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Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 187-200)

MATERNITÀ E COSTRUZIONE DELLA NAZIONE TURCA

Ayşe Saraçgil

In questo articolo vorrei analizzare la cultura della maternità e la sua rappresentazione letteraria nella Turchia moderna. Tale intento necessita la considerazione di un forte intreccio costituito tra la cultura tradizionale musulmana e quella moderna, laica e nazionalista. Il sistema patriarcale che imprigiona la maternità in Turchia è, infatti, il sito privilegiato delle relazioni e delle tensioni tra queste due culture che, in una costante dialettica, si integrano e si respingono. La cultura moderna turca, laica e nazionalista, nacque, in un certo senso, sulla base di un’ammissione della necessità di modificare elementi essenziali dell’ordine patriarcale musulmano su cui era edificato l’Impero ottomano e, non a caso, nel processo di costruzione della nazione tra gli obiettivi centrali fu posta la creazione di un moderno universo domestico e di una moderna figura di donna e madre. Trattandosi degli elementi fondanti di ogni cultura, bisogna tenere conto che nessun regime per quanto radicalmente rivoluzionario, sarà mai capace di modificare a fondo le concezioni sottostanti la vita famigliare, le aspettative e le modalità riguardanti la maternità. Anche nel caso turco infatti, e le espressioni letterarie dell’ultimo secolo lo testimoniano, malgrado le molte rotture nette con il passato, le continuità restano estremamente forti.

Nelle società musulmane la necessità di organizzare e di controllare la sessualità, considerata una delle più forti pulsioni umane, ha comportato la costruzione di un rapporto gerarchico tra i due sessi a vantaggio di quello maschile e l’attribuzione, al corpo e alla sessualità femminile, della più grande paura ancestrale della comunità musulmana, la fitne. Così il controllo delle donne è divenuto una questione centrale, e ha comportato la segregazione dei sessi e la limitazione della vita sessuale all’interno della famiglia, spazio centrale sia del vissuto che del controllo della sessualità. Nella cultura musulmana costituire una famiglia, considerata elemento fondamentale per la conduzione di una vita religiosa e virtuosa, risulta perciò non tanto una scelta, ma praticamente un obbligo religioso e sociale per ambedue i sessi così come i giovani, maschi e femmine, assumono in pieno le loro rispettive identità di genere diventando membri effettivi della comunità solo quando si sposano. La famiglia musulmana ha una struttura monolitica, patriarcale, e patrilocata. La gerarchia tra i sessi si ripercuote dunque all’interno della famiglia e attribuisce, anche all’uomo più povero, una sovranità sulle donne e sui bambini. Ma le dicotomie del potere non si limitano al maschile e femminile; ve ne è un’altra, quella basata sull’età, che attribuisce un forte potere di controllo degli anziani sui giovani, e costituisce, anche in virtù della sua capacità di integrare le donne nel sistema del potere, una vera garanzia di robustezza del patriarcato stesso. Nell’universo domestico le donne rappresentano una propria

scala gerarchica, basata da un lato sulla vicinanza dal patriarca e, dall’altro, sull’età cosicché, mentre per una parte del ciclo della loro vita rimangono sottoposte al controllo dei detentori del potere familiare, per l’altra parte diventano soggetti attivi nella struttura del potere stesso.

Nella costruzione relazionale dell’identità femminile, quindi, la posizione della donna all’interno della famiglia e rispetto all’uomo ha un’importanza fondamentale. La donna al di fuori della famiglia non ha esistenza e nelle varie fasi della sua vita è considerata in quanto figlia, sposa e madre. Mentre in qualità di figlia e sposa ella è direttamente associata con la sessualità e la prospettiva della riproduzione, e quindi sottoposta ad un rigido controllo volto a garantire anche la purezza della discendenza patrilineare, in qualità di madre, soprattutto di madre di figli cresciuti, ella diventa colonna portante del sistema patriarcale. E così si arriva a comprendere appieno l’importanza della maternità per le donne e della figura materna per la comunità. L’immagine ideale della donna musulmana è, infatti, la pia madre asessuata che organizza la vita domestica, cresce i figli e i discendenti del marito, custodisce la moralità della famiglia. Come sostiene

Bouhdiba, l’Islam ha creato un regno di madri.1 Nella cultura musulmana

tradizionale, seppure l’aspettativa di vita più importante di una donna è il matrimonio, ella non considera l’identità di moglie come un possibile obiettivo finale: il matrimonio è sostanzialmente un’alleanza tra famiglie e una donna non ha la possibilità di scegliere il suo sposo. La donna sposandosi – di norma molto giovane – entra a far parte della famiglia del marito, dove la sua posizione rimarrà quella di un’estranea fino alla maternità. Non può parlare, se non brevemente e quando interrogata, e deve continuamente servire i membri della famiglia. È solo quando genererà un figlio che ella diventerà, grazie al sangue che scorre nelle vene di quest’ultimo, parte della famiglia. Lo scopo ultimo del matrimonio è quello di avere un figlio, preferibilmente maschio. L’uomo lo desidera perché gli permetterà di garantire la continuità del patrilineo, prova ultima della sua virilità. Il desiderio per il figlio maschio ha invece per la donna ragioni più pratiche. Diventare madre di un figlio maschio non solo accresce il prestigio della donna agli occhi del marito e dei membri della sua famiglia, ma costituisce anche la più importante risorsa della sua vecchiaia.

Le testimonianze dirette che provengono dall’universo domestico ottomano sono praticamente inesistenti. Anche nella letteratura ottomana pre-moderna sono assai pochi gli accenni alla vita e ai rapporti familiari, e questi suggeriscono una concezione della famiglia che non si limita alle relazioni tra la coppia di genitori e i figli. Sembrano anzi rappresentare una realtà multiforme di rapporti in cui convivono mogli, concubine, amanti, parenti e servitù. Leggiamo ad esempio da una lunga poesia, Nasihatname-i Ebu’l-hayr (“Libro dei consigli per Ebu’l-hayr”) scritta dal poeta e burocrate Yusuf Nabi tra il 1694 e il 1701 per il settimo compleanno del figlio, alcuni consigli riguardanti la vita sessuale e il matrimonio: Nabi esorta Ebu’l-hayr innanzitutto ad astenersi dai piaceri carnali con altri uomini, ma anche a non lasciarsi sedurre dalla grazia femminile né a farsi prendere

Le madri della Repubblica. Maternità e costruzione della nazione turca 2231 dalla passione. Suggerisce di scegliere la moglie dopo accurate ricerche: le donne “sono esseri meravigliosi quando sono di buon carattere, altrimenti causano più di un imbarazzo. Se [la moglie] dovesse essere sporca o cattiva, puoi dire addio ai piaceri sin dall’inizio; sopportarla tutta la vita sarà difficile, ma ancor più difficile mandarla via”. Meglio allora prendere un’odalisca: “quando ti stanchi puoi sempre concederti il piacere di rinnovarle a tua scelta […] chi si costringe a restare con una

sola donna si priva della gioia del cambiamento!”.2

Questi consigli ricordano le parole del grande pensatore musulmano, l’Imam al-Ghazali (1050-1111) secondo il quale il matrimonio è conveniente in quanto assicura all’uomo una discendenza, nonché una buona amministrazione domestica; rafforza i legami di alleanza già esistenti e aiuta l’uomo a combattere il proprio egoismo. D’altra parte esso mette l’uomo davanti al difficile compito di trattare le donne e i bambini con giustizia, impegno che egli, contraendo il matrimonio, assume davanti a Dio e che mette a dura prova la sua saggezza e calma, esponendolo alle chiacchiere e agli umori delle donne e al pericolo di allontanarsi dai suoi doveri religiosi. Questi pericoli sono arginati attraverso il tentativo di concepire il matrimonio come un’istituzione basata più che sull’amore tra i coniugi, su una loro relazione che privilegi le sfere della sessualità e della riproduzione. Infatti, all’uomo non viene richiesto di amare la donna ma solo di

trattarla con giustizia.3

Un altro esempio che rafforza il quadro dipinto proviene dalle annotazioni autobiografiche di Evliya Çelebi contenute nel suo monumentale Seyahatname (“Libro dei viaggi”):

Lo stesso giorno in cui Melek [Ahmed] era stato presentato al sultano Ahmed Han, questi fece dono di uno schiavo ad ognuno dei suoi fedeli servitori. Quando era il turno del padre di questo modesto, il Derviscio Mehmed Ağa, che era il capo orafo della Sublime Porta, il Sultano […] gli offrì mia madre, dicendo: “Tu sei un uomo anziano, ma Dio volendo, da questa ragazza avrai un figlio come un angelo ad adornare il mondo”. Üsküdarî Mahmud Efendi fece eco al Sultano, dicendo “Dio volendo, questa ragazza presto concepirà e darà vita ad un figlio maschio, nobile e giusto”. “E Dio volendo”, si introdusse Evliya Efendi, “Noi lo educheremo e lo formeremo e faremo di lui uno dei nostri figli spirituali”.4

Le osservazioni di alcune signore occidentali che ebbero il privilegio di sbirciare nella vita privata delle donne dell’élite ottomane e confrontare il loro mondo con il proprio, risalgono al ’700 e malgrado la loro puntualità, risultano condizionate da relazioni troppo superficiali che esistono tra le due parti. Lady Montague, a cui dobbiamo le testimonianze più ricche e variate dall’interno degli harem ottomani,

2 Gibb, 1904, pp. 325-370.

3 Mernissi, 1985, p. 18. Secondo l’autrice questi meccanismi servono ad evitare che nella coppia eterosessuale si possa creare un rapporto di vicinanza, di solidarietà che possa soddisfare i bisogni emotivi e intellettuali.

scrive da Istanbul nel 1717:

[I turchi] dicono che la donna è stata creata per permettere alla razza umana di crescere e di moltiplicarsi e obbedisce alla sua vocazione solo se mette al mondo dei figli e li alleva: queste sono le uniche prove che Dio s’aspetta da lei.5

E l’anno successivo annunciando ad un’amica la propria gravidanza:

In questo paese essere sposate e non far figli è più riprovevole di quanto non lo sia da noi essere prolifici prima di sposarsi. […] Senza esagerazione, tutte le signore di mia conoscenza, sposate da una decina d’anni, hanno dodici o tredici bambini e le donne anziane si vantano di aver avuto venticinque o trenta figli ognuna, e sono rispettate in proporzione all’entità della loro produzione.6

Seppure la maternità è considerata la più importante funzione attribuita da Dio al sesso femminile, lo strumento per accedere con maggiore prestigio al marito, nonché l’investimento più importante per il futuro, la cultura tradizionale assegna alla donna, nel processo riproduttivo, un ruolo passivo e secondario. Ella è considerata “un vaso di terra” capace di permettere il manifestarsi della vita, tutta racchiusa nel seme maschile. La vita incorporata nel seme è teoricamente considerata eterna e immutabile nelle sue caratteristiche (sangue paterno) che passano per generazioni dal padre al figlio, per portare avanti all’infinito, il

patrilineo.7 Concepita in tal modo la funzione della madre è quella di contribuire

alla continuità della linea paterna e di garantire il perpetuarsi del sistema patriarcale.

Nella cultura tradizionale la madre non ha voce propria: parla in nome del padre e in totale ubbidienza alla sua legge. D’altra parte ella, immersa in un mondo tutto femminile, sviluppa, in mezzo alle dinamiche del potere e dei rapporti gerarchici, un linguaggio di sottomissione che le permette di sviluppare strategie difensive, nonché di instillare forti sentimenti di indebitamento nei figli. La trasmissione dei sentimenti di maternità, nonché della cultura femminile viene assicurata attraverso questo linguaggio, che contiene una forte vena erotica. Nella relazione madre-figlio la seduzione occupa perciò un posto molto rilevante. La madre, per la quale il figlio è risorsa fondamentale di potere e di benessere, esalta in tutti i modi, sia verbalmente che gestualmente, la virilità del figlio, presentandosi nel contempo ai suoi occhi come l’emblema di una femminilità accogliente e seducente, tanto da permettere la costruzione dell’eros intorno alla propria figura. Questa ambigua costruzione dell’eros, centrato su un forte tabù sessuale, fa evolvere la sessualità scindendola dalla sfera erotica, che mentre assicura per la madre una durevole attenzione e lealtà da parte del figlio,

5 Stefani, 1984 (Lettera indirizzata all’abate Conti il 29 maggio 1717), pp. 183-184.

6 Ivi (A Anne Thistlethwayte, il 4 gennaio 1718), pp. 191-192.

Le madri della Repubblica. Maternità e costruzione della nazione turca 2233 impedisce la realizzazione di una piena relazione nella futura coppia che egli costruirà con la moglie. I figli, soprattutto i maschi, costituiscono l’unico investimento certo delle donne e i legami d’obbligo creati da tale investimento sono indiscutibili. A partire dall’allattamento, ogni sacrificio e ogni dono è finalizzato ad aprire un credito a proprio vantaggio che verrà riscosso quando il figlio diventerà adulto e la madre sarà invecchiata. La viaggiatrice inglese Mrs. Ellison, che visitò l’Impero ottomano all’inizio del XX sec., scrive:

Per quanto grande, potente o malvagio sia un uomo […] quando sua madre entra nella stanza, egli si alza in piedi, bacia la sua mano che, in segno di rispetto, mette sulla propria fronte, le chiede della sua salute e le dà il posto d’onore […] qui la relazione tra suocera e nuora è molto diversa dalla nostra […] la nuora tratta la suocera con lo stesso rispetto con cui tratterebbe la propria madre […] è la suocera che governa la casa, al posto d’onore siede lei, è la suocera che viene per prima salutata, è lei che dà il permesso alla nuora di fare questo o quell’altro […] una [giovane] donna ha detto: “quando io diverrò suocera mi aspetterò che mia nuora mi tratti nella stessa maniera in cui io tratto mia suocera: di amarmi e di rispettarmi e di non rendermi ridicola agli occhi di tutti”.8

A partire dalla seconda metà dell’800, prima il processo di modernizzazione istituzionale, poi quello di costruzione della nazione, cominciarono ad introdurre nuovi elementi culturali, capaci di corrispondere alle nuove esigenze, che però ebbero profondi effetti sulla vita delle famiglie e in particolare sulla vita delle donne, fino ad arrivare a modificare molti elementi della cultura della maternità.

Il primo aspetto a diventare oggetto delle critiche avanzate dalle nuove generazioni, formatesi nell’atmosfera delle riforme – che avevano avuto lo scopo di occidentalizzare le istituzioni imperiali – e conquistate dal desiderio di maggiori libertà e di partecipazione alla gestione del potere, erano le dinamiche autoritarie della famiglia. I giovani miravano a far meglio coincidere l’inizio della propria vita da adulti con la facoltà di gestire di più e in prima persona i propri affetti, la propria sessualità e chiedevano di contare di più nelle decisioni riguardanti la vita di tutti. Emergeva dunque per primo un conflitto generazionale, tra i padri e i figli; questi ultimi però non sembravano essere intenzionati a portare tale conflitto alle sue ultime conseguenze. Il confronto con la civiltà occidentale, presa a modello per i suoi aspetti istituzionali e materiali, aveva reso la religione musulmana il fondamentale elemento di identità. La sentita necessità di cambiamento perciò veniva impostata insieme ad una sofferta ricerca di porre ad esso precisi limiti, capaci di difendere elementi fondanti della civiltà islamica, tra cui, ovviamente, la famiglia. In tale contesto veniva a stabilirsi un’essenziale complicità tra i figli e le madri, concernente in particolare i necessari miglioramenti delle condizioni di vita delle giovani donne. Queste dovevano essere meglio istruite e lasciate relativamente libere, in modo da risultare adeguate alle necessità degli uomini

moderni. Il loro cambiamento tuttavia non doveva spingersi fino al punto di farle diventare troppo disinvolte nei confronti delle tradizioni e qui ci si rivolgeva alle madri, in quanto le migliori custodi di tali tradizioni.

I romanzi di fine ’800 e inizio ’900 sono in questo senso illuminanti. In essi quasi sempre troviamo assente la figura del padre, ma il suo posto nella difesa del testo assoluto della cultura religiosa è egregiamente riempito dalle madri. Sono loro che cercano di difendere i figli dai potenziali ma gravi pericoli di un’atmosfera di

troppa libertà e promiscuità.9

Il padre del romanticismo turco ottomano, Namık Kemal, nel suo importante romanzo İntibah (“Il risveglio”) del 1876, descrive, ad esempio, nella figura della pia madre del protagonista Ali, la strenua lotta intrapresa da ella, in assenza del marito, per “proteggere” il figlio dai pericoli di una vita vissuta in ubbidienza ai sensi. Ali è perdutamente innamorato di una donna dai facili costumi, e anche se la sua amante è seriamente intenzionata a cambiare vita per appartenere definitivamente a lui, le norme sociali, e con loro la madre, non possono permettere al giovane di perpetuare il legame. La madre otterrà facilmente la complicità degli amici e conoscenti del figlio per condurre la sua battaglia contro l’amante. Per ripristinare il suo doveroso controllo sulla sessualità del figlio, gli offrirà, con le sue mani, una sessualità alternativa, da viversi, sotto il suo tetto e la

sua supervisione, con una schiava comprata apposta.10

In Sergüzeşt (“Avventura”, 1889) di Samipaşazade Sezai, uno dei più importanti romanzi dedicati proprio alla critica della schiavitù, quando Celal, il giovane figlio di una famiglia benestante si innamora della bella schiava incaricata di “fargli compagnia”, sarà la madre a convincere il marito a mandare via la schiava,

causando nel figlio una depressione inguaribile.11 Per contrasto, Rakım Efendi, il

protagonista “modello” dell’uomo nuovo del popolare scrittore Ahmed Midhat, viene convinto dalla tata che gli ha fatto da madre a sposarsi con la bella schiava

Canan, dopo averla “educata e modellata” a seconda dei suoi criteri.12

I giovani turco-ottomani, a dispetto della loro profonda fiducia nei confronti delle madri, si mostrano estremamente suscettibili verso le loro coetanee. Queste sembrano essere percepite come effettive minacce per l’ordinato evolversi della modernizzazione della società. Una delle più profonde paure suscitate dalla modernizzazione risulta così essere l’eventualità che le giovani ragazze, sedotte dalle promesse di libertà, finiscano con il rifiutare il loro ruolo tradizionale. Praticamente tutti i romanzi mettono il lettore in guardia da tale pericolo, criticando ad esempio la moderna passione delle giovani per i romanzi d’amore, capaci di suggerire loro dei sogni per grandi amori. Oppure lamentano di come le giovani ragazze moderne, attratte dalle nuove libertà, si rifiutino di imparare a cucire e ricamare e, diventate egoiste, non vogliano più accettare di mettere la propria vita al servizio degli altri, del marito, della famiglia, dei figli.

9 Saraçgil, 2001, pp. 86-111.

10 Namık Kemal, 1973.

11 Samipaşazâde Sezai, 1970.

Le madri della Repubblica. Maternità e costruzione della nazione turca 2235 Una soluzione per rendere le donne più colte e moderne, ma al tempo stesso mantenerle essenzialmente nei binari del loro ruolo, si sarebbe presto trovato nel modo in cui nella società moderna veniva concepita e costruita la famiglia e distribuiti i ruoli in essa, dalla maternità alla paternità. Per irrobustire la famiglia turco ottomana bisognava dunque adottare tale modello che richiedeva l’introduzione di elementi di maggiore condivisione nella coppia di sposi e l’attribuzione ad essa di un ruolo più rilevante nell’educazione e nella socializzazione dei figli, funzioni a cui la versione moderna della famiglia, attribuiva posto centrale. Ciò significava la declinazione della femminilità e della maternità attraverso nuove definizioni, non più basate sulla sessualità e riproduzione, bensì su compiti e ruoli che si proiettavano dalla famiglia all’intera società. Selahaddin Asım, un influente intellettuale di inizio ’900, nel suo breve libro intitolato Türk kadınlığının terakkisi yahut karılaşmak (“L’evoluzione della femminilità turca ossia diventare donne”, 1910) scriveva che la funzione materna non doveva essere concepita solo come atto riproduttivo, ma che bisognava

estenderla all’intera società.13

Tali approcci che ri-modellavano la maternità nello sforzo di ri-modellare le strutture portanti del sistema patriarcale turco-ottomano determinavano, di fatto, il trasferimento di una parte sostanziale del potere dalla generazione precedente a quella in età riproduttiva. Ciò rendeva possibile una maggiore complicità tra la coppia di giovani sposi facendo diventare il ruolo della moglie non meno di quello della madre, anche se la maternità continuava ad essere la principale funzione attribuita dalla società alle donne. Ormai però le donne diventavano, sia nella loro funzione di moglie che, e soprattutto, in quella di madre, possibili agenti dell’ingegneria sociale. La salute e il benessere della famiglia, la cellula fondamentale della società moderna, dipendeva dalla loro capacità di costruire il “nido”. Forse ancora più importante, la società attribuiva essenzialmente a loro il

Nel documento … O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI (pagine 187-200)