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S critti sulla m u sica

Nel documento Reich (pagine 129-137)

N on mi riferisco al processo di composizione, m a piuttosto a pezzi m usicali che sono, letteralm ente, processi.

La caratteristica dei processi m usicali è che determ inano sim ultanea­ m ente tutti i dettagli nota per nota (suono per suono) e la forma globale (si pensi a un canone circolare o infinito).

M i interessano i processi percepibili. Voglio poter udire il processo nel suo svolgimento sonoro.

Per favorire un ascolto attento ai m inim i dettagli, il processo musicale dovrebbe svolgersi con estrema gradualità.

L’esecuzione e l’ascolto di un processo musicale graduale somigliano a: spingere u n ’altalena, lasciarla andare, e osservarla m entre ritorna gra­ dualm ente all’im m obilità; capovolgere una clessidra e osservare la sabbia m entre scorre lentam ente e si accum ula sul fondo; affondare i piedi nella sabbia sulla riva d ell’oceano e guardare, sentire e ascoltare le onde che poco a poco li seppelliscono.

U na volta avviato e innescato, il processo va avanti da solo, anche se posso certamente provare il piacere di scoprire processi m usicali e di comporre il m ateriale musicale per poterli svolgere.

Può essere che il m ateriale suggerisca il tipo di processo adatto a svolgerlo (il contenuto suggerisce la form a), o che il processo suggerisca che tipo di m ateriale adoperare (la forma suggerisce il contenuto): se la scarpa calza, indossatela.

Il processo m usicale si può attuare con u n ’esecuzione dal vivo di m usicisti in concerto oppure con degli strum enti elettroacustici. In u lti­ m a analisi, non è questo il problem a principale. Uno dei più bei concerti cui ho assistito era tenuto da quattro compositori che facevano ascoltare alcune loro opere su nastro magnetico in una sala buia - un nastro è interessante quando è un nastro interessante.

Q uando si lavora di frequente con apparecchiature elettroacustiche si è portati a riflettere sui processi m usicali. T utta la m usica non e, in fin dei conti, che m usica etnica.

I processi m usicali possono m etterci in contatto diretto con 1 im per­ sonale e darci nello stesso tempo una specie di controllo totale (spesso non si pensa che l’impersonale possa accompagnarsi al controllo totale). Q uando parlo di “una specie” di controllo totale, voglio dire che l’atto di svolgere un dato m ateriale attraverso un processo consente un con­ trollo completo dei risultati, m a nello stesso tempo porta anche ad accet­ tare tutto ciò che ne risulta senza apportarvi modifiche.

John Cage ha usato i processi e ne ha accettato i risultati, m a i suoi processi sono di tipo compositivo e non si possono distinguere durante l’ascolto. Il processo che consiste n ell’usare lì- C h in g o le imperfezioni di un foglio di carta per definire dei param etri m usicali non e trasparente all’ascolto; l’orecchio non riesce a cogliere la relazione tra i processi compositivi e la realtà sonora. Analogam ente, nella m usica seriale la serie raramente è udibile. Questa è una differenza fondam entale tra la musica seriale (essenzialmente europea) e l’arte seriale (essenzialmente am erica­ na), in cui la serie percepita è di solito il punto focale dell opera.

M i interessa un processo compositivo che sia tutt uno con la realta sonora.

Jam es T enney m i ha detto nel corso di una conversazione: «M a allora il compositore non ha segreti». N on conosco alcun segreto nella struttu­ ra che non si possa udire. Il processo è udibile e noi tutti possiamo ascoltarne insieme lo svolgimento. U na delle ragioni per cui si può udire è che si svolge con estrema gradualità.

II ricorso a m eccanism i nascosti nella m usica non m i ha m ai attirato. C i sono m isteri a sufficienza per soddisfare tutti anche quando il gioco è scoperto e chiunque può ascoltare quanto si svolge gradualm ente in un processo m usicale. Q uesti m isteri sono i sottoprodotti psicoacustici, impersonali e involontari, del processo stabilito; possono comprendere melodie secondarie che si ascoltano all’interno di m otivi m elodici ripe­ tuti, effetti stereofonici che dipendono dalla posizione dell ascoltatore, leggere irregolarità nell’esecuzione, arm onici, suoni differenziali, ecc.

Ascoltare un processo musicale che si svolge con estrema gradualità m i consente di prestare attenzione a

esso,

m a

esso

si estende sempre oltre le m ie capacità di percezione, il che rende interessante riascoltare lo stesso processo musicale più volte. Con

esso

m i riferisco a quel settore di sviluppo di ogni processo m usicale graduale (e com pletam ente control­ lato) in cui si possono udire i dettagli del suono allontanarsi dalle inten­ zioni e seguire la propria indipendente logica acustica.

Com incio a percepire questi dettagli m inuti quando riesco a sostenere un’alta concentrazione, e quando un processo graduale la induce. Per “graduale” intendo

estremamente

graduale; un processo che si svolge con tale lentezza e gradualità che ascoltarlo e sim ile all osservazione della lancetta dei m inuti di un orologio - se ne può percepire il movimento solo dopo averla osservata per qualche tempo.

come la musica classica indiana e il rock psichedelico, ci inducono a prestare attenzione ai m inim i dettagli del suono. Essendo m odali, con un centro tonale costante e con l’effetto di un bordone ipnotico e ripe­ titivo, tendono naturalm ente a concentrarsi su questi dettagli piuttosto che sulla modulazione tonale, sul contrappunto o su altre tecniche tip i­ cam ente occidentali. M a queste musiche m odali restano schemi più o meno rigidi per l’improvvisazione: non sono dei processi.

La caratteristica dei processi m usicali è che determ inano sim ultanea­ m ente tutti i dettagli, nota per nota, e la form a complessiva. N on si può improvvisare in un processo musicale: i due concetti si escludono a vicenda.

Q uando si esegue o si ascolta un processo musicale graduale si parte­ cipa a una specie particolare di rito liberatorio e impersonale. Concen­ trarsi sul processo musicale consente di trasferire l’attenzione dal

lui

, dal

lei,

dal

tu

e d all’¿<9 verso l’esterno: sulfm o .

(p er m icrofon i, a m p lifica tori, a lto p a rla n ti e d esecu to ri)

Tre, quattro o più microfoni sono sospesi al soffitto o a delle giraffe tram ite il loro cavo di collegam ento, in modo da trovarsi tutti alla stessa distanza da terra e da essere liberi di poter oscillare con moto pendolare. Ogni cavo è inserito in un am plificatore, a sua volta collegato a un altoparlante. I microfoni sono disposti a qualche centim etro al di sopra o subito a fianco dei corrispondenti altoparlanti.

Prim a dell’esecuzione, si regolano gli am plificatori con grande preci­ sione, in modo che si produca un feedback ogni volta che un microfono oscilla direttam ente al di sopra o a fianco al suo altoparlante, m a non quando l’oscillazione va da un lato all’altro. Per ciascun am plificatore, questo livello si annota per riferim ento futuro e viene poi abbassato.

L’esecuzione ha inizio quando gli interpreti prendono un microfono ciascuno, tirandolo indietro come u n ’altalena, e lo trattengono mentre un altro esecutore alza il livello degli am plificatori, riportandolo a quello annotato in precedenza. A questo punto, gli esecutori lasciano andare tutti i microfoni contem poraneam ente. Ne risulta una serie di im pulsi in feedback che possono essere più o meno all unisono a seconda dei diversi periodi di oscillazione dei microfoni.

Gli esecutori, poi, si siedono per osservare e ascoltare il processo insieme con il resto del pubblico.

Il pezzo term ina quando, poco dopo che tutti i microfoni sono torna­ ti alla posizione di equilibrio producendo un feedback sotto form a di un suono continuo, gli esecutori staccano i cavi di alim entazione degli amplificatori.

Agosto 1968

(riveduto n el maggio 1973)

Rallentare molto gradualm ente, e di molte volte rispetto alla sua lunghezza originaria, un suono preregistrato senza modificarne l’altezza e il timbro.

Settembre 1967

Slow M otion Sound

(1967) è u n ’idea rim asta sulla carta perché era

impossibile da realizzare sul piano tecnologico. A ll’inizio avevo pensato di utilizzare un nastro in loop (a ciclo continuo), probabilm ente con la registrazione di un parlato, e di rallentarlo gradualm ente, allungandolo di varie volte, senza m odificare l’altezza.

In effetti sarebbe stato come rallentare gradualm ente e in modo pro­ gressivo la colonna sonora sincronica di un film.

L’origine di questa idea risale al 1963, quando com inciai a interessar­ m i al cinem a sperim entale e a considerare la pellicola cinem atografica come qualcosa di analogo al nastro m agnetico. La possibilità di rallentare il movimento all’estremo m i sembrava di grande interesse, in quanto consente di rilevare dei dettagli m inuti che norm alm ente non si riescono a distinguere. L ’im m agine reale in movimento resta intatta, solo il tem ­ po è rallentato.

Diversi esperim enti con registratori a testine rotanti, con analisi e sintesi digitale del parlato, e con vocoder non riuscirono a produrre questa estensione graduale eppure considerevole: per ottenere dei risul­ tati m usicali bisognava m oltiplicare la lunghezza originale per 64 o più, garantendo nel contempo u n ’alta fedeltà nella riproduzione del parlato.

La possibilità di ricorrere a un interprete dal vivo che cercasse di parlare con incredibile lentezza non m i interessava; in ogni caso non avrebbe portato agli stessi risultati che avrei ottenuto rallentando il par­ lato registrato a velocità normale.

Ho potuto fare un esperimento con un nastro in loop in cui era registrata una bam bina africana che im parava 1 inglese da un’insegnante del Ghana. L ’insegnante diceva: «M y shoes are new [le mie scarpe sono

nuove]»; e la bam bina ripeteva: «M y shoes are new». L interesse musicale risiedeva nella m elodia del parlato, in cui si ascoltava molto chiaram ente la successione m i’-do diesis -la-si, sia quando parlava la maestra sia quan­ do la bam bina rispondeva. Le lingue africane generalm ente sono tonali e il controllo dell’intonazione è altrettanto im portante per la com pren­ sione della conoscenza del term ine corretto. Questo concetto era stato applicato anche all’insegnamento dell’inglese.

Al Massachusetts Institute o f Technology ho rallentato il nastro su un vocoder sino a dieci volte la lunghezza originaria, in fasi graduali e senza modificarne l’altezza. Nonostante la riproduzione del parlato sul voco­ der fosse di qualità molto mediocre, si poteva ancora udire come m y anziché un’unica altezza fosse in realtà un glissando complesso che ascende gradualm ente dal do diesis al m i, si dissolve nella banda sonora di sh per emergere poco a poco nel do diesis dell oe , ritornare al rumore prodotto da “s” e così via.

In term ini m usicali, l’estensione di un movimento nel tempo si dice “aum entazione”; è il prolungam ento della durata di note eseguite in precedenza con valori più brevi.

Sloiv M otion Sound

non e m ai stato completato per nastro m agnetico, m a l’idea dell’aum entazione si è realiz­ zata nella m ia m usica in

Four Organs,

del 1970, e successivamente in

M usic f o r

M allet Instruments, Voices an d Organ

, del 1973.

Anche se adesso ho perso il gusto di lavorare con una tecnologia complessa, credo ancora che si possa comporre un pezzo di grande inte­ resse per nastro m agnetico usando dei fram m enti di parlato su nastro a ciclo continuo, rallentandoli in modo graduale e progressivo mentre l’altezza e il tim bro restano costanti.

(

1968

-

1970

)

Nel documento Reich (pagine 129-137)