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Proposta di analisi shift-share dinamico-cumulativa al caso dell’occupazione delle metroregioni italiane (2000-2014)

2.1. La metodologia shift-share

La metodologia oggi nota sotto il nome di shift-share è stata inizialmente proposta da Dunn (1960) e permette di scomporre la variazione temporale di

una grandezza economica in effetti distinti che forniscono informazioni sulle

performance regionali rispetto alla media nazionale, sull’influenza della compo- sizione settoriale regionale rispetto a quella totale nazionale e sulla competitività regionale. Grazie alla sua semplicità di utilizzo, la metodologia shift-share si è rapidamente diffusa. Con il susseguirsi delle applicazioni, numerosi autori hanno 2. Sono definite dall’OECD a partire dalla presenza di un bacino di gravitazione per motivi di lavoro (SLL) di almeno 50 mila abitanti intorno a un comune-centro con almeno 15 mila abitanti (cfr OECD).

messo in luce alcune criticità presenti nella formulazione originaria, proponendo nuove versioni per risolvere i limiti evidenziati.

Un primo limite viene evidenziato già nel 1960 quando Rosenfeld enuncia il cosiddetto problema dell’inconsistenza secondo il quale il valore dell’effetto competitivo, così come calcolato dall’equazione classica della shift-share, non è solo funzione della crescita locale, ma è anche influenzato dalla composizione settoriale regionale.

Houston (1967) ha mostrato che il valore degli effetti è sensibile al variare della disaggregazione dei settori economici in un modo tale per cui, all’aumen- tare del numero di settori analizzati, il mix industriale conta maggiormente, mentre l’effetto competitivo tende a decrescere di importanza, rendendo ambi- gua l’interpretazione di questi effetti.

Gli studi di Bartels e collaboratori (1982) sostengono la mancanza di una base teorica osservando che la shift-share disaggrega le dinamiche economiche in modo sostanzialmente arbitrario, senza fornire alcuna spiegazione per tale sud- divisione e senza avere alla base una teoria economica utile agli analisti per l’interpretazione dei risultati.

Pochi anni più tardi Barff e Knight (1989) sottolineano la presenza di quello che chiamano compounding effect, che sorge nella scelta di quale valore tempo- rale della variabile analizzata sia meglio utilizzare per normalizzarne la variazione temporale e costruire i tassi di crescita. Poiché il calcolo era effettuato utilizzando i soli dati del primo e dell’ultimo anno dell’intervallo considerato ci potevano essere grandi differenze tra una normalizzazione effettuata usando il valore all’anno base iniziale, quello all’anno finale o una combinazione di entrambi. Le differenze tra questi valori possono rispecchiare variazioni di natura diversa rispetto a quelle tenute in conto nella shift-share come, ad esempio, cambiamenti demografici, modifiche nei cicli economici, aperture di nuovi mercati, ecc.

Patterson (1991) nota che in molte delle formulazioni presentate manca infor- mazione sulla significatività delle componenti calcolate, in quanto le analisi sono frutto di una relazione deterministica e non sono supportate attraverso test statistici.

Le riformulazioni ed estensioni successive hanno portato alla risoluzione di molti dei limiti sopra citati, proponendo estensioni e riformulazioni della meto- dologia iniziale di Dunn e migliorando così la qualità dell’informazione ottenuta dalla sua implementazione.

Tra le proposte più interessanti vi sono le due versioni pubblicate da Este- ban-Marquillas (1972), che puntano a risolvere il problema dell’inconsistenza inserendo all’interno del calcolo dell’effetto competitivo una variabile omote-

tica che permette di separare definitivamente l’interdipendenza tra la struttura

economica e l’effetto competitivo (problema dell’inconsistenza) e aggiunge un ulteriore effetto detto allocativo. Arcelus (due versioni) (1984) comprende

l’importanza dell’intuizione di Esteban-Marquillas ed estende il concetto di variabile omotetica non solamente all’effetto competitivo, ma anche al calcolo degli altri tre effetti. Sihag e McDonough (due versioni) (1989) aggiungono alla formu- lazione canonica della shift-share un terzo livello di confronto, quello sovranazionale, con cui comparare le economie regionali e nazionali.

Berzeg (1978) e Patterson (1991), Möller e Tassinopoulos (2000), Blien e Wolf (2002), invece, propongono versioni stocastiche dell’analisi shift-share tramite l’utilizzo di Ana- lisi delle Varianze (ANOVA) oppure regressione lineare creando così una metodologia in grado di fornire anche la significatività statistica delle variabili calcolate. Barff e Knight (1988) per ovviare al compounding effect presentano un nuovo approccio dinamico della

shift-share che calcola gli effetti su base annuale e che verrà illustrato più avanti. Nazara

e Hewings (2004) propongono una estensione territoriale del modello che definisce una “matrice di influenza territoriale” che determina e quantifica l’influenza che un’econo- mia regionale ha nei confronti di un’altra economia locale.

Il modello adottato dal presente studio si riferisce alla formulazione proposta da Este- ban-Marquillas, versione II (1972). Questa metodologia è stata scelta perché risolve il problema dell’inconsistenza e le obiezioni riguardanti la base teorica e interpretativa degli effetti calcolati e alcune delle altre criticità osservate in letteratura nella formula- zione iniziale di Dunn. Inoltre, è stato utilizzato il concetto di dinamicità introdotto da Barff e Knight per evitare i problemi legati alla scelta temporale del modello, anche se tale metodologia viene qui riformulata per riuscire ad avere una valutazione cumulata degli effetti shift-share relativi ad ogni anno dell’intervallo analizzato.

Se si considera una nazione suddivisa in differente sottoambiti (nel nostro caso le metroregioni), l’idea alla base della decomposizione è di analizzare una grandezza

E, rappresentativa della performance dei diversi comparti economici (ad esempio il

valore aggiunto o l’occupazione, come nel caso della presente analisi), scomponendo

la sua variazione temporale tra i tempi t0 e t0+h in quattro effetti, secondo la seguente

espressione:

[1] dove i indica il settore economico e varia da 1 a S, mentre r individua la regione e assume i valori da 1 a R. In questa formula gli effetti sono definiti dalle seguenti espressioni: NGEirt0 = E* irt0 giNt0 IMEirt0= (E irt0–E*irt0)giNt0 CSEirt0= E* irt0(girt0 – giNt0) [2] AEirt0= (E irt0– E*irt0) (girt0 – giNt0)

in cui il pedice N indica il valore nazionale e dove:

∆Eirt0= E

E*

irt0= (Eirt0)(EiNt0/ENt0) designa l’occupazione omotetica, ossia numero di

occupati che la regione r registrerebbe nel settore i se avesse la stessa composi- zione settoriale nazionale;

giNt0 = (E

iNt0+h –EiNt0)/EiNt0indica iltasso di variazione del settore i a livello

nazionale, nel periodo compreso tra l’anno t0 e l’anno t0+h;

girt0 = (E

irt0+h –Eirt0)/Eirt0 descrive il tasso di variazione del settore i per la

regione r nel periodo compreso tra l’anno t0 e l’anno t0+h.

Si ricorda che la decomposizione deriva da una identità matematica, per cui la somma algebrica dei quattro effetti è, per definizione, sempre uguale alla varia- zione temporale ∆Eir della grandezza considerata, nel nostro caso l’occupazione.

Gli effetti possono essere interpretati nel modo qui di seguito descritto. 1.  NGE (National Growth Effect). L’Effetto di crescita nazionale misura il grado

di similarità della regione alla realtà nazionale, quantificando la crescita che la regione avrebbe registrato se fosse provvista della stessa composizione settoriale nazionale e crescesse ai tassi medi osservati nell’intero stato. Rap- presenta il termine che permette la comparazione della dinamica osservata dalla regione con quella media nazionale.

2.  IME (Industry Mix Effect). L’effetto del mix industriale indica il contributo della composizione settoriale della regione rispetto a quella nazionale. In que- sto modo viene stimato se la regione si sia specializzata in settori che, su scala nazionale, sperimentano una fase di crescita oppure di crisi.

3.  CSE (Competitive Share Effect). L’effetto competitivo misura la differente capacità dei settori regionali nel creare occupazione rispetto a quella dello stesso settore a livello nazionale.

4.  AE (Allocative Effect). L’effetto allocativo indica l’efficienza competitiva dei settori nazionali e cioè se la specializzazione regionale è distribuita mag- giormente nei settori che risultano più o meno efficienti rispetto alla media nazionale nella creazione di nuova occupazione.

La metodologia utilizzata nel presente studio integra inoltre il concetto di dinamicità ideato da Barff e Knight (1988) che, per aumentare la precisione tem- porale della quantificazione dei diversi effetti, suddivide l’intervallo temporale dell’analisi (compreso tra t0 e t0+h) in K sottoperiodi, all’interno dei quali viene eseguito il calcolo degli effetti attraverso le equazioni (1) e (2). La versione della

shift-share dinamica ideata dai due autori e ripresa in molti altri studi (Herath et al., 2013; Zeković et al., 2015; Yuan et al., 2008) prevede, infine, che i risul-

tati ottenuti nei K sottoperiodi vengano sommati – o mediati, come proposto da Otsuka, (2017) – secondo l’equazione:

[3]

∆Eirt0= E

irt0+h –Eirt0 = Ʃk (Eirt0+k+1 –Eirt0+k) =

Ʃk NGEirt0+k + Ʃ

dove k rappresenta i diversi sottoperiodi e assume i seguenti valori: 0,1, 2, …,

h – 1.