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PER UN SUPERAMENTO DELLA GEOMETRIA LEGALE

4. CONTRO IL METODO?

Una, sia pure indiretta, conferma di quanto sopra accennato ci può provenire proprio dal mondo della scienza ed in particolare dalla rifles-sione epistemologica. Quasi quarant’anni fa uscì dai torchi un saggio di filosofia della scienza che fece non poco scalpore se non altro per il titolo del tutto inusuale: Against Method. Outline of an anarchistic Theory of

Knowledge24. Sin dall’indice-sommario, l’autore, Paul Karl Feyerabend, stupisce non poco il suo lettore, che ha modo di leggere, quale compen-dio delle argomentazioni contenute nell’Introduzione del lavoro, come “la scienza è un’impresa essenzialmente anarchica: l’anarchismo teorico è più umanitario e più aperto a incoraggiare il progresso che non le sue alternative fondate sulla legge e sull’ordine”25.

Al fine di stornare l’idea che il nostro si accinga a sviluppare una serie di paradossi, magari sulla scorta di Epimenide o Zenone, è bene indagare con attenzione ciò che Feyerabend ci vuole trasmettere con questa sua affermazione.

Va premesso come il pensiero di Feyerabend si ricolleghi alla speculazio-ne di Kuhn intenta ad indagare la struttura della rivoluziospeculazio-ne scientifi-ca26; il pensatore statunitense evidenzia come il metodo scientifico sia di fatto costituito da un lungo susseguirsi di paradigmi frutto di rotture epi-stemologiche e non, come in apparenza sembra, un lineare procedere at-traverso certezze indiscutibili verso una meta di verità. La stessa idea di Kuhn di paradigma evoca un insieme di credenze, atteggiamenti interio-rizzati, che combinate a leggi scientifiche e prospettive metodologiche segna un itinerario più legato alla riproposizione della tradizione, che alla effettiva ricerca della verità. È il paradigma a definire il modello di razionalità scientifica accreditato, ma la scelta del paradigma non è affat-to razionale, in quanaffat-to, per Kuhn dipendente anche da ragioni di natura ideologica, religiosa, fin’anco metafisica. Sicché il modello dominante di razionalità scientifica non è in alcun modo il frutto di una scelta di na-tura razionale; in quanto ir-razionale espunge come irrilevante tutto ciò che non rientra nel suo campo d’azione. Ciò premesso, va sgomberato il campo da possibili equivoci sull’anarchismo di Feyerabend. Egli stesso esplicitamente afferma di non ispirarsi in alcun modo all’anarchismo filosofico o politico, così come questi si sono venuti costituendo dalla seconda metà dell’Ottocento; in proposito richiama Kropotkin27 quale

24 Trad. it. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Mila-no, 1979 con Prefazione di G. Giorello.

25 Così a p. V della trad. it. citata.

26 Cfr. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, trad. it. a cura di A. Carugo, Torino, 1979 (ma Chicago, 1962).

27 P. Kropotkin, pensatore anarchico a cavaliere fra Otto e Novecento, noto (anche) per i suoi lavori in campo scientifico.

esempio di asservimento al metodo scientifico28. Più che un vero e pro-prio anarchismo egli propugna un approccio dadaista alla conoscenza, che sfocia, per l’appunto, nel rifiuto della (dea) ragione e (delle leggi) della logica, il tutto a favore di un approccio (anche alla conoscenza) vol-to a schernire demistificando la realtà. Scriveva nel 1918 Tristan Tzara, uno dei fondatori del movimento, “per lanciare un manifesto bisogna volere: A, B, C, scagliare invettive contro 1, 2, 3, eccitarsi e aguzzare le ali per conquistare e diffonder grandi e piccole a, b, c firmare, gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l’accento dell’ovvietà assolu-ta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non plus ultra e sostenere che la novità somiglia alla vita tanto quanto l’ultima apparizione di una cocotte dimostri l’essenza di Dio. Scrivo un manifesto e non voglio niente, ep-pure certe cose le dico, e sono per principio contro i manifesti, come del resto sono contro i principi (misurini per il valore morale di qualunque frase). Scrivo questo manifesto per provare che si possono fare contem-poraneamente azioni contraddittorie, in un unico refrigerante respiro; sono contro l’azione, per la contraddizione continua e anche per l’af-fermazione, non sono né favorevole né contrario e non do spiegazioni perché detesto il buon senso. Dada non significa nulla”29. Feyerabend, provocatoriamente, si pone lungo quest’asse tutta intrisa di volontà de-mistificatoria30, ma, al di là dei toni e dei riferimenti culturali specifi-ci, egli vuole imprimere un forte moto di problematicizzazione a quelli che sono gli assiomi fondanti l’ideale di scienza moderna. Osserviamo pertanto più da vicino quelli che appaiono i fondamenti del suo anar-chismo epistemologico. Sin dalle prime pagine del lavoro egli sottolinea come le regole scientifiche non sono atte a cogliere la complessità nella

28 “Gli anarchici dichiarati si oppongono a ogni sorta di restrizione e chiedono che all’individuo sia consentito di svilupparsi liberamente, senza l’impaccio di leggi, doveri e obblighi. Eppure essi accettano senza protestare tutte le severe norme che scienziati e logici impongono alla ricerca e a ogni tipo di attività che crei conoscenza e che mo-difichi la conoscenza”, Contro il metodo, cit., p. 18. Cfr. anche le più ampie riflessioni proposte a pp. 153-154.

29 Cfr. T. Tzara, Manifesti del dadaismo e lampisterie, trad. it. Torino, 1990. Feyera-bend non cita Tzara, ma si rifà, per definire i contorni del movimento, all’opera del pittore e regista dadaista Hans Richter, Dada, arte e antiarte, trad. it. Milano, 1966; cfr. Contro il metodo, cit., p. 155.

sua totalità31; all’interno d’un contesto informato dalla semplificazione constata come “la scienza non conosce «meri fatti», ma che i «fatti» che entrano nella nostra conoscenza sono già visti in un certo modo e sono perciò essenzialmente ideazioni”32. Feyerabend ci vuole significare come i “meri fatti”, di cui si ammantano le teorie scientifiche, sono in realtà ideazioni costruite (artificialmente) all’interno della teoria scienti-fica, tanto da lasciar supporre che non esistano affatto nella realtà; pur tuttavia la teoria pretende di osservarli oggettivamente. A tale proposito egli rimarca affermando come i fatti, che prescindano dalla teoria che ritiene di osservare la realtà33, per la stessa non sussistano in quanto in essa non ricompresi: “i fatti sono costituiti da ideologie anteriori” alla teoria34.In questa prospettiva, in una teoria la rappresentazione del-la realtà non corrisponde in alcun modo aldel-la misurazione deldel-la stessa, perché la realtà è colta attraverso gli assiomi posti a base della teoria e saranno questi ad offrire concretezza alla realtà osservata. Come l’autore osserva nel § 7, richiamando il Galilei del Dialogo sopra i due massi-mi sistemassi-mi del mondo, nella modernità scientifica l’esperienza cessa di essere il fondamento della conoscenza scientifica. Per l’autore, questo “carattere storico-fisiologico dei dati sperimentali, il fatto che essi non si limitino a descrivere uno stato di cose oggettivo ma esprimano anche opinioni soggettive, mitiche e da molto tempo dimenticate, ci costringe a riproporci il problema della metodologia”35. Infatti, “fatti e teorie sono connessi in modo […] intimo. […] Non soltanto la descrizione di ciascun fatto singolo dipende da qualche teoria […], ma esistono anche fatti che non possono emergere se non con l’aiuto di alternative alla teoria […] e che cessano di essere disponibili non appena tali alternative siano escluse. Ciò suggerisce che l’unità metodologica alla quale dobbiamo riferirci quando discutiamo questioni di verifica e di contenuto

empiri-31 “Un nesso complesso, comprendente sviluppi sorprendenti e imprevisti, richiede procedimenti complessi e presenta difficoltà insuperabili a un’analisi la quale operi sulla base di regole che siano state costituite in anticipo e senza tener conto delle con-dizioni sempre mutevoli della storia”, ibidem, p. 16.

32 Ibidem, p. 17.

33 Cfr. in proposito ibidem, p.33. 34 Ibidem, p. 46.

co è costituita da un intero insieme di teorie, in parte sovrapponentisi, fattualmente adeguate ma reciprocamente contraddittorie”36.

Va, quindi, abbandonata la cosiddetta condizione di coerenza di una teoria, la quale richiede che nuove ipotesi siano in accordo con la teoria accettata; tale presupposizione è del tutto irragionevole perché pervasa di intenti conservativi, volti a confermare la teoria antecedente (preser-vando ciò che di fatto è famigliare nella comunità scientifica); il reale valore delle singole teorie non viene valutato e questo implica una li-mitazione del progresso della ricerca scientifica, che viene vulnerata dalla eliminazione di teorie non perché queste contravvengano i fatti, ma perché risultano in disaccordo con altre (più consuete e consolidate) teorizzazioni. Tale concezione, a detta di Feyerabend, tende a trasforma-re la teoria in una rigida ideologia, e “una tale ideologia ha «successo» non in quanto è in così buon accordo con i fatti, ma in quanto non sono stati determinati fatti in grado di costituire un test valido, e in quanto taluni di tali fatti sono stati addirittura eliminati. Il suo «successo» è interamente artificiale”37. La coerenza di una teoria si trasforma in tal modo in dogma.

In buona sostanza, nella prospettiva scientifica vigente e fortemente cri-ticata dal nostro, “l’appello alla ragione […] non è altro che una manovra politica”38. Per Feyerabend, ed in questo assume un atteggiamento chia-ramente romantico39, nel procedere scientifico è mistificante ritenere che la riflessione teorica (l’idea razionale) preceda l’azione; le due com-ponenti si fondono invece in un processo inscindibile, che è indirizzato dalla passione: “la passione dà origine allo specifico comportamento, che a sua volta crea le circostanze e le idee necessarie per analizzare e spiegare il processo, per renderlo «razionale»”40.

La necessità del superamento del mito della ragione viene esplicitato ancora dall’autore nel § 15 del volume, nel cui sommario viene indicato al lettore come, “poiché la scienza esiste, la ragione non può essere uni-versale e l’irrazionalità non può essere esclusa. Questo carattere della

36 Ibidem, p. 33. 37 Ibidem, p. 37. 38 Ibidem, p. 23.

39 In proposito va rilevato come viene esplicitamente richiamato il pensiero di Kier-kegaard.

scienza richiede un’epistemologia anarchica. La presa di coscienza del fatto che la scienza non è sacrosanta e che la discussione fra scienza e mito è cassata senza essere stata vinta né da una parte né dall’altra raf-forza ulteriormente la causa dell’anarchismo”41. In tale paragrafo l’au-tore insiste sul fatto di come lo sviluppo reale della scienza non prende l’avvio dall’approccio razionale ad un problema, ma da attività che ap-paiono alla ragione irrilevanti; infatti, la scienza è molto più irrazionale di quanto faccia trasparire la sua consolidata immagine metodologica (vedi l’ideale di scienza dominante). In tale contesto, l’attività scienti-fica improntata su un (falso) razionalismo obiettivo giunge a ledere la stessa dignità umana (la questione della libertà); “non è possibile che essa nuoccia all’uomo, che lo trasformi in un meccanismo miserevole, freddo, ipocrita, privo di fascino e di humour?”42.

Gli errori metodologici, quanto l’abbandono del razionalismo scienti-fico, sono, a detta dell’autore, il presupposto per il processo/progresso scientifico: “la ragione non influisce più sulle azioni degli scienziati. (Ma fornisce la terminologia per descrivere i risultati di tali azioni)”43.

5. DALL’ANARCHISMO METODOLOGICO AL RECUPERO

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