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Il medesimo fatto nella giurisprudenza della Corte di giustizia

2. La delimitazione del concetto di medesimo fatto

2.2. Il medesimo fatto nella giurisprudenza della Corte di giustizia

Nell’ordinamento della piccola Europa, l’interprete deve fare i conti con due fonti la cui formulazione appare sensibilmente distinta: l’art. 54 CAAS vieta la ripetizione del processo se la persona è già stata giudicata «per i medesimi fatti»; l’art. 50 CDFUE, invece, si riferisce a «un reato».

Orbene, al netto di tale differenza terminologica, riconducibile più a ragioni contingenti che ad una reale volontà del legislatore europeo di distinguere le due nozioni135, non può dubitarsi che, per l’ordinamento dell’Unione europea, la

132 § 84 Zolotukhin c. Russia.

133 Cfr. Corte di Giustizia, Grande sezione, sentenza del 16 novembre 2010, causa c-261/09, Mantello; Corte di Giustizia, sentenza dell’11 febbraio 2003, cause riunite c-187/01, Gözütok, e c- 385/01, Brügge; Corte di Giustizia, seconda sezione, sentenza del 6 marzo 2006, causa c-436/04, Van Esbroeck.

134 Ex multis, Corte Edu, seconda sezione, Grande Stevens e altri c. Italia, sentenza del 4.3.2014, ric. n. 18640/10, 18467/10, 18663/10, 18668/10 e 19698/10; Corte Edu, quarta sezione, Glantz c. Finlandia, sentenza del 24.5.2014, ric. n. 37394/11.

135 Si osserva, in tal senso, che benché la Carta di Nizza sia entrata in vigore solo con Trattato di Lisbona è, di fatto, pressoché coeva alla Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. Tuttavia, le due fonti hanno, almeno nelle origini, diverse finalità: la prima si prefiggeva di dotare la futura (e fallita) costituzione europea di un catalogo di diritti in certa misura analogo alla Convenzione europea di diritti dell’uomo, tanto che, sovente, le norme sono perfettamente

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nozione da accogliere, al pari di quanto avviene nell’ordinamento della grande Europa, sia quella riconducibile al criterio dell’idem factum.

Del resto, a favore di tale soluzione può essere speso anche un argomento sistemico, posto che, come noto, le disposizioni della Carta impongono di interpretare le norme che riconoscono diritti sovrapponibili a quelli garantiti dalla Convenzione avendo riguardo all’interpretazione fornita dalla Corte Edu136. Non sfuggirà, però, come in realtà il percorso, in questo specifico caso, sia stato inverso: la Corte di giustizia, infatti, giunse ad aderire in maniera definitiva al criterio dell’idem factum diversi anni prima rispetto alla Corte Edu, che, come si è visto, per molti anni non ha espressamente aborrito l’idem legale137. Ciò non toglie che, per il futuro, l’approdo cui si è pervenuti con la sentenza Zolotukhin c. Russia costituirà un valido ausilio ermeneutico.

Inoltre, sino a quando non si raggiungerà quell’armonizzazione delle legislazioni penali nazionali che, con il Trattato di Lisbona, assurge a obiettivo dell’Unione, valutare la medesimezza ricorrendo al criterio della qualificazione giuridica, ovvero dell’interesse tutelato, avrebbe quale unico effetto una significativa compressione del diritto del ne bis in idem, atteso che appare di tutta evidenza che tali catalogazioni sono elementi suscettibili di variare in ragione delle più diverse esigenze interne.

Preziosi spunti interpretativi sono stati offerti dalla Corte di giustizia allorché è stata chiamata a vagliare la violazione del ne bis in idem internazionale in casi di traffico di sostanze stupefacenti con condotte necessariamente protratte in più di uno Stato.

Nel celebre caso Van Esbroeck138, la Corte era stata investita della questione pregiudiziale volta ad acclarare se «l’art. 54 della [CAAS], letto in combinato disposto con l’art. 71 della stessa Convenzione, debba essere interpretato nel senso che fatti punibili costituiti dal possesso ai fini dell’esportazione e dell’importazione

sovrapponibili; la seconda, nasce, quale primo grande strumento di cooperazione giudiziaria, con l’intento di garantire la libera circolazione delle persone, un cui corollario irrinunciabile è costituito dall’esigenza di non dover temere la repressione in uno Stato per un fatto già giudicato in un altro.

136 P.P.PAULESU, Riflessioni in tema di ne bis in idem europeo, in Dir. dir. proc., 2016, p. 644. 137 J.A.E.VERVAELE, Ne bis in idem: verso un principio costituzionale transazionale in UE?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 52.

138 Corte di Giustizia, seconda sezione, sentenza del 6 marzo 2006, causa c-436/04, Van Esbroeck.

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degli stessi stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, e che sono perseguiti rispettivamente come esportazione e importazione in vari Stati che hanno firmato la [CAAS] o che hanno attuato ed applicato l’acquis di Schengen, vadano considerati come “i medesimi fatti” ai sensi del precitato art. 54»139.

I fatti erano in realtà abbastanza semplici: il cittadino belga Van Esbroeck veniva condannato, in Norvegia, per l’importazione di un determinato quantitativo di stupefacenti; scontata la pena e «ricondotto sotto scorta in Belgio», veniva nuovamente perseguito, condannato in primo e secondo grado, per la corrispondente esportazione dello stupefacente, sino a quando la Cassazione belga (Hof van Cassatie) rimetteva gli atti alla Corte di Giustizia.

Orbene, la Corte, dopo aver immediatamente rigettato la tesi sostenuta dal governo ceco, intervenuto per affermare che l’identità dei fatti presupporrebbe l’identità della loro qualificazione giuridica, nonché l’identità degli interessi giuridici tutelati, osserva che il principio del ne bis in idem sancito all’art. 54 CAAS impone agli Stati contraenti di ricorrere a quella fiducia reciproca che costituisce un contenuto imprescindibile per la tenuta del sistema Schengen, di talché occorre accettare le conseguenze derivanti dall’applicazione del diritto straniero che, il più delle volte, si risolve in soluzioni diverse da quelle che deriverebbero dall’applicazione delle norme interne.

Del resto, la finalità dell’art. 54 CAAS è quella di salvaguardare il diritto alla libera circolazione, diritto che subirebbe un sicuro pregiudizio nel momento in cui gli Stati contraenti non rispettassero il giudicato estero.

Pertanto, mancando una seria armonizzazione delle legislazioni penali nazionali, l’accoglimento di un criterio riconducibile alla qualificazione giuridica esporrebbe il destinatario del diritto ad una plurima persecuzione penale.

Deve quindi accogliersi un criterio di «identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro».

139 Questione, in realtà preceduta da altra, in un certo senso propedeutica, volta a comprendere se l’art. 54 CAAS fosse applicabile nei confronti di una persona già giudicata in Norvegia e nuovamente perseguita in Belgio in data antecedente all’entrata in vigore dell’Accordo per la Norvegia.

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Pochi mesi dopo, nella causa Van Straaten140, la Corte allarga ulteriormente la nozione di medesimi fatti, precisando che, in tema di importazione ed esportazione di stupefacenti, «non viene richiesto che siano identici i quantitativi di droga di cui trattasi nei due Stati contraenti interessati né i soggetti che si presume abbiano partecipato alla fattispecie nei due Stati».

Successivamente, nella causa Kretzinger141, il giudice di Lussemburgo, rispondendo alle eccezioni del governo tedesco e di quello spagnolo, che sostenevano che il criterio basato sull’identità dei fatti materiali dovesse «essere applicato in modo da consentire ai giudici nazionali competenti di prendere in considerazione anche l’interesse giuridico tutelato nella valutazione di un insieme di circostanze concrete», stigmatizza in modo perentorio tale assunto e ribadisce che la mancanza di armonizzazione esclude la possibilità di procedere a non pertinenti considerazione sull’interesse giuridico protetto.

Nella causa Kraaijenbrink142, la Corte di giustizia prosegue nell’operazione ermeneutica chiedendosi «se occorra approssimare l’unicità giuridica del fatto all’unicità del disegno criminoso»143. La cittadina olandese Kraaijenbrink veniva condannata, prima, nei Paesi Bassi per ricettazione di proventi da reato alla pena sospesa di mesi sei di reclusione e, poi, in Belgio, ad una pena più grave per operazioni di cambio su importi di danaro frutto del traffico di stupefacenti. Posto che le somme di denaro non erano le stesse e che i periodi contestati non erano perfettamente sovrapponibili, si configura una sorta di inedita continuazione di reati, assimilabile, per certi versi, al nostro art. 81 cpv c.p., su scala, però, sovranazionale. Viene dunque chiesto alla Corte se il giudicato su una porzione del medesimo disegno criminoso precluda un secondo giudizio, in un altro Stato, per la porzione non giudicata. La risposta, tutto sommato, appare abbastanza scontata, ma la Corte si premura di invitare il secondo giudice a tenere conto, nell’irrogazione della pena, della prima sanzione.

140 Corte di Giustizia, prima sezione, sentenza del 2 settembre 2006, causa c-150/05, Van Straaten.

141 Corte di Giustizia, seconda sezione, sentenza del 18 luglio 2007, causa c-288/05, Kretzinger. 142 Corte di Giustizia, seconda sezione, sentenza del 18 luglio 2007, causa c-367/05, Kraaijenbrink.

143 D. DEL VESCOVO, Il principio del ne bis in idem nella giurisprudenza della Corte di giustizia europea, in Dir. pen. proc., 2009, p. 1420.

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Per quanto concerne l’interpretazione dell’art. 50 CDFUE, che, come ricordato, utilizza la più ambigua espressione «un reato», non si registrano difformità di orientamento da parte della Corte di giustizia, posto che un’adesione all’opposto criterio dell’idem legale «sarebbe infatti contraria allo spirito integrazionista che “muove” la Corte e, eccessivamente riducendo la sfera di operatività del principio, pregiudicherebbe oltremodo la libertà di circolazione dei cittadini che invece il ne bis in idem mira a rafforzare»144.

3. Disamina delle pronunce suscettibili di impedire l’instaurazione di