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2.4: Usura e sistemi bancar

Il problema dell’usura è strettamente connesso all’ambito bancario e in particolare al sistema d’erogazione del credito in favore delle imprese: è noto a tutti che il nostro sistema è tale da non prevedere la concessione di prestiti se non tramite il canale bancario.

Tale limitazione strutturale e metodologica lascia ampi spazi operativi ad individui senza scrupoli che offrono le proprie disponibilità finanziaria agli imprenditori che non prediligono il sistema bancario, che se ne sono allontanati per motivi legati a preesistenti rapporti insoddisfacenti o perché ne sono stati respinti per i medesimi motivi.

Si viene in tal modo a creare, nella realtà, un circuito alternativo di erogazione del credito che sfugge al canale bancario e trova rifugio in quello clandestino degli usurai.

Il fenomeno si giustifica pienamente con il principio della pluralità degli ordinamenti giuridici; così come la mafia e le organizzazioni criminali si insediano abilmente su determinati territori nei quali la presenza dello Stato non è capillare, anche l’usura emerge laddove il sistema bancario tradizionale viene abbandonato, creando i presupposti ideali alla costituzione di vere e proprie organizzazioni di controllo e di riscossione, particolarmente efficaci per la forza di intimidazione esercitata nei confronti dei clienti usurati.

L’attività bancaria, nella sua definizione scolastica, consiste nella << raccolta del risparmio e nell’impiego di esso in operazione di credito>>, tale contenuto costituisce la funzione qualificante per la nozione di banca sotto il profilo economico e giuridico40 e ne rappresenta il connotato di più antica tradizione. Il concetto di Banca, nella sua configurazione giuridica originaria, è collegata, sotto l’aspetto civilistico , all’espresso richiamo contenuto nell’art. 2195 cod.

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civ. e negli artt. 1e2 della legge bancaria; le due fonti citate fanno esplicito riferimento alla figura dell’imprenditore che svolge una particolare attività (quella bancaria, appunto) e che in quanto tale è soggetto sia all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, sia ad una serie di controlli e di vincoli da parte dell’ Autorità governative preposte specificamente alla tutela del delicato settore bancario (il Ministro del Tesoro e la banca d’Italia).

I limiti normativi alle tradizionali connotazioni di sottocapitalizzazione e di scarsa capacità di autofinanziamento che affliggono le imprese artigianali rendono inevitabile la riferita <<bancadipendenza>>. Questo si deve alla naturale fragilità delle piccole e medie imprese, che per poter nascere e sopravvivere hanno bisogno di approvvigionarsi di denaro e poiché l’unica fonte ufficiale e legale in Italia è la banca, è a questa ultima che essi fanno riferimento.

Gli sforzi degli studiosi e degli esperti risultano orientatati nel tentativo di trovare il modo di modificare la legge 443/85 sull’artigianato, al fine di introdurre, anche nel nostro ordinamento, la società unipersonale a responsabilità limitata come avviene già nel resto d’Europa e la costituzione di Borsini locali o per l’utilizzo delle cambiali finanziarie.

Si tratta di strumenti finanziari utilizzati ampiamente( e da diversi anni ) nel mondo anglosassone, nei cui confronti l’operatore italiano non ha mostrato molta fiducia, anche perché le nostre Autorità non sono state finora in grado di compiere un’efficace azione preventiva e di vigilanza che assicurasse correttezza e trasparenza.

Accertato, quindi, che il rapporto Banca-Impresa è enormemente squilibrato in favore della Banca e che l’utilizzo dei sistemi alternativi di finanziamento è molto lento ( anche per la scarsa cultura finanziaria dei nostri operatori ), la soluzione ottimale per eliminare tali squilibri e realizzare una sana e corretta gestione delle piccole e medie imprese, risiede nella c.d. diversificazione delle fonti di finanziamento e cioè in un dosaggio razionale ed equamente ripartito del proprio capitale e del capitale di credito( e all’interno di quest’ultimo tra crediti a

medio e a lungo termini), il tutto per consentire alle aziende di rendere più equilibrate le fonti di finanziamento.

Lo squilibrio è dovuto anche a fattori di natura istituzionale e di ordinamenti. E’ stato acutamente osservato che il ritardo accusato dal nostro Paese nello sviluppo di un efficiente finanza d’impresa dipende dalle carenze strutturali del sistema finanziario e dalla forte concorrenza dei titoli di Stato, che sotto la spinta dalla dilatazione del debito pubblico, ha impedito lo sviluppo di un efficiente mercato dei capitali.

A ciò va aggiunto il mancato sviluppo d’istituzioni finanziarie in grado di assistere le imprese nelle fasi di crescita, attraverso l’acquisizione di capitali di rischio o il collocamento sul mercato dei titoli delle imprese stesse.

In conclusione, nel rapporto Banca –Impresa, pur assistendo al timido ingresso delle istituzioni finanziarie nel mercato italiano delle imprese, permane uno stato di predominanza della Banca nei confronti dell’impresa stessa. Queste posizioni, lungi dal subire un ridimensionamento, sono destinate ad accrescersi in un futuro immediato sia perché le stesse banche stanno potenziando le loro strutture per non limitare la loro attività alla sola erogazione di credito a breve termine 41, sia perchè il modello cui si vanno ispirando è quello della Hausbank di origine tedesca. Parliamo della Banca di riferimento delle imprese, che offre una gamma completa e integrata di servizi e si pone in diretto supporto delle aziende aiutandole a conseguire una più stabile disponibilità di risorse e un equilibrato sviluppo.

Il difficile e tormentato rapporto Banca-Impresa, caratterizzato da una scarsa conoscenza e da un limitato colloquio reciproco nella fase ordinaria, si acuisce ulteriormente e spesso degenera in aspri contrasti in presenza di situazioni di patologia e di crisi della vita dell’impresa, tutto ciò crea le premesse soggettive e oggettive per il ricorso ai canali usurai. Da questo punto di vista si può affermare che la crisi del rapporto Banca-Impresa consente e accelera materialmente il processo di allargamento dell’usura nel tessuto dell’ impresa, è stato osservato

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infatti, che la mancanza di strategie consone può portare l’impresa (specie le più piccole) che versa in condizioni economiche difficili a rivolgersi ai prestiti usurai anche dopo aver utilizzato le normali fonti di finanziamento.

In quest’ultimi anni la banca italiana ha subito una trasformazione, passando da un’impronta pubblicistica ad una privatistica; ciò fa sì che il banchiere italiano di oggi si configuri come un imprenditore privato che svolge una particolare attività nell’ambito di un mercato concorrenziale, anche se questi rimane sempre assoggetto alla legge bancaria e ad una serie di vincoli di natura chiaramente pubblicistica, infatti il rapporto che egli istaura con i clienti non può svolgersi secondo canoni di autonomia negoziale illimitata.

Succede così, che nell’ipotesi di trattativa ( o per l’apertura di un conto corrente con fido o per la concessione di un finanziamento), il banchiere è obbligato a pretendere garanzie patrimoniali idonee a coprire il rischio del finanziamento richiesto dall’imprenditore. Dunque se pur affine alle connotazioni di un imprenditore privato, il banchiere non è un dispensatore automatico di denaro pronto a soddisfare qualsiasi richiesta, ma è (e deve essere) un erogatore ponderato che soddisfa le richieste di finanziamento dopo aver compiuto un’istruttoria approfondita sulla posizione economica dell’imprenditore richiedente e sulla sua solidità, questo allo scopo di cautelarsi nel caso che una crisi dell’impresa impedisca il futuro recupero del credito erogato.

Pur comprendendo la necessaria laicità dell’analisi condotta dal banchiere, occorre riconoscere che spesso essa viene attuata con eccessiva severità, degenerando in una vera e propria psicosi della garanzia, così facendo si corre il rischio di non stimare correttamente le prospettive e le capacità imprenditoriali del richiedente, ossia il suo progetto impresa, 42 che magari potrebbe meritare una valutazione più benevola e quindi di un sostegno finanziario adeguato.

A questo punto è doveroso approfondire uno dei punti critici del rapporto banca- cliente-imprenditore: quello della concessione e quello della revoca del fido bancario.

Per quanto attiene alla concessione del fido, occorre evidenziare la discussa prassi bancaria di autorizzare verbalmente degli sconfinamenti sul conto corrente senza stipulare un contratto di apertura di credito. In questo caso, la conseguenza è che, in mancanza di un obbligo specifico della banca, il cliente-imprenditore possa subire( in qualsiasi momento) il protesto di un assegno anche di valore modesto subendo danni facilmente immaginabili per la sua reputazione e, di riflesso, per l’avviamento dell’impresa stessa.

Nel secondo comma dell’articolo 1845 del codice civile, viene confermata la posizione dominante del cliente-imprenditore, la norma prevede che in conseguenza del recesso vi sia la sospensione immediata della utilizzazione del credito e l’obbligo da parte della banca di concedere un termine di almeno 15 gg. per la restituzione.

Il successivo 3o comma dell’articolo prevede, sempre nell’ ipotesi di apertura di credito a tempo indeterminato, la possibilità per ciascuna delle parti di recedere dal contratto rispettando il preavviso stabilito dall’ accordo o in mancanza di questo, quello di 15gg.

Queste previsioni risultano derogate dall’art 6 delle Norme Uniformi Bancarie, che prevedono la drastica riduzione del suddetto termine da quindici giorni ad un solo giorno, con conseguenze per il cliente essere sfiduciato nell’arco di 24 ore. Ecco come l’affidato, in conseguenza alla riduzione di cui è stato soggetto, si ritrova a dipendere dalla risposta delle rispettive banche con il rischio che una determinata situazione possa essere mantenuta anche in seguito e che venga ignorato il fatto che l’apertura di credito concessogli sia a tempo determinato (quindi non è in grado di capire se può fare affidamento o meno sul credito concessogli con il rischio di una revoca concernente l’obbligo di immediata restituzione e con la conseguenza che assegni emessi in virtù della disponibilità creata dall’apertura di credito, ma presentati all’incasso dopo la revoca risultino protestabili )43.

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Teti R., l’usura quale momento di turbativa delle relazioni commerciali ( relazione al convegno cit.)

Alla luce delle suddette considerazioni, la giurisprudenza consente la liceità delle clausole sopra indicate nel contratto d’apertura di credito, a condizione che esse siano approvate dalle due parti, grazie a ciò notiamo come l’art. 1845 del cod. civ. viene a ridimensionarsi, nel senso che non tutte le regole citate devono ritenersi inderogabili a danno dell’accreditato.

Imprescindibile, a tale proposito, appare il ricorso alle clausole generali di correttezza e di buona fede degli articoli 1175 e 1375 cod. civ. per approntare un’efficace tutela del cliente-impreditore dinnanzi a quelle condotte bancarie che oscillano dall’avvertimento puro e semplice all’imminente chiusura del credito ( ove non si verificano rapidi e concreti rientri fino alla c.d. rottura brutale del credito medesimo).

Il recesso del contratto di apertura di credito da parte della banca può ritenersi validamente e correttamente compiuto solo ove sussistano motivi validi ed apprezzabili, ragioni plausibili e fondate, viceversa , deve ritenersi invalidato ed inefficace (e, quindi, generatore di una pretesa risarcitoria) nell’ipotesi in cui esso non sia sorretto da validi motivi, da ragioni apprezzabili o da giusta causa. In sostanza si vuole dire che nell’ambito di un normale rapporto contrattuale, ciascuna delle parti deve essere in grado- in ogni momento del rapporto- di conoscere preventivamente diritti, doveri, poteri ed oneri dell’altra; tale principio si rende necessario anche allo scopo di esigere, sia dalla banca che del cliente- impreditore, comportamenti che assicurino ad entrambi la certezza della stabilità del rapporto contrattuale.

E’ in questa delicatissima fase che l’imprenditore, vedendosi chiuso il credito, va alla spasmodica ricerca di un intervento finanziario, prima rivolgendosi ad altri istituti e poi ricorrendo ( anche dietro sollecitazioni di persone inaspettate, vicine agli usurai) al mercato finanziario criminale dell’usura.

Quello del protesto è uno dei momenti più pericolosi per l’imprenditore, trovandosi impossibilitato ad accedere al mercato legale, questi si vede

necessariamente costretto a ricercare liquidità e sostegno finanziario in quello illegale , pena la cessazione dell’ attività imprenditoriale e il fallimento: questo è il momento in cui l’imprenditore diviene potenziale vittima dell’usuraio.

Si tratta di un momento drammatico per la stessa vita privata dell’imprenditore, che talora non riuscendo a sopportare l’onta del disonore, ricorre al suicidio o ad altri gesti inconsulti, coinvolgendo i membri della sua famiglia o, in altre occasioni, tenendoli all’oscuro di tutto.

Sono numerosi e spesso anche gravi, i momenti di crisi che travagliano la vita delle imprese, molti di questi sono riconducibili a carenze gestionali, a inettitudine e scarsa professionalità dell’imprenditore, ma in qualche caso non si può negare che essi siano riconducibili a patologie e anomalie attinenti alla stessa modalità di erogazione del credito. Gli organi preposti non sempre appaiono all’altezza della situazione, specie in riferimento a talune valutazioni di rischio che una maggiore ponderazione ed una migliore “ cultura bancaria” potrebbero agevolmente evitare.

Ma esiste anche un’altro motivo che contribuisce ad aggravare la crisi dell’impresa: la carenza degli attuali strumenti legislativi preposti a gestire le crisi aziendali. Il pensiero corre subito al complesso di normative che disciplinano le procedure concorsuali e che dovrebbero, almeno sul piano teorico , essere destinate a limitare gli effetti negativi della crisi di cui si parla. Mi riferisco alle leggi fallimentari che introducono una serie di incapacità per il fallito (incapacità ad essere amministratore di società, incapacità ad iscriversi al registro degli esercenti commerciali e all’Albo degli agenti e rappresentanti di commercio) oltre ad impedire al medesimo di svolgere una qualunque attività economica.

In pratica, queste hanno assunto una connotazione negativa giacché "favoriscono

o almeno non impediscono la penetrazione da parte della criminalità organizzata, nelle attività produttive”.44

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È noto, infatti, come nella fase terminale della crisi, esauritasi la possibilità di far fronte al debito contratto con gli usurai, questi ultimi ricorrano all’intimidazione riuscendo ad ottenere dai debitori sia la proprietà dei beni immobili, sia l’azienda stessa, gestendola spesso con la precedente ragione sociale, che pertanto viene ad essere strumentalizzata.

In questo modo l’azienda diviene un mero paravento atto a celare ulteriori operazioni finanziarie e commerciali illecite per poi scomparire dalla circolazione dopo essere stata chiusa o ceduta a terzi.

CAPITOLO 3