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Il finanziamento del regionalismo differenziato: osservazioni sulle bozze di intesa

2. Quale modello?

Secondo le bozze di intesa le risorse per il finanziamento delle competenze aggiuntive (art. 5, identico per tutte tre le Regioni richiedenti):

• sono determinate da un’apposita commissione paritetica Stato-Regione; • sono definite a partire dalla spesa storica dello Stato nel territorio regionale; • una volta quantificate, sono attribuite alla Regione sulla base di comparteci-

pazioni e/o riserva di aliquota su tributi erariali riferiti al territorio regionale; • sono rideterminate entro un anno sulla base di fabbisogni standard stimati per

ciascuna delle competenze attribuite da un Comitato nazionale Stato-Regioni; • nel caso di mancata determinazione dei fabbisogni standard, sono fissate a un livello non inferiore alla media pro-capite nazionale della spesa statale corri- spondente alle funzioni attribuite.

Inoltre, sempre secondo le bozze di intesa, il sistema di finanziamento delle competenze aggiuntive riconosciute alle RAD è soggetto a un duplice vincolo. Da un lato, la sua applicazione non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica nel suo complesso (art. 5, c. 2), condizione fre- quentemente imposta negli interventi in materia di decentramento. Dall’altro, il finanziamento delle competenze aggiuntive non deve determinare incrementi di pressione fiscale sui contribuenti delle Regioni richiedenti attraverso un ina- sprimento dei tributi regionali (vincolo che può dedursi dal fatto che l’art. 5, c. 3 indica, come detto, quali strumenti fiscali per il trasferimento delle risorse le compartecipazioni ai gettiti e le aliquote riservate sulle basi dei tributi erariali riferibili al territorio, cioè strumenti per i quali si prevede una compensazione tra aumento del prelievo regionale e parallela riduzione di quello statale).

Sull’assetto del finanziamento delle competenze aggiuntive così regolato dalla sezione generale delle bozze di intesa, sono opportune due osservazioni prelimi- nari. La prima è che nel regolare le modalità di finanziamento del regionalismo differenziato le bozze di intesa non fanno mai riferimento alla l. 42/2009 sul federalismo fiscale e al d.lgs. 68/2011 sul federalismo regionale di attuazione della legge delega. Questa mancanza di qualsiasi richiamo agli assetti del finan- ziamento ordinario degli enti decentrati, e delle RSO in particolare, stupisce ed è di difficile interpretazione. Potrebbe significare che il modello di finanziamento delle competenze aggiuntive previsto dalle bozze di intesa non debba necessa- riamente conformarsi all’impianto generale di finanziamento delle RSO previsto dalla legge sul federalismo fiscale (e, in particolare come vedremo, alla distin- zione tra modalità di finanziamento delle funzioni regionali connesse ai diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale sulla base di livelli essenziali delle prestazioni – funzioni LEP, come sanità, assistenza e istruzione – e modalità di finanziamento delle altre funzioni regionali). Questa conclusione sembrerebbe tuttavia contrastare con l’art. 116, c. 3 della Costituzione, il quale stabilisce che le forme di autonomia rafforzata devono essere coerenti con i prin- cipi dell’art. 119 della Costituzione. Concretamente ciò potrebbe significare due cose. La prima è che le modalità di finanziamento delle materie aggiuntive si realizzano attraverso gli strumenti previsti dall’art. 119 (e disciplinati più in det- taglio dalla l. 42/2009 e dal d.lgs. 68/2011). La seconda è che gli assetti finanziari del federalismo differenziato non alterino la perequazione interregionale (requi- sito di neutralità perequativa).

La seconda osservazione riguarda il fatto che le bozze di intesa mancano di esplicitare qualsiasi criterio, di solidità delle finanze e capacità amministrativa delle singole Regioni, sulla base dei quali valutare l’ammissibilità delle singole richieste di autonomia rafforzata. La giustificazione della richiesta di nuove competenze da parte delle tre Regioni viene liquidata all’art. 1 c. 3 con una scarna affermazione secondo cui “l’attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia corrisponde a specificità proprie della Regione e immediatamente funzionali alla sua crescita e al suo sviluppo”. La mancata fissazione ex-ante di criteri di accesso al regionalismo differenziato, da verificare sulla base di analisi e valutazioni accurate e scientificamente fondate, potrebbe comportare rischi di peggioramento delle prestazioni fornite, deficit nei bilanci regionali, squilibri territoriali, conflitti di competenze istituzionali, ed inoltre rendere necessario un rafforzamento delle procedure ex-post di riconoscimento dell’eventuale “falli- mento” delle Regioni nella gestione delle materie aggiuntive e di riconduzione di tali materie sotto la responsabilità statale.

L’attuazione del sistema di finanziamento delle competenze aggiuntive desta preoccupazioni per i suoi possibili effetti sia sulla la sostenibilità dei conti

pubblici nazionali, sia sulla garanzia della solidarietà interregionale. Tali rischi, va sottolineato, non riguardano tanto il momento di avvio del regionalismo dif- ferenziato, momento nel quale, secondo quando previsto nelle bozze di intesa, le risorse da trasferire alle RAD saranno, come detto, determinate sulla base della spesa oggi effettivamente sostenuta dallo Stato in ciascun territorio regionale e assegnate alle RAD mediante la fissazione di riserve di aliquota o aliquote di compartecipazioni su tributi erariali territorializzati. In quel momento nulla cam- bia per la sostenibilità della finanza pubblica e per la redistribuzione tra territori regionali.

Le criticità del sistema potrebbero emergere invece successivamente, dopo la determinazione iniziale delle risorse finanziarie, quando fabbisogni di spesa e risorse assegnate potrebbero evolversi nel tempo secondo dinamiche divergenti. Si tratta di aspetti che nelle attuali bozze di intesa mancano di un’adeguata rego- lamentazione (limitata alla previsione di una semplice verifica ogni due anni da parte della commissione paritetica Stato-Regione della congruità delle compar- tecipazioni e delle riserve di aliquota prese a riferimento per la copertura dei fabbisogni standard (art. 5, c. 6)) e che, tuttavia, risultato cruciali per la sosteni- bilità del sistema.

In linea di principio, si possono immaginare due soluzioni antitetiche per regolare la dinamica del sistema di finanziamento delle competenze aggiuntive. 1. La prima, che potremmo definire cooperativa, prevede la revisione periodica

dell’ammontare di risorse nazionali riconosciute per le funzioni devolute alle RAD attraverso la rideterminazione delle aliquote di compartecipazione e/o le riserve di aliquota. Tale rideterminazione sarebbe decisa dallo Stato (o, meglio ancora, da istituzioni di coordinamento della finanza pubblica multi-livello come la mai-nata Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica prevista dall’art. 5 della l. 42/2009) secondo uno schema top-down in relazione alla revisione dei fabbisogni (standard) a seguito di possibili mano- vre di riallocazione settoriale della spesa (si pensi a un aumento dei fondi a favore dell’istruzione a discapito di altri settori) o a interventi di correzione dei conti pubblici (spending review). Si tratterebbe di un’impostazione analoga a quella adottato per il contributo statale al finanziamento della sanità regionale (ex-Fsn), con la peculiarità che per i territori regionali diversi dalle RAD, per i quali la fornitura dei servizi pubblici (ad esempio, istruzione) rimane statale, i fabbisogni standard risulterebbero soltanto “figurativi”: rappresenterebbero cioè un criterio di allocazione della spesa direttamente erogata dallo Stato e non invece l’elemento determinante delle risorse da attribuire alle Regioni. In altri termini, mentre nel caso delle RAD la determinazione delle risorse ver- rebbe esplicitata mediante la loro attribuzione via compartecipazioni/riserve di aliquota, per gli altri territori regionali resterebbe “schermata” dalla fornitura

statale. In questa soluzione cooperativa nulla cambierebbe in via di princi- pio per la sostenibilità della finanza pubblica nazionale e per la perequazione interregionale, l’unico effetto sarebbe la sostituzione del provider Stato con il

provider Regione limitatamente alle competenze di spesa acquisite.

Il vantaggio fondamentale della soluzione cooperativa sarebbe quello di ren- dere le RAD pienamente partecipi dell’evoluzione della finanza pubblica generale, e quindi anche del mantenimento degli equilibri dei conti pubblici, e alla garanzia dei Lep/Lea nazionali. Per contro, lo svantaggio è quello di indebolire l’incentivo delle RAD a gestire efficientemente le competenze acquisite, non riconoscendo loro le eventuali risorse aggiuntive derivanti dall’ampliamento dei gettiti erariali compartecipati per effetto del della gestione autonoma delle funzioni aggiuntive.

2. La soluzione opposta, che potremmo definire autonomista, consiste invece nel cristallizzare (a meno di eventi eccezionali) le aliquote di compartecipa- zione al livello fissato inizialmente, lasciando che le risorse delle RAD nel tempo siano determinate unicamente dalla dinamica dei gettiti erariali rife- ribili al loro territorio. Ne consegue pertanto che se la dinamica del gettito dei tributi compartecipati risultasse superiore nelle RAD rispetto all’anda- mento dei fabbisogni standard nelle funzioni di spesa devolute, tali regioni disporrebbero di maggiori risorse per finanziare la propria spesa rispetto agli altri territori che continuano ad affidarsi alla fornitura statale. Ma potrebbe verificarsi anche il contrario, con conseguente necessità da parte delle RAD di coprire il differenziale mediante sforzo fiscale autonomo a valere sui tributi propri regionali (circostanza resa possibile dallo sblocco della manovrabilità delle aliquote dei tributi decentrati previsto dalla legge di bilancio per il 2019), senza altra garanzia da parte dello Stato.

Vantaggi e svantaggi di questa soluzione sono analoghi a quelli relativi alla prima soluzione ma con, evidentemente, segno opposto: le RAD conserve- rebbero gli incentivi connessi con la possibilità di appropriarsi delle eventuali risorse aggiuntive prodotte per effetto delle politiche da loro assunte; ma, al contempo, tali Regioni non parteciperebbero alle scelte di finanza pubblica nazionale, costituendo una sorta di enclave autonoma per la parte corrispon- dente alle risorse destinate alle competenze aggiuntive.

Alcune disposizioni previste nelle bozze di intesa sembrano propendere per la scelta autonomista. Così sembra leggendo l’art. 5, c. 4, secondo cui “l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della Regione dei tributi compar- tecipati o oggetto di aliquota riservata … è di competenza della Regione”. O ancora l’art. 6 che interviene in tema di finanziamento della spesa per investi- menti. Anche se non è chiaro come questo comparto di spesa così genericamente definito possa essere ricondotto alle specifiche competenze aggiuntive che

dovessero essere riconosciute alle Regioni richiedenti, l’art. 6 prevede che, al fine di garantire certezza alla programmazione degli investimenti regionali, il loro finanziamento sia garantito mediante compartecipazioni al gettito, o ali- quote riservate sui tributi erariali territorializzati le cui aliquote siano fissate mediante un accordo Stato-Regione. Si tratta di una soluzione che irrigidirebbe la decisione nazionale sull’allocazione territoriale della spesa in conto capitale in contrasto con i principi della cosiddetta perequazione infrastrutturale (Costi- tuzione art. 119, c. 5; L. 42/2009, art. 22; D. L.vo 88/2011).

È invece necessario contemperare vantaggi e svantaggi di queste due solu- zioni estreme, prevedendo una formula intermedia che, pur salvaguardando gli incentivi all’efficienza nelle competenze aggiuntive (consentendo di far pro- prie le maggiori risorse che derivassero dalla loro gestione), eviti di isolare le RAD dalle scelte di finanza pubblica nazionale. Una possibilità potrebbe essere quella di recuperare la distinzione tra modalità di finanziamento delle fun- zioni Lep (in questo contesto la materia rilevante sarebbe l’istruzione) e delle altre funzioni regionali. Si potrebbe cioè prevedere di applicare la soluzione

cooperativa, rivedendo le aliquote di compartecipazione quando si attuino

manovre di aumento/riduzione delle spese Lep nelle altre regioni, mentre le risorse attribuire alle RAD per il finanziamento delle funzioni aggiuntive non- Lep (probabilmente di importo minore) continuerebbero a essere determinate secondo le aliquote di compartecipazioni fissate inizialmente. Si recupererebbe in tal modo il collegamento con il doppio binario nelle modalità di finanzia- mento previsto dalla l. 42/2009 e dal d.lgs. 68/2011 in attuazione dell’art. 116, c. 3 della Costituzione.

Va sottolineato come il passaggio, previsto, come sopra ricordato, nelle bozze delle intese, dalla determinazione delle risorse secondo la spesa storia a quella secondo i fabbisogni standard, o secondo la media pro-capite nazionale (in assenza di adozione dei fabbisogni standard), implichi effetti diversi a seconda della soluzione (cooperativa o autonomista) adottata. Con la soluzione coope-

rativa la revisione dell’indicatore di fabbisogno (standard o semplice media

pro-capite) a cui collegare l’attribuzione di risorse riguarda tutte le Regioni. Al contrario, nella soluzione autonomista è come se la revisione dell’indicatore di fabbisogno che guida l’attribuzione delle risorse riguardasse soltanto le RAD. In ogni caso si produrrebbero effetti, sia pure differenti, sulla distribuzione territo- riale delle risorse pubbliche se, come previsto, si garantisse comunque il vincolo di invarianza degli oneri complessivi a livello nazionale.

Certamente, comunque, anche nella soluzione cooperativa potrebbero emer- gere rischi di indebolimento della portata della perequazione interregionale. Due diversi argomenti sono qui rilevanti. Da un lato, è possibile immaginare che i rappresentanti politici delle RAD più ricche che partecipano alle decisioni di

finanza pubblica nazionale siano incentivati a premere per una riduzione dei Lea/ Lep in settori quali, ad esempio, la sanità o l’istruzione, così da alleggerire gli obblighi di solidarietà interregionale che ricadono sulle proprie Regioni. Dall’al- tro lato, se si dimostra la maggiore efficienza delle Regioni ricche nelle materie che hanno ottenuto e se tali Regioni escono dal finanziamento dei servizi nazio- nali (es. istruzione), come chiedere ai contribuenti di quelle regioni di continuare a contribuire alla fornitura statale “inefficiente” negli altri territori attraverso la solidarietà interregionale? Crescerebbe la disaffezione dei cittadini delle RAD verso il sistema di welfare nazionale e si indebolirebbe la loro disponibilità a sostenere contributi a favore di altre Regioni, dei quali emergerebbe sempre più chiaramente la loro mera natura solidaristica.