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RED CHESTNUT -CASTAGNO ROSSO - AESCULUS CARNEA)

La madre di Eddie avrebbe potu-to trarre giovamenpotu-to anche dall’assunzione di RED CHESTNUT, che avrebbe trasformato il suo comportamento ansioso e protet-tivo, alleggerendo la paura e

preoccupazione eccessiva per suo figlio.

Il rimedio aiuta a ridimensionare i propri timori e ad amare senza un'iper protezione soffocante, ad emette-re pensieri di armonia, che rappemette-resentano un sollievo per le persone care. E' utile per coloro che sono a stret-to contatstret-to con le sofferenze altrui, per le mamme nel periodo dello svezzamento, nei casi di incubi notturni oppure quando vi sono dei desideri ossessivi o delle bramosie incontrollabili. La persona che ha bisogno di Red Chestnut teme sempre il peggio e vive la vita altrui come se fosse la propria. Non si preoccupa di se stessa ma dei suoi cari e lo fa in modo esagerato. Se riveste il ruolo di madre esorta i suoi figli alla prudenza anche se sono adulti.

E' utile per quelli che si preoccupano al punto di perde-re l'appetito ed aveperde-re pauperde-re morbose durante il giorno e la notte.

Il castagno dai fiori rossi è un albero molto decorativo:

più piccolo del castagno bianco, ossia dell'ippocasta-no. Il denominativo botanico della specie, “carnea”, è dovuto ai suoi fiori quasi color carne, riuniti in grandi

pannocchie piramidali. A differenza del comune ippo-castano, le gemme non sono collose. Il fogliame è den-so e getta un'ombra più scura di quella del castagno bianco.

L'utilità medicinale del castagno rosso è simile a quella dell'ippocastano, perché le due piante sono parenti stretti. Il castagno rosso deriva dall'incrocio tra il red buckeye (Aesculus pavia) del Nordamerica e l'ippoca-stano eurasiatico. La cosa insolita è che questo ibrido riesca ancora ad esistere come specie autonoma fin dall'inizio del secolo diciannovesimo. È usato per om-breggiare i viali perché, grazie alla sua natura, soppor-ta bene l'aria inquinasoppor-ta delle città e, in maggio e giu-gno, presta alle grigie fughe di strade un aspetto più gradevole, con la sua copiosa fioritura.

Il nome del genere, “Aesculus”, era in origine il nome romano del leccio, una fagacea sempreverde; poi ven-ne attribuito a tutti i geven-neri apparteven-nenti alla famiglia delle ippocastanacee. Secondo alcuni linguisti, Aescu-lus deriva dal latino “esca”, (cibo, nutrimento). Curio-samente, quest'etimo porta ai cavalli. Nel sanscrito si trova, in proposito, tutta una serie di associazioni termi-nologiche: ashana = fame; ash = muovere, raggiungere, mangiare; ashu = rapido; ashua = cavallo.

Le castagne dell'ippocastano himalayano, (Aesculus indica), non solo vengono date da mangiare ai cavalli, ma, nei tempi di carestia, sono state usate, - macinate e trattate con acqua per togliere l'amaro, - come ag-giunta alla farina per il pane. Anche gli Indiani

d'Ameri-ca utilizzavano i loro ippod'Ameri-castani per l'alimentazione. In California i semi del castagno rosso erano, accanto alle ghiande, addirittura uno dei più importanti mezzi di ali-mentazione. Venivano messe in una fossa rivestita di pietre roventi, ricoperte con cenere calda e foglie di salice e lasciate cuocere per circa dieci ore. Poi, veni-vano sgusciate, spezzettate o pestate, messe in reci-pienti fatti di rete a maglia finissima e poste, per diversi giorni, in un flusso d'acqua fresca, che asportava tutte le sostanze amare. Quando il loro gusto diventava dol-ce, le castagne erano commestibili. La pappa poteva essere consumata subito, oppure esser lasciata seccare al sole per essere utilizzata più tardi come farina per il pane o per sedici minestre.

Queste castagne sono legate alla preoccupazione per la sopravvivenza della famiglia e della stirpe. Non si tratta di ghiottonerie e nemmeno di alimenti di base:

rappresentano il pane dei tempi duri, delle carestie. Le castagne crude, non solo sono amare, ma anche asso-lutamente non commestibili. In piccole quantità provo-cano stordimento e intorpidiscono la coscienza; in grandi quantità causano nausea, mal di testa e mal di pancia ed infine dispnea e delirio.

L'albero, coi fiori carnei a simmetria bilaterale, i frutti pesanti, amari, incapsulati in un involucro spinoso e l'ombra scura, si adatta, come i proverbiali cardi e spi-ne, all'uomo terreno, questo spirito incarnato pungolato dalla paura e dalla preoccupazione.

Bach scoprì nei fiori rosati del castagno rosso un rimedio per coloro che sono troppo in ansia per gli altri; per co-loro la cui eccessiva apprensione pesa spesso come u-n'ombra cupa sul loro prossimo. “Spesso smettono addi-rittura di preoccuparsi per se stessi, ma, si preoccupano e soffrono molto per coloro che amano, e vivono nel timore che possa accadere loro qualcosa di grave”- scrive Bach.

Red Chestnut aiuta queste personalità a “ricordarsi”del

“cocchiere” che con mano sicura guida attraverso la vita i cavalli dei sensi e dei pensieri terreni. È come se il bene augurante fiore roseo sussurri alla personalità:

“L'uomo propone e Dio dispone”

La mitologia Indù narra di tre cavalli di colori diversi.

Sattva, il cavallo bianco, è puro, nobile e di elevata statura intellettuale. Rajas, il cavallo rosso, è incalzato dalle passioni, dalle preoccupazioni e dalle proprie proiezioni, e perciò intrappolato in una incessante atti-vità. Il pigro cavallo nero, Tamas, appartiene alla morte ed al lato notturno della vita. Si potrebbe dunque dire che Red Chestnut aiuta la personalità a “cambiare ca-vallo”, a passare da quello rosso a quello bianco, per conseguire la tranquillità d'animo e un senso di sicurez-za. E, per il bene degli altri, irradiare energia mentale positiva.

1903 - EDWARD

Intanto, il piccolo Eddie, verso il 1903, ormai adolescen-te, si riappropria del suo nome intero,Edward.

La sua salute si tempra, il corpo si irrobustisce, pur man-tenendo comunque una conformazione gracile; resta un irriducibile sognatore, sensibile ed intuitivo, convinto che ogni cosa, in natura, abbia un'anima e parli un lin-guaggio sottile e misterioso, che tuttavia lui riesce a cogliere.

Edward ha diciassette anni e suo padre pensa sia giun-to il momengiun-to di scegliere: o lavorare o studiare. Lo sprona al lavoro, ricordandogli che la fonderia di pro-prieta’ gli consentirebbe un’occupazione stabile e red-ditizia; allo studio avrebbe pensato poi. Suo padre a-vrebbe voluto pianificargli l’avvenire, comunque a fin di bene, cosi’ come molti genitori si comportano con i propri figli, mettendoli al centro della propria vita, sempre pronti a dare una mano o un consiglio. Infatti, Edward ascolta le parole del padre e lavora in fabbrica con lui per tre anni, come apprendista. Però continua ad occuparsi di teologia e filosofia, approfondendo, per conto proprio, le tematiche della vita che gli stan-no a cuore. Quel suo lavorare col padre rappresenta una sorta di “tempo sabbatico” per far ordine nei suoi pensieri: le aspirazioni verso la cura ed il bene del pros-simo, i suoi ritmi veloci gli fanno apparire gli altri non rispondenti alle sue aspettative, perché non lo seguono nei suoi intuiti, non lo accompagnano nella

determina-zione a scoprire, non comprendono al volo, non scatta-no.

Immagino l’adolescente Bach come irrequieto, iperatti-vo, impulsivo e nervoso, spesso solo. Refrattario ai lavo-ri di routine, non s’inselavo-risce bene nei gruppi, non ne ac-cetta le regole. Fa da sé, non si fida. Ingigantisce ogni minuto ‘perso’. Intelligente, non tollera ritardi, esitazioni o ripensamenti.

Pero’, nello stesso tempo, oscilla da un estremo all’altro, non sa decidere fra alternative possibili: (un lavoro ben pagato, (o comunque sicuramente “paga-to”, rispettabile, in linea con i tempi), o altre due: il medico del corpo o il medico dell’anima, obiettivi avvincenti, ricchi di promesse. Non esprime le sue preferenze con decisione, non sa cosa vuole.

E’ alla ricerca di sé ed alterna emozioni contrastanti. Si arrovella ma non si confida, la mente oscilla in silenzio, senza tracce esteriori.

E’ indipendente, non ambizioso, non gli interessa co-mandare o convincere, solo fare in fretta e bene, senza rilassarsi mai. Per un certo periodo, nonostante gli o-biettivi al di fuori del lavoro in fabbrica fossero di natu-ra medico-spirituale, é molto combattuto se indirizzare la propria vita verso la medicina o, piuttosto, la teolo-gia, perché la sofferenza di qualsiasi essere gli invade profondamente l’anima, spingendolo a cercare nella religione una forma di conforto; ma poi, seguendo la sua natura sensibile ed introspettiva, decide di diventa-re medico. L’attività temporanea nella fonderia fu

de-terminante, rappresentando un “incipit”: si rese conto che gli operai si ammalavano, sì, si ammalavano, e non avevano denaro per pagare un medico o le medicine;

la povertà e gli effetti delle condizioni economiche di-sagiate non l’avevano mai sfiorato da vicino: la fami-glia benestante e l’educazione religiosa l’avevano convinto di vivere in un mondo giusto, dove c’erano, sì, sperequazioni sociali, malattie incurabili ed eventi drammatici, ma la solidarietà, l’amore verso gli altri e la divina Provvidenza avrebbero aiutato gli uomini a non abbattersi, alleggerendo la fatica di vivere. Però, lavo-rando in fonderia, Edward capisce che la mancanza di denaro e di altre forme di sostentamento impedivano agli operai di curarsi, provocando conflitti psicologici, rancori, rabbie, che neanche la speranza dell’aiuto di-vino riusciva a placare. Era il periodo della Rivoluzione industriale Inglese e le condizioni di lavoro, a quel tem-po, erano pessime. Nacque in lui prepotente il desiderio di fare qualcosa di utile per queste ed altre persone nelle stesse condizioni. Questa inclinazione maturò col tempo, sino a concretizzarsi nell'idea di creare “medi-camenti” a misura d'uomo, basati su rimedi semplici, naturali ed alla portata di tutti.

Questo obiettivo lo convinse a diventare medico.

Studiò dapprima a Birmingham e poi a Londra e, nel 1913, fu abilitato alla professione e divenne responsabi-le del pronto soccorso dell'University Colresponsabi-lege Hospital.

Naturalmente si dimostrò la scelta piu’ giusta, alla luce dei fatti successivi. Ma l’indecisione, l’alternanza tra

o-biettivi diversi, avrebbe potuto essere risolta da due dei suoi fiori, SCLERANTHUS e IMPATIENS.

SCLERANTHUS - - SCLERANTO, FIORSECCO, SCLERANTHUS