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… O RIENTE ,O CCIDENTEEDINTORNI

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O

RIENTE

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CCIDENTEEDINTORNI

ScrittiinonorediAdolfoTamburello

A cura di

FRANCOMAZZEI

PATRIZIACARIOTI

U.N.O.

Napoli - 2010

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Dipartimento di Studi Asiatici

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Napoli - 2010 ISBN 978-88-95044-66-8

Volume V Volume V

Scritti in onore di Adolfo Tamburello

A cura di

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Scritti in onore di Adolfo Tamburello

A cura di

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RANCO

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ARIOTI

Volume V

Napoli - 2010

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Segreteria di Redazione Ubaldo Iaccarino Francesco Vescera

Hanno inoltre collaborato Alessia Capodanno

Manuela Capriati Rosa Conte Noemi Lanna Letizia Ragonesi

Traduzioni dal giapponese Manuela Capriati

Consulenza informatica Francesco Franzese

© IL TORCOLIERE – Officine Grafico-Editoriali d’Ateneo UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L’ORIENTALE ISBN 978-88-95044-66-8

(5)

I

NDICE

V

OLUME

V

Indice Volume V p. i

ANNA MARIA QUAGLIOTTI

Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya di alcune opere thailandesi

del XIX secolo p. 2063

GIANCARLO RINALDI

Domitiani adversus Iudaeos? p. 2075

AMNERIS ROSELLI

Per fantasias videre. Le cause di visioni e allucinazioni nelle versioni latina e siriaca delle Recognitiones pseudo-clementine (Rec. II 64, p.

89, 28-90, 11 Rehm) p. 2085

GABRIELE ROSSETTI

Kan Yasuda: trasfigurazioni dello spazio p. 2097

MARIO SABATTINI

La filosofia di Benedetto Croce in uno scritto di Zhu Guangqian del 1948 p. 2111 IKUKO SAGIYAMA

No no miya: la figura della Dama Rokujō nel teatro nō p. 2123 CATERINA SALVATI YAJIMA

Il Giappone, un gigante dai piedi d’argilla p. 2137

GUIDO SAMARANI

Da Chiang Kai-shek a Wang Jingwei. La politica italiana verso la

Cina, 1939-1947 p. 2155

ENCARNACIÓN SÁNCHEZ GARCÍA

La Cina nella cultura spagnola del Cinquecento: Bernardino de Escalante e il suo Discurso de la Navegacion que los Portugueses hazen à los reinos y Provincias del Oriente, y de la noticia que se tiene de las

grandezas del Reino de la China (Sevilla, 1577) p. 2165 MARIA TERESA SANNITI DI BAJA (†)

Community of practice e politeness: studio sulla lingua inglese in ambito

universitario p. 2181

PAOLO SANTANGELO

Rappresentazioni della volontà, esitazione e determinazione, ripensamento e rassegnazione nelle fonti cinesi tardo-imperiali.

Alcuni esempi p. 2197

(6)

AYŞE SARAÇGIL

Le madri della Repubblica. Maternità e costruzione della nazione

turca p. 2229

MASSIMO SARAPPA

Alcuni aspetti della medicina tradizionale e della possessione a Bali p. 2251 RICCARDO SCARTEZZINI

Il sapere tecnico scientifico, terreno di incontro fra cultura europea e

cinese nel XVII secolo p. 2269

VIRGINIA SICA

Ikkyū Sōjun e lo zen del “sottobosco” p. 2289

MARISA SIDDIVÒ

Miti politici di ieri e miracoli economici di oggi: una rilettura della

modernizzazione agricola in Cina p. 2309

DOMENICO SILVESTRI

Etimologie sumeriche (ovvero come rendersi la vita impossibile) p. 2327 SITTI FAIZAH SOENOTO RIVAI

La presenza italiana nel mondo indonesiano contemporaneo p. 2341 ROSARIO SOMMELLA –LIDA VIGANONI

Dimensione locale e processi globali. Note sulla città mediterranea p. 2359 ANTONIO SORRENTINO

Mercanti di gioie: il commercio di pietre preziose in India nelle

relazioni di viaggiatori italiani del Cinquecento p. 2369 GIOVANNI STARY

Il “porto d’armi” di Matteo Ripa p. 2377

GABRIELLA STEINDLER MOSCATI

Shanghai: il “Paradiso” per gli ebrei in fuga dall’Europa (1938-1943) p. 2381 TAKADA KAZUFUMI

La commedia dell’arte e il kyōgen: risate tra Oriente ed Occidente p. 2387 TAKAGI ATSUHITO

I giapponesi e le tonalità dell’inchiostro p. 2397

GIUSI TAMBURELLO

Poesie di Chen Jingrong: un piccolo omaggio p. 2403

MADDALENA TOSCANO

Prime indagini sui termini utilizzati in riferimento a Giappone e

giapponese in alcuni testi swahili p. 2425

VALERIA VARRIANO

La Grande Famiglia per preservare la faccia ad ogni costo ha una vita

infernale p. 2445

ROBERTO VELARDI

Kakoà kÒrakos kakÕn òÒn. Tisia, Corace e l’ “argomento del corvo” p. 2469

(7)

FRANCESCO VESCERA

1609. Satsuma attacca Okinawa p. 2485

AUGUST VIGLIONE

Rebecca West guarda ad Est. Agnello Nero e Falco Grigio: un percorso

attraverso la Jugoslavia di Rebecca West p. 2505

PAOLO VILLANI

Oralità e scrittura nel Giappone antico. Il potere delle parole in una

canzone del Kojiki p. 2509

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(9)

G

LI

STRANIERI

IN UNA SCENA DEL

M

ĀRAVIJAYA

DI ALCUNE OPERE THAILANDESI DEL XIX SECOLO Anna Maria Quagliotti

Una delle più note immagini thailandesi con la raffigurazione del Māravijaya (Māra Vichai) è quella dipinta sulla parete principale dell’ubosoth (sala di riunione) del Wat Tusitaram (Dusidaram) di Thonburi. L’edificio è stato variamente fatto risalire al “First Reign”, cioè all’epoca di Rāma I,1 alla fine del XVII-inizi del XVIII secolo,2 al secondo quarto del XIX secolo (scuola Ratanakosin, stile Thonburi)3, (fig. 1).

La pittura mostra, al centro e all’interno di un edificio, il Buddha atipicamente seduto in dhyānāsana con, al di sotto, la Dea Terra inginocchiata. Quest’ultima è raffigurata nell’atto di strizzarsi la lunga chioma per farne fuoriuscire l’acqua destinata a mettere in fuga l’armata del demone, secondo la nota iconografia diffusa nell’Asia Sud-orientale.4 In alto, a destra e a sinistra, è Māra sull’elefante. Ai lati del Buddha e della Dea è l’esercito. Mentre gli armati di destra sono raffigurati nell’atto di sferrare l’attacco, quelli sull’altro lato, ormai sconfitti, si dimenano disperatamente nelle acque miracolosamente originatesi dalla dea, cercando di proteggersi da animali acquatici e mostri. Da notare come molti di essi siano

“occidentali”, come, ad esempio quello in basso, alla destra della dea, con barba e baffi, privo di turbante. Anche fra le file degli assalitori vi sono “stranieri”.

Ricordiamo, fra gli altri, il primo cavaliere in basso, alla sinistra della dea. Armato di lancia, indossa un cappello nero con la falda sollevata sul davanti, lunghi capelli o parrucca, casacca con sciarpa annodata sul davanti. Alle sue spalle, un secondo con barba e baffi, turbante che sembrerebbe indossare un caftàn. Si tratta di un

“musulmano”. Al di sotto di esso un personaggio con barba e baffi, privo di turbante, non escluso lo stesso della scena della sconfitta.

La leggenda è quella riportata nella Paţhama Sambodhi, la “Vita del Buddha”, in Pāli, opera ben nota, oltre che in Laos, in Cambogia e Birmania. Dell’opera, di cui in Thailandia sono stati trovati numerosi manoscritti, una versione tarda fu eseguita nel 1845 dal principe Paramanujit su richista di Rāma III (1824-1851), in quanto all’epoca non erano reperibili copie complete del testo.5

1 Young, 2004, p. 147.

2 Snellgrove, 1978, p. 320, didascalia alla tav. 103.

3 Cfr. Boisselier, 1976, p. 202, didascalia alla fig. 151. Come ben noto, sotto Rāma I (1789-1801) la capitale fu trasferita a Bangkok. Dal punto di vista artistico, in tale epoca ebbe inizio la scuola (anche chiamata

“periodo” o “epoca”), a Thonburi e a Bangkok.

4 Per alcuni esempi, vedi Quagliotti, 2005, con riferimenti bibliografici, cui si aggiungano Mira Kim Prachabarn, 1983, e Appel, 2004.

5 Secondo Boisselier, 1976, p. 201, non è impossibile che il testo originale, del quale varie iscrizioni suggeriscono fosse noto nell’attuale Thailandia centrale sin dal periodo Dvaravati (VIII secolo), e doveva terminare con La Messa in Moto della Ruota della Legge. Anche se gli artisti del periodo Ratanakosin in genere si attennero alla versione lunga del testo (che arrivava fino al Pañca [o Dhātu]antaradhāna), essa fu riconosciuta ovunque solo alla fine del XVIII secolo. Per quanto riguarda

(10)

Ecco la narrazione. Dopo che il Bodhisattva, superato l’assalto di Māra, ebbe raggiunto il Risveglio, chiamò a testimone la Dea Terra del conquistato stadio. La Dea, non potendo resistere all’accumulo (delle perfezioni) del Bodhisattva, emerse dal suolo sotto forma di donna e si piazzò davanti al Bodhisattva, come a voler dire: “Oh Mahāpurū¡a! Io so che, avendo Tu adempiuto alle condizioni necessarie, la mia chioma è inzuppata dell’acqua accumulata dalle buone azioni da Te compiute nelle Tue esistenze precedenti. Ora la torcerò”, e, dopo aver eseguito quanto affermato, scomparve. L’acqua colò dai suoi capelli come le onde del Gange. L’esercito di Māra non poté resistere a tale impatto e, preso dal panico, si dette alla fuga. I piedi di Girimekhala scivolarono e si inabissarono fino in fondo all’oceano. I parasoli, gli stendardi e gli scacciamosche si frantumarono al suolo.

Nell’assistere al prodigio, Māra fu rimpito di stupore. Così è detto: la potenza delle perfezioni (del Bodhisattva) ebbe ragione dell’armata di Māra, e i torrenti d’acqua che colarono dai capelli della Dea Terra a sua testimonianza dispersero interamente l’esercito, mettendolo in fuga in tutte le direzioni.6

Nella pittura thailandese numerose sono le raffigurazioni di stranieri.7 Fra quelle del Māravijaya, ricorderemo la pittura murale dell’ubosoth del Wat Suvannaram di Thonburi, del secondo quarto del XIX secolo.8 Nella scena, gli armati del demone sono raffigurati, a destra, nell’assalto e, a sinistra, nella fuga e loro dispersione nelle acque. Da notare, in quest’ultima, il personaggio a cavallo in basso a destra, con cappello a larghe falde, casacca con maniche con polsini a pieghe, e, al di sotto, un secondo straniero che si aggrappa alle zampe dell’animale (fig. 2). Quest’ultimo, con parrucca (ha perso il cappello?) indossa una casacca dello stesso tipo, con sciarpa annodata sul davanti (non visibile nel primo caso). Il costume è lo stesso dell’armato del Wat Tusitaram.

Una delle rappresentazioni più famose, sempre del Māravijaya, è quella del Padiglione di Lacca del Palazzo di Suan Pakkad di Bangkok (Wang Suan Phakkot).9 Sulla parte centrale del pannello sovrastante l’arco sono il Buddha,

l’epoca di composizione del testo, come evidenziato da Boisselier, 1976, p. 239, n. 48, dopo le proposte datazioni di Coedès, 1968, pp. 217-227, un’iscrizione rinvenuta a Sat Campa, cfr. Boisselier – Beurdeley, 1974, p. 205, che riflette la stessa ispirazione della Paţhama Sambodhi, reinforzerebbe l’ipotesi secondo la quale le caratteristiche essenziali di questo testo, se non addirittura il testo stesso, fossero conosciuti nella piana del Menam nell’VIII secolo.

6 Per la versione Pāli e la traduzione francese di questi passi, vedi Coedès, 1968, p. 224; per una versione môn, vedi Guillon, 1987.

7 Non necessariamente di soggetto buddhistico, e, in quest’ultimo caso, non solo nelle scene della vita di Śākyamuni o delle sue vite precedenti, come, ad es., nel caso del Mahājanaka Jātaka dell’ubosoth del Wang Bang Yikhan di Thonburi, scuola di Ratanakosin del secondo quarto del XIX secolo, Santi, 2000, p. 13, tav. a.

8 Santi, 2000, tavole alle pp. 64-65, 70. Il monastero fu ricostruito da Rāma I, e le pitture eseguite da Phra Acham Nak, sotto Rāma III.

9 Griswold, 1960; Diskul, 1960; idem, 1961; Boisselier, 1976, pp. 40-41, fig. 16; ivi, p. 48; ivi, p. 238, n. 29;

Santi, 2000, pp. 82-95, figure alle pp. 89, 92-93; Young, 2004. Il Padiglione è in lacca nera e oro. Da ricordare come questa tecnica, “black and gold lacquer” oppure “gilt lacquer”, non compaia in Thailandia prima dei secoli XVII-XVIII.

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2065 nuovamente in dhyānāsana,10 in asse con la sottostante Dea Terra inginocchiata che si strizza i capelli. Ai lati della Dea l’armata di Māra, la cui raffigurazione si prolunga in basso lungo le pareti dell’arco. Fra i vari personaggi del lato sinistro, da notare i tre a cavallo, due in testa, che stanno attraversando il ponte ligneo, fra contadini nelle loro occupazioni quotidiane (fig. 3). I tre sono raffigurati in atteggiamento pacifico. Indossano cappelli a larghe falde, una casacca riccamente adorna, a motivi geometrici o floreali, maniche con polsini pieghettati, sciarpa annodata sul davanti, costumi del “Grand Siècle”. Sull’altro lato è un cavaliere – armato di fucile – con lo stesso tipo di cappello, un’uniforme a motivi geometrici o floreali, maniche con polsini a pieghe. Quest’ultimo è stato identificato come un ufficiale olandese.11 Da notare tuttavia come la sua uniforme sia simile alla veste indossata dai tre personaggi precedenti.

Per via della raffigurazione dei tre cavalieri – come anche di altri stranieri (Olandesi, Moghul, Persiani in genere) – in costumi caratteristici dell’epoca di Narai (1656-1688) gli studiosi in genere avevano fatto risalire l’esecuzione della scena al “Grand Siècle”, laddove i soldati francesi indossavano lo stesso tipo di uniforme.12 Secondo Santi Leksukhum,13 i tre personaggi qui in esame sarebbero una raffigurazione degli inizi del XIX secolo della “missione” francese del 1685- 1686 o di quella del 1867.14 Secondo Boisselier15 l’opera sarebbe stata frutto degli artisti degli inzi del XIX secolo della scuola Ratanakosin di Bangkok:

The prominence of the exotic-mainly horsemen dressed in the costume of the Grand Siècle and archaizing mercenaries – have tempted some scholars to suppose the group to have been executed at the end of the seventeenth

10 Secondo Young (2004, p. 149), insieme al Buddha del Wat Chayathid, sarebbe questa l’unico dei due esempi di Šākyamuni in questa posizione, anziché in bhūmisparšamudrā. Come visto sopra, ad essi va aggiunta l’immagine del Buddha del Wat Tushitaram.

11 Cfr. Diskul, 1961, p. 39, pannello 11; Griswold, 1960, fig. 3. Per quanto le raffigurazioni di stranieri rappresentati in costumi di epoche precedenti, vedi sotto, la nota 18. Per il periodo di Ayuthya, il Māravijaya dell’ubosoth del Wat Chong Nonsi di Bangkok, del terzo quarto del XVII secolo, cfr. Santi, 2000, tavole alle pp. 36-37, con la presenza di stranieri fra gli armati di Māra.

12 Cioè uniformi del “Grand Siècle”. Apprendiamo da Portraits of Foreigners come i Francesi, all’epoca di Rāma III, indossassero “a black frock-coat, with gold epaulettes and gilt buttons, above his trousers, a watch-chain appearing from his pocket”. L’opera è di vari autori, principi e monaci del regno di Rāma III e fu accompagnata dalle sculture in pietra del Wat Po raffiguranti personaggi di diverse nazionalittà, molte delle quali andate perdute. Cfr. Schweisguth, 1951; Boisselier, 1976, p. 176.

13 Santi, 2000, p. 93.

14 Nel 1867 una missione francese fu inviata per proteggere il re Narai dall’imperialismo inglese e olandese, con a testa Simon de la Loubère (che lasciò un “account on Siam”) e Claude Cébéret de Boullay (1687). La missione era stata preceduta da quella del 1685-1686 di De Fontaney (1643-1710), cui parteciparono, fra gli altri, lo Chevalier de Chaumont (vedi in bibliografia sotto Chaumont 1687), accompagnato dall’Abbé de Choisy (1644-1724), da Père B. Vachet, il gesuita Guy Tachard (1648-1710) ed altri francesi. Su Tachard e le due ambascerie, vedi, ad es., Tachard, 1688; Smithies, 2002, pp. 67-78 con riferimenti bibliografici). Ci sono pervenute le narrazioni dell’Abbé de Choisy, cfr. Smithies, 1993, e l’opera di Tachard tradotta in inglese (Londra, 1688). Scopo essenziale della missione era quello di convertire il sovrano del Siam alla religione cattolica. Sui rapporti fra Narai e la Francia in quegli anni, vedi, fra gli altri, Hall, 1964, pp. 343-352; Wyatt, 1999, pp. 112-116.

15 Boisselier, 1976, pp. 82, 100.

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century. But these various personages, together with Moslems and Chinese, remainded immensely popular with the artists right up to the middle of the nineteenth century; and there are, moreover, numerous similarities with the painting of the First Reign (dress, headdresses, ornaments, similar architectural detalis) – taking all this into account, it must be conceded that a date in this latter period would seem the more probable.16

Sino ad ora abbiamo citato solo alcuni esempi della presenza di personaggi

“occidentali”, francesi in particolare, rappresentati con vesti dell’epoca di Luigi XIV, negli episodi dell’Assalto di Māra. Abbiamo visto come essi siano raffigurati secondo due varianti: nell’atto di combattere, o in atteggiamento pacifico, in un caso, quello del Padiglione di Lacca del Palazzo di Suan Pakkad. Non solo in un contesto puramente narrativo: essi possono essere raffigurati anche come guardiani, come nel caso dei due dipinti sulla porta lignea del vihān a nord dell’ubosoth del Wat Po, Bangkok, scuola Ratanakosin, del secondo quarto del XIX secolo17 (fig. 4). Come evidenziato da Boisselier,18 anche qui è evidente l’interesse per l’esotismo arcaicizzante del regno di Rāma III:

This archaising tendency means that when it comes to dating the works they are virtually useless. This kind of detail can at least provide a terminus a quo. Indeed when a certain group of paintings dated in the reign of Rāma I includes a figure of some European soldier in a uniform that is known not to have existed until 25 years later one is bound to admit that the scene has been wrongly datated and that it must, at least, have been restored in part at a period that cannot have predated the adoption of the particular details in question. By contrast, however, when a painting, or, more often, a lacquer,

16 Recentemente Young, cfr. 2004, p. 106, ha cercato di dimostrare come i pannelli risalirebbero al “First Reign”. Nel far risalire le raffigurazioni del Padiglione all’epoca di Rāma I, Young adduce le seguenti argomentazioni: “There are four compelling reasons to do so. The first is the marked change in subject matter of temple murals from the Jatakas in the Late Ayutthaya period to that of the life of the Buddha during the First Reign. The second reason is the similarity of focus on the ministry of the Buddha in the Lacquer Pavilion murals with those of the Buddhasaiwan Chapel (built mid-1790’s). The third reason is the illustrations in the Lacquer Pavilion murals of the Buddhha’s visit to Lanka and other scenes from the Mahavamsa, the Sri Lankan epic translated into Thai by order of Rama I. Finally, the scenes in the lower registers of episodes from the Ramakien are those described in the version of the epic composed by Rama I. These changes took place in the context of Rama’s I reformation of the Sangha, and his emphasis on the historic Buddha’s life and ministry”. Con più esattezza il Padiglione del Somdet Pra Buddhakhosachan, dell’epoca di Phetracha (1688-1702) del Wat Buddhasaiwan, monastero costruito dal fondatore di Ayuthaya, cfr. Boisselier, 1976, p. 84. Boisselier cfr. 1974, p. 82, aveva già evidenziato altrove come, se la rappresentazione dei soldati di Luigi XIV (e di altri personaggi, quali “Musulmani”, Cinesi, ecc.) potrebbe far pensare ad un’esecuzione dell’opera della fine del periodo di Ayuthya, tuttavia queste tipologie sarebbero rimaste popolari fino alla metà del XIX secolo ed oltre.

17 Non solo i Francesi, ma anche altri Europei, come nel caso dei due guardiani “occidentali” dipinti sulla superficie interna lignea di una porta del Wat Po di Bangkok, scuola Ratanakosin, secondo quarto del XIX secolo. Qui i personaggi indossano le vesti europee dell’epoca, così come descritti nel Portraits of Foreigners. Cfr. Boisselier, 1976, p. 108, fig. 82.

18 Boisselier, 1976, pp. 66, 106.

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2067 depicts Europeans in costumes of the late seventeenth century, this fact cannot be taken to mean that the works necessarily date from the reign of King Pra Naret and reflect the Dutch presence or the embassies exchanged with Louis XIV. On the contrary, everything goes to show that these noble personages, only cast in a very specific role, continued in it over a long period of time and, indeed, well into the nineteenth century, as, for example, at Wat Po. They frequently figure among the demon troops in the large compositions illustrating the Buddha’s triumph over Māra, a position which indicates the far from enviable notoriety which generally clung to the representations of the Grand Siècle. Yet not all the roles that fell to foreigners were disagreable.

Moslem, merchenaries, sometimes coloured, rich Persian merchants, Hindu princes, Chinese of all classes often appear preminently in illustrations to the great Jātakas.19

Le immagini dei Francesi del “Grand Siècle” sopra descritte sono di due tipi:

“aggressive”, o “pacifiche”. Abbiamo anche visto come nei tre personaggi

“pacifici” del Padiglione di Lacca si siano voluti vedere gli inviati di Luigi XIV in Siam. Come scritto sopra, ciò non vuol dire che le immagini necessariamente debbano risalire allo stesso periodo. Secondo me, indipendentemente dalle datazioni del pannello, sia esso stato eseguito alla fine del periodo di Ayuthaya, nel

“First Reign” o agli inizi del XIX secolo, l’atteggiamento dei tre personaggi è quello di coloro che si recano a cavallo per compiere una missione pacifica, non esclusa quella del 1685-1686 o quella del 1867, oppure simboleggiare entrambe, il cui ricordo doveva essere ancora vivo all’epoca in cui fu eseguito il pannello, epoca della rinnovata apertura verso la Francia. Gli Occidentali sono qui considerati come amici, e in quanto tali guardiani protettivi, i Francesi arcaicizzanti dei tempi di Luigi XIV. Non è questo un “revival” della poltica filo-francese di Mongut? In accordo con Boisselier, ritengo come si debba tener conto del gusto per l’esotismo dell’epoca, presente sin dall’epoca del manoscritto Trai Phum del XVII secolo, dove le vesti dei Cinesi e del Musulmani annunciano il gusto – che troverà espressione nei vari “genres” – dal Wat Ko Kèo Suttharam di Phetburi (1734) in poi,20 gusto che giustifica l’anacronismo delle pitture dell’epoca, dove, come evidenziato da Boisselier21 i soldati dell’armata di Māra sono raffigurati come esseri fantastici o individui di tutte le nazionalità conosciute dagli artisti.22

19 Vedi sopra, n. 14.

20 Dell’interesse per l’esotismo in questo periodo una lettera del 2 gennaio del 1688 inviata da Phaulkon ad Innocenzo XI nel 1688 ne costituirebbe un’ulteriore prova. La lettera è Moghul o di origine iranica

“and a green flecked ground sprinkled with flowers in full face and white and gold lotuses within a gold frame. Other existence of Islamic elements in the art of Ayuthya and adds to our understanding of the part played by Moslem figural and decorative painting in the traditional school”.

21 Boisselier, 1976, p. 89, didascalia alle figg. 39, 90.

22 Boisselier, 1976, p. 66, scrive: “Not that it is surprising to find the Previous Lives of the Buddha transposed into the artist’s own period, for this was common practice, but certain foreign types and costumes seem to have assumed a real iconographical significance. They therefore continued to appear in paintings for very long periods after they had ceased to be fashionable”. Nel 1821 John Crawford, emissario britannico persso la corte del Siam, riferendosi alle pitture del Wat Phra Chetupuhon, notava

(14)

Per tornare agli armati di Māra nell’assalto al Buddha, perché, in questa iconografia, molti di essi sono “occidentali”? Faremo nostro quanto scritto da Boisselier: 23 se, all’epoca, il gusto per l’esotismo si accompagna spesso all’umorismo e al senso caricaturale, a partire dal periodo Ratanakosin si sviluppa un vocabolario di supporto alla meditazione. Le pitture ispirate dalla religione più spesso erano opera dei religiosi stessi ed è naturale che riflettessero i frutti delle loro meditazioni:

“Thus a whole series of compositions of an astonishing surrealist character emerged. Inspirations was sometimes drawn from a remote past that was now revived, especially from the reign of Rāma III onwards, by the will to regenerate the monasteries and to extent the study of the texts”.24

Fra gli aggressori del Buddha sono gli stranieri: si vuole qui alludere ai sentimenti anti-francesi e contro gli stranieri in genere creatisi verso la fine del regno di Narai, o comunque intorno al 1688?:25 Essi sono destinati a soccombere, e, anacronisticamente, riflettono lo spirito, il gusto esotico ed estetico dell’epoca e lo spirito religioso.

BIBLIOGRAFIA

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COEDÈS George, “Une vie indochinoise du Buddha: La Paţhamasambodhi” in Mélanges d’indianisme à la mémoire de Louis Renou, Paris, 1968, pp. 217-227

come in esse gli Europei fossero rappresentati con indosso i costumi grotteschi della fine del XVII – inizi del XVIII secolo, cfr. Crawford, 1987, p. 109, cit. in Young, 2004, p. 115.

23 Boisselier, 1976, pp. 66-67.

24 These compositions illustrate a whole world of pitiable monsters, for the edification of all. Far exceeding in horror the personages of the almost benign danses macabres of the Medieval Europe, they sometimes recall the visions of Hieronymus Bosch”. Se consideriamo, ad esempio, la visita alle regioni infernali di Nemi (Nemi Jātaka) del Wat Yai Intharam di Chonburi della prima metà del XIX secolo, Boisselier 1976, p. 143, fig. 111, vediamo come, nella scena, i dannati siano rappresentati nelle forme più terrifiche, con i peggiori difetti fisici.

25 Ricordiamo che il potente ministro Phaulkon era greco, la moglie giapponese e che egli viveva in stile

“occidentale”.

(15)

Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2069 CRAWFORD John, Journal of an Embassy to the Courts of Siam and Cochin China 1828,

Oxford Univeristy Press, 1987 (ristampa), non vidi

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(16)

Fig. 1 Sconfitta dell’armata di Māra Wat Tusitaram, Thonburi

Riproduzione fotografica da Snellgrove, 1978, tav. 243

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2071

Fig. 2 Assalto di Māra (particolare) Wat Suvannaram, Thonburi

Riproduzione fotografica da Santi Leksukhum, 2000, tav. a p.70

(18)

Fig. 3 Personaggi “del Grand Siècle” nella scena dell’Assalto di Māra Padiglione di Lacca del Wang Suan Phakkot

Riproduzione fotografica da Boisselier, 1976, p. 40

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2073

Fig. 4 Due Europei

Dipinti della parte lignea del vihān a nord dell’ubosoth del Wat Po, Bangkok Riproduzione fotografica da Boisselier, 1976, fig. 80 a p.106

(20)
(21)

G

LI

STRANIERI

IN UNA SCENA DEL

M

ĀRAVIJAYA

DI ALCUNE OPERE THAILANDESI DEL XIX SECOLO Anna Maria Quagliotti

Una delle più note immagini thailandesi con la raffigurazione del Māravijaya (Māra Vichai) è quella dipinta sulla parete principale dell’ubosoth (sala di riunione) del Wat Tusitaram (Dusidaram) di Thonburi. L’edificio è stato variamente fatto risalire al “First Reign”, cioè all’epoca di Rāma I,1 alla fine del XVII-inizi del XVIII secolo,2 al secondo quarto del XIX secolo (scuola Ratanakosin, stile Thonburi)3, (fig. 1).

La pittura mostra, al centro e all’interno di un edificio, il Buddha atipicamente seduto in dhyānāsana con, al di sotto, la Dea Terra inginocchiata. Quest’ultima è raffigurata nell’atto di strizzarsi la lunga chioma per farne fuoriuscire l’acqua destinata a mettere in fuga l’armata del demone, secondo la nota iconografia diffusa nell’Asia Sud-orientale.4 In alto, a destra e a sinistra, è Māra sull’elefante. Ai lati del Buddha e della Dea è l’esercito. Mentre gli armati di destra sono raffigurati nell’atto di sferrare l’attacco, quelli sull’altro lato, ormai sconfitti, si dimenano disperatamente nelle acque miracolosamente originatesi dalla dea, cercando di proteggersi da animali acquatici e mostri. Da notare come molti di essi siano

“occidentali”, come, ad esempio quello in basso, alla destra della dea, con barba e baffi, privo di turbante. Anche fra le file degli assalitori vi sono “stranieri”.

Ricordiamo, fra gli altri, il primo cavaliere in basso, alla sinistra della dea. Armato di lancia, indossa un cappello nero con la falda sollevata sul davanti, lunghi capelli o parrucca, casacca con sciarpa annodata sul davanti. Alle sue spalle, un secondo con barba e baffi, turbante che sembrerebbe indossare un caftàn. Si tratta di un

“musulmano”. Al di sotto di esso un personaggio con barba e baffi, privo di turbante, non escluso lo stesso della scena della sconfitta.

La leggenda è quella riportata nella Paţhama Sambodhi, la “Vita del Buddha”, in Pāli, opera ben nota, oltre che in Laos, in Cambogia e Birmania. Dell’opera, di cui in Thailandia sono stati trovati numerosi manoscritti, una versione tarda fu eseguita nel 1845 dal principe Paramanujit su richista di Rāma III (1824-1851), in quanto all’epoca non erano reperibili copie complete del testo.5

1 Young, 2004, p. 147.

2 Snellgrove, 1978, p. 320, didascalia alla tav. 103.

3 Cfr. Boisselier, 1976, p. 202, didascalia alla fig. 151. Come ben noto, sotto Rāma I (1789-1801) la capitale fu trasferita a Bangkok. Dal punto di vista artistico, in tale epoca ebbe inizio la scuola (anche chiamata

“periodo” o “epoca”), a Thonburi e a Bangkok.

4 Per alcuni esempi, vedi Quagliotti, 2005, con riferimenti bibliografici, cui si aggiungano Mira Kim Prachabarn, 1983, e Appel, 2004.

5 Secondo Boisselier, 1976, p. 201, non è impossibile che il testo originale, del quale varie iscrizioni suggeriscono fosse noto nell’attuale Thailandia centrale sin dal periodo Dvaravati (VIII secolo), e doveva terminare con La Messa in Moto della Ruota della Legge. Anche se gli artisti del periodo Ratanakosin in genere si attennero alla versione lunga del testo (che arrivava fino al Pañca [o Dhātu]antaradhāna), essa fu riconosciuta ovunque solo alla fine del XVIII secolo. Per quanto riguarda

(22)

Ecco la narrazione. Dopo che il Bodhisattva, superato l’assalto di Māra, ebbe raggiunto il Risveglio, chiamò a testimone la Dea Terra del conquistato stadio. La Dea, non potendo resistere all’accumulo (delle perfezioni) del Bodhisattva, emerse dal suolo sotto forma di donna e si piazzò davanti al Bodhisattva, come a voler dire: “Oh Mahāpurū¡a! Io so che, avendo Tu adempiuto alle condizioni necessarie, la mia chioma è inzuppata dell’acqua accumulata dalle buone azioni da Te compiute nelle Tue esistenze precedenti. Ora la torcerò”, e, dopo aver eseguito quanto affermato, scomparve. L’acqua colò dai suoi capelli come le onde del Gange. L’esercito di Māra non poté resistere a tale impatto e, preso dal panico, si dette alla fuga. I piedi di Girimekhala scivolarono e si inabissarono fino in fondo all’oceano. I parasoli, gli stendardi e gli scacciamosche si frantumarono al suolo.

Nell’assistere al prodigio, Māra fu rimpito di stupore. Così è detto: la potenza delle perfezioni (del Bodhisattva) ebbe ragione dell’armata di Māra, e i torrenti d’acqua che colarono dai capelli della Dea Terra a sua testimonianza dispersero interamente l’esercito, mettendolo in fuga in tutte le direzioni.6

Nella pittura thailandese numerose sono le raffigurazioni di stranieri.7 Fra quelle del Māravijaya, ricorderemo la pittura murale dell’ubosoth del Wat Suvannaram di Thonburi, del secondo quarto del XIX secolo.8 Nella scena, gli armati del demone sono raffigurati, a destra, nell’assalto e, a sinistra, nella fuga e loro dispersione nelle acque. Da notare, in quest’ultima, il personaggio a cavallo in basso a destra, con cappello a larghe falde, casacca con maniche con polsini a pieghe, e, al di sotto, un secondo straniero che si aggrappa alle zampe dell’animale (fig. 2). Quest’ultimo, con parrucca (ha perso il cappello?) indossa una casacca dello stesso tipo, con sciarpa annodata sul davanti (non visibile nel primo caso). Il costume è lo stesso dell’armato del Wat Tusitaram.

Una delle rappresentazioni più famose, sempre del Māravijaya, è quella del Padiglione di Lacca del Palazzo di Suan Pakkad di Bangkok (Wang Suan Phakkot).9 Sulla parte centrale del pannello sovrastante l’arco sono il Buddha,

l’epoca di composizione del testo, come evidenziato da Boisselier, 1976, p. 239, n. 48, dopo le proposte datazioni di Coedès, 1968, pp. 217-227, un’iscrizione rinvenuta a Sat Campa, cfr. Boisselier – Beurdeley, 1974, p. 205, che riflette la stessa ispirazione della Paţhama Sambodhi, reinforzerebbe l’ipotesi secondo la quale le caratteristiche essenziali di questo testo, se non addirittura il testo stesso, fossero conosciuti nella piana del Menam nell’VIII secolo.

6 Per la versione Pāli e la traduzione francese di questi passi, vedi Coedès, 1968, p. 224; per una versione môn, vedi Guillon, 1987.

7 Non necessariamente di soggetto buddhistico, e, in quest’ultimo caso, non solo nelle scene della vita di Śākyamuni o delle sue vite precedenti, come, ad es., nel caso del Mahājanaka Jātaka dell’ubosoth del Wang Bang Yikhan di Thonburi, scuola di Ratanakosin del secondo quarto del XIX secolo, Santi, 2000, p. 13, tav. a.

8 Santi, 2000, tavole alle pp. 64-65, 70. Il monastero fu ricostruito da Rāma I, e le pitture eseguite da Phra Acham Nak, sotto Rāma III.

9 Griswold, 1960; Diskul, 1960; idem, 1961; Boisselier, 1976, pp. 40-41, fig. 16; ivi, p. 48; ivi, p. 238, n. 29;

Santi, 2000, pp. 82-95, figure alle pp. 89, 92-93; Young, 2004. Il Padiglione è in lacca nera e oro. Da ricordare come questa tecnica, “black and gold lacquer” oppure “gilt lacquer”, non compaia in Thailandia prima dei secoli XVII-XVIII.

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2065 nuovamente in dhyānāsana,10 in asse con la sottostante Dea Terra inginocchiata che si strizza i capelli. Ai lati della Dea l’armata di Māra, la cui raffigurazione si prolunga in basso lungo le pareti dell’arco. Fra i vari personaggi del lato sinistro, da notare i tre a cavallo, due in testa, che stanno attraversando il ponte ligneo, fra contadini nelle loro occupazioni quotidiane (fig. 3). I tre sono raffigurati in atteggiamento pacifico. Indossano cappelli a larghe falde, una casacca riccamente adorna, a motivi geometrici o floreali, maniche con polsini pieghettati, sciarpa annodata sul davanti, costumi del “Grand Siècle”. Sull’altro lato è un cavaliere – armato di fucile – con lo stesso tipo di cappello, un’uniforme a motivi geometrici o floreali, maniche con polsini a pieghe. Quest’ultimo è stato identificato come un ufficiale olandese.11 Da notare tuttavia come la sua uniforme sia simile alla veste indossata dai tre personaggi precedenti.

Per via della raffigurazione dei tre cavalieri – come anche di altri stranieri (Olandesi, Moghul, Persiani in genere) – in costumi caratteristici dell’epoca di Narai (1656-1688) gli studiosi in genere avevano fatto risalire l’esecuzione della scena al “Grand Siècle”, laddove i soldati francesi indossavano lo stesso tipo di uniforme.12 Secondo Santi Leksukhum,13 i tre personaggi qui in esame sarebbero una raffigurazione degli inizi del XIX secolo della “missione” francese del 1685- 1686 o di quella del 1867.14 Secondo Boisselier15 l’opera sarebbe stata frutto degli artisti degli inzi del XIX secolo della scuola Ratanakosin di Bangkok:

The prominence of the exotic-mainly horsemen dressed in the costume of the Grand Siècle and archaizing mercenaries – have tempted some scholars to suppose the group to have been executed at the end of the seventeenth

10 Secondo Young (2004, p. 149), insieme al Buddha del Wat Chayathid, sarebbe questa l’unico dei due esempi di Šākyamuni in questa posizione, anziché in bhūmisparšamudrā. Come visto sopra, ad essi va aggiunta l’immagine del Buddha del Wat Tushitaram.

11 Cfr. Diskul, 1961, p. 39, pannello 11; Griswold, 1960, fig. 3. Per quanto le raffigurazioni di stranieri rappresentati in costumi di epoche precedenti, vedi sotto, la nota 18. Per il periodo di Ayuthya, il Māravijaya dell’ubosoth del Wat Chong Nonsi di Bangkok, del terzo quarto del XVII secolo, cfr. Santi, 2000, tavole alle pp. 36-37, con la presenza di stranieri fra gli armati di Māra.

12 Cioè uniformi del “Grand Siècle”. Apprendiamo da Portraits of Foreigners come i Francesi, all’epoca di Rāma III, indossassero “a black frock-coat, with gold epaulettes and gilt buttons, above his trousers, a watch-chain appearing from his pocket”. L’opera è di vari autori, principi e monaci del regno di Rāma III e fu accompagnata dalle sculture in pietra del Wat Po raffiguranti personaggi di diverse nazionalittà, molte delle quali andate perdute. Cfr. Schweisguth, 1951; Boisselier, 1976, p. 176.

13 Santi, 2000, p. 93.

14 Nel 1867 una missione francese fu inviata per proteggere il re Narai dall’imperialismo inglese e olandese, con a testa Simon de la Loubère (che lasciò un “account on Siam”) e Claude Cébéret de Boullay (1687). La missione era stata preceduta da quella del 1685-1686 di De Fontaney (1643-1710), cui parteciparono, fra gli altri, lo Chevalier de Chaumont (vedi in bibliografia sotto Chaumont 1687), accompagnato dall’Abbé de Choisy (1644-1724), da Père B. Vachet, il gesuita Guy Tachard (1648-1710) ed altri francesi. Su Tachard e le due ambascerie, vedi, ad es., Tachard, 1688; Smithies, 2002, pp. 67-78 con riferimenti bibliografici). Ci sono pervenute le narrazioni dell’Abbé de Choisy, cfr. Smithies, 1993, e l’opera di Tachard tradotta in inglese (Londra, 1688). Scopo essenziale della missione era quello di convertire il sovrano del Siam alla religione cattolica. Sui rapporti fra Narai e la Francia in quegli anni, vedi, fra gli altri, Hall, 1964, pp. 343-352; Wyatt, 1999, pp. 112-116.

15 Boisselier, 1976, pp. 82, 100.

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century. But these various personages, together with Moslems and Chinese, remainded immensely popular with the artists right up to the middle of the nineteenth century; and there are, moreover, numerous similarities with the painting of the First Reign (dress, headdresses, ornaments, similar architectural detalis) – taking all this into account, it must be conceded that a date in this latter period would seem the more probable.16

Sino ad ora abbiamo citato solo alcuni esempi della presenza di personaggi

“occidentali”, francesi in particolare, rappresentati con vesti dell’epoca di Luigi XIV, negli episodi dell’Assalto di Māra. Abbiamo visto come essi siano raffigurati secondo due varianti: nell’atto di combattere, o in atteggiamento pacifico, in un caso, quello del Padiglione di Lacca del Palazzo di Suan Pakkad. Non solo in un contesto puramente narrativo: essi possono essere raffigurati anche come guardiani, come nel caso dei due dipinti sulla porta lignea del vihān a nord dell’ubosoth del Wat Po, Bangkok, scuola Ratanakosin, del secondo quarto del XIX secolo17 (fig. 4). Come evidenziato da Boisselier,18 anche qui è evidente l’interesse per l’esotismo arcaicizzante del regno di Rāma III:

This archaising tendency means that when it comes to dating the works they are virtually useless. This kind of detail can at least provide a terminus a quo. Indeed when a certain group of paintings dated in the reign of Rāma I includes a figure of some European soldier in a uniform that is known not to have existed until 25 years later one is bound to admit that the scene has been wrongly datated and that it must, at least, have been restored in part at a period that cannot have predated the adoption of the particular details in question. By contrast, however, when a painting, or, more often, a lacquer,

16 Recentemente Young, cfr. 2004, p. 106, ha cercato di dimostrare come i pannelli risalirebbero al “First Reign”. Nel far risalire le raffigurazioni del Padiglione all’epoca di Rāma I, Young adduce le seguenti argomentazioni: “There are four compelling reasons to do so. The first is the marked change in subject matter of temple murals from the Jatakas in the Late Ayutthaya period to that of the life of the Buddha during the First Reign. The second reason is the similarity of focus on the ministry of the Buddha in the Lacquer Pavilion murals with those of the Buddhasaiwan Chapel (built mid-1790’s). The third reason is the illustrations in the Lacquer Pavilion murals of the Buddhha’s visit to Lanka and other scenes from the Mahavamsa, the Sri Lankan epic translated into Thai by order of Rama I. Finally, the scenes in the lower registers of episodes from the Ramakien are those described in the version of the epic composed by Rama I. These changes took place in the context of Rama’s I reformation of the Sangha, and his emphasis on the historic Buddha’s life and ministry”. Con più esattezza il Padiglione del Somdet Pra Buddhakhosachan, dell’epoca di Phetracha (1688-1702) del Wat Buddhasaiwan, monastero costruito dal fondatore di Ayuthaya, cfr. Boisselier, 1976, p. 84. Boisselier cfr. 1974, p. 82, aveva già evidenziato altrove come, se la rappresentazione dei soldati di Luigi XIV (e di altri personaggi, quali “Musulmani”, Cinesi, ecc.) potrebbe far pensare ad un’esecuzione dell’opera della fine del periodo di Ayuthya, tuttavia queste tipologie sarebbero rimaste popolari fino alla metà del XIX secolo ed oltre.

17 Non solo i Francesi, ma anche altri Europei, come nel caso dei due guardiani “occidentali” dipinti sulla superficie interna lignea di una porta del Wat Po di Bangkok, scuola Ratanakosin, secondo quarto del XIX secolo. Qui i personaggi indossano le vesti europee dell’epoca, così come descritti nel Portraits of Foreigners. Cfr. Boisselier, 1976, p. 108, fig. 82.

18 Boisselier, 1976, pp. 66, 106.

(25)

Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2067 depicts Europeans in costumes of the late seventeenth century, this fact cannot be taken to mean that the works necessarily date from the reign of King Pra Naret and reflect the Dutch presence or the embassies exchanged with Louis XIV. On the contrary, everything goes to show that these noble personages, only cast in a very specific role, continued in it over a long period of time and, indeed, well into the nineteenth century, as, for example, at Wat Po. They frequently figure among the demon troops in the large compositions illustrating the Buddha’s triumph over Māra, a position which indicates the far from enviable notoriety which generally clung to the representations of the Grand Siècle. Yet not all the roles that fell to foreigners were disagreable.

Moslem, merchenaries, sometimes coloured, rich Persian merchants, Hindu princes, Chinese of all classes often appear preminently in illustrations to the great Jātakas.19

Le immagini dei Francesi del “Grand Siècle” sopra descritte sono di due tipi:

“aggressive”, o “pacifiche”. Abbiamo anche visto come nei tre personaggi

“pacifici” del Padiglione di Lacca si siano voluti vedere gli inviati di Luigi XIV in Siam. Come scritto sopra, ciò non vuol dire che le immagini necessariamente debbano risalire allo stesso periodo. Secondo me, indipendentemente dalle datazioni del pannello, sia esso stato eseguito alla fine del periodo di Ayuthaya, nel

“First Reign” o agli inizi del XIX secolo, l’atteggiamento dei tre personaggi è quello di coloro che si recano a cavallo per compiere una missione pacifica, non esclusa quella del 1685-1686 o quella del 1867, oppure simboleggiare entrambe, il cui ricordo doveva essere ancora vivo all’epoca in cui fu eseguito il pannello, epoca della rinnovata apertura verso la Francia. Gli Occidentali sono qui considerati come amici, e in quanto tali guardiani protettivi, i Francesi arcaicizzanti dei tempi di Luigi XIV. Non è questo un “revival” della poltica filo-francese di Mongut? In accordo con Boisselier, ritengo come si debba tener conto del gusto per l’esotismo dell’epoca, presente sin dall’epoca del manoscritto Trai Phum del XVII secolo, dove le vesti dei Cinesi e del Musulmani annunciano il gusto – che troverà espressione nei vari “genres” – dal Wat Ko Kèo Suttharam di Phetburi (1734) in poi,20 gusto che giustifica l’anacronismo delle pitture dell’epoca, dove, come evidenziato da Boisselier21 i soldati dell’armata di Māra sono raffigurati come esseri fantastici o individui di tutte le nazionalità conosciute dagli artisti.22

19 Vedi sopra, n. 14.

20 Dell’interesse per l’esotismo in questo periodo una lettera del 2 gennaio del 1688 inviata da Phaulkon ad Innocenzo XI nel 1688 ne costituirebbe un’ulteriore prova. La lettera è Moghul o di origine iranica

“and a green flecked ground sprinkled with flowers in full face and white and gold lotuses within a gold frame. Other existence of Islamic elements in the art of Ayuthya and adds to our understanding of the part played by Moslem figural and decorative painting in the traditional school”.

21 Boisselier, 1976, p. 89, didascalia alle figg. 39, 90.

22 Boisselier, 1976, p. 66, scrive: “Not that it is surprising to find the Previous Lives of the Buddha transposed into the artist’s own period, for this was common practice, but certain foreign types and costumes seem to have assumed a real iconographical significance. They therefore continued to appear in paintings for very long periods after they had ceased to be fashionable”. Nel 1821 John Crawford, emissario britannico persso la corte del Siam, riferendosi alle pitture del Wat Phra Chetupuhon, notava

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Per tornare agli armati di Māra nell’assalto al Buddha, perché, in questa iconografia, molti di essi sono “occidentali”? Faremo nostro quanto scritto da Boisselier: 23 se, all’epoca, il gusto per l’esotismo si accompagna spesso all’umorismo e al senso caricaturale, a partire dal periodo Ratanakosin si sviluppa un vocabolario di supporto alla meditazione. Le pitture ispirate dalla religione più spesso erano opera dei religiosi stessi ed è naturale che riflettessero i frutti delle loro meditazioni:

“Thus a whole series of compositions of an astonishing surrealist character emerged. Inspirations was sometimes drawn from a remote past that was now revived, especially from the reign of Rāma III onwards, by the will to regenerate the monasteries and to extent the study of the texts”.24

Fra gli aggressori del Buddha sono gli stranieri: si vuole qui alludere ai sentimenti anti-francesi e contro gli stranieri in genere creatisi verso la fine del regno di Narai, o comunque intorno al 1688?:25 Essi sono destinati a soccombere, e, anacronisticamente, riflettono lo spirito, il gusto esotico ed estetico dell’epoca e lo spirito religioso.

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come in esse gli Europei fossero rappresentati con indosso i costumi grotteschi della fine del XVII – inizi del XVIII secolo, cfr. Crawford, 1987, p. 109, cit. in Young, 2004, p. 115.

23 Boisselier, 1976, pp. 66-67.

24 These compositions illustrate a whole world of pitiable monsters, for the edification of all. Far exceeding in horror the personages of the almost benign danses macabres of the Medieval Europe, they sometimes recall the visions of Hieronymus Bosch”. Se consideriamo, ad esempio, la visita alle regioni infernali di Nemi (Nemi Jātaka) del Wat Yai Intharam di Chonburi della prima metà del XIX secolo, Boisselier 1976, p. 143, fig. 111, vediamo come, nella scena, i dannati siano rappresentati nelle forme più terrifiche, con i peggiori difetti fisici.

25 Ricordiamo che il potente ministro Phaulkon era greco, la moglie giapponese e che egli viveva in stile

“occidentale”.

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Fig. 1 Sconfitta dell’armata di Māra Wat Tusitaram, Thonburi

Riproduzione fotografica da Snellgrove, 1978, tav. 243

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2071

Fig. 2 Assalto di Māra (particolare) Wat Suvannaram, Thonburi

Riproduzione fotografica da Santi Leksukhum, 2000, tav. a p.70

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Fig. 3 Personaggi “del Grand Siècle” nella scena dell’Assalto di Māra Padiglione di Lacca del Wang Suan Phakkot

Riproduzione fotografica da Boisselier, 1976, p. 40

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Gli “stranieri” in una scena del Māravijaya 2073

Fig. 4 Due Europei

Dipinti della parte lignea del vihān a nord dell’ubosoth del Wat Po, Bangkok Riproduzione fotografica da Boisselier, 1976, fig. 80 a p.106

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D

OMITIANI ADVERSUS

I

UDAEOS

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Giancarlo Rinaldi

1. Il principato dei Flavi costituisce per la storia giudaica un periodo denso di avvenimenti e di svolte determinanti. Non basta citare l’evento di maggior rilievo, in se stesso e per le sue conseguenze: la caduta di Gerusalemme del 70. Il rapporto tra Vespasiano, Tito e Domiziano con il giudaismo segna profondamente la loro politica e costituisce una sorta di filigrana che attraversa i tre principati. Qui c’interesseremo di un aspetto “minore”, e certamente trascurato, della relazione tra l’ultimo dei Flavi ed il giudaismo. Partiamo da una stringata notizia tratta dalle Argonautiche di Valerio Flacco,1 in base alla quale Domiziano avrebbe composto un opera2 d’argomento giudaico:

… versam proles tua pandit Idumen,

nacque potest, Solymo nigrantem pulvere fratrem spargentemque faces et in omni turre furentem.3

Sarebbe interessante conoscere o, per meglio dire nel nostro caso, ipotizzare con un certo grado di probabilità, il contenuto di quest’opera, l’epoca e le motivazioni della sua composizione. La testimonianza è tuttavia stringatissima pertanto conviene rileggerla alla luce di alcuni momenti della biografia domizianea e, principalmente, degli aspetti a noi già noti della sua “politica” in relazione al giudaismo.4

2. T. Flavius Domitianus nacque il 24 ottobre del 51. Orfano di madre, la sua infanzia non fu certamente allegra. Quando il padre, Vespasiano, nel 66 si recò in Giudea per condurre la guerra, Domiziano, quindicenne, rimase a Roma con lo zio Flavio Sabino. Nel 69 riuscì a salvar la vita durante scontri che qui ebbero luogo tra la fazione dei Flavi e quella dei Vitelliani. Egli stesso cantò poi l’evento con una composizione a cui si dà il nome di Bellum Capitolinum.5 La sua nomina a cesare,

1 Per quanto riguarda la bibliografia ed una storia degli studi su questo autore (ed in particolare i problemi testuali e di cronologia posti dal prologo) cfr. Scaffai, 1986; AA. VV., 2002.

2 Sul rapporto tra Domiziano e la letteratura (in quanto scrittore ed in quanto protettore di letterati) cfr.

Bardon, 1968, pp. 308 ss.; Coleman, 1986, pp. 3087-3115.

3 “Tuo figlio diffonde la fama dell’Idumea sgominata (può farlo), di suo fratello che è ancora fosco del fumo di Gerusalemme, che sparge incendio, che infuria alle torri”, 1, 12-14, trad. F. Caviglia.

4 Smallwood, 1956, pp. 1 ss.

5 Mart. 5,5,7 indirizzandosi a Sextus, bibliotecario di Domiziano, allude ad un poema epico sul Bellum Capitolinum del 69 d.C., ma non è chiaro se l’autore sia Sextus o Domiziano stesso: “ad Capitolini caelestia carmina belli grande cothurnati pone Maronis opus”. Questa composizione probabilmente ha costituito la fonte della notizia in Plin., nat. hist. 23 relativa al trono d’oro di Giove Capitolino ed al suo peso; infatti è l’autore stesso che dichiara di attingere da uno scritto di Domiziano. La composizione dell’opera è anteriore alla sua ascesa al trono.

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