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Usura: analisi storico-giuridico-economica del fenomeno

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze per la Pace

Corso di Laurea in

Cooperazione alloSviluppo Mediazione e

Trasformazione dei conflitti

Analisi storica-giuridica-economica

del fenomeno usura

Relatrice

Prof.ssa Maria Luisa Ruiz

Candidata

Emanuela Nesci

(2)

Indice

Introduzione

4

Capitolo 1

Profilo storico dell’usura

6

1.1 Dalla tradizione ebraico-biblico all’età carolingia 7

1.2 I monti di pietà 20

1.3 L’usura nel medioevo 23

1.4 Il concetto d’usura nel diritto moderno 40

Capitolo 2

L’usura: aspetti normativi e cenni economici

42

2.1 La legge sull’usura (7 marzo 1996): Un quadro generale 43 2.2 Limiti legali nella fattispecie dell’usura 57 2.3 L’azione di prevenzione delle legge n°108 del 1996 63

2.4 Usura e sistemi bancari 69

Capitolo 3

Aspetti Economici

77

Introduzione 78

3.1 La rischiosità 81

3.2 Asimmetria informativa 83

3.3 Usura 89

3.4 Riciclaggio e Usura 94

3.5 Usura, riciclaggio e criminalità 95

3.6 Razionamento del credito e ricorso all’usura 97 3.7 Cenni sulla struttura dei tassi d’interesse e la loro dinamica: Il

canale di politica monetaria: tasso ufficiale di sconto e tasso di

anticipazione 102

3.8 Tassi sui depositi bancari 104

3.9 Prime rate 105

3.10 Usura; I tassi soglia 105

Capitolo 4 Analisi del fenomeno usura e del racket sul

territorio nazionale

108

4.1 Estorsione 117

4.2 Usura 119

4.3 Incidenza dei reati di estorsione ed usura rispetto alla popolazione

delle provincie 120 4.4 Toscana 126 4.4.1 Firenze 130 4.4.2 Arezzo 131 4.4.3 Grosseto 132 4.4.4 Livorno 132

(3)

4.4.6 Massa-Carrara 133 4.4.7 Pisa 134 4.4.8 Pistoia 135 4.4.9 Prato 135 4.4.10 Siena 136 4.5 Sportello Famiglia 137 4.6 Calabria 139 4.6.1 Catanzaro 140 4.6.2 Cosenza 141 4.6.3 Crotone 142 4.6.4 Reggio Calabria 144 4.6.5 Vibo Valentia 145

4.7 A conclusione dell’analisi fatta : 147

Conclusioni

148

Bibliografia

151

Sitografia

155

Allegato 1 :

156

Legge 7 marzo 1996, n.108.-Disposizione in materia di usua

Allegato 2 :

163

Decreto del ministero del Tesoro 6 agosto- Determinazione, ai sensi dell’art. 15, della legge 7 marzo 1996, n.108, dei requisiti patrimoniali delle fondazioni e delle associazioni per la prevenzione del fenomeno dell’usura e dei requsiti di onorabilitàe professionalità degli eponenti delle medesime.

Allegato 3 :

165

DPR 11 giugno 1997 n.315 (pubblicato nella gazzetta ufficiale del 19 settembre 1997 n.219)-regolamento di attuazione dell’articolo 15 della legge 7 marzo 1996, n.108 concernente il Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura.

Allegato 4 :

189

DPR 29 gennaio 1997 n51-“Regolamento di attuazione dell’art.14 della legge 7 marzo 1996, n.108, recante disposizione in materia di usura”-Approvato dal Consiglio dei Ministri il 22 gennaio1997.

Allegato 5 :

173

Riunione della Commissione per la prevenzione del fenomeno dell’usura.

Allegato 6 :

177

Legge 23 febbraio 1999, n 44 – Disposizione concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura.(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.51 del 3 marzo 1999)

Allegato 7 :

193

DPR 16 agosto 1999, n 455- Regolamento recante norme concerneti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, ai sensi dell’art.21 della legge 23 febbraio 1999, n.44.

Allegato 8 :

201

Legge 12 novembre del 1999, n.414- Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 13 settembre 1999, n.317, recante disposizione urgenti a tutela delle vittime delle richieste estorsive e dell’usura.

(4)

Introduzione

“Molti dei nostri vanno spesso da lei. Ma è una carogna tremenda…” E si mise a raccontare quanto fosse cattiva, capricciosa, e come bastasse ritardare di un giorno il ritiro del pegno perché l’oggetto andasse perduto La somma che dava in prestito rappresentava un quarto del valore dell’oggetto, e lei prendeva il cinque e anche il sette per cento d’interesse al mese…

F. Dostoevskij

Il presente elaborato nasce da un personale interesse sul tema trattato e dalla necessità di trovare idee e parole per comprendere il fenomeno dell’usura, problematica che viene considerata ancor oggi come un tabù, ma che in realtà non conosce limiti né di tempo, né di spazio colpendo in maniera indiscriminata deboli e forti, piccoli e grandi.

La società civile, quotidianamente oppressa nella sua fragilità da inquietudini e preoccupazioni di carattere marcatamente economico, impone una riflessione su questo tema.

L’usura è un male che affonda le proprie radici nella storia dell’uomo.

Possono cambiare i nomi che si attribuiscono alle persone, alle cose, ai comportamenti, ma in sostanza l’usuraio è un individuo che sfrutta lo stato di necessità di un altro individuo per procacciarsi un indebito guadagno. In questo senso si configura come un vero è proprio parassita che risucchia le energie economiche della vittima spogliandolo di tutto ciò che ha valore e portandolo ad uno stato di sottomissione morale, psicologica ed economica.

La debolezza sociale, sintesi di una serie di circostanze che gravano sugli individui - tra cui l’instabilità delle condizioni lavorative, l’eccessivo carico familiare rispetto ad un reddito inadeguato, le malattie invalidanti, le condizioni relative all’emigrazione ecc. – genera la vulnerabilità di alcune categorie sociali e attrae il mercato del credito illegale. Emarginazione ed isolamento - quindi esclusione dai normali circuiti creditizi – favoriscono la presa di potere degli usurai. L’usura è un fenomeno magmatico, difficilmente incasellabile in una definizione unanimemente accreditata.

Non è mia intenzione inoltrarmi nei numerosi diverbi definitori, questo lavoro vuole investigare gli aspetti storici, giuridici ed economici del fenomeno conducendo

(5)

E’ facile cadere negli stereotipi, così com’è facile scivolare nel circolo vizioso dell’usura. Soprattutto nel Sud d’Italia, è proprio grazie a questa pratica che le organizzazioni mafiose riciclano parte delle loro ricchezze illecite, controllano il territorio, si impossessano di attività produttive e commerciali influenzando così le dinamiche di mercato ad ampio raggio.

Un punto importante sarà l’analisi della legge n 108 del 7 marzo 1996, “Disposizione in materia d’usura” approvata dal Parlamento, che stabilisce il limite oltre il quale il tasso d’interesse è da ritenersi usurario. Questa norma fornisce una definizione precisa del reato di usura, inasprisce le pene per chi lo commette e alla luce delle nuove trasformazioni sociali, economiche ed etiche, prevede anche il sequestro e la confisca dei beni dell’usuraio. Negli artt.14 e 15 si parla del “Fondo di solidarietà per le vittime dell’usura”, si tratta di un Fondo per la prevenzione usuraia preposto dal Ministero del Tesoro per l’erogazione di contributi ai Confidi e alle Fondazioni.

L’usura viene così considerata, non solo come un’organizzazione malavitosa capace di controllare ampi settori dell’attività economica, ma anche come fenomeno che richiede la trattazione di argomenti come il sovraindebitamento e i consumi indotti contro quelli consapevoli.

La cura per i beni esteriori, secondo la bella metafora che Max Weber riprese da Richard Baxter, pensatore puritano del Seicento, avvolge le spalle degli uomini saggi come un leggero mantello che si può gettare via in ogni momento; in breve però, il leggero mantello si trasforma in una gabbia d’acciaio del cui peso diventa impossibile liberarsi.

Il mio personale intento è quello di portare la discussione ad un livello quanto più concreto possibile, senza però dimenticare le reali vittime dell’usura, i volti umani che si celano dietro dati e tabelle, perché questi volti non sono né astratti né lontani dalla nostra quotidianità.

Diviene un dovere garantirne i diritti e affermarne la dignità.

Questo è lo scopo che sta alla base di questo elaborato, punto di partenza per una riflessione sugli effetti causati da tale fenomeno.

(6)

CAPITOLO 1

(7)

1.1 : Dalla tradizione ebraico-biblico all’età carolingia

Nell’approcciarmi a questa tesi ho sentito la necessità di fare un passo indietro per ripercorrere le tracce della feritoia che porta dell’origine dell’usura.

Ho cercato di guardare al mutamento che questo termine ha attraversato e, allo stesso tempo, ho sentito la necessità e l’urgenza di trovare parole e idee nuove che meglio rappresentano la complessità del momento storico che viviamo,questo vista l’inadeguatezza dell’immaginario sociale nella descrizione e nella rappresentazione di nuovi modi d’approcciarsi al problema che ancora è un concetto tabù.

La necessità di fare questo passo nel passato è anche dovuta alla volontà di riflettere sulle possibili scelte che questo vastissimo argomento comporta, cercando di intravedere delle possibili soluzioni, non per la presunzione di sapere quali siano, ma quanto meno per rendere visibili le possibili alternative. Ho proceduto affidandomi alla codifica di due concetti,quelli del desiderio e dell’azione, concetti che possono rispondere effettivamente, a mio parere, alla complessità del presente in cui viviamo. Con questa tesi mi piacerebbe avvicinarmi all’argomento trattato sotto più prospettive, in modo d’avere, per quanto è possibile, una visione oggettiva dell’argomento in questione.

L’espressione “usura” è un termine conosciuto che fa parte del circuito italiano e internazionale con un’ accezione negativa.

Il termine che meglio può rappresentare l’usura sia del passato che del presente, è “cecità”.

Questo perché l’usura ha escluso dall’angolo visuale gli eventuali stati di cambiamento e le potenzialità di superamento che non seguissero confini già stabiliti,evitando così le soluzioni e le possibilità di divenire.

La cecità si traduce in mancanza di scelte, in un’illusione chiusa nella fissità del “mono” e vale a dire in un'unica e inevitabile alternativa che molto spesso degenera in lacerazione, violenza e mancanza di dialogo, portando così all’essere prigionieri di schemi e realtà dalle quali non si riesce ad uscire.

E’ proprio dalla necessità di trovare altre soluzioni che nasce l’urgenza di pensare a nuove scelte che non vogliono essere punti di partenza o di arrivo ma possibilità in continuo movimento per avvicinarsi ad un approccio più giusto o quanto meno migliore.

(8)

Tale proponimento non deve essere fine a se stesso, ma essere politicamente efficace, producendo trasformazioni e mutamenti, deve cercare attraverso la ricerca il necessario superamento dell’idea che ci sia un'unica possibile soluzione, come spesso le persone che si approcciano all’usura credono sia.

Probabilmente è proprio questa la sfida da accogliere nel prefigurare un modello di prevenzione che, quasi paradossalmente, disincentivi e scardini la pratica dell’usura. E’ su tali premesse e su tale sfondo che m’approccio a questo capitolo, perché non si può arrivare a nessuna soluzione se non si è ben capito l’exursus storico.

In questo lavoro sarà mia cura, oltre che valutare aspetti economici e giuridici, intraprendere in modo molto generale la storia che ha portato all’usura rapportandola ai nostri giorni, cercando di ripercorrere il punto di partenza e il mutamento che l’ha attraversata.

In sintesi, in questo capitolo intendo disegnare i contorni del quadro politico-istituzionale-economico di riferimento entro il quale collocare il discorso dell’usura. Comprendere la natura ( a ciò serve uno studio delle radici) dell’usura, individuarne i punti di forza e la peculiarità, senza le quali non si potrebbero capire ed affrontare con successo le sfide dell’oggi, significa attraversare il medioevo.

Fu la cultura monastica la culla nella quale si formò anche il primo lessico economico e commerciale che informerà di sé l’Europa del basso medioevo.

L’esperienza del monachesimo, non solo di quello benedettino, si sviluppa contemporaneamente o subito dopo la riflessione sulla vita economica e sulla ricchezza dei Padri della Chiesa che dal II al VIII secolo iniziarono a sottoporre anche il rapporto con i beni al vaglio dell’etica cristiana.

I beni e la ricchezza non venivano condannati in sé, ma solo se usati con “avarizia”. Per poter capire bene alcuni pilastri importanti della formazione dell’usura occorre guardare come era vista l’attività dello scambiare e del commerciare,ciò che distingueva l’attività economica lecita da quella illecita è il fatto che gli scambi, prestazioni e controprestazioni, avvenivano all’interno di rapporti di amicizia e di solidarietà, all’interno cioè di una comunità: si poteva scambiare perché si faceva parte di una comunità che crea le condizioni perché lo scambio resti etico e civile, e da questa base, in seguito, la scolastica distinguerà l’usura (illegittima) dall’interesse commerciale (legittimo) perché quest’ultimo,originato per sovvenire un membro della comunità

(9)

“della civitas”, distingueva i possessi e i guadagni del mercante vero da quelli dell’usuraio.

Prima di continuare l’analisi presente cercherò di spiegare, in modo più appropriato la differenza che tra mercante e usuraio per chiarirne le diverse posizioni; il primo è un imprenditore che mette a frutto il suo capitale e contribuisce così ad accrescere il bene comune, il secondo accumula per sè e si presenta come un parassita rispetto all’attività economica altrui.

Dunque la spaccatura tra le due figure si nota anche sullo stesso contratto stipulato, entrambi formano un contratto a prestito, ma notiamo che per quanto riguarda l’usuraio il contratto a prestito è caratterizzato da uno squilibrio. Per quanto concerne il contratto fatto con scopi usurai, chi chiede è in una posizione di debolezza verso chi può dare il denaro, se dunque il contratto che essi stipulano fa sì che la fortuna dell’investitore dipenda dalla rovina dell’altro, tale contratto è moralmente illecito. Laddove invece il rischio è commisurato alla possibilità di guadagno ed equamente ripartito tra le parti, allora si può dire che il contratto è lecito.

Il perno attorno a cui ruota tutta la riflessione sulla legittimità del possedere, dello scambiare e del prestare è l’atteggiamento nei confronti dei poveri.

L’attraversare il medioevo servirà per comprendere più in profondità l’origine dell’usura,

in particolare sarà utile comprendere la tradizione della figura dell’usuraio e non posso che iniziare con lo spiegare la parola epistemologica del termine.

Dunque inizio con il dire che l’usura è un fenomeno antichissimo che attraverso i secoli ha impegnato a fondo le menti di una gran quantità di legislatori.

Il termine “usura” deriva dal latino usus (usare)ed indica l’utile riconosciuto al creditore in aggiunta alla restituzione del bene mobile o del denaro ottenuto in prestito.

In origine con il termine “usura” si designava il frutto del denaro dato in prestito, senza che la parola implicasse significati indegni o moralmente riprovevoli, infatti la pratica dell’usus è inizialmente riferita alla concessione d’uso anche e sopratutto di derrate alimentari.

In seguito, col diffondersi del fenomeno della crescente esosità dei prestatori di denaro, l’uso della parola fu ristretto ad indicare quei prestiti che comportavano un’eccessiva gravosità dell’impegno finanziario del debitore.

(10)

Da sempre il problema della laicità dell’usura di denaro o altri oggetti fungibili ha continuamente impegnato filosofi, teologi, moralisti e perfino poeti: tra i pensatori nemici dell’usura ricordiamo Platone, Aristotele, San Tommaso d’Aquino e Karl Marx. Nelle società primitive il prestito di beni o servizi viene praticato per lo più allo scopo di far fronte ai bisogni impellenti del richiedente e non già per finanziare attività economiche o imprese ed è consuetudine riceverne la restituzione senza compenso alcuno.

Agli albori del commercio e con l’introduzione della moneta nasce il problema di trovare un compenso al denaro prestato, ovvero l’interesse finanziario.

Uno dei primi popoli ad avere una rigorosa sistemazione della concessione dei prestiti fu il popolo di Israele, le cui norme antiusurarie risalgono al IX secolo a.C.

Il Deuteronomio formò uno dei cardini dell’etica basata sulla fratellanza di sangue delle comunità tribali ebraiche. Esso statuiva la solidarietà del mishpaha (clan) e l’esclusione del nokri (lo straniero) contrapposto al ger, residente temporaneo protetto dalle leggi o al toshab(straniero con residenza fissa) dai privilegi e dagli obblighi della comunità. Esso inoltre proibiva all’ebreo di avere qualunque neshek (usura, interesse) dal proprio fratello permettendoglielo invece nei confronti del nokri.

Il cristianesimo mediavele, ispirandosi all’universalismo, rifiutò come anacronistica e biasimevole la descrizione contenuta nel Deuteronomio contro gli stranieri.

La Riforma germanica rappresentò una svolta nella storia della fortuna del comandamento deuteronomico, si assiste a sanguinose lotte sociali provocate dalle questioni sull’usura e sulla fratellanza, fra l’elemento conservatore e l’elemento radicale di parecchie nazioni protestanti.

I predicatori radicali dichiaravano che l’interesse, l’usura e in taluni casi anche la proprietà privata, erano anti-mosaici e non cristiani. Nella Nuova Gerusalemme, come nella Vecchia, i fratelli dovevano ancora vivere tutti insieme nello spirito cristiano, e non tendere al reciproco sfruttamento.

Queste norme sono contenute nella bibbia, in particolare nel Vecchio Testamento,dal libro dell’Esodo al Deuteronomio è unanime la condanna dell’esazione dell’interesse finanziario quando essa viene esercitata nei confronti della propria gente1, tuttavia è

(11)

ritenuta lecita nei confronti dello straniero2. Inoltre vi è un obbligo di solidarietà tra le tribù d’Israele che si traduce nel fenomeno della remissione3, secondo la quale ogni sette anni vengono condonati i debiti precedentemente contratti dai componenti di una tribù. Anche se non è certo che si tratti di un condono definitivo o di una dilazione dei pagamenti per un anno, il precetto ha lo scopo di esaltare la giustizia sostanziale così da impedire l’usura , l’egoismo ed il calcolo.

Con l’età carolingia si assiste alla promulgazione di leggi che proibivano in ogni evenienza l’usura fra i cristiani, fossero essi laici o ecclesiastici.

Un’illustrazione chiara dell’ambiguità esistente nel duplice tentativo cristiano di spiritualizzare e di universalizzare il discriminante comandamento ebraico si può trovare nella glossa al Deuteronomio associato al grande studioso Rabano Mauro(784-856).

Lo straniero di cui parla il Deuteronomo, spiega Rabano, è un termine che va riferito agli infedeli e ai criminali,ad essi è giusto dare denaro ad usura per punirli di non aver seguito correttamente la parola di Dio. Inoltre, aggiunge Rabano, ci sono due significati della parola “danaro” nel passo biblico:riscuotere “danaro” ad usura per il prestito di denaro metallico è assolutamente proibito, chiedere un interesse per l’offerta di una sostanza spirituale è invece legittimo.

Il ripudio definitivo della formula d’Ambrogio era destinato ad essere rimandato fino all’età delle crociate.

Con l’inizio delle crociate ci fu un’integrale accettazione della dottrina d’Abrogio che autorizzava i cristiani a domandare interessi ai musulmani. Alcuni dei primi commentatori del Decretum di Graziano rilevarono che questa era un’ utilissima arma economica in mano ai cristiani per recuperare la loro legittima eredità dai musulmani, e per dar loro carta bianca al fine di continuare ad esigere l’usura dai loro debitori cristiani. Quest’ultimo particolare può, secondo me, essere considerato il rovescio della

2

Deuteronomio 23,20-21. “Non Farai al tuo fratello un prestito ad interesse, ne di denaro ne di viveri, ne

di qualunque cosa che si presta ad interessi. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perchè il Signore Tuo Dio ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nel paese di cui stai per andare a prendere possesso”

3

Deuteronomio, 15, 1-5: “Al termine dei sette anni farai il condono. In questo consiste il condono:

chiunque detiene un pegno condonerà ciò per cui ha ottenuto il pegno dal suo prossimo ne sul suo fratello, poiché è stato proclamato il condono davanti al Signore. Avanzerai pretese sullo straniero, ma al fratello condonerai quanto di suo avrai presso di te. Del resto non ci sarà presso di te alcun povero poichè il signore certo ti benedirà nella terra che il Signore Tuo Dio ti dona in eredità perchè tu la possieda, se però ascolterai attentamente la voce del Signore Tuo Dio, osservando e praticando tutti gli ordini che oggi ti prescrivono”.

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medaglia. Agli occhi dei pontefici, e soprattutto d’Innocenzo III( 1198-1216), notiamo che un effettivo tentativo di promuovere le crociate implicava la soppressione di tutti gli usurai e quindi a sua volta degli ebrei.

Pietro Camestone (morto nel 1179) creò una nuova concezione, insistendo sul fatto che il prestito ad usura agli stranieri non era stato imposto agli ebrei come un precetto, ma solamente concesso loro da Dio perché temeva che se avesse rifiutato tale concessione essi avrebbero fatto di peggio, prestando ad usura ai loro stessi fratelli.

Di grande interesse è l’esegesi dell’influente maestro parigino Pietro Cantore(morto nel 1197), le sue esposizioni sulla Bibbia ispirano una delle più intense predicazioni contro l’usura alle quali il mondo medievale potè assistere. Notiamo come la sua interpretazione del passo deuteronomico è notevole per due aspetti: anzitutto fornisce una critica insolitamente penetrante dell’uso che gli altolocati fautori degli usurai facevano dell’ambivalente passo deuteronomico e poi crea un tipo d’analisi che doveva ritornare in seguito negli scritti di Lutero. Cantore affermava che i detestabili usurai erano amici intimi di principi e prelati, che cedevano alle lusinghe dei sacchetti di denaro e che gli usurai Cristiani, per evitare molestie, camuffavano la loro fede mascherandosi da ebrei.

In realtà essi erano molto peggio degli ebrei, giacché mentre all’ebreo era vietato di praticare il prestito ad usura col proprio fratello mentre gli era consentito dalla promessa di Dio con gli estranei, al cristiano è fatto obbligo da parte del Signore di trattenersi dal carpire interessi a chicchessia.

L’allusione di Pietro Cantone alla promessa di Dio è chiarita dal sommario delle sue concezioni redatto da Roberto de Courçon (morto nel 1219), uno dei suoi più importanti discepoli. Secondo quanto riferisce de Courçon, Pietro Cantone sembra avesse interpretato il riferimento agli stranieri alla luce della promessa fatta agli ebrei nel corso de Deuteronomio.Quindi per Cantone il testo tanto disputato contiene il seguente messaggio rivolto agli ebrei: “ Tu non presterai denaro al tuo fratello nella Terra Santa; ma là tu godrai di una tale abbondanza che presterai ad usura allo straniero, vale a dire, gli stranieri ti chiederanno di prestare loro danaro”.4

Nell’Italia del XV secolo le necessità economiche indebolirono la filosofia morale in quanto forza propagatrice dell’universalismo cristiano. La Fratellanza dell’uomo

(13)

divenne la bandiera sotto la quale i frati antisemiti appartenenti agli osservanti francescani in special modo, celarono i loro demagogici appelli per l’espulsione degli usurai ebrei che erano sciamati da Roma e dalla Germania nelle città italiane in risposta agli inviti municipali di avviare dei negozi con licenza di richiedere dal 20% al 50% d’interesse sui prestiti anche di non grande entità. Guidati da Bernardino da Feltre, i frati incolparono gli ebrei d’assassini rituali, incitarono la plebaglia ad attentati contro la loro proprietà e crearono i Monti di Pietà per distruggerli completamente.

Intorno al 1509 ottantasette di queste banche erano state ormai create con il consenso papale nonostante le lamentele dei teologi tradizionalisti, soprattutto di quelli agostiniani e domenicani secondo i quali i prestiti ad interesse erano contrari a qualunque tradizione, a qualunque legge umana e divina e sovvertivano ogni fondamento di fratellanza cristiana.

I promotori dei Monti di Pietà sostenevano invece che le somme pagate da chi contraeva un prestito non costituivano minimamente usura, cioè lucrum preso per un muntuum. I cosiddetti interessi, essi spiegavano, dovevano più propriamente essere definiti come contributo o rimborso delle spese sostenute nell’operazione, specialmente per i salari dovuti agli impiegati dei Monti.

La Riforma tedesca fu teatro dello scoppio della rivolta moderna contro la proibizione ebraica e medievale dell’usura. In meno di tre decenni, a partire dal giorno in cui Lutero parlò dinnanzi al giovane imperatore a Worms, si realizzò il fatale abbandono di un principio che aveva proclamato l’obbedienza degli uomini alla tradizione ebraica cristiana per più di due millenni, di un principio che affermava antitetica allo spirito della fratellanza la richiesta di un interesse ad un correligionario.

Lutero si fece portavoce della nazione tedesca contro le estorsioni “ usurarie” della chiesa romana e delle fondazioni ecclesiastiche e sostenne una concezione veramente estremistica della dottrina di Cristo nei riguardi dell’attività economica, accusando i dottori medievali di ridurre i comandamenti del Signore a meri consigli.

Vi sono, egli dice, tre modi cristiani di agire di fronte ai beni temporali. Il primo consiste nel sottomettersi con rassegnazione ad ogni atto di violenza e d’estorsione, gli altri due compiti meno difficili consistono nel dare liberamente a coloro che si trovano nel bisogno, e nel prestare senza speranza di una pronta restituzione del capitale.

(14)

Tuttavia Calvino arriva alla conclusione che l’usura non entra in conflitto con la legge di Dio in tutti i casi, infatti non ogni tipo d’usura deve essere condannato. C’è un’importante differenza fra l’esigere un’usura nel corso di un determinato affare e diventare un usuraio di professione.

Se una persona trae un certo profitto da un prestito in una sola occasione, esso non può essere giudicato un usuraio, non si tratta di un mero gioco di parole, insiste Calvino, gli uomini inventano cavilli pensando di ingannarsi l’un l’altro ma Dio non ammette simili inganni.

L’usura non è permessa indiscriminatamente in ogni caso, essa non deve recare danno al proprio fratello, Calvino afferma:“C’è differenza nell’unione politica, poiché la situazione nella quale Dio pose gli ebrei e molte altre circostanze permisero loro di commerciare convenientemente fra di loro senza ricorrere all’usura. La nostra unione è completamente differente. Perciò io non credo che i prestiti ad usura debbano esserci proibiti, eccetto, quando essi sono contrari all’equità e alla carità”5e ancora dice “l’usura non è illegittima, eccetto il caso in cui contravvenga alla giustizia e all’unione fraterna. Procuriamo, allora che ognuno si ponga davanti al seggio della giustizia divina, e non facciamo al nostro prossimo ciò che non vorremmo fosse fatto a noi stessi; da ciò può provenire una sicura ed infallibile decisione. Il commercio dell’usura, da quando scrittori pagani lo annoveravano fra i bassi e sciagurati modi di guadagno, sono molto meno tollerabili fra i figli di Dio; ma in quali casi, e fino a che punto possa essere legittimo ottenere un’usura su un prestito, la legge dell’equità potrà prescriverlo assai meglio che qualunque prolissa discussione”.

Nella Grecia antica filosofi e pensatori di gran rilievo come Platone e Aristotele si pronunciano in maniera negativa nei confronti del fenomeno usura, infatti nella sua opera più significativa,“La Repubblica”, Platone esprime un giudizio di condanna assoluta per ogni pratica usuraia6, giudizio più volte ripetuto nei Dialoghi e nei Leggi7.

5

Open X.I (CR, XXVIII. 1)pp.245-249

6

Platone, La Repubblica, 8,555: “Allora costoro, credo se ne stanno oziosi nella città , muniti di

pungilglioni e di armi: chi è carico di debiti, chi senza diritti civili, chi poi gravato da due mali. E pieni di odio tramano insidie a chi ha acquistato i loro beni e agli altri, bramosi di una rivoluzione,-E’ così,- Gli uomini d’affari, a tasta bassa, fanno finta di non vederli nemmeno; e chi dei rimanenti dà via via segno di cedere, lo feriscono buttandogli denaro e riportando i frutti di quel padre . moltiplicando nello stato i fuchi e i poveracci”.

7

(15)

Aristotele, sulla scia del pensiero platonico, ritiene che come la proprietà ha due usi, l’uno proprio della cosa posseduta e l’altra per effettuare scambi, così vi sono due modi di guadagnare: lo scambio o baratto e l’accumulazione capitalistica. Ne consegue che il modo più riprovevole di procurarsi un guadagno è quello in cui l’individuo si serve della moneta stessa alla fine di accumulare altra moneta. La vera funzione della moneta è quella che si ha nello scambio e non quella dove la moneta si accresce mediante l’interesse8, infatti la moneta è per sua stessa natura sterile, con l’usura si moltiplica e questo lo rende un modo innaturale di guadagnare.

Nonostante le ripetute condanne nei confronti dell’usura, la Grecia antica non ebbe mai una legislatura adatta a regolare l’interesse e a reprimere il fenomeno usurario.

Nel corso della storia il prestito e l’interesse furono sempre ammessi: gli ateniesi, per esempio, impiegavano il denaro pubblico all’interesse del 10%; tuttavia poiché la contrattazione degli interessi era libera, a volte si ricorreva a tassi più elevati, il 12% e oltre. Soltanto dopo molto tempo, quando la Grecia diviene provincia romana, essa riuscirà ad avere una vera legislazione in materia d’usura.

La laicità dell’usura e la regolamentazione dei tassi d’interesse rivestono una grande importanza nel diritto romano che si occupa di essa a partire dalle Dodici Tavole, documento nel quale il tasso d’interesse massimo viene fissato con l’espressione unciarum fenus9.

Con il termine usura s’ intende pertanto il compenso per l’uso di un capitale altrui, sia che si tratti di interesse lecito, sia che si tratti di un interesse percepito illegalmente, cioè

restituire il capitale”. 922 “ Chi, avendo ricevuto, in anticipo sul pagamento, una prestazione di opera, non la ricambia pagando la ricompensa nel tempo convenuto, sia condannato a pagare il doppio; passato un anno, pur essendo proibito in ogni altro caso trarre interessi dal denaro, e cioè per quante ricchezza si danno a prestito per interesse, in questo caso costui pagherà anche l’interesse di un obolo al mese per un dracma del prezzo del lavoro”.

8

La Politica, 1,10, 1028 a e b: “ (La crematistica), come dicemmo, ha due forme, l’attività commerciale e

l’economia domestica: questa è necessaria e apprezzata, l’altra basata sullo scambio, giustamente riprovata (infatti non è secondo natura , ma praticata dagli uni a spese degli altri); perciò si ha pianissima ragione a detestare l’usura, per il fatto che in tal caso i guadagni provengono dal denaro stesso e non da ciò per cui il denaro è stato inventato. Perchè fu introdotta in vista dello scambio, mentre l’interesse lo fa crescere sempre di più ( e di qui ha pure tratto il nome: in realtà gli esseri generati sono simili ai genitori e l’interesse è moneta da moneta): sicchè questa è tra le forme di guadagno la più contraria a natura”.

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O. Nuccio, Il pensiero economico italiano, vol I, pp.384-385: << Il creditore che avesse esatto un tasso

maggiore era condannato a restituire il quadruplo degli interessi percepiti al di sopra del tasso legale, cioè del 12%. E poiché l’unica era la dodicesima parte di un tutto , fenus unciarum era praticamente la dodicesima parte del capitale, quindi corrispondeva al tasso del 12% annuo e indicava la stessa cosa della centesima. La centesima era il tasso che i Romani esprimevano con la lettera C invertita apposta alla somma del capitale(...). Pagando ogni mese la centesima parte del capitale come, ciò vuol dire che si pagava il 12% annuo”.

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in misura superiore al tasso massimo ufficiale. L’obbligo di corrispondere interessi può derivare dalla volontà delle parti, ma può essere riconducibile ad altre cause previste dell’ordinamento giuridico, anche se nelle fonti romane non si trova la moderna distinzione tra interessi convenzionali e legali, mentre sì da rilevanza al mezzo processuale attraverso il quale la pretesa degli interessi può essere fatta valere in concreto. Si distingue fra “usurae qua sunt in obligation” e “usurae quae officio iudicis praestantur”; tale distinzione non coincide con quella fra interessi convenzionali e legali per il fatto che fra le “usurae” determinate “officio iudicis” si possono annoverare oltre alle legali, anche quelle stabilite dalle parti con semplice patto aggiunto al contratto. Per contrastare eventuali tassi troppo elevati vengono posti limiti alla volontà delle parti vietando il superamento del tasso massimo fissato dall’autorità competente. Il tasso d’interesse diventa intollerabile intorno all’IV secolo a.c., nonostante vengano promulgate diverse leggi10 che vietano tassativamente il prestito ad interessi . Non si può dire che il legislatore avesse la mano leggera con gli usurai dato che la legge imputava loro una pena pari al doppio di quella stabilita per i ladri11.

Nell’88 a.c. Silla emana una nuova lex unciaria e successivamente Lucullo impone il divieto dei tassi superiori al 12% e del cosiddetto “anatocismo”, cioè dell’interesse applicato anche agli interessi dovuti dal debitore moroso.

Nell’età di Cicerone i tassi12diminuiscono notevolmente, anche se pare che tassi esorbitanti venissero praticati nelle province di Roma, poiché la metodica spoliazione delle colonie li privava di ogni ricchezza facendo fluire una gran quantità di denaro a Roma. Nei primi tre secoli dell’impero i tassi fatti pagare ai debitori nelle province variano da luogo a luogo; a Roma invece, nel periodo che va dagli Antonimi ai Severi il tasso richiesto per i prestiti a basso rischio si aggira intorno al 5-6%.

Nell’impero d’Oriente si assiste ad un forte aumento dei tassi dovuto alla scarsità di capitali disponibili e ad un maggior rigore delle leggi antiusurarie dovuto alle severe misure adottate dai primi concili della Chiesa.

10

Nel 347 a.C una legge impone la riduzione dei tassi d’interessi e ad essa nel 342 a.C., fa seguita la Lex Genucia che vieta tassativamente il prestito ad interesse a tutti i cittadini romani; tale divieto viene successivamente esteso ai latini e ai soci di Roma.

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Marco Porzio Catone, De Rustica: “ I nostri antichi stabilirono per legge che i ladri furono condannati

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La Chiesa infatti, è l’istituzione che più di ogni altra avversa la pratica dell’usura proibendo tassativamente ogni forma di prestito oneroso, dapprima a tutti i cristiani ( Concilio di Elvira, in Spagna, nel 305), poi ai chierici ( Concilio di Nicea, convocato dall’ ‘imperatore Costantino nel 325) e infine tre secoli dopo anche ai laici( concilio di Clichy del 626). Oltre ad una punizione sostanziale la Chiesa opera una condanna morale nei confronti dell’usura, rintracciabile per la prima volta nel famoso sermone di Leone I, il quale dichiara che “L’usura è la morte dell’anima”: Con Leone I ha inizio la vicenda millenaria della storia del rapporto tra potere spirituale e potere temporale sulla questione del prestito ad interessi.

Il divieto canonico dell’usura è così pressante da impedire ad ogni stato cristiano dell’Occidente di fissare un tasso legale d’interesse, provvedimento che avrebbe implicato il riconoscimento di una sia pur limitata liceità dei prestiti di denaro.

In Oriente invece, nell’impero bizantino si produce un notevole aumento del tasso d’interesse dei capitoli disponibili, aumento al quale il legislatore si sforza di porre rimedio contenendo il livello dei tassi entro percentuali accettabili per i debitori e per la dottrina cristiana.

Il codice dell’imperatore Giustiniano fissa definitivamente il tasso d’interesse ad un massimo del 6% e conferma il divieto delle “usurae supra duplum” affermatosi nell’età del principato con lo scopo di impedire l’ulteriore decorso degli interessi quando questi avessero raggiunto l’ammontare del capitale dovuto.

É chiaro dunque che in tal modo non è posto un divieto al prestito ad interesse qualora venga rispettato il limite del tasso massimo.

La situazione comincia a modificarsi nei secoli successivi, quando il divieto del prestito ad interesse si afferma nella normativa secolare che recepisce la morale dei grandi padri della Chiesa.

La Patristica, infatti, condanna il prestito feneratizio appoggiandosi ad alcuni passi della Bibbia in particolar modo al celebre versetto evangelico “mutum date nihil inde sperantes13”. Diversi padri della Chiesa prendono posizione contro l’usura, fra esso ricordiamo San Cipriano, vescovo di Cartagine, che oltre alla battaglia contro il prestito ad interesse arriva a mettere in dubbio il diritto di successione ai beni materiali;

13

Luca, 6,34: << E se voi prestate denaro soltanto a quelli a quelli dai quali sperate riaverne, come potrà Dio essere contento di voi? Anche quelli che non pensano a Dio concedono prestiti ai loro amici per riceverne altrettanto!>>

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Sant’Ambrogio, vescovo di Milano,definisce usura “tutto ciò che si aggiunge al capitale” o anche “usura è prendere più di quanto si è dato” (questa definizione viene in seguito recepita dal III Concilio Lateranense); anche Sant’Agostino, in parte, forse come reazione al lassismo dei costumi del clero, afferma l’illiceità dell’usura operando una netta distinzione tra il prestito al consumo senza compenso a forma di interesse( mutuum) e il prestito d’interesse (fenus), ritenuto del tutto illecito; infine San Girolamo, nel condannare l’usura, si ricollega al concetto del sovrappiù illecito affermando che “si definisce usura e sovrappiù qualsiasi cosa, se si è preso da qualcuno più di quello che gli si era dato”. Egli inoltre giunge ad equiparare l’usura ad una vera e propria rapina affermando che “non vi è differenza alcuna tra l’esigere interessi usurari e defraudare o rapinare il prossimo”.

Nell’età Carolingia lo stesso Carlo Magno interviene nel 789 sul problema dell’usura con la sua Admonitio generalis allo scopo di vietarla nella maniera più assoluta tanto ai chierici quanto ai laici dell’impero. Egli dunque è il primo sovrano a proibire l’usura nella legislazione secolare, anche se con scarsa efficacia sanzionatoria, poiché in sostanza le pene previste per gli usurai restano quelle canoniche, tra cui la scomunica. Nell' 825 Lotario, in un capitolare, ribadisce il divieto alla pratica dell’usura e concede ai vescovi pieno appoggio nella lotta agli usurai. In questo periodo tuttavia, i prestiti di denaro non sono molto diffusi poiché vi è un’usura cosiddetta reale che consiste in prestiti di cerali in occasione delle carestie e che poi il debitore restituisce in quantità maggiore di quello che ha ricevuto.

In seguito notiamo come la rivoluzione commerciale nell’Europa occidentale e settentrionale altera il quadro tradizionale.

Il primo atto della nuova campagna contro le interpretazioni classiche del Deuteronomio si svolge, com’è abbastanza naturale, nell’Inghilterra elisabettiana.

Qui i tradizionalisti continuavano a paragonare gli usurai ad oziosi parassiti, a ragni, a succhiatori di sangue, rifacendosi alla vasta gamma di argomenti contro l’usura che i pensatori medievali avevano faticosamente accumulato appellandosi a Platone, Aristotale, Catone, alla legge divina, alle dannose conseguenze economiche dell’usura sulla popolazione rurale , alla solidarietà.

C’è da notare una netta differenza tra queste posizioni e gli anni bui dove vigeva la legge della superstizione ecclesiastica e delle tirannia civile e soprattutto quando il

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commercio aveva toccato il suo punto più basso pur considerando l’usura assolutamente negativa in qualunque caso, invece dopo la Riforma con il rifiorire della vera religione e della vera libertà, l’economia fondata sul credito fa sì che si prendano in considerazione anche altri tipi di prestito ad interesse senza che questo venga chiamato interesse ad usura.

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1.2 : I monti di pietà

Visto che nel paragrafo precedente si è accennato ai Monti di pietà, mi soffermerò a tracciarne un quadro generale per capire cosa sono prima di continuare nel cammino attraverso la storia.

I Monti di pietà sorsero nella seconda metà del Quattrocento ( quindi in pieno umanesimo civile) in Umbria e nelle Marche per estendersi poi in tutta l’Italia(soprattutto nel centro-nord) e in seguito anche nel resto d’Europa14.

La ragione principale che portò alla loro nascita era di tipo solidaristico, non primariamente economico, nasceva infatti dall’impossibilità per le famiglie meno abbienti di avere accesso al credito con un equo tasso d’interesse, motivo per il quale erano costretti a rivolgersi agli usurai precipitando quindi in miseria. I francescani della riforma, molto attenti agli aspetti concreti dell’evangelizzazione, promossero queste istituzioni come mezzo di “cura” alla povertà e alla lotta contro l’usura.

I banchi esistevano già da tempo in Europa( soprattutto a Genova, a Venezia e nella città a forte vocazione commerciale) e continuarono a crescere anche dopo la nascita dei Monti, anche perché le due istituzioni si rivolgevano a utenti diversi: ai mercanti i primi( con i crediti alla produzione), alle famiglie e ai poveri congiunturali i secondi. In tempi antichi, da Aristotele a Catone, si condannava il prestito a interesse sulla base della considerazione che il denaro non dà frutti, è sterile, pertanto aspettarsi dei frutti (interesse) da qualcosa essenzialmente infruttifero ( il denaro) era considerato andar contro natura. A ciò si aggiungeva poi la considerazione teologica che non era lecito speculare sul tempo, perché il tempo è Dio: “ l’usuraio non vende al debitore nulla che gli appartenga, ma solo il tempo, che è di Dio”15.

La rivoluzione commerciale che fece seguito all’anno Mille generò crescente domanda di denaro e quindi di credito ( data la scarsa circolazione monetaria che precedette quei secoli). I padri dei primi secoli (Abrogio, Agostino, Gerolamo) avevano condannato il prestito ad interesse senza distinguere tra interesse e usura, equiparandoli entrambi al furto.

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A partire dal Cinquecento si ebbero istituzioni di monti in Belgio, in Francia, e poi in Spagna. I monti restarono comunque un fenomeno essenzialmente italiano, e dell’Italia del centro-nord (anche perchè nei

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Nel corso del medioevo la questione dell’usura e degli interessi di denaro in generale maturò fino a trovare una prima giustificazione anche da parte del pensiero teologico (in quello laico in fondo non era mai mancata se si considera che tutti i codici dell’antichità, tra cui quello Giustiniano si preoccupavano di stabilire quale fosse il tasso “ giusto” a cui dare in prestito il denaro).

Nei secoli XI e soprattutto XII si inizia dapprima a distinguere tra interesse e usura giustificando l’interesse come compenso per il lucrum cessans e il damnum emergens, mentre l’usura verrà condannata perché legata al solo prestito in denaro (ex vi mutui) . Carlo Cattaneo in uno studio sulle Interdizioni imposte dalla legge civile agli israeliti (nel quale gettava parecchia luce sulle reali ragioni economiche che avevano portato e portavano ancora nel suo tempo a leggi contro gli ebrei) così scriveva ricostruendo la storia della proibizione dell’usura: <<L’errore che ogni interesse è “usura” signoreggiava le menti>>.

L’insegnamento delle leggi romane risorto nelle università cominciava a ristabilire la legalità dell’interesse,quidi si cercava di conciliare le opinioni estreme con sottili distinguo d’usure lucratorie e usura compensatorie, di lucro cessante e danno emergente, si cercava di palliarle con termini fittizi, con vendite simulate, con cambi e ricambi.

Il capitale di queste protobanche etiche, che oggi trovano una continuazione ideale nelle varie forme di microcredito o nelle casse rurali, si accumulava per mezzo di collette, sottoscrizione, eredità e donazioni, depositi vincolanti e questue.

Il Monte di Recanati, che fu uno dei primi, era retto da quattro ufficiali, uno per quartiere, con l’assistenza di due notai che avevano il compito di tenere accuratamente i libri contabili dell’entrate e delle uscite e di staccare le bollette dei pignoranti.

Il valore dell’oggetto lasciato in pegno doveva superare di almeno un terzo la somma di denaro e se alla scadenza il prestito non veniva restituito il pegno veniva venduto in aste periodiche.

I pignoranti dovevano giurare di essere veramente bisognosi, di prendere il denaro per sé e non potevano aver credito per più di una volta all’anno. I prestiti erano obbligatoriamente di piccola entità, in modo da arrivare a più persone possibili.

È dunque la città, l’essere cittadini, il legame di reciprocità sul quale si fonda la riflessione su prestiti, interessi e restituzione.

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In questa frase si afferma anche quel principio di sussidarietà che nei secoli successivi diverrà uno dei principi base della dottrina sociale cristiana e oggi dell’Europa.

Parlare quindi d’interesse e usura nel medioevo, sganciando quei dibattiti dal contesto civile fondato sul principio di reciprocità, significa restare sulla soglia delle comprensione di quelle antiche dispute.

Nei primi tempi questi Monti erano creature assai fragili, non poggiavano su strutture finanziare solide, spesso c’erano grosse difficoltà nel recuperare i crediti o nel vendere i numerosi pegni scaduti, cioè riscattati dai debitori; questi istituti furono fondati non solo da ordini religiosi ma anche da privati cittadini.

Con l’andare del tempo molte di queste istituzioni benefiche divennero vere e proprie banche.

I Monti di Pietà sono stati un fenomeno tipicamente italiano, in Francia ebbero una nascita faticosa e condussero una vita grama; in Inghilterra ogni tentativo di fondare un Monte fallì miseramente anche per la dichiarata ostilità dei due principali partiti politici verso un siffatto progetto.

In seguito in Italia i Monti di Pietà cambiarono il nome in “Monti di credito su pegno” continuando a concedere prestiti con garanzia di pegno su beni mobili e tassi agevolati. Tali istituzioni non si limitarono solo all’Italia Settentrionale ma operarono anche in Italia Meridionale, in particolare a Napoli( anche se furono meno diffuse in quanto il credito era interamente in mano agli usurai).

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1.3 : L’usura nel Medioevo

Noi parliamo di usura e talvolta anche i testi e gli uomini del medioevo parlano usando il termine al singolare: usura. Ma l’usura ha molte facce.

Il più delle volte i documenti del XIII secolo usano il termine al plurale, usurae. Per le sue caratteristiche, l’usura viene descritta come un mostro a più teste, un’idra. L’incapacità di intravedere e identificarla in un unico schema spesso la fa diventare una trappola senza via d’uscita.

Un altro concetto da chiarire è che usura e interesse non sono sinonimi e nemmeno usura e profitto lo sono; l’usura ha luogo laddove non vi è produzione o trasformazione materiale di beni concreti, è il sovrappiù illecito, l’eccedenza illegittima.

Accettando tale differenza si riprende il percorso storico svolto fin’ora, continuando a ricercare nell’intreccio di ciò che abbiamo ereditato emerge e si da voce ad un effetto che si concretizza in un puzzle di storia e ci aiuta a capire il perché si è arrivati all’usura attuale, ci aiuta a scoprire il perché, nonostante i vari tentativi di abbatterla, sia sempre sfuggito qualcosa.

Per tutto l’alto medioevo il pensiero etico e il diritto canonico fecero della Chiesa l’istituzione che più di ogni altra avversò la pratica dell’usura proibendo tassativamente ogni forma di prestito oneroso, dapprima a tutti i cristiani (nel Concilio di Elvira, in Spagna, nel 305 o 306), poi ai chierici o ecclesiastici ( nel Concilio di Nicea del 325, convocato dall’ Imperatore Costantino) ed infine di nuovo, tre secoli dopo, anche ai laici ( ne Concilio di clichè, presso Parigi, del 626).

I vari concili che seguirono ribadirono il divieto dell’usura fatta ai membri del clero ma non si pronunciarono sull’usura fatta dai laici.

L’usuraio compare come protagonista degli exempla; l’exemplum è un breve racconto presentato come veritiero e destinato a inserirsi in un discorso per convincere un uditorio mediante una lezione salutare.

La storia fa uso della retorica e di effetti narrativi, ha come strumento la predica, che nel medioevo era vista come il grande medium che raggiungeva tutti i fedeli.

Notiamo come il nuovo millennio è contrassegnato da un diffuso timore dell’imminente fine del mondo, ne consegue una forte ripresa dello spirito religioso e un rigurgito di superstizioni che si presentano come due fenomeni paralleli. La paura dei cristiani

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dell’anno Mille affonda soprattutto nella vita quotidiana dell’epoca, assillata da epidemie e carestie,le ragioni di queste spaventose calamità sono tuttavia da tutti risapute: i propri peccati.

Fino all’anno mille l’usura non era ancora un peccato contro la giustizia,dopo questa data comparirà tra i peggiori peccati che un cristiano possa compiere.

Nel tardo Medioevo due sono le armi principali che la Chiesa impiega nella secolare lotta contro l’usura: i decreti dei suoi concili e le decretali dei papi.

La decretale pontificia è un documento papale in materia di diritto canonico, è scritto in forma di lettera e ha valore cogente per tutti i cristiani.

Tommaso di Chobham fa precedere la sua trattazione sull’usura dando queste considerazioni: “ In tutti gli altri contratti posso sperare e ricevere un profitto (lucrum), proprio come quando ti ho dato qualche cosa posso sperare in un contro-dono (antidotum), cioè una risposta al dono (controdatum); e posso sperare di ricevere, dal momento che sono stato il primo a dare. Allo stesso modo, se ti ho dato in prestito i miei vestiti o il mio mobile, posso riceverne un prezzo”16.

Dai dati presi in esame si evince che il fenomeno dell’usura ha avuto il suo boom nel XII secolo, in quest’epoca la cristianità all’apice del possente sforzo compiuto a partire dall’anno mille, è gia in pericolo per il sorgere e il diffondersi dell’economia monetaria che minaccia gli antichi valori cristiani. Sta per formarsi un nuovo sistema economico, il capitalismo, che per avviarsi necessità se non di nuove tecniche per lo meno di un uso massiccio di pratiche da sempre condannate dalla Chiesa. Si assisterà così ad una lotta accanita e quotidiana, costellata da proibizioni ripetute che avrà come posta in gioco la legittimazione del profitto lecito che, ribadisco, bisogna distinguere dall’usura illecita. In fin dei conti come poteva una religione che tradizionalmente contrappone Dio e il denaro giustificare la ricchezza male accumulata in ogni modo? Il vangelo gli faceva eco con le parole di Matteo, un pubblicano esattore d’ imposte che aveva abbandonato il suo tavolo coperto di denaro e che avverte: “ Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’una e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a Mammona”(6,24).

Mammona simboleggia, nella letteratura rabbinica tarda, la ricchezza iniqua, il “Denaro”.

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L’unico storico e teorico moderno che possa aiutarci a capire il funzionamento dell’economia nella società medievale è Karl Polanyi (1886.1964),del quale vanno prese in considerazione due osservazioni:

la prima riguarda l’ambito del dono e del contro-dono: “Nella categoria della transizione, che presuppone un contradono equivalente economicamente al dono, troviamo un atro fatto fuorviante. Si tratta dalla categoria che, nella nostra concezione, dovrebbe in pratica confondersi con il commercio. Non è a fatto vero. A volte, lo scambio si risolve in un va e vieni di un oggetto rigorosamente identico tra le parti implicate nello scambio, fatto che toglie così alla transizione ogni possibile scopo o significato economico! Per il semplice fatto che un maiale ritorna a chi l’ha donato, anche se per una via traversa, lo scambio di beni equivalenti, anziché orientarsi verso la razionalità economica, risulta essere una garanzia contro l’intrusione di considerazioni utilitaristiche. Unico scopo dello scambio è stringere la rete delle relazioni, rafforzando i legami di reciprocità”.17

Di certo l’economia dell’Occidente nel XIII secolo si approccia alla nozione di reciprocità che domina la teoria degli scambi economici in una società fondata sulle reti di relazione cristiana e feudale.

Il secondo concetto è quello di incastro e di analisi istituzionale: “ dobbiamo liberarci della ben radicata convinzione secondo cui l’economia è un ambito di esperienza di cui gli esseri umani sono sempre necessariamente stati coscienti. Per usare una metafora, i fatti economici erano originariamente incastrati in situazioni che non erano di per se stesse di natura economica, come del resto i fini e i mezzi, che erano essenzialmente materiali. La cristallizzazione del concetto di economia è stato una questione di tempo e di storia ci hanno fornito gli strumenti concettuali necessari per addentrarci nel labirinto dei rapporti sociali in cui l’economia è incastrata. Questo è il compito di quello che chiameremo analisi istituzionale”.

L’ esigenza di soffermarsi su questi concetti in particolare è motivata dall’intenzione di mostrare gli usurai all’interno dei loro rapporti sociali, delle pratiche e dei valori in cui si riconoscono, infatti al fine di meglio comprendere il fenomeno economico che stiamo trattando,bisogna analizzarlo nella sua totalità, attraverso il comportamento e l’immagine di coloro che lo praticano.

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Gli uomini nel Medioevo cercavano riscontri di tale fenomeno nella Bibbia, questa forniva ad un tempo l’origine, la spiegazione e il modo d’uso del caso in questione e sembrava proprio che non ci fosse contraddizione o incertezza nel condannarla.

Nel corso del XII secolo l’economia monetaria si generalizza e la ruota della fortuna gira più rapidamente per cavalieri, nobili e borghesi che fervono di lavoro e d’affari,in questo contesto si colloca anche il proliferare del fenomeno usura che porterà all’inasprimento delle condanne per timore, da parte della Chiesa, di vedere la società turbata dal diffondersi delle pratiche usurarie. Il III Concilio Lateranense evidenzia come troppi uomini abbandonino la loro condizione e il loro mestiere per diventare usurai.

Nel XIII secolo papa Innocenzo IV e il grande canonista Enrico di Segugio detto l’Ostiense temono l’abbandono delle campagne a causa dei contadini divenuti usurai o privati del bestiame e degli attrezzi dai proprietari terrieri anch’essi attirati dai guadagni dell’usura. L’attrazione esercitata dell’usura fa apparire la minaccia di un calo dell’occupazione nelle terre e con essa lo spettro delle carestie.

Le definizioni medievali dell’usura sono date da Sant’Ambrogio: << Usura è prendere più di quanto si sia dato” (Usura est plus accipere quam dare18); da San Girolomo: << Si definisce usura e sovrappiù qualunque cosa, se si è preso più di quanto si è dato>> ( Usuram appellari et superabundantium quidquid illud est, si a beo quod dedeit plus acceperit19), dal Decreto di Graziano : <<Tutto ciò che viene richiesto oltre al capitale è usura>> ( Quicquid ultra sortem exitur usura est20).

Ciò che accomuna queste definizioni fatte da persone diverse, è il fatto che tutti considerano l’usura come un sovrappiù illecito, l’eccedenza illegittima appunto .

La decretale Consuluit di Urbano III (1187), inserita nel Codice di diritto canonico, mostra senz’altro nel modo migliore l’atteggiamento della Chiesa rispetto all’usura del XIII secolo:

¾ È usura tutto ciò che viene richiesto in cambio di un prestito oltre al prestito stesso;

¾ Riscuotere l’usura è un peccato proibito dal Vecchio e dal Nuovo Testamento;

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¾ La sola speranza di un bene in contraccambio che vada oltre il bene stesso è un peccato;

¾ Le usure devono essere integralmente restituite al loro legittimo possessore; ¾ Prezzi più alti per la vendita a credito costituiscono usure implicite.

L’usura è anzitutto un furto, quindi un peccato contro la giustizia, sia a livello giudiziario che economico così imbevuti dell’ideologia religiosa e dell’etica. I dati fondamentali dell’attività economica sono il giusto prezzo e il giusto salario, l’usura è un peccato contro il giusto prezzo, un peccato contro natura.

Un testo singolare falsamente attribuito a San Giovanni Crisostomo recita: “ Tra tutti i mercanti il più maledetto è l’usuraio, perché vende una cosa donata da Dio e non guadagnata dagli uomini ( contrariamente al mercante) e dopo l’usura si riprende la cosa con i beni altrui, ciò che il mercante non fa assolutamente. Si obietterà: chi dà in affitto un campo per ricevere un affitto, o una casa per riscuotere un canone di locazione, non è forse paragonabile a chi presta il suo denaro a interesse? Certo che no; innanzitutto perché l’univa funzione del denaro è quello di pagare un prezzo d’acquisto”.

Con questo non si vuole escludere che i canonisti del Medioevo abbiano negato ogni produttività al denaro e al capitale, ma nel caso del prestito ad interesse far generare denaro al denaro prestato è contro natura, quindi chi praticava l’usura non poteva che avere come destino l’inferno, questa massima venne detta da San Leone Magno e risuonò lungo tutto il Medioevo.

Come ampliamente esposto nei paragrafi precedenti la storia ha strettamente legato l’immagine dell’usuraio a quello dell’ebreo. Fino al XII secolo il prestito a interesse che non metteva in gioco somme considerevoli e avveniva almeno parzialmente nel quadro dell’economia naturale ( si prestavano grano, vestiti, materiali ed oggetti e si ricevano una maggior quantità delle cose prestate)era essenzialmente nelle mani degli ebrei. A questi vennero proibite , poco a poco, attività produttive che oggi chiameremo “primarie” o “secondarie”. Si dedicarono a professioni liberali come la medicina, per lungo tempo disdegnata dai cristiani che lasciavano ad altri le cure di un corpo affidato dai ricchi e dai potenti ai medici ebrei e dagli altri ai guaritori “popolari” e alla natura che faceva rendere il denaro, al quale proprio il cristianesimo negava ogni fecondità.

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Al contrario dei cristiani gli ebrei non avevano scrupoli nel violare le prescrizioni bibliche concedendo prestiti ad individui o istituzioni che non facevano parte della loro comunità.

I cristiani d’altronde non si curavano affatto di applicare delle pene nei loro confronti essendo queste riservate essenzialmente alla famiglia e alla comunità cristiani, in primo luogo ai chierici e poi ai laici.

Alcuni monasteri, dal canto loro, praticavano forme di credito, soprattutto il pegno morto( mort-gage), condannato alla fine del XII secolo. Tutto cambiò nel XII secolo, in primo luogo per il fatto che il progresso economico portò con se un enorme aumento della circolazione monetaria e lo sviluppo del credito. D’altro canto esistevano alcune forme di credito ammesse, come il prestito ad uso 21 integrato dalla riscossione di un interesse che portò al rinnovarsi delle antiche condanne e all’inasprirsi della repressione.

Gli usurai cristiani dipendevano, in quanto peccatori, dai tribunali ecclesiastici che si dimostravano generalmente abbastanza indulgenti lasciando a Dio il compito di punirli con la dannazione. Ma gli ebrei e gli stranieri dipendevano dalla giustizia laica, più dura e più repressiva, Filippo Augusto, Luigi VIII e soprattutto san Luigi emanarono una legislazione assai dura nei loro confronti.Così la repressione parallela dell’ebraismo e dell’usura si autoalimentarono contribuendo a far crescere l’ antisemitismo e a rendere ancora più tetra l’immagine dell’usuraio, in parte identificato con l’ebreo.

Vista ai giorni nostri, l’usuraio medievale viene considerato in maniera ambivalente. Infatti lo storico di oggi gli riconosce comunque il ruolo di precursore di un sistema economico che, malgrado le sue ingiustizie e i suoi difetti, si iscrive in Occidente nella traiettoria del progresso: il capitalismo.

Il grande sviluppo economico del XII secolo moltiplicò gli usurai cristiani,i quali nutrirono un’ostilità tanto maggiore nei confronti degli ebrei, poiché questi erano a volte temibili concorrenti. Ciò che bisogna scorgere dietro questo quadro a tinte fosche è che la società cristiana del tempo era ben diversa dall’immagine edificante che abbiamo oggi pensando al Medioevo.

Per l’usuraio la sola possibilità di salvezza, giacché tutti i suoi guadagni sono male ottenuti, era la restituzione integrale di ciò che aveva guadagnato.

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Un grande poeta, Ezra Pound, ha descritto perfettamente l’immagine dell’usura e dell’usuraio di quei tempi. Nei suoi testi la condanna dell’usura era completa. Usura e interesse erano per lui due cose completamente differenti e la Chiesa non aveva mai condannato tutte le forme di interesse.

Nel XIII secolo gli elevati tassi d’interesse del prestito usuraio determinarono l’atteggiamento delle autorità e della società nei confronti degli usurai.

Nella riscossione degli interessi, anche secondo un regolamento ecclesiastico che assumeva peraltro il prezzo di mercato come base del giusto prezzo, i tassi dipendevano in parte dalla domanda e dall’offerta ed erano un parziale indicatore dell’attività economica. Quindi l’usura quando non superava il tasso d’interesse praticato nei contratti era tollerato. Il tasso di mercato era ammesso entro certi limiti, a mò di regolamentazione che aveva come punto di riferimento il mercato, ma gli imponeva un freno.

La legge romana sostituita dalla legislazione bizantino-cristiana di Giustiniano e le leggi barbariche autorizzavano un usura annua del 12% e il tasso del 3,5% divenne probabilmente tra l’anno mille e il XII secolo,il massimale autorizzato e quello che i re di Francia Luigi VIII e San Luigi imposero agli usurai ebrei. I tassi d’interesse praticati nelle grandi piazze mercantili italiane del XIII secolo furono spesso anche inferiori. A Venezia essi oscillavano di norma tra il 5 e l’8%, ma c’erano dei picchi, a Firenze i tassi si mantenevano solitamente tra il 20 e il 30% e potevano aumentare fino al 40 % a Pistoia e a Lucca.

L’eccellente studio di R.H. Helmolz sull’usura in Inghilterra nel XIII mostra al contrario che, se i tassi d’interesse oscillano tra 5,5 e il 50%, la maggioranza si colloca tra il 12 e il 33,3 %.

Di fatto anche i testi ufficiali condannano esplicitamente solo gli usurai che esagerano. Nel 1179 il III concilio Lateranense destina alla repressione solo gli usurai manifesti definiti anche comuni o pubblici, si trattava probabilmente di usurai pubblicamente riconosciuti come ‘professionisti’ e che praticavano usure eccessive.

In generale la condanna all’usura da parte del diritto canonico si riscontra nei contratti di vendita sotto l’espressione danno enorme, questo concetto rende evidente come dal XII al XIII secolo l’usuraio corresse il rischio di incappare nelle maglie della rete di

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satana. Le nuove pratiche e i nuovi valori che si sviluppano nel campo di ciò che chiamiamo economia restringe l’ambito dell’usura.

La Chiesa fa da garante nella restituzione dell’usura, inoltre dopo la morte dell’usuraio è contemplata la restituzione post mortem che sembra fosse prevista in caso di penitenza da parte del morente che lo precisava nel suo testamento.

La chiesa permette all’esecutore infedele una anticipazione sulla terra dei tormenti che attendono all’inferno l’usuraio che non si pente.

Ci sono poche informazioni sulla realtà della restituzione delle somme usurarie. Gli storici tendono a vedervi una minaccia generalmente non tenuta in considerazione. Pur non credendo interamente a una pratica diffusa della restituzione, che si scontra, come si vedrà, con numerose difficoltà d’attuazione, ritengo che la volontà di restituire e la restituzione stessa siano state più frequenti e più rilevanti di quanto non si pensa abitualmente.

Se si vedesse la realtà più da vicino, si potrebbe non solo essere meglio informati su quest’indice della credenza e del sentimento religioso, ma anche valutare le conseguenze per l’economia e la società di un fenomeno troppo spesso ignorato dagli storici dell’economia.

Oggi sappiamo che gli aspetti finanziari della repressione della frode fiscale non sono trascurabili.

Il fatto che la restituzione sia penosa, soprattutto per l’avido usuraio, è illustrato da una curiosa espressione di san Luigi riferita da Joinville: << Egli soleva dire che era male appropriarsi dei beni altrui poiché restituire era così duro che, al solo pronunciarla, la parola rendre(restituire) raspava la gola con le sue r, che indicano il forcone del diavolo che sempre tira all’indietro coloro che vogliano restituire i beni altrui. E il diavolo lo fa in modo assai abile, poiché prolunga i grandi usurai e i grandi ladri in modo tale, che debbono donare in nome di Dio ciò che avrebbero dovuto restituire”.22 L’Alto Medioevo aveva condannato o disprezzato numerosi mestieri, proibiti in primo luogo ai chierici e poi spesso ai laici, o comunque denunciati come attività che inducevano facilmente al peccato. Tra coloro che più spesso sono messi all’indice ricorrono in primo luogo osti, macellai, giocolieri, buffoni, maghi, alchimisti, medici, chirurghi, soldati, protettori, prostitute, notai, mercanti; ma anche follatori, tessitori,

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sellai, tintori, pasticceri, calzolai, giardinieri, pittori, pescatori, barbieri, guardie campestri, doganieri, cambiavalute, sarti, profumieri, venditori di frattaglie, mugnai, eccetera.

Si intravedono alcuni motivi di questa messa a bando;23gli antichi tabù della società primitive ne costituiscono una solida base.

Tabù del sangue, che gioca a sfavore di macellai, boia, chirurghi, farmacisti, medici e ovviamente, soldati; i chierici si contrappongono ai soldati. Tabù dell’impurità, della sporcizia, che colpisce follatori, titori, cuochi, sbiancatori e, secondo san Tommaso d’Aquinino; Tabù del denaro che bandisce i mercenari, i protettori, le prostitute, ma anche i mercanti, e tra loro i cambiavalute, e naturalmente gli usurai.

L’usuraio, peggiore specie del mercante, ricade sotto numerose condanne convergenti: il maneggiare denaro, l’avarizia, l’accidia. A queste si aggiungono come si è visto, le condanne per il furto, ingiustizia e peccato contro natura.

Il XIII secolo e il sistema teoretico si accordano con l’evoluzione delle attività e dei costumi per moltiplicare le giustificazioni per l’esercizio di professioni che a poco a poco vengono parzialmente o completamente riabilitate. Si distinguono le occupazioni illecite in sé, per natura, da quelle che non lo sono che occasionalmente.

L’usuraio trae solo un profitto marginale da questa casistica: la condizione di necessità è esclusa, poiché egli deve già possedere del denaro per prestarlo a usura; e la retta intenzione, dal momento che non può valere se non nella prospettiva di una volontà di restituzione, non può esserli applicata.

L’unica argomentazione che a volte giustifica l’usura è quella della “comune utilità”: essa è valida per i mercanti non usurai e per numerosi artigiani, ma resta raramente accettabile per l’usuraio. Il caso diviene difficile, quando chi presta è il sovrano o, come diremo oggi, lo stato.

Citiamo Tommaso d’Aquino: “ Le leggi umane rimettono certi peccati che restano impuniti a causa della condizione imperfetta degli uomini, che non potrebbero beneficiare di numerosi vantaggi se tutti i peccati fossero rigorosamente proibiti e puniti. Così la legge umana è indulgente nei confronti di alcune forme d’usura non

23

Cfr. J. Le Goff, métiers licites et métiers illicites dans l’occident medieval,in << Annales de l’Ecole des Hautes Etudes de Gand>>, pp.41-57, ripreso in Pour un autre Moyen Age, Paris 1977, pp.91-107.

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