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DELLA GEOMETRIA LEGALE

8. SUL CALCOLO GIURIDICO

All’interno di questa prospettiva, appare indubbio come il culto-re della giurisprudenza, termine che qui va inteso quale sinonimo di scienza giuridica61, deve attrezzarsi adeguatamente al fine di poter svol-gere in modo appropriato il suo compito ordinatore del contesto sociale ove opera. Necessita pertanto di disposizioni giuridiche dotate di senso univoco, che siano tra loro coerenti e che permettano, altresì di rego-lamentare ogni caso presentato dalla concreta vita sociale62. Tali rego-le, disposte dall’autorità competente, e non derivate dall’osservazione scientifica dei fenomeni sociali, da qui la fondamentale differenza fra le leggi giuridiche e le cosiddette leggi di natura, vanno in ogni caso applicate alla stessa stregua delle regole fisico-matematiche. L’esigenza che le stesse siano redatte in un linguaggio inequivocabile, è prope-deutica alla loro applicazione letterale, ovvero meccanicistica. Al pari delle basilari regole dell’aritmetica, che permettono di operare sulla realtà con calcoli, la cui correttezza è soggetta a controllo, anche le regole giuridiche necessitano di ritrovare nell’algoritmo63 il loro ideale

61 Per una declinazione del termine giurisprudenza cfr. le riflessioni di G. Gorla, sub voce Giurisprudenza, in Enciclopedia del diritto.

62 La coerenza e la completezza dell’ordinamento giuridico rappresentano due tra gli assiomi fondamentali di tale prospettiva giuridica, che nell’arco del tempo andrà speci-ficandosi quale positivismo giuridico. Cfr. in argomento lo studio di Norberto Bobbio,

Il positivismo giuridico. Lezioni di filosofia del diritto raccolte dal Dott. Nello Morra,

Torino, 1961, pp. 231 e segg.

63 L’algoritmo, semplificando, può venire recepito come una procedura di risoluzione di problemi; è un “insieme, ordinato in sequenza, di tutte le regole inequivocabili, analitiche, generali, astratte, formulate ex ante (cioè prima che si presentino concrete questioni da risolvere e senza riferimento specifico ad esse), la cui scrupolosa e lette-rale applicazione, da parte di chiunque, lo pone infallibilmente in grado di conseguire il risultato giusto”, così Borruso – C. Tiberi, Informatica per il giurista. Dal bit a

In-ternet, Milano, 2001 p. 249. Più in generale cfr. A. Mazurkiewicz, sub voce Algoritmo,

in Enciclopedia Einaudi. L’algoritmo è, quindi, una procedura logica di risoluzione di problemi e va ascritto fra la logica deduttiva; offre pertanto, se correttamente svilup-pato, dei risultati validi (confermabili attraverso procedure di controllo). L’algoritmo racchiude in sé l’idea di certezza, è una procedura che si utilizza per finalità di cer-tezza. In quanto ragionamento deduttivo, la sua validità è determinata dalla forma logica e non dal contenuto delle asserzioni che include; la validità dipende, infatti, dalle relazioni riscontrabili fra premessa e conclusione. Quindi, “la forma può essere studiata indipendentemente dalla particolare disciplina ed è principalmente grazie alla forma, piuttosto che allo specifico campo di studi, che le argomentazioni sono valide

di perfezione. Data la natura del linguaggio utilizzabile nella redazio-ne di testi giuridici, che non può essere un linguaggio formalizzato come quello utilizzato dalle scienze fisico-matematiche, ma tutt’al più un linguaggio settoriale specificantesi dal linguaggio ordinario64, uno dei problemi a cui i geometri legali prestano più attenzione è infatti offerto dalla necessità di circoscrivere la portata semantica dei termi-ni usati attraverso l’uso di defitermi-niziotermi-ni (che defitermi-niremo stipulative65) da premettere al discorso. La finalità è presto detta: un testo che elimini, sin dove sia possibile, ogni ambiguità e vaghezza non potrà né venire ragionevolmente equivocato, né, tanto meno, manipolato dal soggetto che deve intenderlo ed applicarlo.

Le due questioni qui accennate hanno natura diversa pur convergendo verso un unico risultato che è offerto dalla certezza del diritto. Infatti, se il non intendere il testo, a seguito di difetti redazionali, porta il destinatario del messaggio giuridico a dar vita ad operazioni né pre-vedute né volute dall’estensore dello stesso, impedendo in questo modo il possibile raggiun-gimento dell’ordine prefissato, poiché non è possibile la previsione sull’e-voluzione dei fenomeni sociali in mancanza di leggi inequivoche, per altro verso un testo difettoso da un punto di vista semantico e sintattico offre il destro per interpretazioni personali, proprie al soggetto percipiente e, in quanto soggettive, riferibili soltanto a questo, le quali portano a inficiare lo stesso principio di autorità su cui l’intera costruzione si fonda.

Infatti, qualora sia il soggetto percipiente ad attribuire, anche in grazie ai cosiddetti difetti del linguaggio66, significato alle proposizioni

compo-e non validcompo-e. Pcompo-er cui è la forma dcompo-ella argomcompo-entazioncompo-e, piuttosto chcompo-e il contcompo-enuto dcompo-ella argomentazione stessa, che i logici studiano”, così E. J. Lemmon, Elementi di logica

con gli esercizi risolti, trad. it. Roma-Bari, 1986 (ma 1965) cit., p. 5.

La certezza producibile con il procedimento logico-deduttivo, che è il metodo che presiede allo sviluppo del sillogismo perfetto, a cui si riferisce Beccaria, è, pertanto, certezza formale, staccata dalla realtà fattuale.

64 Cfr. la voce di A. Belvedere, Linguaggio giuridico, in Digesto delle Discipline

Priva-tistiche. Sezione Civile.

65 Secondo R. Pagano, “è stipulativa una definizione che stabilisce il significato di un termine prescindendo dagli usi linguistici preesistenti. La definizione stipulativa […] è in sostanza una direttiva linguistica, un invito o, secondo i casi un comando ad usare, interpretare ed applicare un certo termine nel significato esplicitato con la definizione stessa”, così nella Introduzione alla raccolta Normative europee sulla tecnica

legislati-va, Roma, 1988, p. 105.

nenti il messaggio, tale soggetto esautorerà in tutto od in parte la prima-zia dell’autorità definita dallo stesso sistema come competente a porre regole. Per far sì che le regole poste dall’autorità competente vengano eseguite meccanicisticamente, la stessa autorità deve farsi carico, pari-menti agli altri scienziati, di definire con rigore il linguaggio da usarsi per comunicare con il destinatario, in modo da togliere a questi ogni iniziativa soggettiva in fase interpretativa. Possiamo in proposito seguire ancora l’argomentare di Hobbes, per il quale, “dal fatto che la legge è un comando, e che un comando consiste in una dichiarazione di mani-festazione della volontà di colui che comanda – mediante voce, scrittura o qualche altro sicuro segno della medesima volontà – si può compren-dere che il comando dello Stato è legge solamente per coloro che hanno i mezzi per prenderne cognizione”67. Infatti, “appartiene all’essenza di tutte le […] leggi l’esser portate a conoscenza di ognuno che sarà obbli-gato a obbedire a esse, rendendole note attraverso la parola o la scrittura o qualche altro atto che si sappia che derivi dall’autorità sovrana. […] Né basta che la legge sia scritta e resa pubblica; occorre anche che ci siano chiari segni che essa deriva dalla volontà del sovrano”68. Orbene, come sopra rilevato, il filosofo inglese ritiene che una regola giuridica per essere tale, ovvero operativa, debba, per un verso, provenire da una fonte autorizzata, che egli indica nel sovrano, per altro soddisfare due condizioni: la prima è che tale dichiarazione di manifestazione di volon-tà debba istituirsi un “sicuro segno”, la seconda è che venga “portata a conoscenza” del destinatario. Ma tutto ciò non appare per Hobbes ancora bastante per rendere operativa la legge.

Egli scrive, “noto il legislatore e rese sufficientemente conoscibile le leggi – vuoi attraverso la scrittura vuoi per lume naturale – manca an-cora un’altra condizione molto importante per renderle obbliganti. In-fatti non è nella lettera, ma nell’interpretazione e nel senso, vale a dire nell’autentica interpretazione della legge (ossia nel significato inteso dal legislatore) che consiste la natura della legge”. Il testo pare inequivoca-bile nel momento in cui considera come l’attività interpretativa viene Justice, trad. it. a cura di G. Gavazzi, Torino 1965 (ma 1958), pp. 106 e segg. Tali

in-dicazioni vengono riprese, fra gli altri, da C. Nino, Introduzione all’analisi del diritto, trad. it. a cura di M. Barberis, P. Chiassoni, V. Ottonelli e S. Pozzolo, Torino 1996 (ma 1980), pp. 230 e segg.

67 Leviathan, II, XXVI (pp. 223-224 della trad. it. cit.). 68 Ibidem (p. 225 della trad. it. cit.).

legata alla capacità di intendere la volontà sovrana, di comprendere il suo comando. Infatti, allo stesso non può legittimamente venire attribu-ito altro significato che quello inteso dal legislatore; in questo contesto il soggetto percipiente risulta passivo, dato che egli in nessun modo parte-cipa alla definizione del messaggio, soltanto alla decifrazione di un testo che ha in sé già un concluso significato, offertogli, per l’appunto dalla volontà sovrana69. Hobbes rileva, “pertanto l’interpretazione di tutte le leggi dipende all’autorità sovrana, e interpreti possono essere soltanto coloro che sono incaricati dal sovrano (unicamente al quale il suddito deve obbedienza). Altrimenti, basta un interprete astuto per fare assu-mere alla legge un significato opposto a quello datole dal sovrano; col che l’interprete diventa legislatore”70. Va rilevato che se la tensione è tutta rivolta a far sì che la regola legittimamente posta venga applicata dal destinatario in modo meccanicistico, alla stessa stregua delle leggi fisico-matematiche, che, redatte con linguaggi formalizzati, contengono uno ed un unico significato, che, conosciuti i valori dei simboli, non può venire equivocato, pur tuttavia si riconosce come il linguaggio usato dal estensore della regola giuridica non sia in siffatto modo qualificabile. Infatti, la regola giuridica da applicare è redatta con un linguaggio ordi-nario, che, per quanto purificato, presenta pur sempre problemi di na-tura semantica e sintattica, tali da rendere impossibile una sua univoca percezione conoscitiva e con questa una meccanica applicazione della regola. Questa questione, in vero insolubile, ritrova però aggiramento nel momento in cui si concentra l’attenzione esclusivamente sulla vo-lontà dell’autorità competente a porre regole giuridiche, relegando il de-stinatario, chiamato a dargli attuazione, in un ruolo totalmente passivo. In questo senso, al di là d’ogni considerazione intorno al rapporto fra significante e significato, in vero ben presente nella speculazione hob-bessiana, il significato corretto altro non è che ciò che l’autorità che ha

69 Scrive Hobbes in proposito: “per le leggi scritte, si è soliti far differenza fra la lette-ra e lo spirito della legge. Quando per lettelette-ra si intende tutto ciò che si può desumere dalle pure parole, la distinzione è ben fatta. Infatti tutte le parole – già in se stesse o nel loro uso metaforico – hanno significati ambigui che possono essere chiamati in causa per dar luogo a molti sensi, quando non c’è che un solo senso della legge. Per conto, se per lettera si intende il senso letterale, allora la lettera e lo spirito – o inten-to – della legge sono un tutt’uno, giacché il significainten-to letterale è proprio quello che il legislatore intendeva dovesse essere il significato della lettere della legge”, ibidem (p. 231 della trad. it. cit.).

posto il messaggio vuole sia71. Attraverso questo artificio viene superata, all’interno della teoria geometrica del diritto, l’ostacolo, altrimenti in-sormontabile, posto dall’uso del linguaggio ordinario, di per sé sempre vago e ambiguo72. Si assume, in via ipotetica, che il significato corretto della legge sia quello voluto dal sovrano, il quale, in quanto unico, non può che volere un significato univoco. I sudditi, in quanto destinata-ri passivi della legge, debbono attenersi pedissequamente al significato voluto dal sovrano. L’interpretazione corretta (e, pertanto, autentica) è sempre e soltanto l’interpretazione posta in essere dall’autorità com-petente73, non esistono altre forme di interpretazione giuridicamente corrette74. Sgombrato il campo da tale questione, che poteva apparire esiziale ad una prospettiva che si pone quale momento di riflessione oggettiva sul diritto, risulta possibile operare con lo stesso allo stesso modo in cui i geometri affrontano la realtà sensibile, in quanto l’oggetto è formato da proposizioni inequivocabili, dotate di un unico ed univoco significato: quindi, attraverso un calcolo da effettuarsi sulle qualità pri-marie dello stesso.

71 In proposito viene osservato come “se le leggi sono fatte dal sovrano, allora la nostra conoscenza di esse in quando criteri del giusto e dell’ingiusto e regola delle azioni non può esser detta scienza, tanto meno a priori. […] Ciò che si nega è che la conoscenza delle leggi cada nell’ambito del sapere scientifico, poiché le leggi non fun-zionano assolutamente alla stregua di definizioni scientifiche: sono soltanto le «regole del gioco». […] Questo tipo di sapere non è scienza, ma semplice conoscenza diretta-mente finalizzata all’obbedienza”, D. Neri, Teoria della scienza e forma della politica

in Thomas Hobbes, cit., p. 99.

72 È lo stesso Hobbes a sottolineare che “quanto alle leggi scritte, se sono brevi, vengono facilmente fraintese a causa dei significati diversi di una o due parole; se son lunghe, sono più oscure per i significati diversi di molte parole. Cosicché nessuna legge scritta, che sia formulata in poche o in molte parole, può essere bene intesa senza una perfetta comprensione delle cause finali per le quali fu fatta; cause finali di cui è il legi-slatore a possedere la conoscenza”, Leviathan, II, XXVI (pp. 227-228 della trad. it. cit.). 73 Sulle implicazioni di tale questione cfr. H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, cit., pp. 386 e segg.

74 Ancora Hobbes rileva come “l’autorità degli scrittori, non sostenuta da quella dello Stato, non rende leggi le loro opinioni, per quanto vere possano essere. Ad esempio, ciò che io ho scritto in questo trattato sulle virtù morali e la loro necessità per rag-giungere e mantenere la pace, benché sia una verità evidente, non per questo è imme-diatamente legge, ma poiché in tutti gli Stati del mondo è parte della legge civile. Per quanto, infatti, sia per natura conforme a ragione, tuttavia è legge in forza del potere sovrano”, Leviathan, II, XXVI (p. 228 della trad. it. cit.).

9. LA LOGICA DEDUTTIVA QUALE SINTASSI

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