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Dopo quanto si è visto, dovrebbe risultare scontato che il quadro dell’evoluzione biologica presentatoci dalla documentazione fossile non coincide con quello postula- to dal paradigma evoluzionistico. Che la cosa piaccia o meno, la paleontologia non fornisce l’immagine di un immenso ed intricatissimo albero genealogico, bensì quella di miriadi di “segmenti di esistenza” di differenti lunghezze, più o meno strettamente affiancati in parallelo secondo la direzione verticale del tempo e, proprio in quanto privi di radici comuni o di connessioni deterministiche dirette fra loro, come para- dossalmente e beffardamente… sospesi per aria! Ma in realtà i “segmenti” non sono né staccati né “sospesi per aria”, in quanto – come si è detto in precedenza trattando del problema della distinzione reciproca dei gruppi biologici naturali – propriamente non sono affatto tali, bensì consistono di unità statistiche in transvariazione reciproca e dinamica nel cronòtopo (o continuo spazio-temporale) del systema naturae.

Ma con ciò non si è ancora detto tutto, in quanto il modello degli equilibri pun- tuati sta sempre più rivelandosi come caso particolare di un modello ancora più am- pio, che dieci anni fa Carlton Brett e Gordon Baird (1995)hanno denominato della “stasi coordinata”, ma che in ogni caso era già emerso con evidenza dalle ricerche, iniziate almeno venti anni prima, di Arthur Boucot.

Studiando a fondo la documentazione paleontologica, Boucot (1983,1990) si era reso conto che gli eventi di stabilità e di cambiamento di quest’ultima non sono af- fatto distribuiti a caso nella successione stratigrafica, bensì si presentano organizzati in comunità di organismi costituenti “unità ecologiche evolutive” (EEUs). Ebbene, anche queste EEUs mostrano regolarmente di essere comparse all’improvviso, di es- sersi mantenute sostanzialmente immutate per tratti di tempo geologico più o meno lunghi e, infine, di essersi estinte altrettanto improvvisamente com’erano apparse.

Il concetto di “unità ecologica evolutiva” di Boucot è divenuto ampiamente noto. Molto meno noto, invece, malgrado sia stato messo in chiara evidenza dal medesimo au- tore, è stato il fatto che tali EEUs ad ampia estensione geografico-temporale (dall’inizio dell’eone Fanerozoico ad oggi se ne possono riconoscere almeno nove, per una durata di 10-100 milioni di anni ciascuna: si veda Sheehan 1996) sono costituite a loro volta da subunità formate da consistenti aggruppamenti di taxa in regolare stasi evolutiva.

Se ne deduce che in tutta la storia della vita la stabilità rappresenta la norma, mentre il cambiamento evolutivo rimane raro e, in ogni caso, discontinuo. «Tanto i cambiamenti significativi a livello di popolazione, quanto le grandi ristrutturazioni a livello di co- munità ecologica si sono complessivamente verificati in una proporzione di tempo assai piccola della storia terrestre, forse meno dell’uno per cento del tempo geologico» (Brett et al. 1996, p. 12). D’altra parte, le suddette ristrutturazioni, o transizioni da una EEU alla successiva, non risultano correlate né al grado di stabilità ambientale né alla competizione fra le comunità, essendosi spesso realizzate in una biosfera resa squilibrata e deserta da eventi catastrofici di estinzione in massa, anziché affollata dalle specie in competizione dei tempi ordinari.

E ora la domanda fondamentale e ineludibile. Siccome la distribuzione verticale delle miriadi di “segmenti di esistenza” che descrivono l’evoluzione biologica non si presenta affatto casuale, è davvero passibile dell’accusa di misticismo anti-scientifico il porsi seriamente la questione se tale distribuzione rappresenti l’esecuzione di un “progetto” insito nella natura?

Sulla Terra sono comparsi prima i Procarioti, poi gli Eucarioti; e tra questi ultimi, prima i Protisti, poi i pluricellulari vegetali ed animali. Nel regno vegetale, sono com- parse prima le Alghe, poi le Pteridofite, quindi le Gimnosperme e, infine, le Angio- sperme. Nel regno animale, all’interno del phylum dei Cordati sono comparsi prima gli Agnati, poi i Pesci, poi gli Anfibi, quindi i Rettili, infine i Mammiferi e gli Uccelli e, come ultima tappa, prima Homo neanderthalensis e poi Homo sapiens. È davvero obbligatorio pensare che questa straordinaria successione sia meramente fortuita e “contingente”, anziché riflettere un preciso disegno della natura?

Inoltre: anche senza considerare i piani di organizzazione anatomica dei gruppi viventi per soffermarsi unicamente sulle loro morfologie esterne, come non essere colpiti dal fatto che queste ultime, ben lungi dal variare all’infinito nella maniera più sbrigliata, tendono invece regolarmente a riproporsi nello spazio e nel tempo secon- do uno spettro finito di modelli o schemi strutturali, modelli sia semplici, come lo sferico, lo spirale, il conico o il frattale, che complessi, come quelli rappresentati dai casi cosiddetti di “convergenza” o di “parallelismo”? Questo fatto ha talmente colpito Lima-de-Faria (1988) da indurlo a respingere qualsiasi interpretazione di carattere meramente selezionistico.

E inoltre ancora: come non considerare il complesso ed articolatissimo sistema dei “cicli naturali” (dell’ossigeno, del carbonio, dell’azoto, del fosforo, eccetera) nel quale tutti gli organismi coerentemente si inseriscono contribuendovi in maniera attiva e de- terminante, ed in assenza del quale la vita stessa sarebbe impossibile? Darwin non ne aveva minimamente tenuto conto. Di nuovo: dobbiamo davvero considerare tutto ciò come un intreccio inaudito di coincidenze? O non ci è lecito piuttosto porre, se non altro come ipotesi di lavoro, l’idea di un grandioso disegno strutturale della natura?

Chi scrive è convinto di non tradire i canoni della scientificità proponendo una chiave di lettura olistica – o, se si preferisce, organicistica o sistemica – del divenire dei viventi. In base a questa chiave di lettura, allo stesso modo in cui, in qualsiasi vera opera d’arte, ciascuna parte acquista significato unicamente dal suo coerente relazionarsi con tutte le altre in una medesima “idea di fondo”, così ciascun gruppo biologico non è né slegato né indipendente da tutti gli altri presenti, passati e futuri. In base a questa chiave di lettura l’intero systema naturae – dinamico e non statico come quello di Linné – si evolve secondo leggi intrinseche, dando continuamente luogo nel suo interno a comparse ed estinzioni ed alternando lunghe fasi di relativa stabilità a fasi di mutamento radicale ed improvviso, sulla scorta di una logica che non è rigidamente deterministica, lineare e locale, ma creativamente indeterministi- ca, non-lineare e globale. Secondo questa chiave di lettura, insomma, diviene privo di senso insistere nel cercare di ricostruire “alberi genealogici” con l’andare conti- nuamente a caccia di progenitori comuni o anelli di congiunzione fra un gruppo e

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R. Fondi

l’altro, in quanto tali progenitori o anelli risultano essere, pirandellianamente, “uno, nessuno e centomila”.

La regola che domina la realtà fisica è il non-determinismo