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Mobili di famiglia e gingilli della mamma: il lignaggio

Mobili di famiglia, magnetini e altri ninnoli: oggetti e significati simbolic

3.1. Mobili di famiglia e gingilli della mamma: il lignaggio

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Negli interni domestici possiamo trovare oggetti di diversa origine e provenienza, che ci permettono di esprimere tutte le dimensioni della nostra identità, sia individuale che collettiva. Ci sono oggetti comprati, regalati e in qualche caso ereditati. Mentre gli oggetti comprati danno spazio ad un‟espressione della propria personale identità, ed enfatizzano un‟apparente mancanza di vincoli sociali diretti, gli oggetti ricevuti in dono o in eredità sono fin dal principio situati all‟interno di relazioni sociali. In pratica il mondo degli oggetti opera una mediazione nella relazione tra l‟individuo e il suo ambiente sociale. Il modo in cui avviene questa mediazione, stabilendo nella nostra memoria un legame simbolico con persone, luoghi ed eventi, è così spiegato da Sophie Chevalier, antropologa francese che ha costituito unparticolare riferimento per la nostra ricerca, avendo anch‟essa svolto una ricerca etnografica all‟interno dell‟ambiente domestico 78:

Gli oggetti ereditati e i regali sono i più vincolanti: essi presentano il sé attraverso la manifestazione delle nostre relazioni, sia quelle con i vivi che con i defunti. Appropriandoci di un bene ereditato o di un regalo, riconosciamo i nostri legami con gli altri e accettiamo di mantenerli. Questi oggetti che sono stati ereditati o regalati materializzano i loro donatori e gli eventi o i luoghi associati al momento del trasferimento dell‟oggetto. Può trattarsi di differenti fasi del ciclo di vita (in caso di eredità, il legame è con la morte di antenati), di differenti persone (parenti, amici, o vicini), e differenti luoghi, vicini o lontani 79.

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Si tratta di uno studio comparativo della cultura materiale domestica di due insediamenti periferici di Parigi e Londra, dove sono state effettuate circa novanta interviste nell‟arco di un lungo periodo (1987-89 in Francia e 1994- 95 in Inghilterra). Due articoli sintetizzano i risultati di questa ricerca: Transmettre son mobilier? Le cas contrasté de

la France et de l’Angleterre, «Ethnologie Française», 26, 1996, 1, pp. 115-27 e The cultural construction of domestic space in France and Great Britain, «Journal of Women in Culture and Society», 27, 2002, 3, pp. 847-56.

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“Inherited objects and gifts are the most constraining: they present the self through an exibition of our relationships both to the living and the dead. By appropriating an inherited item or gift, we recognize our links to others and agree to maintain them. These inherited objects or gifts materialize their donors and the events or places associated with the transfers, however various they may be. These include different stages of the life cycle (in case of inheritance, links to the death of ancestors), different persons (kin, friends, or neighbors), and different places, near or far” (Sophie Chevalier, The cultural construction of domestic space in France and Great Britain, cit., pp. 851-852).

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Dunque l‟idea è che la materialità ha un ruolo nel mediare la nostra relazione con il mondo e con gli altri, proprio grazie a questo potere di avviare un processo di materializzazione di persone e luoghi, e di “oggettivizzare” relazioni e dimensioni temporali.

Chevalier usa due categorie interessanti per descrivere il tipo di relazione che le cose ricevute in dono o in eredità possono rappresentare: l‟alleanza e il lignaggio. In antropologia per alleanza si intendono sostanzialmente i rapporti con i pari, quindi con altri individui che possono essere legati ad una famiglia da rapporti di amicizia, di lavoro, e altri tipi di rapporti orizzontali e sincronici. Le case sono piene di oggetti che sono stati donati in varie occasioni: in questo caso i doni segnalano la presenza di una rete di alleanze che la famiglia stabilisce nel presente. Sono invece relazioni verticali, diacroniche, quelle relazioni di genealogia dette appunto di lignaggio. Il rapporto di lignaggio si proietta in parte verso il passato, in parte verso il futuro, per cui attraverso oggetti che sottolineano le origini familiari, e che eventualmente si possono pensare come ereditabili dai figli, la famiglia si rappresenta con una continuità nel tempo.

Prendendo spunto da Chevalier anch‟io, nel corso delle interviste effettuate, mi sono chiesta come la cultura materiale della casa segnali la rete di relazioni delle persone. In particolare in che misura gli oggetti che sono presenti nella cucina ci parlino dei rapporti di lignaggio e di alleanza, riproducendo le relazioni familiari e sociali degli intervistati.

Ogni cucina ha sempre almeno un oggetto che è stato ricevuto da familiari o amici, raramente infatti un universo privato è costituito solo da oggetti comprati. In tal caso significa vivere al di fuori di ogni legame sociale e costruirsi un‟identità solitaria, desiderando esprimere solo se stessi 80.

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Un esempio peculiare, direi estremo, in cui la cultura materiale della cucina riflette i rapporti di lignaggio, è rappresentato da Patrizia 81, un‟insegnante in pensione che vive insieme al marito in una casa dove tutto testimonia il suo legame con la famiglia di origine. Quando la madre è morta, qualche anno fa, Patrizia ha cercato di recuperare dalla casa paterna la maggior parte possibile di mobili e oggetti, per poter ricostruire uno scenario domestico in cui ogni oggetto potesse dirle qualcosa di sé e della sua famiglia, in particolare della madre 82:

«C’è questo combaciarsi di due cose. Quella che era la necessità proprio, per me, di avere intorno gli oggetti che erano stati i suoi, e quelli che poi erano gli oggetti miei. Forse appunto, è un po’ troppo piena, ma… A volte ho dato via qualcosa di mio per poter… […] ho fatto tanti lavori, l’ho trasformata. È una casa un po’ più classica, un po’ più, tra virgolette, borghese. La mia c’aveva, non so: manifesti, cose del genere. Ma… l’ho un po’ trasformata anche adeguandomi un pochino a quella che era la casa originaria, capito? Per poter mettere tutto. […] Cioè, è un fritto misto, perché è rimasto un po’ di roba di com’era prima, e un po’… invece è cambiato, perché… per fare entrare… per fare entrare… per esempio alcuni… anche di là in cucina per fare entrare un angolo che era della casa di mia madre… non so, ho dovuto ristringere la porta, perché non ci stava… Insomma, prioritario era poterci far entrare questa…»

Prioritario è creare le condizioni per una totale continuità di lignaggio nella cultura materiale domestica, trovando una collocazione a oggetti che sono stati risemantizzati, da merci a reliquie 83. Franco La Cecla afferma che: “Possedere oggetti di persone

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Tutti i nomi riportati nel testo sono degli pseudonimi.

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La signora mi spiega che il padre è morto abbastanza giovane, quindi ha recuperato pochi oggetti a lui appartenuti.

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Nella sua riflessione sugli oggetti d‟affezione Veronique Dassié si esprime così: “Secondo il significato tradizionale del termine, la reliquia era il solo oggetto religioso di cui la Chiesa cattolica avesse autorizzato il culto. In

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estinte ne sostiene il ricordo oltre la morte, la loro memoria permane in noi guardando, toccando, utilizzando tali oggetti. È una pratica che afferma il fatto che si vive, attraverso il loro ricordo, in compagnia di figure ormai scomparse” 84.

Tra gli oggetti di famiglia che hanno trovato posto in cucina, Patrizia mi mostra una credenza e spiega:

«Questa quando la mia nonna morì me la portai a Firenze, me la feci tutta… perché era tinta, invece io l’ho fatta… l’ho riportata a legno, e poi quando ho fatto i lavori me l’hanno ripulita, rilucidata»

Poi continua indicando un mobile antico:

un senso più ampio, oggi esso è un «oggetto a cui si tende ad attribuire il valore più alto, così come si fa con le vestigia o col testimone di un passato a noi caro». Applicare la nozione di reliquia a delle forme di conservazione domestica «vuol dire utilizzare con un senso profano un vocabolo che sin dal XII secolo ha avuto in Francia un‟accezione esclusivamente religiosa, e significa quindi che sacro è anche il carattere che viene associato a queste spoglie»” (Veronique Dassié, Oggetti del corpo, oggetti d’affezione, in Silvia Bernardi, Fabio Dei, Pietro Meloni (a cura di), La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli oggetti ordinari, cit., p. 174).

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Franco La Cecla, Luca Vitone, Non è cosa. Vita affettiva degli oggetti, Milano, ed. Editrice A coop. Sezione Elèuthera, 1998, pp. 9-10.

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«Questa era di mia madre, quella che si diceva, che ho dovuto spostare la porta, perché vedi, non c’entrava e ho dovuto stringere la porta,[…]perché questa doveva stare lì, e quindi era prioritario quello, per cui si è… […] C’era un altro pezzo col tavolo, un altro pezzo dove… col divanetto dove sedere, però quello non c’entrava proprio»

Il ricordo del passato, dunque, può creare un legame con un oggetto tale da sconvolgere l‟organizzazione di una stanza pur di conservarlo con la stessa funzione che aveva allora. Anche la piattaia appesa sopra al mobile antico viene dal tinello della casa paterna, e tutti gli oggettini, i gingilli, che sono esposti sopra la piattaia sono gli stessi che vi teneva sua madre:

«Tutti tutti. Quelli sono tutti di mia madre, non ce n’è uno che sia mio, compresi i piatti, compreso tutto […], anche quel piattone che era stato un mio regalo. […] La mia mamma li teneva… c’aveva un piccolo tinello…»

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Patrizia prosegue nel raccontare in che modo le cose che appartenevano alla casa paterna sono state da lei selezionate o scartate, ricollocate e riutilizzate, cercando dove possibile di ricalcare la collocazione e l‟uso precedente, come abbiamo appena visto per la piattaia e i suoi gingilli, e come nel caso di una poltroncina, priva di valore artistico o economico, che veniva usata quotidianamente dalla madre, dove anche Patrizia ama stare, tanto da averla sistemata davanti alla televisione di cucina, in modo da poter richiamare, attraverso un gesto quotidiano, quello che era un rituale ordinario della madre:

«La sera se io… non so, se mio marito lavora, oppure lui vuole vedere un altro programma, io sto volentieri qua. Si, sto volentieri in cucina… con la poltroncina che era di mia madre! Questa»

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Ci troviamo di fronte ad un tipico esempio di oggetto piuttosto banale, ordinario, ma che concentra in sé significati e funzioni che si collegano al percorso biografico di una persona. Il vissuto di un essere umano si oggettivizza in un bene materiale il quale, secondo il filone di ricerca inaugurato negli anni ottanta da Appadurai e Kopytoff 85, rappresenta esso stesso un soggetto agente 86 con una propria vita sociale e una propria biografia: sono questi i punti di partenza da cui i due studiosi propongono di risalire al significato delle cose.

In particolare la teoria di Kopytoff sulla biografia culturale delle cose prende avvio dai suoi studi sulla schiavitù, dalla riflessione sulle forme di mercificazione degli esseri umani che mostrano come spesso nel corso della storia i confini tra oggetti e esseri umani si sono fatti labili. Da qui l‟interesse per un‟analisi dello status sociale delle cose. In questa prospettiva si assegna agli oggetti il ruolo di veri e propri attori, si attribuisce loro un‟esistenza autonoma da chi li possiede, un‟esistenza costellata di eventi, tappe e fasi successive proprio come la vita di un essere umano. Nell‟attraversare le diverse fasi della propria carriera un bene materiale subisce dei

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Aryun Appadurai, The Social Life of Things: Commodities in Cultural perspective, Cambridge, Cambridge University Press, 1986. All‟interno è contenuto il saggio di Igor Kopytoff, The cultural biography of things:

commodization as a process,pp. 64-93.

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Si parla di agency, una parola chiave delle scienze sociali post-strutturaliste, utilizzata per porre l‟accento sull‟idea di azione, una condizione non passiva, di un soggetto. Il termine agency di recente è stato reso in italiano con il neologismo agentività.

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passaggi di status: viene prodotto per essere scambiato tra persone sulla base di calcoli e valutazioni, nascendo come merce, poi una persona se ne appropria e lo usa dotandolo di un senso differente da quello impresso nei processi di produzione. Si avvia così un processo di demercificazione parallelamente ad uno di singolarizzazione, e il bene merceologico diviene oggetto, caratterizzato da un uso ed un senso più personalizzati 87. A questo punto l‟oggetto può incontrare altri soggetti e subire passaggi di proprietà, diventare deposito di memoria e tornare nuovamente merce se reintrodotto sul mercato, o circolare al di fuori della sfera degli scambitramandandosi solo all‟interno del gruppo familiare 88. Da merci a doni, ricordi, oggetti d‟affezione, reliquie, e poi di nuovo merci o beni inalienabili. Lo status quindi si modifica a seconda della rifunzionalizzazione che viene data all‟oggetto, a seconda dei diversi significati che gli sono attribuiti. Si tratta in pratica di un incontro della biografia degli oggetti con la biografia delle persone, e viceversa.

Questi processi di risemantizzazione dei beni materiali li abbiamo trovati molto frequentemente nelle cucine delle case visitate. I discorsi dei soggetti intervistati rivelano in vari casi attribuzioni di significato che hanno coinvolto determinati oggetti, in particolare oggetti che incorporano la rete di relazioni di una persona. Come gli oggetti di Patrizia, divenuti quasi delle reliquie, si sono guadagnati un posto speciale, tale da potercisi imbattere quotidianamente, così molti degli oggetti che sono esposti nella cucina di Antonella, ma in generale in tutta la casa, sono stati messi in vista in

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Emanuela Mora (a cura di), Gli attrezzi per vivere. Forme della produzione culturale tra industria e vita

quotidiana, Milano, Vita e Pensiero, 2005, pp. XVI-XVII.

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Certi oggetti subiscono attribuzioni di significato e di valore tali da sviluppare una capacità di resistenza allo scambio, infatti il tipo di legame che si instaura con i loro proprietari li rende indissociabili da essi, dunque vengono esclusi dal meccanismo della circolazione, fissando nel tempo le identità collettive e individuali.Sulla categoria di possessi inalienabili (o oggetti sacri) vertono i lavori di Annette Weiner (1992) e Godelier (1999), le cui posizioni sono sintetizzate da Aria all‟interno di unaanalisi della letteratura sul dono: Matteo Aria, Dono, hau, reciprocità, in Matteo Aria, Fabio Dei (a cura di), Culture del dono, Roma, Meltemi, 2008, pp. 181-219. V. anche, Matteo Aria, Fabio Dei, Oggetti inalienabili: memoria e identità delle famiglie attraverso la cultura materiale, abstract presentato per la sessione Vita quotidiana e cultura materiale nell’Italia del dopoguerra: domesticità, lavoro, tempo libero, V Congresso della Società delle storiche, Napoli, 28-30 gennaio 2010.

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accordo al valore affettivo che gli è stato attribuito, combinato ad un forte senso del gusto e alla cura dei particolari, per cui tutto è disposto in modo molto armonioso e ordinato. Si tratta di oggetti legati a ricordi di persone o momenti passati. Parlando degli oggetti che provengono dalle case di famiglia Antonella dice:

«Si, ci sono oggettini… a parte cose di uso comune, però piccoli oggetti, perché sia i genitori… cioè il babbo di Massimiliano è morto, ma c’è la sua mamma e c’ha la sua casa, la mia mamma è morta però c’è il mio babbo, c’ha la sua casa, e noi non le abbiamo sfatte queste case. Non so, per esempio una cosa bellina è… vedi quel macinino… quelli sono macinini da caffè, no? Vedi che ce n’è uno strano lungo lungo, quello laggiù in fondo. Lo vuoi vedere da vicino? Ecco, quello è un macinino per fare il caffè alla turca, e quello era della mia nonna, perché la mia nonna veniva da Istanbul, e allora… Quello serve per macinare il caffè tipo polvere e per fare sai quel caffè… Me lo dette una volta la mia mamma e me lo sono tenuto, capito?»

Si tratta ancora una volta di un oggetto che incarna un legame, un oggetto a cui Antonella teneva perché appartenuto ad una persona cara, la mamma lo sapeva e lo ha dato a lei. Pietro Meloni scrive:

53 Studiare gli oggetti attraverso la ricostruzione della loro biografia vuole dire porsi in una prospettiva che ricostruisce i legami all‟interno della famiglia, che identifica le diverse fasi della vita di un oggetto, che isola i momenti in cui l‟oggetto acquisisce o perde un determinato valore. Nella trasmissione familiare, nel passaggio di un oggetto da una generazione ad un‟altra, la provenienza e la destinazione dell‟oggetto sono alla base anche di una risemantizzazione dell‟oggetto stesso. Al valore simbolico riconosciuto che rappresenta la memoria della persona che lo possedeva, viene ad aggiungersi il valore di chi acquisisce l‟oggetto e decide di inserirlo nell‟ordine degli oggetti da preservare, perché portatori di memoria, perché inseriti in un circuito di trasmissione di lunga data 89.

Il forte legame affettivo che la maggior parte delle persone intervistate dichiara di avere con le cose spiega il criterio con cui vengono selezionati gli oggetti da conservare ed esporre e costituisce il motivo per cui spesso non vengono fatti grandi cambiamenti nelle case. Per esempio la stessa Antonella afferma:

«Con le cose? [c’è un legame affettivo] Forte! […] Anche… a volte anche se non è che poi alla fine ci piaccia… però ti rimane un senso di affezione per cui… lasci così, ecco. Grosso modo, anche se… dici, vabbè mi piacerebbe di più in un altro modo, potrei anche cambiare… ma… rimane così»

Così Patrizia:

«Quando [le cose] trovano una collocazione, la collocazione è… perfetta, è lì, deve stare lì»

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Pietro Meloni, La cultura materiale nella sfera domestica, in Silvia Bernardi, Fabio Dei, Pietro Meloni (a cura di),

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Lo stesso concetto viene ribadito da Mauro, che alla domanda: «Di solito un oggetto resta nello spazio dove viene messo o ogni tanto gli si cambia posto?», risponde:

«No, no. Qui sono abbastanza statiche le cose, nel senso che trovato il punto d’appoggio non si muove più nulla»

Per fare un ultimo esempio, anche se risposte analoghe le hanno date in molti 90, riporto le parole di Franca:

«Il gusto con gli anni si è completamente modificato. Ora piacciono le cose più minimaliste e meno antiquarie. Potessi rifarei tutto, rifarei tutto, però… Da una parte… il rifare significa poi non utilizzare le cose che uno ha, e quello dispiace, ecco, solito discorso. Perché vi è la componente affettiva, perché hanno significato qualcosa nell’infanzia, nell’adolescenza, perché erano nella casa dei miei genitori o in quella dei genitori di Mario. Quindi… non si possono buttare via»

Anche Franca tende a conservare ed esporre oggetti ereditati dai familiari. Buona parte dei mobili, dei ninnoli e molte altre cose sono presentate come «della mia mamma», «del mio babbo» o «della suocera». Per esempio nel tinello che si apre sulla cucina c‟è una credenza colma di gingilli provenienti dalle case dei genitori:

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Ovviamente ci sono delle eccezioni, ad esempio Giulia si diverte a cambiare il posto alle cose con frequenza, pur conservando un senso d‟affezione verso determinati oggetti che, anche se vengono spostati, rimangono sempre esposti: «Senti, io l’ho sempre fatto, mi piace cambiare, assolutamente. In questa casa, rispetto alle altre, sono un

po’ più legata, […] e più di tanto non puoi modificare. Allora magari mi diverto a cambiare l’oggettistica, allora cambio le cornici, cambio… deh, ah ah! […] Gli oggettini tante volte li cambio, fotografie, cornici, aggeggini, “brutto quello perché l’avete messo lì?”. E poi c’è qualcosa, appunto che conservo, che sono magari nei posti un po’ più fuori mano per il gatto, perché sono ricordi di viaggi o di amici, e quelli stanno lì, anche perché sono cose carucce, cioè che ti ricordano qualcosa».

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«Nella credenza ti posso far vedere… una cosa che mi ha sempre fatto effetto sono questi bicchierini che mi ha dato la suocera, che… io non so cosa ci bevesse! Dato che ci sono di varie dimensioni, lei aveva… mmm, ma anche altri appena appena più alti… altri appena appena più alti, cioè una collezione stranissima. Io ho preso quelli minimi. Questi serviti sono tutte cose che io ho preso dai miei genitori, che qui stanno bene, ma stanno, mi rendo conto, solo come… appoggio, perché io non li uso mai, assolutamente