LA RAPPRESENTAZIONE DELLA CERTEZZA DEL DIRITTO IN TERMINI GEOMETRICI
5. VERSO UNA SOLUZIONE GIURIDICA PREVENTIVA DEL CASO CONCRETO
La promulgazione del Code civil des Français, iniziata nel marzo del 1803, si compie, come noto, nello stesso mese dell’anno successivo. La primavera del 1804 vede materializzarsi, per lo meno in terra di Fran-cia, le aspirazioni illuministiche ad un diritto certo, predefinito a da applicarsi senza dubbi ai casi concreti al fine di giungere ad una solu-zione giuridica degli stessi non dovendo ricorrere, come in passato, al concorso di una miriade di fonti, l’origine di alcune delle quali risaliva sino alla romanità classica, nel tempo sedimentatesi anche in grazia ad una plurisecolare attività interpretativa, che non costituivano un tutto, seppur caotico, unitario; infatti, a causa del particolarismo giuridico22, frutto della divisione in ceti della società, la medesima azione ritrovava regolamentazione, sia per ciò che riguarda l’individuazione della regola di riferimento, che per ciò che concerne il foro competente, in differen-te giurisdizione. Il Code segna, pertanto, per ciò che ci riguarda, una netta cesura vuoi con la parcellizzazione del diritto, di volta in volta da ricomporsi da parte dei giureconsulti, vuoi con il particolarismo
giuri-21 Così Beccaria descrive quello che a suo dire è il miserevole stato dell’ordinamento giuridico a lui contemporaneo: “alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquista-tore fatte compilare da un principe che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, frammischiate poscia co’ riti longobardi, ed involte in farraginosi volumi di privati ed oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni che da una gran parte dell’Eu-ropa ha tuttavia il nome di leggi; ed è cosa funesta quanto comune al dì d’oggi che una opinione di Carpzovio, un uso antico accennato da Claro, un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farincaccio sieno le leggi a cui con sicurezza obbediscono coloro che tremando dovrebbero reggere le vite e le fortune degli uomini. Queste leggi […] sono uno scolo de’ secoli più barbari”, Dei delitti e delle pene, cit., p. 3.
22 Si può ravvisare in questo mondo una “mancanza di unitarietà e di coerenza dell’insieme delle leggi vigenti in una data sfera spaziotemporale, individuata in segui-to ad un giudizio di valore secondo il quale in quella sfera ci dovrebbe essere, o ci si aspetterebbe ci fosse, unità e coerenza di leggi”, così G. Tarello, La ideologia della
dico, che implicava differenti regole e differenti fori per medesime fatti-specie concrete23. Si può ben affermare che la codificazione napoleonica abbia come scopo la riduzione della complessità che sino ad allora aveva contrassegnato l’universo giuridico europeo, fissando a chiare lettere, all’interno di una unica raccolta, quali siano da considerarsi le regole giuridicamente valide in terra di Francia, ovvero soltanto quelle che il Codice in oggetto conteneva. Fuori dal Codice non vi è diritto, perché tutto il diritto valido è contenuto soltanto nel Codice. Si assiste, in buo-na sostanza, ad ubuo-na massiccia opera di semplificazione dell’esperienza giuridica, nel momento in cui la stessa si riduce alla ricerca, esclusi-vamente all’interno del Codice, della prefissata regola atta a risolvere una controversia. Questa regola è contenuta, per l’appunto, nella legge. Sicché, all’interno di questa prospettiva, non vi è diritto al di fuori del-la legge; infatti, il Codice è del-la legge, del-la quale è assunta quale unico ed originario momento creativo del diritto.
Riscontriamo, pertanto, l’affermarsi di una equazione che ha influenza-to pesantemente la riflessione giuridica degli ultimi due secoli: il diritinfluenza-to eguale alla legge, dato che non vi è diritto al di fuori dalla legge.
Questa assunzione, che cancella una tradizione giuridica millenaria, ha come prima conseguenza la possibilità di semplificare l’operare del giu-rista, il quale si trova di fronte ad una regola ritenuta inequivocabile da applicare in modo automatico al caso di specie.
Che l’applicazione debba ritenersi automatica lo si evince facilmente dallo stesso assunto di base di questa prospettiva, ovvero, nel momento in cui non vi è diritto al di fuori della legge ed il giurista chiamato a risolvere giuridicamente un caso della vita quotidiana non ha alcuna po-testà legislativa, perché questa è appannaggio di altri organi dello stato, allora è evidente che il giurista non possa che applicare la regola da altri prodotta. Solo in questo modo egli renderà giustizia, perché la giustizia è data dall’applicazione automatica della regola.
Ogni intervento dell’operatore giuridico sulla regola risulterà essere una improvvida alterazione della stessa, ovvero una manomissione del dirit-to, preludio quindi per un’ingiustizia. Il linguaggio del magistrato sia il linguaggio delle leggi, che egli parli allorché esse parlino, ammoniva il Filangeri al fine di fondare un governo moderato; il magistrato è subor-dinato alla legge in quanto vige una rigida separazione dei poteri
fonda-23 Cfr. in tema G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. Vol. I: Assolutismo e
ta su una altrettanto rigida specializzazione delle funzioni degli stessi, ai sensi della quale il potere cosiddetto giudiziario non può partecipare alla funzione legislativa24. Va però compiuta un’osservazione; come ben noto il Code si caratterizza, fra l’altro, per il contenuto dell’articolo 4, il quale appare gravido di conseguenze in merito alla effettività concreta della separazione delle funzioni dei poteri a cui sopra si faceva cenno. Ai sensi del predetto articolo, “le juge qui refusera de juger, sous pré-texte du silence, de l’obscurité au l’insuffisance de la loi, pourra être poursuivi comme coupable de déni de justice”, pertanto, all’interno di una prospettiva caratterizzata dall’ipotesi della non esistenza di alcuna forma giuridica regolamentativa al di fuori della legge, ovvero a questa riconducibile, si ingiunge al magistrato che si ritrova nelle condizioni di dover giudicare una causa non esplicitamente regolamentata all’interno del Codice, di ritrovare, egli stesso, la regola giuridica atta a giudicare il caso di specie. Questa ricerca non potrà che avvalersi della lettera della legge, ma non potrà limitarsi al suo riconoscimento, dovendo l’autorità giudicante in ogni caso scrivere, essa stessa, la norma del caso; nel far ciò egli procederà con metodo analogico25, riconducendo fra loro casi si-mili e sottoponendo i casi privi di regola esplicita alla regolamentazione
24 Tale affermazione ritroverebbe legittimazione in una certa lettura del Montesquieu
De l’esprit des lois, secondo il quale “i giudici […] sono solo […] la bocca che pronuncia
le parole della legge; esseri inanimati che non possono moderarne né la forza né il ri-gore” (cfr. la trad. it. curata da Sergio Cotta, Torino, 2005. In argomento vedi anche F. Gentile, L’esprit classique nel pensiero del Montesquieu, Padova, 1965). Come eviden-zia Mauro Barberis, tale prospettiva di lettura non è l’unica possibile (e nemmeno la più auspicabile) cfr. Separazione dei poteri e teoria giusrealista dell’interpretazione, in P. Comanducci-R. Guastini, Analisi e diritto 2004, Tornio, 2005. Pur tuttavia è in que-sto conteque-sto che possiamo a pieno apprezzare la constatazione del Fédéric Mourlon, sorta in seno alla École de l’exégèse, per il quale ““lorsque la loi est claire, formelle, le juge doit la suivre, alors même que son application parait peu raisonnable et contraire à l’équité naturelle: Dura lex sed lex ! Un bon magistrat humilie sa raison devant celle de la loi ; car il est institué pour juger selon elle, et non pas pour la juger. Rien n’est au-dessus de la loi, et c’est prévariquer qu’en éluder des dispositions, saur prétexte que l’équité naturelle y résiste. En jurisprudence, il n’y a pas, il ne peut pas y avoir de raison plus raisonnable, d’équité plus équitable que la raison au que l’équité de la loi“, Répétitions écrites sur le premier examen du Code Napoléon. Tome premier, Paris, 1866, pp. 58-59 (ma 1852 – cfr. la trad. it. Palermo, 1859-1863). Vedi in proposito N. Bobbio, Il positivismo giuridico, cit., pp.86-100. In tema cfr. anche G. Zagrebelsky, Il
diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992, pp. 64-67.
25 Cfr. per tutti N. Bobbio, L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1938 e L. Caia-ni, sub voce Analogia in Enciclopedia del diritto.
prevista per casi espressamente normati. È ben vero che il magistrato si muove all’interno della cornice legislativa, ma è altrettanto vero che in questi casi egli, per riprendere l’espressione di Filangeri, parla allorché le leggi non parlano e, divenendo di fatto il legislatore del caso particola-re, scalfisce la rigida separazione dei poteri basata sulla specializzazioni delle funzioni.
Va ancora rilevato come, se la previsione contenuta nell’articolo 4 del Code incrina, sia pur di poco, il monopolio produttivo del legislatore, fa sì che ogni caso concreto, anche se non espressamene previsto, possa ritrovare regolamentazione per tramite dell’uso del Codice, tanto da po-ter affermare la completezza di un sistema giuridico su questo fondato, in quanto nulla appare lasciato privo di regolamentazione. Tale idea, la completezza di un siffatto sistema giuridico, diverrà uno dei perni della moderna rappresentazione dei fatti giuridici.
6. OBIETTIVITÀ E PREVEDIBILITÀ GEOMETRICA: