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Anche se Bach, nel silenzio della natura gallese, continuava a vivere al di la’ e al di fuori delle infauste previsioni cliniche, penso che talvolta si lasciasse prendere dallo scoraggiamento, dal senso di una fine troppo vicina, che non gli

avrebbe permesso di finire quello che aveva iniziato.

Ma, quando il faro della speranza si era indebolito, in-contro’ MUSTARD, (SINAPIS ARVENSIS): si trovava in una condizione di ipersensibilità, con crisi di tristezza e ma-linconia, talvolta consapevole, talvolta ignota, che

im-provvisamente lo pervadeva per giorni, per scomparire poi altrettanto di getto. Non si sentiva felice, la sua vo-glia di vivere non era più sorridente, ma in ombra. Si sentiva spento, vecchio, inutile, in uno stato di dolorosa impotenza, senza nessuna speranza o soluzione, come chi ha toccato fondo. Perennemente insoddisfatto, vedeva solo i suoi limiti. Pur avendone la capacità, non riusciva ad affrontare realisticamente gli ostacoli:, un insuccesso lo demoralizzava, con la disperazione sem-pre pronta ad emergere. Ma nei petali di Mustard ha ritrovato se stesso e la gioia di vivere: il fiore gli ha do-nato la capacità di affrontare con equilibrio gli alti e bassi della vita. Questa pianta, detta anche senape selvatica, e’ insuperabile nel trattamento dello zolfo. Oli eterei sulforati si trovano nei fusti, nelle foglie e spesso perfino nelle radici delle crucifere. Gli alchimisti ricono-scono lo zolfo come principio portatore di sole, (Sul-phur, da “sol ferre” = portare il sole). Con l’ausilio dello zolfo, l’energia solare puo’ penetrare anche nel freddo e nell’oscurità delle aree in cui vivono le crucifere, che cercano il loro spazio vitale in suoli duri e magri, con clima freddo. Infatti sono molto diffuse nel paesi intorno al Mare del Nord fino al circolo polare. L’energia dello zolfo conferisce a queste piante una straordinaria vitali-tà: nonostante il freddo, germogliano precocemente in primavera, crescono senza lignificare e fioriscono pro-fusamente. I semi conservano la capacità germinativa anche per decenni e contengono molto calore. Secon-do Bach, senza l’energia sulfurea dello spirito, l’animo

umano sprofonda in un abisso di tenebre. Il fiore della senape selvatica possiede quattro petali, quattro sepali due stami corti e quattro lunghi che si intersecano orto-gonalmente. Il fiore dunque e’ improntato alla teatrali-tà della croce, che, nella cultura occidentale e’ simbo-lo di redenzione. Anche Gesù dice: “Il regno dei cieli e’

come un granello di senape!”.

Verso il mese di settembre del 1931, Bach incontrò e conobbe GENTIAN, GENZIANELLA, GENTIANA AMARELLA.

Dopo che, all’inizio di giugno, ebbe scoperto Water Violet, Bach presagì che la successiva pianta sarebbe stata una genziana. E sui prati carsici della

contea del Kent la trovò, infine. Il genere Genziana comprende circa 500 specie, che spesso si somigliano al punto tale che solo un esperto è in grado di ricono-scerle. I loro fiori assumono tutte le sfumature del blu, più raramente giallo; il loro sapore è estremamente amaro e permea la pianta dalle radici ai fiori. Se si guardano queste piante al sole si ha l’impressione che la genziana abbia risucchiato parte del colore del cielo nei suoi calici profondi, a grandi sorsate. Nella genzia-nella autunnale trovata da Bach si riconosce il blu pur-pureo del cielo autunnale al mattino ed alla sera. Que-sta genzianella fiorisce da agosto a ottobre e può sop-portare anche le quote basse, ma e’ solo biennale, le sue radici gialle sopravvivono solo un inverno. Secondo

Bach, le sue influenze possono compensare il pessimi-smo, la malinconia struggente, l’incertezza. Il nome del genere, “Gentiana”, è dovuto, secondo Dioscoride, al re illirico Gentio, che la utilizzò per combattere, in Asia Minore, una epidemia di peste. La monaca Ildegarda di Bingen consiglia la polvere di genziana da assumere con vino caldo, come bevanda purificativa. Gli Indiani curavano anch’essi con le loro Gentianacee le febbri, gli avvelenamenti ed i disturbi gastrici. Nelle regioni dell’Himalaya, la genziana è venerata come manifesta-zione del Dio Shiva. In India settentrionale questa pian-ta prende il nome di “Nilkantha” (gola blu), uno degli appellativi di Shiva. Nella medicina Ayurvedica, le genziane sono considerate “ventose”, (Vata). Hanno il potere di “asciugare” lo stomaco basso ventre, ripuli-scono i canali nei quali scorrono le finissime energie vi-tali, espellono dal sangue le sostanze tossiche e abbas-sano le febbri. Le sostanze amare permettono a Shiva, che non è altro che il nostro Io Superiore, di prendere forma in un corpo materiale, conservando una lucida coscienza e di superare la pesantezza della vita terre-na. Edwad Bach ha dimostrato che questa pianta è correlata non soltanto con la digestione: l’essenza dei suoi fiori può aiutare la psiche a “digerire” avvilimenti, amari colpi del destino che altrimenti sommergerebbe-ro la psiche di “malinconia” (melancholia). Questa pianta aiutò Bach a controllare l’angoscia e la dispe-razione, regalandogli un giusto equilibrio psicofisico e una sana voglia di lottare. I tipi Gentian sono eterni

pessimisti che dubitano di tutto e di tutti e spesso tro-vano persino una motivazione logica per giustificare il loro atteggiamento negativo. Quando devono affronta-re difficoltà esterne, si scoraggiano facilmente e si la-sciano deprimere. Nel timore che le cose al fin fine an-dranno storte, sono inclini a desistere troppo in fretta, ma spesso è proprio questa aspettativa di fallimento che vanifica la possibilità di ottenere risultati positivi. I tipi Gentian sembrano continuamente alla ricerca del negativo, forse per giustificare il loro atteggiamento.

Mentre OAK (QUERCUS ROBUR VARR. PEDUNCOLATA) lo ha aiutato a capire l’importanza del rilassamento, del riposo e di pause meritate. Ha addolcito il senso del dovere, ha reso più ponderata la sua lotta per la vita, senza nulla togliere a coraggio e tenacia. Alla ricerca di Aiuti particolarmente forti, Bach non avrebbe potu-to trovare un albero più potente della quercia (Quercus robur). Nei paesi in cui è

dif-fuso, quest' albero era una volta venerato come immagine del pilastro cosmico, che unisce Cielo e Terra. Dato che

cresce spesso in luoghi dove s'incrociano vene d'acqua sotterranee, la quercia viene di frequente colpita da fulmini. Ciò spiega perché i popoli antichi consacrava-no quest'albero al re degli dei, il dio della folgore: i Greci a Zeus, i Celti al dio i del tuono (Dagda, Tanaris), i Romani a Giove. Quest'albero sacro trasmette alla Ter-ra il fuoco celeste purificatore e fecondativo. La

quer-cia è l'albero del giudizio, sotto il quale sedeva il re e attendeva al suo compito divino. Sotto la sua chioma avevano luogo decisioni e predizioni. Qui non si doveva proferire menzogna, poiché si trattava del “thing-albero”, sotto il quale a tutto quanto veniva detto e deciso conseguiva un inesorabile potere oggettivante.

Qui si definiva il giusto e l'ingiusto, l'essere e l'apparire.

A tutt’oggi esistono in Inghilterra le “gospel oaks”:

querce sotto le quali il parroco annuncia le verità del Vangelo e invoca la benedizione dell' Altissimo per la suo parrocchia. Anche per i Celti la quercia (in gallico Druides, in gallese Derwen) era l'albero degli alberi. Da esso presero il nome i druidi. La loro istruzione, e le grandi cerimonie druidiche avevano luogo in foreste di querce dove, “nel sesto giorno del mese lunare” i ma-ghi, in candide vesti, tagliavano con falcetti d'oro, dal-le chiome degli alberi, i rami di vischio che donavano fecondità. La settima lettera dell'alfabeto celtico degli alberi è «D» (Duir): la quercia. Duir significa anche “por-ta”: con travi di quercia si costruivano soglie e montanti delle porte. Nel calendario druidico degli alberi, la quercia simboleggia il solstizio d'estate, la porta per la seconda metà dell'anno, la soglia dove l'anno solare crescente combatteva per la vita o la morte con quello che andava decadendo. Una volta il re che sedeva sotto la quercia era considerato garante dell'ordine smico sulla Terra e donatore di fecondità. Quando co-minciava a perdere forza e potenza, si faceva avanti l’

aspirante successivo alla carica sacra, lo sfidava e lo

uccideva nel duello rituale Questa usanza arcaica è sopravvissuta nel cristianesimo con la leggenda di Gio-vanni il Battista, il quale , fu decapitato intorno al solsti-zio d'estate. L'insaziabile fame di legno dell’inglese Ro-yal Navy portò ad una rovinosa scarsità di questo mate-riale. Gli Inglesi furono costretti a estrarre carbon fossile per il riscaldamento. Fecero così, involontariamente, il primo passo verso la rivoluzione industriale. Così, anche in questo caso, la quercia rappresenta la porta, la so-glia di una nuova era. Sotto molti aspetti, nella quercia si esprime la tenace lotta fra principi contrapposti. In essa vediamo un albero che nella tempesta non si pie-ga, bensì lotta contro i venti. Le sue foglie lobate testi-moniano un conflitto tra estensione e contrazione. An-che le parti legnose testimoniano delle contrapposizio-ni: il legno di quercia contiene acidi tannici; nel con-tempo essuda ossido di calcio (basico) nella corteccia spessa e profondamente fissurata. La quercia è il simbo-lo della durezza virile. I Personaggi dalla forte vosimbo-lontà, che superano innumerevoli difficoltà, come il mitologi-co eroe gremitologi-co Ermitologi-cole, mitologi-combattevano le battaglie mitologi-con davi di quercia. Ma la quercia appartiene anche alla dea della terra (Persefone), poiché le pesanti ghiande sono il cibo preferito dei maiali, a lei consacrati. Non v'è popolo indogermanico che non abbia associato al-la quercia fedeltà, fermezza, coraggio guerriero, equità e forza di volontà. La nota esperta di erbe M. Grieve, con esaltazione patriottica, dichiara la quercia “il più inglese di tutti gli alberi” Anche la quercia tedesca è

celebratissima. Il carattere eroico della quercia trova espressione anche nel linguaggio dei fiori: “Un serto di quercia al vittorioso!” Chi porta delle foglie di quercia - fossero anche solo disegnate su un berretto - manifesta fermezza e fedeltà. Nell'erboristeria astrologica la quer-cia simboleggia il dominio del re dei pianeti: Giove. Se-condo la mitologia romana Giove, da bambino, trovò riparo sotto una quercia. Dovunque regni Giove, pre-vale la gioia di vivere, e le mense sono riccamente im-bandite di cibi e bevande. Perciò, la quercia divenne anche simbolo di ospitalità e lieta convivialità. La tavo-la rotonda altavo-la quale banchettavano Re Artù e i suoi valorosi cavalieri, consisteva di un pezzo di tronco di quercia. In passato, quest'albero era annoverato tra gli alberi “fruttiferi”. Con le ghiande si potevano ingrassa-re, in autunno, i maiali; negli anni di carestIa, quando il raccolto di cereali era scarso, si poteva fare il pane con l'aggiunta di farina di ghiande. Per gli Indiani della California le ghiande costituivano addirittura la princi-pale risorsa alimentare. Con un laborioso procedimen-to, mediante acqua corrente, toglievano loro il sapore amaro, poi le riducevano in farina.Il nome della fami-glia cui la quercia appartiene non significa altro che

“commestibile” (Fagaceae, dal latino fagus o dal greco phegos). Alla stessa famiglia appartengono il castagno e il faggio. Anche in natura l’albero si comporta da o-spite premuroso. Tra i suoi “pensionati” ci sono cinghiali, ghiri, scoiattoli, ghiandaie e coleotteri. I picchi ci rica-vano i loro nidi e numerosi insetti e uccelli trorica-vano un

ri-fugio sicuro nel suo fogliame. In medicina si utilizzano le foglie e la scorza giovane, per le proprietà astringenti, drenanti. antisettiche e antipiretiche, nei casi di ferite e come contravveleno. Si preparano anche collutori, ag-giunte per bagno e bevande. Gli effetti medicinali sono dovuti soprattutto al contenuto in tannini perché queste sostanze sottraggono ai batteri saprofiti il loro substrato nutritivo acquoso. E questa proprietà che fa della scor-za del rovere un eccellente mezzo per la concia delle pelli. Gli agricoltori biodinamici preparano, con la scor-za di rovere, un prodotto per ridurre nelle piante colti-vate le malattie da funghi, la muffa e il carbonchio. La quercia è un albero imponente che vive fino a un mi-gliaio d'anni. I fiori femminili, che Bach preparò nel 1933, sono tuttavia insignificanti, quasi incolori, a parte una sfumatura rossastra, e senza profumo. Qui incon-triamo dunque un fiore che non indulge a fantastiche-rie. Nemmeno gli svolazzano intorno le farfalle: all'im-pollinazione provvede il vento. Non v'è niente di ine-briante, di seducente. Prevalgono rigore e sobrietà. Se, tuttavia, l'astrale si unisce all'etereo, ciò non avviene nel fiore così spartano, bensì nelle foglie. Quando le cimici pungono le foglie, queste si rigonfiano formando galle rossastre, quasi dei frutti. La quercia contrasta questo invadente elemento con un incremento della produzione di acido tannico, per contenere la sua cre-scita. Nelle galle si accumula così tanto tannino che una volta erano usate per fame inchiostro. Quando Bach descrive l'essenza dei fiori di Oak definendola

quale rimedio per quei lottatori stremati che, nonostan-te tutnonostan-te le difficoltà, continuano a combatnonostan-tere stre-nuamente senza mai arrendersi, ha centrato in pieno il carattere di questa pianta.

Oak armonizza la Flessibilità

HORNBEAM – CARPINO - CARPINUS BETULUS