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M usicisti, nuove realizzazioni e nuove proposte

Nel documento Reich (pagine 113-118)

E.R. -

M i piacerebbe che spostassimo ora il nostro discorso sulle nuove

tendenze che in campo musicale sono affiorate tra la fin e degli anni Settanta

e l ’inizio degli anni Ottanta. In Germania, in Italia, ma in gen ere un p o ’

dovunque si è parlato di tendenze neoromantiche, che in prim o luogo si

pongono il problem a della comunicazione con il pubblico. M i piacerebbe

conoscere su questo argomento il punto di vista di un compositore com e Lei,

che già molti anni prim a che si abbozzassero i m ovim enti neoromantici

aveva saputo conquistare alla Sua musica un seguito molto vasto.

S.R. - Degli anni O ttanta ho già avuto occasione di dire che per me rappresentano nella musica un lungo periodo di conservatorismo. M i vengono in mente, qui in Am erica, com positori come David Del T redi­ ci, per il quale provo am m irazione, o come John Adams, che ha com in­ ciato con lo scrivere una m usica sim ile alla m ia per poi orientarsi sempre di più verso l’Ottocento di Sibelius e M ahler, e questa io credo che sia una tendenza più vicina alla sua natura. Personalmente non provo nes­ sun interesse per la m usica di M ahler e di Sibelius, figuriam oci quindi per i tentativi odierni di im itare quella musica! C om unque tutti nuotia­ mo nella stessa acqua e anche nella m ia m usica si manifestano, a partire dalla m età degli anni O ttanta, delle tendenze che da un certo punto di vista si potrebbero considerare conservatrici. C om ponim enti come

Four

Sections

e

The Desert Music,

essendo scritti per grande orchestra, potreb­

bero essere considerati secondo quella prospettiva. A quell’epoca prova­ vo un reale interesse a scrivere per grande orchestra, perché era un modo di riconsiderare alcuni elem enti della tradizione, m a naturalm ente que­ sto ripensam ento del passato intendevo svolgerlo a modo mio. Dopo

Four Sections

decisi però di sm etterla con la scrittura per questo organico,

anche perché il rapporto con le grandi orchestre sinfoniche era difficile. Avevo l’impressione che suonando la m ia musica invece di quella di repertorio, quelle orchestre volessero farmi un piacere, mentre c erano tanti ensemble eccellenti che non vedevano l’ora di affrontare le mie partiture. Se le orchestre non suonavano volentieri la m ia m usica perché mai avrebbero dovuto farlo? G li ensemble l’avrebbero sicuram ente suo­ nata più volentieri e meglio.

E.R. -

Lei ha citato prim a il nom e di D avid D el Tredici, dicendo che ha p er

questo compositore stima e ammirazione; mi piacerebbe sapere qual è l aspet­

to della musica di D el Tredici che apprezza maggiormente.

S.R. - N on conosco diffusamente la m usica di Del T redici, m a posso dirLe che il suo

Final Alice

m i è piaciuto molto e lo considero un ottim o pezzo. Del T redici è un virtuoso dell’orchestra e ha la capacità di saper scegliere l’argom ento appropriato; avverto inoltre nella sua m usica un

particolare senso di autenticità. Si sente che crede in quello che fa e questa coerenza è una qualità che apprezzo molto, anche in compositori che hanno uno stile musicale diverso dal m io. Ci sono m olti musicisti che scrivono una m usica che assomiglia molto alla m ia, m a si tratta per lo più di com ponim enti pessimi. Come ogni essere umano amo gli elogi e provo un certo piacere nel verificare che la m ia m usica ha influito su altri compositori, m a ciò che m aggiorm ente apprezzo e la convinzione nell esprimere le proprie idee fino in fondo, dando vita a un proprio linguaggio: in questo senso Del Tredici m i sembra un compositore esem­ plare.

E.R. -

Lei ammira dunque quei compositori che lavorano con coerenza,

anche se il loro stile è lontano dal Suo; potrebbe citarm ene qualche altro?

S.R. - Ammiro m olto Berio, anche se scrive in un modo molto diverso dal m io; lo am m iro per l’eccellenza con cui esprime le sue idee e per la forza con cui dà vita al suo linguaggio. U n altro esempio potrebbe essere quello di John Adams.

Nixon in China

m i sembra che sia un po una copia dei lavori di Glass, m a

K linghoffer

m i sembra invece u n ’opera musicalmente sofisticata e ben fatta, anche se realizzata in un linguaggio che trovo un po’ noioso. Lo stesso vale per la sua

Chamber Symphony,

che si basa sul modello di Schonberg e che lu i stesso definisce una sintesi di elem enti tratti da Schonberg e dei

cartoons

che suo figlio vedeva in televisione. È u n a partitura che rivela un ottim o dom inio della scrittura di ciascuno strum ento, eppure non provo per essa un grande interesse. U n altro compositore che m i piacerebbe conoscere meglio è W olfgang Rihm ma di lu i so molto poco.

Queste considerazioni potrei estenderle alla m aggior parte della mu- sica scritta dopo il 1750: ci sono in quel repertorio m olte opere e m olti compositori che ammiro, m a che in realta non m i interessano affatto, forse con qualche eccezione per alcuni lavori di Beethoven, di cui predi- ligo

Xop. 132 c

la

Quinta Sinfonia.

M ozart, Brahms e tanti altri m usicisti non rappresentano per me un particolare motivo di interesse; m i piac­ ciono invece altri compositori per i quali la maggior parte delle persone non ha alcun interesse, come Perotinus e G uillaum e de M achault. Alla lista dei com positori che m i stanno particolarm ente a cuore devo ag­ giungere Debussy, Ravel e specialm ente Bartok, la cui m usica mi auguro possa in avvenire essere oggetto di m aggiore interesse. Com e può notare l’impatto em otivo nella m usica è per me determ inante, e questo spiega perché ci sono tanti autori dei quali, dopo averli studiati all accadem ia, ho smesso di interessarmi.

E.R. -

Conosce qualcosa dei compositori russi contemporanei, com e Alfred

Schnittke e Sofija Gubajdulina?

S.R . - Per quanto riguarda Schnittke, ne ho sentito parlare; da quanto mi hanno detto im m agino che sia un ottim o compositore, per il quale però

non credo che potrei provare interesse essendo la sua musica basata principalm ente su quella tradizione tedesca dalla quale mi sento piutto­ sto lontano. D ella G ubajdulina ho ascoltato un solo pezzo, eseguito dal Kronos Q uartet, che m i è molto piaciuto, al punto che desidererei ascol­ tare altre cose di Lei. C ’è però un altro compositore russo che io consi­ dero il più im portante compositore vivente: Arvo Pàrt. So che ha dichia­ rato di aver imparato qualcosa da me e ne sono profondamente onorato. Nel suo caso non si può certo parlare di im itazione della m ia m usica, ma se è vero che ho potuto contribuire un poco alla sua formazione cultu­ rale, beh, la cosa davvero m i lusinga. Credo che la prim a parte della sua

Passione secondo Giovanni

sia meravigliosa e, guarda caso, anche lui ha

prestato m olta attenzione alla m usica antica! E.R. -

E Pierre Boulez?

S.R. - U n grande m usicista indubbiam ente, m a quello che trovo straor­ dinario è che ascoltando la m usica di Boulez, Berio e Stockhausen senti veramente la Francia, l ’Italia e la G erm ania. N ella m usica di Boulez ci sono tutte le virtù della grande tradizione francese, e io ho sempre am ­ m irato la brillantezza e la leggerezza della sua orchestrazione, oltre al suo grande talento di direttore d ’orchestra messo al servizio della m usica di Stravinsky e di W agner. La m usica di Berio ha un carattere italiano molto marcato, che io riconosco all’interno di una tessitura fittam ente intrecciata e ancor più nella sua capacità di creare delle linee m elodiche dotate di un chiaro profilo. Riguardo a Stockhausen credo che

Gesang

der Jiinglinge

sia un pezzo molto ben riuscito, soprattutto per l’uso della

voce. D i altri pezzi suoi m i chiedo se non potrebbero essere collegati a certi compositori am ericani; m i chiedo per esempio fino a che punto

Refrain

non faccia riferim ento a M orton Feldman e se un pezzo come

Stimmung

non sia da porre in relazione con la m usica di La M onte

Young. Q uella di Stockhausen credo che sia una m ente musicale interes­ sante, alla quale bisognerebbe prestare oggi maggiore attenzione, anche se devo dire che le sue ultim e opere m i sembrano qualche volta un po’ stravaganti.

E.R. -

Nel corso delle nostre conversazioni Lei mi ha parlato con am m ira­

zione di Bruno Maderna; mi piacerebbe che mi dicesse qualcosa d i lui.

S.R. - In questo momento non ricordo con esattezza, non sono in grado di citare con precisione i titoli delle opere di Maderna che più mi sono piaciute, ma posso dirle che M aderna m i fa pensare a uno Stravinsky rinato in Italia, per la chiarezza della sua musica, per quel senso di neoclassicismo che comu­ nica. Dovrei procurarmi le sue registrazioni e riascoltarle. Ho ascoltato la sua musica specialmente quando studiavo con Berio, e subito mi ha enormemen­ te impressionato. La sua morte prematura è stata una grande perdita, perché sono sicuro che se fosse vissuto più a lungo avrebbe avuto una grandissima influenza sulla scena musicale contemporanea.

E.R. -

Abbiamo parlato di molti musicisti presenti e passati, ma ce n e uno

in particolare del quale mi piacerebbe che Lei mi dicesse qualcosa, anche

perché n ell’opera di questo musicista si rivela un ’analogia impressionante

con i procedim enti che Lei ha attuato nei Suoi ultimi com ponim enti p er

quanto riguarda l ’uso delle voci. Intendo parlare evidentem ente d el ceco Leós

Janàéek, che è a mio avviso un musicista del quale ancora oggi non si è

compresa tutta la grandezza. L’analogia di cui dicevo consiste nel suo modo

di forgiare le melodie partendo dalla musicalità implicita nella parola par­

lata, ma non si tratta della semplice estrazione di una curva melodica; la

voce che parla contiene le inflessioni della verità, che magari possono anche

essere opposte al senso delle parole. La parola intesa com e custode di un

nucleo di verità è un concetto di immenso fascino, che Lei ha assunto come

presupposto nel creare

Different T rains

e ora anche l ’opera

T he Cave.

S.R. - N on conoscevo l’opera di Janàeek finché un giorno m i trovai a dover tenere una conferenza alla Ju illiard School nella quale dovevo parlare di

Different Trains.

T ra il pubblico c era un signore di una certa età che m i chiese se conoscevo i saggi di Janàéek. N on conoscendoli, me ne procurai subito una copia e m i misi a leggerli. Fui colpito dalla coincidenza: jan acek aveva effettuato delle trascrizioni m usicali parten­ do dal linguaggio parlato del suo popolo, specialm ente in funzione della musica dram m atica. Janàéek voleva dare vita a un linguaggio che rappre­ sentasse un a rottura rispetto allo stile allora di m oda nell opera, special- mente in G erm ania, e la m elodia delle parole contenuta nelle voci del suo popolo veniva a essere in questo modo una specie di bandiera. E.R. -

Prima di affrontare igra n d i tem i implicati in

T he Cave

desidererei

chiederLe qualcosa sulla vitalità della corrente minimalista. Dura orm ai da

qualche decennio, e non solo attraverso le opere di Glass, Riley, La M onte

Young e le Sue, che hanno anzi spesso trasceso e m odificato la poetica mini­

malista. Li principio basilare della pulsazione ritmica costante e d ell’orizzon­

te tonale-modale figurano ormai tra le acquisizioni stabili di molti com po­

sitori; un elemento di novità é fornito da una disponibilità, che difficilm ente

si potrebbe immaginare p iù ampia, a tutte le avventure dell eclettismo. Nel

dire questo penso specialmente a l versante inglese d ell’esperienza minimali­

sta, a compositori com e M ichael Nyman o Gavin Bryars, che hanno conqui­

stato recentem ente un vasto successo commerciale.

A

S.R. - Per rispondere alla Sua dom anda vorrei com inciare col mostrarle questa fotografia scattata a Londra nel 1971. Sono gli interpreti dell ese­ cuzione londinese di

Drumming,

fra i quali potrà riconoscere M ichael N ym an, Gavin Bryars e Cornelius Cardew . Nel 1970 io e il mio gruppo non. avevamo abbastanza soldi per trasferirci tutti a Londra a eseguire

Drumming,

per cui decidemmo di formare un gruppo misto con alcuni

am ici londinesi. Q uella che Lei vede nella foto è proprio la formazione che Le dicevo: come vede il mio legam e con N ym an e di vecchia data.

Ricordo che ci siamo incontrati per la prim a volta nel 1970; ero passato da Londra per comprare il m io biglietto aereo per il Ghana, perché lì costava decisamente di meno, e un amico americano m i aveva indicato alcuni m usicisti inglesi da contattare. Fu così che conobbi N ym an, e in seguito ci siamo visti molto spesso. T ra il 1970 e l’80 quando andavo a Londra abitavo a casa sua e lu i m i faceva un po’ da agente. Aveva avuto una classica formazione da musicologo, m a quando lo conobbi non sapeva bene in quale direzione andare. Credo che le esperienze fatte ascoltando la m ia musica e partecipando alfallestim ento della stessa abbiano avuto una certa influenza sulla sua formazione. Decise di m et­ tersi a suonare il pianoforte con un suo gruppo, allontanandosi da una tendenza inglese rappresentata in quegli anni da Peter M axwell Davies e Harrison Birtwistle, che si rifaceva in una certa m isura alla scuola vien­ nese.

E.R. -

Possiamo dire qualcosa della musica di Nyman e di Bryars?

S.R. - Conosco poco la musica di Gavin Bryars e credo che uno dei suoi pezzi p iù noti,

Jesus blood never fa iled m eyet,

derivi per la sua concezione

da

I t’s gonna rain.

N ym an mi sembra invece un eccellente compositore

di musiche per film. A l di là dei legam i personali, non è un caso, credo, che la m ia m usica sia stata recepita e assim ilata in Inghilterra più rapida­ mente che altrove. La m usica inglese ha per tradizione caratteristiche diverse da quella dell’Europa continentale, una maggiore dolcezza che si rispecchiava già in tem pi molto lontani nella preferenza per gli intervalli di terza e di sesta. Se si considera poi che tra gli Stati U niti e l’Inghilterra esistono im portanti legam i culturali, si può capire perché a Londra la m ia m usica ha subito trovato degli ascoltatori pronti a considerarla musica seria. I francesi e i tedeschi erano troppo preoccupati di quello che stavano facendo Boulez e Stockhausen per potersi occupare anche della m ia musica.

E.R. -

E in Italia?

S.R. - A dire il vero Berio è sempre stato gentile con me e m i ha sempre considerato con un certo riguardo, m a penso che per lui la m ia m usica sia l’espressione di una specie di prim itivism o americano, e senza dubbio di fronte all’Europa noi am ericani siamo dei prim itivi. La forza della musica am ericana sta però proprio nel non pretendere di essere diversa da quello che è. Charles Ives è un grande compositore anche perché si è m antenuto fedele alla tradizione popolare che lo circondava, Gershwin nello sviluppo della sua carriera non ha m ai dim enticato

Tin Pan Alley,

e anche Aaron C opland seppe conservare nella sua m usica il legame con le fonti popolari. G li europei hanno visto in tutto questo la forza della musica am ericana molto più chiaram ente di quanto abbiano saputo fare gli am ericani, che spesso erano legati a una concezione accadem ica della musica.

E.R. -

A proposito di Gershwin, m i è venuta in m ente un ’analogia tra il Suo

C lapping M usic

e un episodio che capitò a Gershwin mentre scriveva

Porgy

Nel documento Reich (pagine 113-118)