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Il limite dell’exceptio doli come principio generale dell’ordinamento

Nel valutare l’eventuale valore dell’oggetto sociale all’esterno della società, bisogna ricordare che il principio che regola i rapporti tra atti compiuti dagli amministratori e terzi è quello, come detto, della validità, nei rapporti esterni, dell’operato degli amministratori, salvo il caso in cui sia provato che il terzo abbia agito intenzionalmente in danno della società, non essendo più sufficiente fornire la prova della mala fede del terzo, ossia della sua effettiva conoscenza di limitazioni statutarie del potere di rappresentanza. Il concetto cui qui ci si riferisce, e come testualmente indicato anche dalla Relazione illustrativa, è quello di exceptio doli185.

183 Cass. 18 febbraio 2000, n. 1817, e Cass. 14 maggio 1999, n. 4774, entrambe citate.

184 Lapalissiana anche la conclusione di C. Bolognesi, Poteri di rappresentanza e conflitti d’interessi

degli amministratori di s.p.a., nota a Cass. 7 ottobre 2005 - 26 gennaio 2006, n. 1525, in Impresa c.i.,

2006, 1645, secondo il quale non ha più alcun pregio nei rapporti esterni l’estraneità all’oggetto sociale del’atto compiuto da un amministratore di una società per azioni.

185 Sul tema dell’exceptio doli e degli aspetti ad esso connessi, si può fare riferimento ai seguenti

scritti: G. Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, Padova, 2005; A. Dolmetta, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, 147 ss.; F. Bonelli, Escussione

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Spesso ricollegabile alla clausola generale di buona fede186 o al divieto di abuso del

diritto187, l’exceptio doli188 rappresenta una delle più rilevanti estrinsecazioni del ruolo

propulsivo dell’ordinamento giuridico assunto dalla recente giurisprudenza. L’istituto, che risale al diritto romano, rappresenta un rimedio generale diretto a precludere l’esercizio sleale dei diritti riconosciuti dall’ordinamento. Nel diritto romano, l’exceptio doli consentiva al giudice la valutazione del comportamento del deceptor dopo la conclusione del negozio giuridico. Tale mezzo di difesa veniva utilizzato per evitare una condanna che, seppur fondata sullo ius civile, rappresentasse nel caso concreto una iniquità. Il deceptor poteva quindi soccombere per un comportamento malizioso tenuto dopo la conclusione del negozio. D’altra parte, egli poteva, dopo la conclusione del negozio, neutralizzare gli effetti del precedente comportamento doloso, rendendo così

abusiva delle garanzie bancarie a prima domanda, in Dir. comm. intern., 1988, 498 ss.; L. Nanni, L’uso giurisprudenziale dell’“exceptio doli generalis”, in Contr. e impr., 1986, 215 ss.

186 In materia di buona fede, tra i tanti Y. Adar - P. Sirena, La dialettica di princípi e regole nel diritto

comune dei contratti, in Osservatorio dir. civ. comm., 2013, 2, 227; M. Barcellona, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in S. Mazzamuto (a cura di), Il contratto e le tutele, Torino, 2002,

308; Id., Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006, 211; C. M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento

contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 205 ss. ; L. Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto civile, in Digesto disc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, 169; U. Breccia, Diligenza e buona fede nell’attuazione del

rapporto obbligatorio, Milano, 1968, 3 ss.; A. De Vita, Buona fede e common law. Attrazione non

fatale nella storia del contratto, in L. Garofalo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva

nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, 2003, 459 ss.; M. L. Loi - F. Tessitori, Buona fede e responsabilità precontrattuale, Milano, 1975, 19; E. Navarretta, Buona fede oggettiva,

contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir. civ., 2005, 508; O. Troiano, Buona fede e contratti standard: riflessioni sull’impiego della clausola generale nel diritto privato comunitario, in Contratti,

2006, 191; G. Vettori, Buona fede e diritto europeo dei contratti, ivi, 2002, 915 ss.

187 L’abuso del diritto è stato oggetto di numerosi contributi dottrinali, anche piuttosto datati,

tra cui: M. Rotondi, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1923, 105 ss.; U. Natoli, Note preliminari ad

una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, 37

ss.; P. Rescigno, L’abuso del diritto, Bologna, 1998, 13 ss.; S. Romano, Abuso del diritto, in Enc.

dir., I, Milano, 1958, 168 ss.; S. Patti, Abuso del diritto, in Dig. disc. priv., Torino, 1987, 2 ss.; D.

Messinetti, Abuso del diritto, in Enc. dir., Aggiorn. II, Milano, 1998, 1 ss.; C. Salvi, Abuso del diritto.

I) Diritto civile, in Enc. giur., I, Roma, 1988; A. Gambaro, Abuso del diritto. II) Diritto comparato e straniero, in Enc. giur., I, Roma, 1988; Aa. Vv., L’abuso del diritto, in Diritto privato 1997, Padova,

1998.

188 Trib. Milano 13 dicembre 1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, 588 ss., afferma che l’exceptio

doli è fondata sul principio di buona fede, il quale esclude che un soggetto possa conseguire un

utile in danno di altri utilizzando in modo formalmente corretto le facoltà concessegli dal regolamento negoziale, ma per finalità e con esiti contrastanti con lo scopo perseguito dalle parti col negozio e non meritevoli di tutela.

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inammissibile l’eccezione di dolo. L’istituto trovò grande applicazione nel diritto romano e fu esteso a diverse situazioni caratterizzate da comportamento malizioso di una delle parti, diventando una sorta di rimedio generale posto a tutela di ogni contraente in buona fede189.

Nel nostro ordinamento, un riconoscimento espresso dell’exceptio doli non è codificato. Ciononostante, la ricorrenza di tale istituto è ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza alla stregua del principio di solidarietà che impone a ciascun contraente di esercitare i propri diritti selezionando, fra più modalità possibili, quella meno incisiva della sfera giuridica altrui. Nei limiti di un sacrificio non apprezzabile, i principi di correttezza e buona fede impongono al titolare del diritto di astenersi dal porre in essere condotte che, seppur formalmente lecite, si traducono in una lesione del diritto della controparte. In effetti, da una lettura complessiva dell’ordinamento si evince che esso accorda alle parti contraenti la possibilità di opporsi all’altrui pretesa o eccezione che, sebbene in astratto fondata, sia in concreto espressione dell’esercizio doloso o scorretto di un diritto, finalizzato alla realizzazione di interessi ritenuti non meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento. In tale prospettiva, l’eccezione di dolo impedisce l’efficacia di un atto o comporta il rigetto di una domanda giudiziale190.

La dottrina tradizionalmente individua due forme di exceptio doli: “seu praesentis” (“generalis”) e “seu preteritis” (“specialis”). Siffatte tipologie di eccezione sono state

189 Secondo quanto riferisce il giurista romano Gaio nelle sue celeberrime Istituzioni, le eccezioni

non trovavano applicazione nel solo caso di azioni in personam, ma anche nel caso di azioni in

rem, come è il caso della exceptio doli. Formalmente, la exceptio era inserita in seguito alla intentio,

essendo strutturata come una condizione negativa della condanna, rispetto alla intentio, che invece rappresentava una condizione positiva. Gaio distingueva le eccezioni fra peremptoriae e

dilatoriae. Le prime erano perpetue e non potevano mai essere evitate, come l'exceptio doli e

l'exceptio pacti e, una volta proposte, conducevano comportavano il rigetto della domanda e la preclusione all'attore della possibilità di agire, per effetto della litis contestatio. Le seconde, invece, restavano valide solo per un determinato periodo di tempo, per cui l'attore, al quale fossero opposte, era costretto a differire la causa al momento in cui esse non avrebbero potuto più farsi valere.

190 La dottrina più volte si è interrogata sui rapporti dell’istituto con la clausola generale di

buona fede e con l’abuso del diritto, talvolta ravvisandone il fondamento, altre volte valutando la fungibilità o meno dei vari rimedi. In effetti, il confine tra i vari istituti non sempre è di facile individuazione, in quanto un’interpretazione costituzionalmente orientata dei vincoli contrattuali impone alle parti contraenti, sia nella formazione che nell’esecuzione del contratto, di perseguire un risultato sostanzialmente giusto, che va al di là del mero rispetto degli obblighi formali imposti dalla legge.

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esaminate in una nota pronuncia della Cassazione191. In tale occasione, la Suprema

Corte ha rammentato che l’exceptio doli seu preteritis riguarda il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto ed è diretta a far valere, sia in via di azione che di eccezione, l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, mantenendo un comportamento che assume rilievo – quale dolo incidente – nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito sulle modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato se non fosse stata fuorviata dal raggiro, non comportante l’invalidità del contratto bensì la responsabilità del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito.

L’exceptio doli generalis seu praesentis attiene invece al dolo attuale, commesso al momento in cui viene intentata l’azione nel processo, essendo, in quanto rimedio di carattere generale, utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste. Tale eccezione è diretta a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti ogniqualvolta l’attore abbia sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanzato richieste di pagamento prima facie abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di venire contra factum proprium.

Seppur in mancanza di un espresso riconoscimento nel codice civile, diverse previsioni codicistiche rappresentano l’esplicazione di tale principio. Ad esempio, l’art. 1993, comma 2, nell’ambito delle eccezioni opponibili nei titoli di credito, dispone che il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori, soltanto se, nell'acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo. Un’altra rilevante estrinsecazione di tali principi si ravvisa nella replicatio doli di cui all’art. 1460 c.c. La norma, nel disciplinare l’eccezione d'inadempimento nei contratti con prestazioni corrispettive, prevede la possibilità per ciascuno dei contraenti di rifiutare l’adempimento dell’obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano

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stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia, non è possibile rifiutarsi l'esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.

Dottrina e giurisprudenza ritengono che anche l’art. 2384 c.c., comma 2, per le società per azioni e l’art. 2475-bis c.c., comma 2, rientrino tra i casi di exceptio doli presenti nel nostro ordinamento192. Come tale pertanto andranno trattate tali situazioni: e, come

abbiamo già visto, tale lo considera espressamente anche la Relazione illustrativa al decreto attuativo della riforma del diritto societario del 2003.

In questo senso, partendo dal fatto che è stato espunto il precedente art. 2384-bis c.c. dal nostro ordinamento, l’unico senso da poter dare all’exceptio doli nei casi previsti dall’art. 2384 c.c. e all’art. 2475-bis c.c. - entrambi riformati - sembra essere quello secondo cui non è sufficiente provare che il terzo conosceva o, date le circostanze, non poteva ignorare l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale (così facendo si finirebbe infatti per riconoscere al terzo la medesima tutela accordata dal precedentemente in vigore art. 2384-bis c.c., togliendo così significato alla sua abrogazione), ma occorre dimostrare altresì un comportamento del terzo diretto a favorire o promuovere la violazione statutaria pregiudizievole per la società o quanto meno la consapevolezza da parte del terzo del pregiudizio193.

Se però questo è - e francamente pare impossibile il contrario - il senso da attribuire al concetto di exceptio doli nel comportamento del terzo che entri in contatto con l’amministratore di una società, in realtà non si tratterebbe di nulla di più che rimarcare, da parte del legislatore, l’esistenza del principio di exceptio doli nel nostro ordinamento e non solo in ambito societario. Stando così le cose, se il principio della rilevanza degli atti compiuti da un amministratore che esulino dall’oggetto sociale vede come unico limite non una norma specifica per la materia in oggetto bensì un limite generale dell’ordinamento, ne deriva che lo stesso principio sarebbe confermato in toto. Detto altrimenti, il fatto che l’unico limite alla rilevanza esterna degli atti compiuti dall’amministratore sia un altro principio generale dell’ordinamento (quale

192 Per tutti, si veda G. Falco, La buona fede e l’abuso del diritto. Prinzipi, fattispecie e casistica,

Milano, 2010, 5.

193 V. Calandra Bonaura, Il potere di rappresentanza degli amministratori di società per azioni, cit.,

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quello dell’exceptio doli) non farebbe altro che confermare l’assolutezza del suddetto principio in ambito societario, che vede appunto come limite non una disposizione specifica del diritto societario ma solo una clausola di salvaguardia sistemica, con la conseguenza che deve confermarsi l’assoluta irrilevanza esterna dell’oggetto sociale.

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