INTORNO AD UNA CRITICA AL SILLOGIZZARE GIURIDICO
3. LA RICERCA DEL DIRITTO NELLA “LOGICA DELLE COSE” La speculazione di Calogero si ricollega alla prospettiva
antiformalisti-ca; emerge con chiarezza il ruolo determinativo del giudice rispetto alla posizione del diritto, che, come sopra rilevato, “formula le premesse” ed in particolare ricerca, per tramite di un giudizio, la proposizione de jure alla quale sussumere il fatto concreto. La norma non appare nel pensiero di Calogero predeterminata all’esperienza concreta, anzi essa è il frutto del giudizio sull’esperienza. Giudizio, che lungi dal palesarsi arbitrario, ritrova, anche nell’itinerario di Calogero, la propria logica obiettiva nella realtà del fatto. Per Calogero, infatti, “il giudice è libero sempre, se per libertà s’intende l’esclusione di quella necessità problematica, che è pro-pria del tautologismo sillogizzante, e non è libero mai, se per libertà s’in-tende la mera possibilità arbitraria di decidersi in un senso piuttosto che in un altro. In tutto il suo effettivo processo mentale, dalla cui efficienza dipende il reale valore della sua giurisdizione, il giudice non è infatti né assolutamente necessario, perché in tal caso non avrebbe alcun problema da risolvere e quindi alcuna intelligenza da adoperare, né assolutamente libero, perché in tal caso non gli si presenterebbe, parimenti, nessun problema, non potendo egli, per lo stesso presupposto, incontrare alcun ostacolo. […] L’effettivo procedimento del giudice verso la decisione è invece un concreto processo di ricerca, in cui, momento per momento, egli avverte la maggiore o minore pressione di certi motivi mentali, e la sua situazione indecisa rispetto a certi altri fini al raggiungimento della
31 Ibidem, p. 69. Calogero ritiene, senz’ombra di dubbio, che l’attività del giurista deb-ba ritrovare forme di controllo, ma queste non possono venire ricercate nel procedere analitico del ragionamento deduttivo. Il ragionamento giuridico è soggetto ad altre forme di controllo, le quali ritrovano cittadinanza nel ragionamento retorico, la cui verifica non avviene secondo i dettami della logica analitica, bensì del metodo dialetti-co. Il superamento in Calogero della dimensione deduttiva viene con precisione colto, fra gli altri, da C. Nitsch, «Il giudice e lo storico». L’esperienza del giudizio nel «cattivo
convinzione”32. Questo itinerario, lungi dal venire informato dalla lo-gica necessitante ed astratta del procedere sillogistico, ritrova precise indicazioni e verifiche nella “logica delle cose”33. Stornare la logica del giudice dal procedere meccanicistico del sillogismo per ancorarla al giudizio di sussunzione, implica anche per Calogero porre in primo piano, al di là d’ogni formalismo, la naturalità del diritto, il suo intimo ed insopprimibile rapporto con la concreta realtà della vita quotidiana, connubio che il ricorso ad una logica astratta tende a recidere trasfor-mando il giudice in un impersonale computatore34. All’interno di que-sto quadro appare comprensibile il celeberrimo e sferzante commento dell’autore rivolto ai fautori del sillogismo: “chi non potrebbe fare quel-lo che il giudice dovrebbe fare? Non soquel-lo il più candido dei professori di logica scolastica quale continuava ad insegnarsi anche in Italia prima della riforma Gentile, ma addirittura l’ultimo dei mortali, e magari una scimmia e un cane con cui si riuscisse a intendersi (cioè a parlare, cioè a entrare in un qualsiasi rapporto semantico: e non è forse un perfetto sillogismo quello per cui l’asino, avendo appreso, come verità generale o universale che dir si voglia, che a un certo movimento del braccio del padrone segue il dolore della frustata, affretta il passo appena si profila l’inizio del movimento?) saprebbe dire quale conclusione discende da quelle premesse. Occorrerebbe mantenere tanti organi giurisdizionali, e amministrare la giustizia in nome della suprema autorità dello stato, se la funzione essenziale e centrale della giurisdizione consistesse vera-mente nel trovare quale conclusione sillogistica deriva da due premesse già note, come «i debitori sono tenuti a pagare» e «Tizio è debitore»? Le cause potrebbero decidersi per le strade, e non ci sarebbe bisogno né di magistrati né di avvocati, ma solo di uscieri e di carabinieri”35.
32 La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, cit., p. 99. 33 Ibidem, p. 102.
34 Per Calogero, “come il calcolo libera l’inesperto dai suoi dubbî ponendolo di fronte alla certezza incontrovertibile del due più due uguale a quattro, così l’argomentazione logica fuga le angosce dell’indecisione con l’irresistibile luce della verità. Essa quindi dovrebbe fornire al giudice l’assoluto potere di decidere anche la più penosa contro-versia con la stessa pronta e impassibile sicurezza con cui si verifica una somma o una sottrazione. E invece il giudice è ben lontano dal possedere l’automatica tranquillità di una macchina calcolatrice”, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, cit., pp. 52-53.
Lungi, pertanto, dal rappresentarsi quale somaro dotato di logica, “il giudice è un interprete di anime: deve penetrare quel che han veramen-te voluto l’autore del fatto e l’autore della legge”36. In questo sforzo il giudice è posto sullo stesso piano dello storiografo; egli indaga la volontà del legislatore, “dall’accertamento della lettera, all’accertamento dello spirito della legge: dalla ricostruzione del fatto che un certo complesso semantico-parenetico sia stato assunto in proprio dall’autorità pubblica a quella di ciò che enunciando quelle parole si sia effettivamente volu-to, ossia di ciò che con esse si sia propriamente voluto raccomandare. È appunto in quest’ultimo accertamento che si verifica, com’è chiaro, quell’interpretazione della ratio legis, cioè del presumibile intento (e non già dell’astratta «ragione» logica) della norma, in cui più propria-mente consiste il giudizio di diritto, in quanto risposta alla domanda se il tipo d’azione accertato in linea di fatto possa considerarsi compreso in quello previsto dalla norma”37. Nell’affrontare il testo legislativo l’inter-prete deve uscire alla “astratta ragione logica” della norma per coglier-ne a pieno la portata; “non si tratta soltanto di rivivere storicamente che cosa il legislatore volle che fosse voluto, cioè quali concrete azioni prospettò con gli occhi della mente riassumendone il tipo nelle parole della norma: ma anche d’immaginare che cosa coerentemente avrebbe potuto volere che fosse voluto, cioè quali altre concrete azioni avrebbe verosimilmente ritenute comprese nello stesso generale tipo di compor-tamento designato da quello schema semantico, qualora esse avessero avuto la possibilità d’appartenere al suo mondo mentale”38.
36 Ibidem, p. 140. 37 Ibidem, p. 141.
38 Ibidem. Per Calogero all’interprete “non soccorrono gli schemi verbali della logica, ma una profonda attitudine a penetrare e ricostruire le cose umane e a provvedervi con saggezza, in cui si assomma l’intera intelligenza e l’intero ethos del giudice”,
SOMMARIO
§1. Alcune perplessità sull’utilizzo della logica deduttiva in ambito giuri-sprudenziale; §2. Una via altra: la disputa; §3. Esperienza giuridica e di-mostrazione dialettica; §4. Contro il metodo?; §5. Dall’anarchismo me-todologico al recupero della disputatio; §6. La disputatio quale metodo per la ricerca scientifica; §7. Sulla congruità o meno fra giurisprudenza e scienza moderna; §8. Su una sentenza della Cassazione in merito all’u-tilizzo giurisprudenziale del sapere scientifico; §9. Ulteriori perplessità intorno alla geometrizzazione della giurisprudenza; §10. Nihil demo-strando, omnia disputando.
1. ALCUNE PERPLESSITÀ SULL’UTILIZZO DELLA LOGICA