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2.2 : Limiti legali nella fattispecie dell'usura

Come ho accennato nel paragrafo precedente, l’usura è un reato contro il patrimonio mediante frode, disciplinato dall’art. 644 del c.p., come modificato dalla l. 7 marzo 1996, n.108.

Si tratta di un fenomeno che si sostanzia prevalentemente nella concessione di un prestito di denaro in cambio di interessi c.d. “usurari”.

Con la legge n. 108/1996, la determinazione dei tassi d’usura viene demandata ad un meccanismo oggettivo e trasparente, consistente nella rilevazione trimestrale, da parte del Ministro del tesoro, del c.d. “tasso soglia”, sulla base dei tassi d’interesse normalmente praticati dalle banche.

Il “tasso soglia” è la misura massima di tasso d’interesse applicabile, superata la quale l’interesse è da considerarsi automaticamente usurario, integrandosi così la fattispecie di reato.

La conoscibilità dei tassi d’usura è garantita dalla pubblicazione trimestrale sulla Gazzetta Ufficiale e dall’affissione obbligatoria nei locali di ciascuna filiale bancaria e delle società finanziarie dei “tassi soglia”.

L’usura non è soltanto un atto criminale, ma un fenomeno complesso che presenta ramificazioni nel campo sociale, economico, finanziario e anche etico. E’ un reato comune in tutti i sensi tecnici, sia perchè realizzabile da “chiunque”, sia perchè il soggetto attivo, nella fattispecie non aggravata, non presenta alcuna qualità rilevante, nel senso di un rapporto specifico che lo leghi al bene giuridico tutelato dalla norma penale. Inoltre, le azioni dell’usuraio si inseriscono nella realtà di una condotta continuata, diversa da quell’ abituale che s’identifica nell’aggravante. É giusto anche rilevare che per la perfezione del reato la norma incriminatrice non richiede (e non richiese mai nemmeno nell’abrogata disciplina) alcuna ripetitività della condotta, che pertanto si consuma istantaneamente, con la stipulazione del singolo negoziato usuraio.

In via generale, si può affermare che la persona indotta al patto usuraio presenta caratteristiche psicologiche che non risultano rilevanti dal punto di vista tecnico/giuridico, se non in via negativa: non deve trattarsi, cioè, delle condizioni previste dalla fattispecie della “circonvenzione di persone incapaci”, di cui all’art. 643 c.p.

In ogni ipotesi d’usura, l’approfittamento è in re ipsa; con l’unica differenza che mentre quando il tasso soglia è superato, esso è presunto, invece negli altri casi deve essere oggetto di specifica indagine probatoria.36

Di fronte all’ipotesi comune (o semplice), nella cui descrizione non si menziona la situazione della vittima, se non in via negativa, sono individuabili circostanze aggravanti classificabili in tre tipi:

¾ Quelle che si riferiscono all’attività professionale del soggetto attivo; ¾ Quelle che attengono al contenuto della garanzia usuraria (che saranno

considerate con l’analisi delle forme di condotta);

¾ Quelle concernenti le condizioni del soggetto passivo, che consistono nello stato di bisogno o nell’attività svolta dallo stesso.

Sebbene, in ogni caso, il denominatore comune sia costituito da una situazione che agevola l’azione criminosa, ciascuna delle cause aggravanti conserva la sua autonomia.

Per quanto riguarda lo stato di bisogno, le nuove norme non semplificano il problema. Il diverso ruolo che “ lo stato di bisogno” esplica oggi come circostanza aggravante, rispetto a quello di elemento costitutivo comune e generale della fattispecie incriminatrice, sottopone il concetto ad un’esigenza ineludibile di comparazione per il quid pluris, destinato a qualificarlo e a differenziarlo da quella generica attività di approfittamento che è presente anche nell’ipotesi non aggravata.

La nozione economica di ‘bisogno’, come mancanza di un bene e come tensione verso il suo soddisfacimento, deve essere trattata ponendo l’accento sulla differenza che intercorre tra “stato di bisogno” e “stato di necessità” 37.

Nell’art. 644 si afferma espressamente che lo “stato di bisogno” non è considerato come una situazione materiale bensì come una condizione psicologica vissuta dalla persona, a causa della quale non si gode della piena libertà di scelta. Tale stato può essere indifferentemente determinato da pericoli, sventure, vizi, prodigalità e altre colpe non scusabili. La norma persegue la finalità di punire l’usuraio quale persona socialmente nociva, che non cessa d’essere tale quale che sia la natura o la causa del bisogno del debitore (Cass. Pen. Sez. II, 5maggio1993 in Cass. Pen. 1995, 55)38.

La fattispecie legale dell’usura è descritta nella seconda parte del c. 3? nel quale si afferma: “È punito a norma dell’art. 644, c. 1, c.p. chiunque, fuori dei casi

previsti dall’art 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per se o per gli altri, da soggetto in condizioni di difficoltà economica o finanziaria, in corrispettivo di una prestazione di denaro o d’altra utilità, interessi o altri vantaggi, quindi possiamo notare come la vecchia metodologia interpretativa al fine della sussistenza del dolo è tecnicamente mutata, rispetto a, quando lo stato di bisogno, in quanto elemento costitutivo, doveva essere conosciuto dall’agente

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.?

La giurisprudenza, nel costante riferimento alla nozione di dolo diretto, non contempla nessuna differenza fra la coscienza e la volontà dell’agente.

La tendenza a considerare dolosi tutti gli elementi, al di là delle motivazioni, implica il rischio di assimilare l’elemento psichico al comportamento materiale, svuotando di contenuto l’indagine. E’ opportuno quindi confutare più analiticamente la teoria del dolus in re ipsa dal punto di vista della sua applicabilità, in modo da non creare difficoltà, almeno sul piano processuale, nel

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Fiandaca-Musco,

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nello stesso senso cfr. Cass. Pen., Sez. II, 29 gennaio 1985, in Cass. Pen.1986, 1282; Cass. Pen., Sez. II, 13 gennaio 1989, in Cass. Pen., 1992,82.

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Lo slittamento dello stato di bisogno sul piano di rilevanza delle circostanze impone dunque di considerare superata , se non dei nuovi limiti di cui all’art.59 c.p la precedente giurisprudenza per la quale il dolo era definito come “consapevolezza dello stato di bisogno in cui versa il datore o promettente degli interessi usurari e dalla parallela volontà di trarre profitta da tale tale particolare situzione” ( Cass. Pen., Sez. II, 18 maggio 1978, in Cass. Pen., 1979, 1453, con nota di Luccioli).

distinguere e riconoscere la condotta psichica. Succede molto spesso che nel tentativo di voler dimostrare troppo si finisca per ipertrofizzare l’indagine.

Per la prima volta, colmando ufficialmente (ma molto apparentemente) una lacuna antica, dall’art. 644, c. 3 si apprende che “la legge stabilisce il limite oltre

il quale gli interessi sono sempre usurari”. La categoria cui appartiene, per omogeneità di natura, oggetto, importo, durata, rischi e garanzie, l’operazione di credito sottoposta a giudizio, approda ad una classificazione effettuata annualmente con decreto del Ministero del Tesoro, sentiti la Banca D’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Sul piano quantitativo, la rilevazione è operata nelle forme descritte dal c. 1 dell’art. 2, il quale si basa sul “tasso effettivo medio, comprensivo di commissione, di remunerazione a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi ufficialmente ammessi, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura. I valori medi derivanti ha avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e ai tassi praticati per operazioni similari dal sistema bancario e finanziario, risultano sproporzionati rispetto alle prestazioni di denaro e di utilità”

Con gli stessi presupposti oggettivi e soggettivi, e con le stesse pene è punita anche la mediazione con la quale sia stato pattuito od ottenuto un compenso che,

“avuto riguardo alle concrete modalità del fatto, risulta sproporzionato rispetto all’opera di mediazione” stessa.

Dunque, allo stato della normativa vigente, possiamo affermare che per verificare l’effettiva concretezza del contenuto, l’unico riferimento è costituito dai giudizi di valore che devono essere presi con criterio analitico.

Prima di continuare, mi sembra necessario far riferimento alla possibilità che possa prospettarsi un dubbio sulla legittimità costituzionale sull’aspetto problematico della norma presa in esame, in relazione al “principio di determinatezza” ricavabile dall’ art. 25, c. 2, Cost. (ovviamente, a mero livello di

La giurisprudenza costituzionale precedente alla sent. n° 96/1981, dichiarava costituzionalmente legittimo l’art. 603 c.p. che prevedeva il reato di plagio, appariva quindi il totale rifiuto a considerare il principio di determinatezza. Un esempio rilevante si può vedere nella sentenza n. 191 del 1970, con la quale si dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del art 527, 528, 529 c.p. in relazione all’art 25 Cost. “ in quanto il rinvio alla morale, al buon

costume, al comune sentimento da parte del legislatore è da considerare legittimo, trattandosi di concetti diffusi e generalmente compresi”. Nella

motivazione di questa sentenza si affermava che “il principio di legalità si attua

non soltanto con la rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie, ma, in talune ipotesi, con l’uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta lo abbia, o meno violato”.

Con la sentenza n. 96 del 1981 indubbiamente la Corte Costituzionale ha affrontato il problema con maggiore attenzione, pervenendo ad enunciazioni che oggi costituiscono un punto di riferimento per la dottrina.

Nella sentenza richiamata si afferma che: “ A base del principio di tassatività

della fattispecie contenuto nella riserva assoluta di legge in materia penale sta in primo luogo l’intento di evitare arbitri nell’applicazione di misure limitative di quel bene sommo ed inviolabile costituito dalla libertà personale. Ritiene quindi la corte, che, per effetto di tale principio, onere della legge penale sia quello di determinare la fattispecie criminosa con connotati precisi in modo che l’interprete, nel ricondurre l’ipotesi concreta alla norma di legge, possa esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da fondamento controllabile. Tale onere richiede una descrizione intelligibile della fattispecie astratta sia pure attraverso l’impiego di espressioni indicative o di valore, e risulta soddisfatto fintanto che nelle norme penali vi sia riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base ai criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiono verificabili. Un implicito e ulteriore sviluppo dei concetti ai quali questa giurisprudenza si era ispirata comporta che , se un simile accertamento difetta, l’impiego di espressioni intelligibili non sia più

idoneo ad adempiere all’onere di determinare la fattispecie in modo da assicurare una corrispondenza fra fatto storico, che concretizza un determinato illecito e il relativo modello astratto. Ogni giudizio di conformità del caso concreto a norma di questo tipo implicherebbe un’ opzione aprioristica e perciò arbitraria in ordine alla realizzazione dell’evento o al nesso di causalità che ha questo e gli atti diretti con il fatto posto in essere, frutto di analoga opzione operata dal legislatore sull’esistenza e sulla verificabilità del fenomeno. E pertanto nella dizione dell’art. 25 che impone espressamente al legislatore di formulare norme concettuali precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intelligibilità dei termini impiegati, deve logicamente ritenersi anche implicito l’onere di formulare ipotesi che esprimono fattispecie corrispondenti alla realtà”.

Da questa sentenza emerge che il problema d’incostituzionalità viene superato, in quanto il campo di analisi non si limita più al solo ambito patrimoniale.