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Il secondo processo e l’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale

2. Il casus belli: la vicenda Eternit

2.2. Il secondo processo e l’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale

471 D.LABIANCA, Ne bis in idem. Una questione “eterna” all’esame della Corte costituzionale, in Arch. pen., 2016, 2, p. 6; E.SCAROINA, Ancora sul caso Eternit: la “giustizia” e il sacrificio dei diritti, in Arch. pen. 2015, p. 879.

472 M.PAOLI, Esposizione ad amianto e disastro ambientale: il paradigma di responsabilità adottato nella sentenza Eternit, in Cass. pen., 2014, p. 1804.

473 I due imputati, in realtà, venivano rinviati a giudizio anche per il reato di cui all’art. 437, comma 2, per aver omesso di predisporre cautele affinché le migliaia di lavoratori, fra le altre cose, non respirassero le fibre di amianto, con l’aggravante che dal fatto derivò un innumerevole quantità di decessi e malattie. Il reato, tuttavia, si prescriveva prima della pronuncia della sentenza di appello. 474 L. MASERA, La sentenza della Cassazione sul caso Eternit. Analisi critica e spunti di riflessione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1567.

475 M. CATENACCI, I reati in materia di ambiente, in A.FIORELLA (a cura di), Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Giappichelli, Torino, 2016, p. 458.

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I pubblici ministeri torinesi, appena ricevute le motivazioni della Corte di cassazione, depositavano la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’imputato prosciolto dal giudice di legittimità, contestando – questa volta – il delitto di omicidio volontario aggravato di 258 persone fra i lavoratori dei quattro stabilimenti della Eternit spa, familiari “contaminati” dalle polveri di amianto e abitanti delle zone limitrofe.

La difesa dell’imputato eccepiva immediatamente la violazione dell’art. 649 c.p.p., chiedendo in principalità una pronuncia ai sensi dell’art. 425 c.p.p. e, in subordine, di investire la Corte di giustizia della questione pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 50 CDFUE.

Il GUP di Torino476, correttamente rigettata la richiesta in via subordinata477, rilevando come la situazione del giudizio a quo non rientrasse nell’ambito di applicazione della Carta di Nizza ai sensi dell’art. 51 CDFUE, riteneva, invece, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale evidenziando il macroscopico contrasto non tanto fra la lettera delle norme di cui agli artt. 649 c.p.p. e 4, Prot. 7, CEDU, quanto piuttosto fra l’interpretazione offertane dai rispettivi giudici478.

Ed invero, come osservato nelle pagine precedenti, non può non essere registrata l’assoluta inconciliabilità fra la lettura giurisprudenziale della Corte di cassazione e quella della Corte europea dei diritti dell’uomo.

La prima, in aperto contrasto con la pressoché unanime dottrina479, ricorre al c.d. idem legale, sicché, per operare la preclusione esige che sia necessaria un’identità non solo nella dimensione storico naturalistica, ma altresì in quella

476Trib. Torino, ufficio GIP, ord. 24 luglio 2015, in penalecontemporaneo.it, 27 novembre 2015, con nota di I.GITTARDI, Eternit “bis in idem”? Sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 4, Prot. 7 CEDU; la sentenza è ancora commentata, ex multis, da D.LABIANCA, Ne bis in idem, cit., p. 1; G.GALANTINI, Il “fatto” nella prospettiva del divieto di secondo giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1205; A.GALLUCCIO, Diritti viventi a confronto: a proposito della questione di legittimità costituzionale nel processo Eternit bis, in penalecontemporaneo.it, 11 gennaio 2016.

477 Veniva sul punto richiamata la decisione della Corte di giustizia del 15 maggio 2015 nella causa c-497/14 Burzio, sollecitata proprio dal Tribunale di Torino, con cui il giudice europeo declinava la propria competenza posto il reato di omesso versamento delle ritenute d’acconto non inerisce l’ambito applicativo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

478 I.GITTARDI, Eternit “bis in idem”?, cit.

479 A.PAGLIARO,voce Fatto (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. XVI, 1967, p. 964; G.LEONE, Trattato di diritto processuale penale, III, Jovene, Napoli, 1961, p. 342; F.CORDERO,Procedura penale, ed. IX, Giuffrè, Milano, 2012, p. 1201; F. CAPRIOLI, D. VICOLI, Procedura penale dell’esecuzione, Giappichelli, Torino, 2011, p. 85;T.RAFARACI,Ne bis in idem, in Enc. dir., Annali III, Milano, 2010, p. 872.

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giuridica, richiedendo la verifica dell’identità della triade condotta, evento e nesso di causalità; ha da sempre ritenuto che il divieto di un secondo giudizio non operasse nel caso di concorso formale di reati480.

La seconda, invece, quantomeno a partire dalla sentenza della Gran Camera nel caso Zolotukhin v. Russia481, ha affermato che la preclusione di cui all’art. 4. Prot. 7, CEDU interviene allorquando il secondo processo abbia ad oggetto fatti che siano identici o sostanzialmente uguali, aderendo, in maniera definitiva e consolidata – posto che l’arresto è stato ribadito a più riprese e, a ben guardare, confermato anche nella controversa sentenza A. and B. v. Norway – al criterio dell’idem factum, inteso quale identità storico naturalistica, prescindendo, dunque, dalla qualificazione giuridica, idem legale. Ciò che conta per la Corte Edu è la condotta: vi è medesimezza del fatto quando le due contestazioni sono ascrivibili alla stessa condotta; rileva «la sostanziale identità dei fatti contestati, avuto riguardo alla inestricabilità nel tempo e nello spazio delle concrete circostanze che

480 Il GUP di Torino, con specifico riferimento al rapporto intercorrente fra il delitto di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e il delitto di omicidio assume che la Cassazione ha «sempre e senza eccezioni» affermato sussistere un concorso formale di reati. «L’assunto muove dalla considerazione che le due previsioni normative considerano distinte situazioni tipiche (la dolosa omissione di misure antinfortunistiche con conseguente disastro, la prima, e la morte non voluta di una o più persone, la seconda), hanno diversa collocazione sistematica all’interno del codice penale perché tutelano beni giuridici differenti (la pubblica incolumità, la prima, e la vita umana, la seconda) e divergono con riferimento all’elemento soggettivo (dolo della condotta quanto al reato previsto dall’art. 437 cp e colpa quanto al reato di omicidio) (Cass. 10048/1993) ovvero, si è detto, presentano differente “schema legale tipico” e diverso “contenuto costitutivo” (Cass. 1648/1983). E poiché il danno alla persona costituisce effetto soltanto eventuale e non essenziale dell’omissione delle cautele di cui all’art. 437 c.p., mentre nel reato di omicidio colposo è elemento essenziale, la morte, sia pure derivante dalla medesima omissione, non può ritenersi assorbita nel reato di cui all’art. 437 c. 2 c.p. (Cass. 1648/1983; Cass. 10048/1993)». La considerazione, peraltro, non cambierebbe segno qualora applicata ad altri settori dell’ordinamento penale.

481 G.GALANTINI, Il “fatto”, cit., p. 1213, osserva che «Pur non ammettendosi espressamente che il concours idéal possa fruire del ne bis in idem, alla fine il caso portato alla attenzione della Corte sembra rivestirne i caratteri ai fini del divieto, quanto meno per ciò che concerne il primo gruppo di episodi, relativo agli atti perturbatori minori contestati in via amministrativa e costituiti da insulti e ingiurie proferiti dalla stessa persona in danno di persone diverse, ma nello stesso ufficio di polizia, e perseguiti a diverso titolo sul piano penale. Si tratta infatti di una stessa condotta in violazione di due norme, catalogate secondo qualificazioni differenti, commessa negli stessi tempi e luoghi e su soggetti diversi. Il che sembra non influire sugli esiti interpretativi della Corte che riconduce comunque gli episodi alla même conduite, prevalendo il criterio della medesimezza dei fatti che devono essere “in sostanza gli stessi”. Se l’approccio può apparire non eclatante laddove l’identità del fatto è fondata sulla concatenazione delle circostanze sul piano locale e temporale – così da porsi in qualche modo apparentemente in linea con parte della giurisprudenza interna – la innovatività sta nel superare la diversità dell’oggetto e, nel contempo, nell’astrarsi dal vincolo della triade condotta-nesso causale-evento».

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coinvolgono il medesimo imputato, sottoposto a procedimento penale, quando il primo è già concluso con pronuncia irrevocabile».

L’art. 649 c.p.p., pertanto, secondo il giudice torinese, contrasta con l’art. 4, Prot. 7, CEDU nell’interpretazione consolidata offertane dalla Corte Edu, nella parte in cui il diritto vivente limita l’applicazione del ne bis in idem all’esistenza del medesimo fatto giuridico anziché al medesimo fatto storico.

Per contro, l’interpretazione consolidata della norma da parte del giudice di Strasburgo non contrasta con le norme costituzionali, bensì avalla la portata dell’art. 111, comma 2, Cost. in tema di ragionevole durata del processo, posto che un limite alla (ri)contestazione tutela anche «il diritto a non indossare, senza limiti di tempo, la veste di “processato”», nonché funge da garanzia «contro la possibilità che vi sia un “eterno giudicabile”, sottoposto a diversi e successivi processi in relazione a tutte e ciascuna delle diverse prospettive da cui si guardi il medesimo episodio storico».

Per superare il contrasto il GUP ritiene di non poter ricorrere all’interpretazione conforme non perché in contrasto con i principi costituzionali, ma in ragione del fatto che il diritto vivente interpreta la norma in costante difformità sia ai paramenti convenzionali sia (e, verrebbe da dire, conseguentemente) ai parametri costituzionali482, di talché la soluzione ermeneutica non può che ricadere sul rinvio alla Corte costituzionale. Come efficacemente osservato, peraltro, si è trattato di una scelta «non solo sostanzialmente corretta, ma anche dichiaratamente strategica, laddove indica, quale ragione di fondo della richiesta di intervento del Giudice delle Leggi, la precisa volontà di non rimanere un precedente isolato e destinato a soccombere alla giurisprudenza granitica della Corte di Cassazione, ma di imporre, al contrario, una svolta definitiva nell’interpretazione del principio»483.

Orbene, il giudice a quo non palesa nessun dubbio sull’assunto che applicando il “diritto vivente” i fatti sarebbero diversi e, pertanto, non troverebbe applicazione l’art. 649 c.p.p. Per contro, ricorrendo all’idem factum così come interpretato dalla Corte Edu, i fatti sono identici: non solo per una pressoché totale

482 A.GALLUCCIO, Diritti viventi a confronto, cit.; 483 I.GITTARDI, Eternit “bis in idem”?, cit.

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sovrapponibilità di parte dei capi di imputazione dei due processi, ma anche per considerazioni – appunto – fattuali, quali la qualifica personale dell’imputato, il tempus ed il locus commissi delicti, nonché la circostanza che ben 186 persone offese del primo processo risultino fra le 258 vittime dell’omicidio doloso del secondo.

Per tali motivi, viene rimessa alla Consulta la valutazione sulla tenuta costituzionale dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui limita l’applicazione del principio del ne bis in idem all’esistenza del medesimo “fatto giuridico”, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all’esistenza del medesimo “fatto storico” così come delineato dalla Corte Edu, per violazione dell’art. 117, comma, 1 Cost., in relazione all’art. 4 Prot. 7 CEDU.

2.3. La sentenza 200/2016: la nozione europea (per la Consulta) di