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LA “LUCE CHE NON SI SPEGNE MAI”

Edward Bach, nonostante la sua indubbia genialità co-me oco-meopata e co-medico tradizionale, si rende conto che la medicina ufficiale presta unicamente attenzione alla malattia in sé, piuttosto che al paziente. Da queste considerazioni ha inizio il suo interesse nei confronti del-le differenze di approccio che ciascun individuo man-tiene con i propri disturbi. Come agli stesso dice, "la ra-gione principale del fallimento della scienza medica ufficiale sta nel fatto che si impernia sui sintomi e non sulle cause. Nel corso dei secoli il materialismo ha ma-scherato la reale natura della malattia e ciò ha facilita-to l'estendersi dei danni provocati da essa, perché non la si è mai attaccata alla sua origine”.

Bach però, pur essendo riuscito ad associare determi-nati germi a specifiche personalità, ancora non si sente soddisfatto del suo impegno.

Cerca un metodo, dolce, alla portata di tutti: seguen-do, come sempre, la propria intuizione, Edward Bach nell’autunno del 1928 si reca in vacanza nel Galles, il paese dei suoi avi ricco di vegetazione boschiva e di prati; durante questo viaggio, trovò due fiori particolari, Mimulus e Impatiens, che lo colpirono al punto che se li portò a Londra. Poi ne preparò gli estratti su base ome-opatica e li somministrò ad alcuni pazienti, scelti non in base alle loro malattie ma in base alle loro caratteristi-che psichicaratteristi-che caratteristi-che più si adattavano ai fiori. I pazienti reagirono positivamente, per cui Bach, ritenendosi sulla

buona strada, chiuse il suo laboratorio di ricerca, fece un falò di tutte le conferenze e saggi sui precedenti ri-sultati, frantumò siringhe e flaconi di vaccini, rove-sciandone i resti nel lavandino e, nel 1930, all’inizio di maggio, abbandonò la fumosa metropoli londinese: Vo-leva tornare in Galles e stabilirsi nella antica casa dei nonni.

LA PARTENZA

Forse non è un caso se i suoi antenati Celti festeggia-vano l'inizio di maggio (Beltaine) come inizio dell'anno, come festa di nozze del dio del sole e della luce (Bele-nos) con la triplice dea della natura. Come in questo mese si adornava la natura, così gli uomini facevano bagni salutari nella rugiada, accendevano giganteschi falò nei quali bruciavano tutte le vecchie immondizie e addobbavano l'albero, che simboleggiava l'unione de-gli sposi divini, della luce del cielo con l'umida, fertile terra. La festa di Beltaine era considerata come un pun-to di rottura nella ruota del tempo. È il punpun-to centrale fra l'equinozio di primavera e il solstizio d'estate. In tali momenti magici, quando un periodo di tempo subentra ad un altro, gli esseri dell'Altro Mondo, del «mondo di là» -elfi, dei e antenati -possono agire nel mondo di qua. Nel contempo, i mortali dotati di particolare sensi-bilità possono ricevere ispirazioni.

Bach non avvertiva certamente il suo coinvolgimento in contesti del genere: in fondo era un uomo moderno!

Tuttavia, tutte le culture -ad eccezione della nostra cul-tura materialistica -riconoscono che in particolari pe-riodi, in particolari luoghi, gli antenati si manifestano nelle profondità dell'anima come ispirazioni e possono indicare una strada ove, secondo il giudizio razionale, non v' è più alcuna via. Il Galles era per Bach -per dirlo con le parole del biologo e filosofo inglese Rupert Shel-drake -un “campo morfogenetico” col quale egli, a causa della sua origine e maturità spirituale, poteva simpateticamente entrare in risonanza. Gli antenati, che continuano ad esistere nel “sangue” (cioè nel codice genetico) e nelle strutture profonde della psiche -ciò che C. G. Jung defInisce inconscio collettivo -, ven-gono risvegliati ed entrano in risonanza quando un di-scendente torna in quella terra della quale essi una vol-ta conoscevano e amavano i tratti caratteristici: i mon-ti, le coste, la flora, la fauna, la lingua e l'architettura.

Bach amava il Galles perché lì poteva sentirsi a casa con tutto il suo essere. In Galles, dove tutto in lui era simpatia, poteva ricevere le ispirazioni di cui aveva bi-sogno. Né un guru e Mentore spirituale come Hahne-mann né il metodo scientifico potevano indicargli la strada che doveva ancora percorrere. Solo la sua pro-pria sensitività nei confronti della natura poteva essergli d'aiuto, e l'ascolto delle profondità del suo spirito.

Non fu certo un caso se, aprendo la valigia dove cre-deva di aver messo il suo mortaio e il pestello, non trovò altro che scarpe -come se Manawyddan, l'antico dio gallese delle scarpe, gli avesse giocato uno scherzo!

Ma la rottura col passato doveva essere completa. Nel verde doveva andare. Doveva attraversare a piedi in tutte le direzioni la magica terra dei suoi antenati; e-splorare i monti, le paludi, le coste e le valli. Per il suo nuovo metodo di dinamizzazione non avrebbe comun-que avuto più bisogno di comun-quegli strumenti.

Fu aspramente criticato dalla classe medica tanto che preferì, allora, cancellarsi dall’Ordine Medico, e farsi chiamare erborista, piuttosto che non obbedire alle ri-sposte che stava trovando nella Natura. Abbandonan-do la medicina dell’epoca, diventanAbbandonan-do omeopata, quindi, “eretico” tra gli eretici e, coniugando egregia-mente conoscenze scientifiche ed intuizioni, si mette al-la ricerca delal-la nuova medicina. Le campagne del Gal-les e dell’Inghilterra sono i luoghi ove reperire i fiori dell’anima. La gente comune e povera del Galles sarà quella che beneficerà, spesso gratuitamente, delle sue terapie.

Qui individua i primi rimedi floreali contro la disarmonia dell’individuo con se stesso, con la propria missione e con le leggi dell’Universo.

Non si accontenta, però, di aver scoperto dei rimedi floreali, ma, come aveva fatto con i nosodi, ne fa egli stesso uso e li somministra intuitivamente ad altri pazien-ti, secondo la loro personalità; non si pentì mai di aver abbandonato tutto quanto costruito a Londra, gli agi e gli onori derivati dalle sue scoperte, i suoi laboratori di ricerca, nonché una numerosa e facoltosa clientela: il

suo scopo era quello di ritirarsi definitivamente nella campagna gallese per approfondire lo studio dei fiori.

LA REALIZZAZIONE.

Così, il perennemente insoddisfatto Dott. Bach, decide di attuare il suo sogno: trovare una terapia veramente semplice e innocua per la cura delle sofferenze fisiche e mentali degli uomini ritornando ai "vecchi rimedi": si convince del fatto che alcune piante possono sostituirsi con efficacia ai nosodi. E’ proprio in questo periodo che il dr. Bach scopre il potere curativo dei fiori, dove è racchiuso tutto il potenziale della pianta stessa.

Mentre le radici, il fusto e le foglie racchiudono la parte più materiale e già manifestata, e mentre il seme, an-cora non manifestato, riassumerà in se stesso tutte le caratteristiche peculiari della sua pianta, proprio per permetterne la riproduzione, il fiore è il ponte, il lega-me che simbolicalega-mente e materiallega-mente collega que-ste due parti. D’altronde, in molte culture si è usato il fiore come simbolo di avvenimenti ed emozioni e porta-tore di messaggi.

Però, totalmente preso dai suoi studi, Bach si cura poco della propria salute. Questo potrebbe apparire un con-trosenso, ma non è raro, studiando la vita di grandi per-sonaggi, scoprire in loro quegli errori che poi avrebbero riconosciuto e corretto negli altri. Forse è proprio questa capacità di sbagliare e apprendere dalle proprie im-perfezioni quello che li rende davvero "grandi'.

Bach comincia a porsi una domanda, rivoluzionaria per l’epoca: e se fossero stati il lutto subito per la morte della compagna, per la guerra, per la sofferenza ascol-tata e vissuta nei malati, lutti non sufficientemente e-laborati a provocare la sua malattia? Questa domanda pone le basi per i suoi successivi studi, quelli che a-vrebbero portato all'identificazione dei suoi "rimedi". Si butta a capofitto, giorno e notte, nella ricerca e nel suo lavoro, tanto che il lume alla sua finestra viene chiama-to: "la luce che non si spegne mai"; così facendo, e spalancando completamente le porte dell'anima, rie-sce a superare la crisi e la malattia; lavora passeg-giando nelle campagne e nei boschi, in compagnia della sua assistente e poi biografa Nora Weeks, "ascol-tando" l'energia dei fiori in cui s'imbatte, per compren-dere a quali soggetti corrispondano e a quali squilibri siano abbinati. La vita, o quello che gli resta, lo sprona ad immergersi completamente nel suo lavoro, convinto del fatto che un interesse e un ideale aiutino più di qualunque cura.

Il risultato, per quanto lo riguarda, é che la morte gli concede una lunga “dilazione”, ed egli si persuade che il motivo di quel dono straordinario é da attribuirsi all'in-teresse per lo studio, che si era completamente impa-dronito della sua mente, distogliendolo anche dall’ansia per se stesso.

Proprio dal suo lavoro attinge nuove energie, si sente sempre meglio. In un certo senso Bach é effettivamente una persona risorta dalla morte.

I popoli primitivi, come raccontano gli etnologi, ricono-scono gli sciamani, loro guaritori, proprio da simili "risur-rezioni".

D’altra parte, si sa che la prossimità della morte purifi-ca la coscienza, la trasforma e la rende più sensibile.

"La malattia che accompagna alla morte" non è scono-sciuta all'animo umano. Essa può essere “la porta” per trovare se stessi, per dedicare l’esistenza al bene degli altri. Se accetta la sua missione, gli viene fatto di nuovo dono della vita. Lo sciamano giace spesso in coma per diversi giorni, mentre la sua anima soggiorna in un mondo invisibile. Egli si trova "dall'altra parte", nel mon-do degli spiriti, là mon-dove sono gli avi e gli antenati, e mon- do-ve si trovano pure, gli spiriti delle piante, che lo inizia-no ai loro segreti.

"Non siamo noi uomini che cerchiamo le piante medici-nali e inventiamo i rituali della raccolta e della prepa-razione della medicina, ma sono gli Hematosooma, (gli spiriti delle piante), che chiamano l'eletto, lo adottano come figlio o nipote e lo guidano", dice lo Cheyenne Bill Tallbull; non l'intelletto, bensì l'anima, resa più sensi-bile dalle sofferenze e dalla prossimità della morte, ri-trova in sé conoscenze guaritrici. Questa sensibilità, an-che empatica (spesso lo sciamano prova egli stesso i sintomi degli ammalati), permette anche di diagnosti-care e guarire le malattie degli altri. Questa estrema forma di malattia, e le esperienze traumatiche spalan-cano la mente su un piano dell'essere che occhi mortali non possono vedere. Una condotta di vita moderata e

una dieta parca, permettono di conservare o di ripristi-nare facilmente l'accresciuta ricettività sensibile. In questo stato di esaltazione della coscienza, gli sciamani trovano le piante medicinali appropriate. Una rinnovata purezza e innocenza, dice lo Cheyenne, è la premessa per l’acuirsi dell’istinto. Il suo occhio spirituale è allora in grado di percepire il corpo spirituale delle piante, e le piante gli conferiscono il “sapere di sé”, per restituire salute a persone e animali malati.

Fu cosi’ che, avvolto nella natura si lasciò andare alle sue intuizioni fino a scoprire che il metodo da lui cerca-to, in sostituzione della preparazione in laboratorio, è quello di cogliere il fiore, metterlo in una bacinella di vetro ed esporlo al sole per alcune ore. Il fiore esprime il massimo potere dell'energia della pianta, perché ha tutto in se’: "la terra per coccolarlo, l'aria della quale si nutre, il sole o il fuoco per rendere possibile che riveli il proprio potere e l'acqua per assimilare ed essere arric-chito della forza magnetica guaritrice".

Sempre pensando a se stesso, alle paure, delusioni, alle esperienze del suo vissuto, non molto diverse da quelle di altri ma, comunque, più conosciute, passo’ di pianta in pianta, assaggio’ i petali di molti fiori e piano piano li conobbe, si lascio’ percorrere dalle loro vibrazioni, li chiamo’ per nome e poi li scelse.

Penso che Bach, nel suo peregrinare in Galles, sia stato pero’ vittima di stati di affaticamento, periodi in cui la sua natura perseverante gli impediva di sottrarsi agli impegni e lottava ogni giorno con tutta l’energia

possi-bile, sentendosi portatore del peso del mondo, senza attimi di tregua, senza perdersi d’animo. Non si permet-teva cedimenti, non si arrendeva alle avversità. Consi-derandosi malato senza possibilita’ di rimedio, si lascia-va prendere dal vortice del lavoro e delle scoperte, non si dava riposo, senza rendersi conto che l’organismo gli segnalava stanchezza. Affidabile, co-raggioso, portava a termine ogni compito senza lamen-tarsi, ma a volte, si trovava esaurito per eccesso di la-voro.

In questo particolare stato, può aver vissuto attacchi di nostalgia, idealizzando giorni lontani, rimpianti, ricordi, desiderio di un passato di cui portava il peso, di legami non risolti, immerso nei ricordi di familiari perduti o di ambizioni non ancora realizzate. Non pensava di ritro-vare una felicità simile a quella già conosciuta. Ha a-mato una volta e credeva non sarebbe più accaduto.

HONEYSUCKLE avrebbe potuto aiutarlo a crescere, a guardare il passato con sereno distacco, facendo teso-ro delle esperienze vissute, accettando il presente in preparazione del futuro.