-sare fosse intenzione di Tolstoj visitare pure la capitale ligure; e dobbiamo rammaricarci che non abbia realizzato il progetto, perché avremmo potuto con-frontare le sue osservazioni con quel-le di Gogol' e Herzen, incantati della « varietà di case, chiese e palazzi », dei « giochi di luce multicolori », dell'« aria sottile, frizzante, inconcepibilmente az-zurra », delle « vie a serpentina, piene di botteghe di argentieri e di orafi », dei « pittoreschi veli di merletto delle donne, appena mossi da un tiepido sci-rocco », del « sonoro dialetto per le strade », delle « porte spalancate delle chiese », dell'« odore d'incenso che ne usciva » 6; o della sontuosa espansione della città, dai colli al mare, degli « enormi palazzi di marmo, alti quanto i nostri campanili e ai piedi strette viuzze senza fine, piene di popolo che qui lavora, mangia, canta le sue can-zoni, non fa che gridare e agitare le mani... »7.
Notevole poi la scelta, fra gli altri nu-merosi, dei due Musei visitati, quelli « delle Armi e delle Statue », a dimo-strazione dei gusti e delle inclinazioni del giovane Tolstoj. Il « Museo delle Armi » è senza dubbio l'Armeria Reale, con le sue preziose collezioni storico-artistiche, ch'era stata aperta al pub-blico nel '37 per la liberalità di re
Car-lo Alberto 8, mentre quello « delle Sta-tue » non può essere che il « R. Museo Egizio e di Antichità greco-romane », come allora si chiamava, il quale com-prendeva sia le raccolte e lo « statua-rio » egizio (inaugurati nel '24, con l'ac-quisizione da parte di Carlo Felice delle collezioni drovettiane), che i pezzi d'an-tichità greco-romane, trasferiti nel '32 dal Palazzo dell'Università nel grandio-so edifìcio guariniano dell'Accademia delle Scienze9. Si deve pensare che Tol-stoj fosse allora ancora interessato al mondo militare e che quegli esemplari di armi e armature antiche gli evocas-sero passate e recenti tenzoni; mentre le raccolte egizie e quelle dell'antichità classica dovevano apparirgli come te-stimonianze affascinanti di una remota
Torino: veduta dei Palazzo Teatro Carignano. dei Gonin.
civiltà ancora in parte avvolta nel mi-stero, nonché di quel comune retaggio indoeuropeo cui anche gli Slavi appar-tengono. All'Università poi, che Tolstoj chiama Atheneum, non furono soltanto impressioni di natura estetica che lo col-pirono, per quell'augusto cortile qua-drato con portico a colonne, che so-stengono una galleria superiore o quei « portici sottani dove sonvi molte lapi-di romane trovate in Piemonte e illu-strate da Scipione Maffei, nonché bas-sorilievi e statue e grandiose scale ador-ne di vasi istoriati di marmo », com'è detto in una Guida di Torino del 1856. Qui infatti egli sentì pulsare una « vita giovane, forte, libera » che destò in lui un senso d'invidia: è il « magnifico de-cennio » di Torino, che vide convenuti
Gressoney-Saint-Jean.
sotto i portici di via Po giovani di tutta Italia, coi loro insegnanti e uomini po-litici e d'azione. Bertrando Spaventa e Francesco De Sanctis componevano qui i loro saggi che il Croce giudicò « ciò che di più notevole produsse il pensiero italiano dal 1850 al 1860 »; De Meis, Mancini, Scialoja, Cosenz, Marvasi, Pi-ria, Crispi accrescevano le file
dell'in-telligencija meridionale nella « Mecca
d'Italia ». Come dirà il De Sanctis, « l'unità d'Italia si è fatta convergendo ad un centro che è stato il Piemonte. Nobile paese è il Piemonte, a cui tutti gli Italiani in ogni tempo debbono ave-re gratitudine e mostraave-re onoranza per-ché col suo senno e colla sua tempe-ranza ha mantenuta accesa la fiaccola della libertà spenta altrove, perché ha dato il sangue dei suoi prodi per ser-bare l'onore d'Italia, perché ci ha dato un esercito ottimamente ordinato ed un miracolo di re galantuomo »1 0. Tutto ciò doveva comprendere Tolstoj, che ebbe pure occasione di assistere a Pa-lazzo Carignano a una seduta del Par-lamento Subalpino, nel corso della qua-le udì il Brofferio interpellare il Gover-no circa la missione affidata al Boncom-pagni a Bologna e Cavour rispondere che la stessa non aveva alcuno scopo politico, ma solo di omaggio al Capo della Chiesa Il polemico discorso del deputato della Sinistra dovette fare su Tolstoj un certo effetto, se troviamo ap-puntato nei Diari ch'egli ne parlerà nel viaggio in treno per Chivasso; in italia-no doveva esprimersi discretamente, o comunque capire la nostra lingua, aven-done prese parecchie lezioni a Parigi ed essendo in grado di leggere nell'origi-nale l'alfieriana Mirra, portata allora sulle scene da Adelaide Ristori, della quale ricorda che « un solo gesto poe-tico vale cinque atti di menzogna ».
La « questione italiana » era senza dub-bio, per i Russi che in quegli anni vi-sitavano il nostro Paese, come uno spec-chio riflettente di altre realtà politico-nazionali; e Tolstoj, considerando le va-rie forze in campo, dai liberali costitu-zionalisti ai repubblicani ai radicali, do-veva trarne esempio per auspicare mi-gliori sorti al suo Paese, dove fervevano aspre polemiche fra latifondisti al
tra-monto, liberali progressisti e radicali ri-voluzionari.
Per concludere sulle impressioni torinesi di Tolstoj, sembra che quell'annotazio-ne: « dovunque si può vivere e bene », del Diario, abbinata ad altra dell'Agen-da dell'Agen-da viaggio sui « messieurs de Turin » visti al concerto delle sorelle Ferni n, di-mostrino di quante soddisfazioni, mate-riali e spirituali, fu pieno il soggiorno del Nostro a Torino, dove gli parve di respirare quell'aria di libertà che invano cercava fra le opposte fazioni in lotta a Pietroburgo.
L'itinerario valdostano viene affrontato in compagnia del giovane Botkin, più volte lodato per il carattere mite, forse per contrasto con quello aspro e bilioso del padre. Cosi si ripete ciò ch'era ac-caduto nei mesi precedenti durante le escursioni di Tolstoj in Svizzera, nel Vallese e nell'Oberland bernese, quan-d'egli aveva avuto a compagno l'adole-scente Sasa mentre vagabondava per la-ghi e villaggi alpestri, sulle orme delle
Julie rousseauiana, l'eroina della Nou-velle Hélo'ise, una delle letture
predi-lette della sua giovinezza. Dopo Chi-vasso, raggiunta in ferrovia, prosegue in diligenza per Ivrea, ma nessuna impres-sione riporta della città d'Arduino, ispi-ratrice della nostra Scapigliatura arti-stico-letteraria. Invece, avendo prose-guito a piedi per Pont-St. Martin con un'impresa degna di uno strannik (il pellegrino russo), appunta alcune nota-zioni di viaggio: i « vigneti a terrazze » (sulle pendici di Carema), le « luccio-le », apparenti e sparenti fra i pampani a sera, il « si, signore », raccolto sulle labbra di qualche garzone d'osteria lun-go il cammino. E ben possiamo imma-ginarlo in ammirazione dell'imbocco scenografico della Valle d'Aosta, delle quinte montagnose incombenti, del lon-tano sfavillare dei ghiacciai del Bianco, che vedrà più da vicino durante le escur-sioni dei giorni seguenti. Ma qui dob-biamo riprendere le note dei Diari di questo singolare turista-alpinista d'altri tempi.
« 18 giugno. St. Martin-Gressoney. Ho dor-mito sino a che il mio amico non è venuto a svegliarmi. Alzatomi, andai a vedere una processione. Un (uomo col profilo alla)
Brusson. Vallèe de Challand.
Voltaire, in mantello bianco, regge il bal-dacchino. Proseguimmo a dorso di mulo per Gressoney, dove pare ci siano delle bellezze. Io mi arrampicai per le rocce sino a Perloz, lo raggiunsi, mi stancai ter-ribilmente, arrivammo a Gressoney in com-pagnia di un'allegra guida tedesca. Piove, ma è piacevole. Una gigantesca servente. L'ho chiamata e l'attendo.
19 giugno. Gressoney. Non ho dormito sino alle 12. Orribile agitazione. Piove, non si parte... Sono un mostro, ma voglio fortemente. Ho scritto due paginette del
Cosacco. Letto l'incantevole Goethe, Ad-dio e incontro. Andato sino alla Trinité.
Una valle simile a Grindelwald, bella. Vladimir Botkin è un gentile buon ragazzo russo.
20 giugno. Gressoney-Chambave. Partiti alle 6. Saliti sino a una cappella. Aria pura e rarefatta e suoni chiari sui monti, bastonata a una pietra. Incontro con un bel ragazzo che canta. Veduta sulla Valle d'Aosta e su una catena di monti. Disce-sa, aromi. Incontro con un padrino e una madrina che portano un bambino. Odori di segala, melissa, erbe e orina calda. Canto di cuculo sui monti. Pace, uccelli, tipi deformi. Brusson. Seconda salita... Bo-sco di pini. Solo presso un ruscello. Altro panorama sulla valle d'Aosta. Castagni e noci. Valletta a vigneti. St. Vincent. Ta-baccaia bellina, acque, casinò. Viaggiamo da signori. A piedi sino a Chambave. Rovine ».
A Pont-St. Martin, dopo un meritato ri-poso, attende Tolstoj, il mattino dopo, un inconsueto spettacolo: una rustica processione, forse in occasione della fe-sta del Corpus Domini, con un « Vol-taire in mantello bianco » che regge il baldacchino. Doveva trattarsi di un vec-chio contadino dal naso adunco, nei pa-ludamenti di una confraternita religio-sa; ma quel richiamo al « patriarca di Ferney » ha sapore ironico, mentre c'è da credere che la cerimonia paesana ab-bia affascinato Tolstoj, non insensibile
a quelle solenni del rito ortodosso 13.
Poi egli parte per Gressoney, attrattovi dal grandioso panorama e dalla fama delle bellezze locali; e cosi, a dorso di mulo, s'inoltra con Botkin nella valle deviando però verso le poche case di Perloz, appollaiate sulle rocce, per rag-giungere le quali confessa di essersi stancato terribilmente. Che abbia ripen-sato allora all'aùf caucasico di Staryj
Saint Vincent.
Jurt, dove aveva vissuto negli anni del suo servizio militare? È ben possibile, cosi come che i luoghi e le persone, fiere, scontrose, un po' selvagge gli ab-biano ricordato il mondo da lui cono-sciuto, e poeticamente rimeditato nella lenta stesura del « romanzo di costu-mi », che infine pubblicherà nel '63 sot-to il tisot-tolo I Cosacchi.
A Gressoney Tolstoj arriva infine sotto la pioggia, ma di ottimo umore, avendo trovato per via una guida dalla parlata tedesca, evidentemente un valligiano. Vogliamo indagare anche sul suo per-nottamento? È semplice, in quel tempo solo il Delapierre teneva locanda, aper-ta verso il 1850 e assai lodaaper-ta dai fo-restieri per l'ottima cucina, l'estrema pulizia e la cordiale accoglienza1 4. Però il maltempo impedisce a Tolstoj di fare altre escursioni (forse l'ha un poco turbato anche la mancata avventura con la cameriera), ma nel pomeriggio del 19 giugno, probabilmente durante una schiarita, raggiunge nel fondovalle la aprica Gressoney-la-Trinité, allora vil-laggio di poche case, rientrando poi a St. Jean; sarà durante quella camminata che avrà potuto ammirare più da vicino la cerchia del Monte Rosa e parago-nare la valle del Lys con quella svizzera di Grindelwald, visitata alcuni giorni prima. L'uggia del clima avverso viene vinta anche con otia intellettuali: la let-tura di Willkommen und Abschied, di Goethe, giudicato « incantevole » e la stesura di due pagine del suo Cosacco I5.
Ma il mattino dopo l'attende la pro-grammata traversata di due colli onde riaffacciarsi nella valle centrale e prose-guire per Aosta. L'itinerario prescelto è quello del colle della Ranzola (2170 m), che viene raggiunto senza difficoltà; ciò che più colpisce il Nostro durante la salita è la grande pace dell'alpe, l'aria pura e rarefatta, i forti aromi, il canto di uccelli di montagna I6. Anche la di-scesa su Brusson, in vai d'Ayas, è pun-teggiata di notazioni di natura, cui si ag-giungono due inattesi incontri: con una coppia di padrini che portano un bimbo a battezzare e con un bel pastorello che rompe col suo canto l'alto silenzio: co-me poteva il « troglodita » Lev Nikolae-vic non sentirsi felice? Con altrettanta baldanza e intima gioia egli affronta poi
la seconda salita verso il Colle di Joux 17 per scendere indi a St. Vincent e nuova-mente annota l'emozione della perfetta solitudine presso un ruscello, la folta vegetazione di un bosco di castagni e noci, piante inconsuete nel paesaggio russo, l'incanto di una piccola conca col-tivata a vigneto e di nuovo, come alla Ranzola, contempla in lontananza la cerchia delle Alpi. A St. Vincent, già nota per la sua fonte termale (non-ché per il Casinò da gioco), non cede alla tentazione di servirsi dei mezzi normali di comunicazione e prosegue a piedi per poter ancora vedere da vici-no le « rovine » dei castelli di St. Vcent, di Chatillon, di Ussel, di Cly; in-fine trova a pernottare a Chambave, no-to per il buon vino, dopo la memoranda