• Non ci sono risultati.

rivolgere quelle cinque dom ande agli ebrei, agli arabi e infine agli americami continua a sembrarmi, nella sua semplicità, una trovata straordinaria, un in

Nel documento Reich (pagine 122-125)

tuizione drammaturgica che conferma un mio vecchio modo di vedere le cose

del teatro musicale. A dirla in tutta franchezza sono p iù che mai persuaso

che l ’essere in possesso di u n ’idea drammaturgica semplice e fo rte voglia dire

p er il compositore mettere una seria ipoteca sul successo d ell’opera. Ma tor­

niamo alla trama

¿//The Cave,

a ll’itinerario che conduce a questa scoperta.

S.R. - La concezione di

The Cave

è nata dalla collaborazione tra me e m ia moglie Beryl Korot. Q ualche affinità tra il progetto che abbiamo realiz­ zato insieme e i suoi lavori precedenti si può riscontrare in

Dachau 1974

e in

Text and Commentary.

In quelle due opere Beryl aveva im piegato il video per scopi docum entari e aveva scelto argom enti che possedevano un grande im patto emotivo. La prim a a imporsi è stata 1 idea della forma; volevamo infatti che i m usicisti fossero sul palcoscenico e che fossero ben visibili al pubblico le persone che parlavano, m a ancora non sapevamo che cosa avrebbero dovuto suonare e dire. Dopo essere stato a Londra, dove m i ero recato per presentare

D ifferent Trains,

andai a Stoccarda per incontrare il dottor Klaus Peter Keehr, che è stato uno dei principali sostenitori dell’opera, m a fu soltanto al mio ritorno a New York che il progetto prese corpo concretamente. Fu nel corso di un

incontro in un caffè che Beryl e io convenim mo che l’opera doveva fare riferimento alla caverna di M achpelah. Entrambi conoscevamo il m ate­ riale biblico sull’argomento fin dal 1975, e poi ci venne in mente che avremmo potuto affrontare anche quella questione del M edio O riente della quale quasi ogni giorno si può leggere qualcosa sui giornali e che sentim entalm ente sentivamo m olto vicina. Per scrivere u n ’opera ci vuole un’idea dram m atica molto forte e in effetti la questione m ediorientale lo è. Essa esiste da molto tempo e continuerà a esistere poiché il problema non è iniziato né con la divisione della Palestina né con la spartizione del M edio O riente tra Francia e Inghilterra. La vera spartizione è com inciata con la Bibbia e il Corano. N aturalm ente avevamo bisogno di un luogo fìsico per piazzare le nostre telecam ere e la caverna di M achpelah era proprio il luogo adatto, perché essa è come una incarnazione della storia: c’è la vecchia chiesa delle crociate e c’è anche il m inareto dei prim i m usulm ani. Avevamo anche bisogno delle voci dei personaggi che ri­ spondessero alle dom ande, e all’inizio avevamo pensato di intervistare solo ebrei e arabi. Q uesta soluzione non m i soddisfaceva com pletam en­ te, però. M i sentivo molto nervoso; m i sembrava quasi che volessimo risolvere da soli l ’intera questione m ediorientale. Un mese dopo ci venne l’idea di rivolgere le stesse dom ande anche a delle persone che vivevano negli Stati U n iti, e solo allora ebbi la sensazione di avere in mano un progetto completo. In seguito ci toccò scrivere un mucchio di lettere per cercare dei finanziam enti e, se ben ricordo, il nostro primo viaggio in Israele per le interviste è stato nel m aggio 1985.

E.R. -

Signora Korot, in

The Cave

Lei usa simultaneamente cinque schermi

piazzati entro una grande struttura metallica. Riguardo a ciò ha detto che

cinque schermi si riescono ancora a percepire com e qualcosa di unico, com e

un centro foca le ristretto, e tutto questo lo ha definito un omaggio o una

concessione alla tecnica cinematografica. Vorrei chiederLe da cosa nasce in

Lei questa esigenza di un centro foca le unico; non ha mai preso in conside­

razione l ’ipotesi di molti centri fo ca li diversi collocati, p er esempio, circolar­

m ente nello spazio e quindi intorno allo spettatore?

B.K. - G ià alla fine degli anni Sessanta com inciai a interessarm i a una vecchia tecnologia che si può definire del telaio . Essa consiste nel m ettere insieme delle im m agini che originariam ente non hanno alcuna relazione tra loro. L’uso di canali m ultipli consente di istituire questo gioco di relazioni ed è una soluzione alla quale m i avevano avvicinata anche talune esperienze che avevo fatto nel mondo dell editoria. Questo modo di procedere con le installazioni m ultiple contiene delle precise affinità m usicali che si potrebbero accostare alla scrittura di un quartetto per archi, dove ciascuna linea possiede un senso indipendente mentre l’insiem e delle parti produce un risultato complessivo unico. C om incia­ re a lavorare con le installazioni m ultiple per me significava anche lavo­ rare contro il modello visivo della televisione. Usando piu schermi

pote-vo allargare le possibilità visive conservando però un centro focale co­ stante, ed è in questo modo che potevo stabilire un rapporto con le tecniche cinematografiche.

E.R. -

Il riferimento alle tecniche cinematografiche, e soprattutto all ipotesi di

allargare le possibilità visive, mi fa venire in mente il nome di Andrej Tarkovskij,

che tante volte ci ha mostrato nei suoi film il desiderio difornire molteplici letture

delle stesse immagini. In questo caso leggere è interpretare, ovvero svelare con ogni

nuova lettura differenti significati. M i chiedo se esista qualche rapporto tra il suo

modo di praticare la tecnica del multivideo e il modello di Tarkovskij.

B.K. - Non credo di aver mai pensato specificamente all’esempio di Tarko­ vskij; forse può essermi stata più vicina la lezione dei pittori cubisti, con la loro tecnica della frammentazione delfim magine che suggerisce vari piani di lettura delfim magine stessa, ma quella di cogliere la realtà attraverso una molteplicità di piani è una di quelle idee che sono nell aria da molto tempo, potremmo dire un’idea con la quale siamo cresciuti, ed è quindi naturale che si cerchi di applicarla. Lei sa che io ho realizzato dei documentari; ora, per temi di questo genere la tecnica “del telaio” risulta particolarmente appro­ priata. Nel caso di

The Cave

l’uso di alcuni video era più che mai necessario, poiché si trattava di conservare una certa unità all interno di un azione che tendeva invece alla dispersione. Lei ha visto l’opera e sa che ci sono degli esseri umani che parlano raccontando la loro storia, una storia in cui si intrecciano il presente e il passato, luoghi vicini e lontani. I video dovevano raccontare queste storie e per farlo bisognava espandere il contesto creando degli sfondi a quei discorsi e a quei comportamenti, creare, per così dire, una storia più astratta mediante l’uso del video.

E.R. -

Maestro Reich, neU’introdurre il tema

¿¿’The Cave

ho avuto occasione di

ricordare l ’esempio singolare di Jandtek che componeva delle melodie a partire

dalle linee melodiche già presenti nelle sonorità della lingua parlata. Si tratta di

una coincidenza sorprendente, poiché Jandtek le sue melodie delle parole le

componeva in vista delle opere che aveva intenzione di creare. Nel modo di

procedere di Jandtek cìp er o qualcosa di ancora più affascinante e commovente,

qualcosa che con una sola parola potremmo definire la verità. Ricordo quasi a

memoria un passo in cui Jandtek dichiarava che una persona poteva magari

scherzare, ma al suo orecchio non sfuggiva che quella stessa persona aveva ilpianto

nel cuore. Il suono delle parole sarebbe dunque il vero significato, che può anche

essere contraddetto dal significato delle parole. Il fatto che nel suono della parola

possa essere custodita la verità è indubbiamente un ’idea affascinante e commoven­

te, ma p er portare alla luce quella verità occorre un lavoro di abilissima stilizza­

zione. Il suono delle parole ha infatti da essere lievemente corretto p er entrare nel

nostro sistema musicale fatto di intervalli non sufficientemente minuscoli e flessi­

bili, e in questa correzione, se si vuole una stilizzazione, si annida il rischio di

perdere preziosi fram m enti di verità. Io conosco i risultati delle stilizzazioni

effettuate da Jandiek e da Lei, e ammetto che si tratta di un risultato eccellente:

questa loro efficacia, p er il modo in cui ci fanno assistere alla modulazione dalla

Nel documento Reich (pagine 122-125)