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Fare la spesa, cucinare, mangiare, pulire

5.1. Routine e abitudini domestiche

Se per “vita quotidiana”, secondo la definizione di Paolo Jedlowski, si intende “l‟insieme degli ambienti, delle pratiche, delle relazioni e degli orizzonti di senso in cui una certa persona è coinvolta ordinariamente, cioè più spesso e con la sensazione della maggiore familiarità, in una certa fase della sua biografia” 148

, allora possiamo dire che la cucina fa da sfondo alla nostra quotidianità. In particolare, si è detto essere lo scenario di quelle attività domestiche che ogni giorno, o quasi, vengono eseguite per rimettere in ordine gli oggetti secondo la regola “ogni cosa al proprio posto”, e per ripulire le tracce lasciate dai nostri corpi. La prima condizione di una casa ordinata e pulita, infatti, è l‟esclusione di tutti i segnali visivi e olfattivi che costituiscono un‟indebita estensione dell‟organismo umano: “una casa con i letti disfatti fa una pessima impressione, così come i piatti sporchi accumulati nel lavello, per non parlare

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Paolo Jedlowski, Il posto dei dettagli. Prospettive di una sociologia della vita quotidiana, in Paola Di Cori e Clotilde Pontecorvo (a cura di), Tra ordinario e straordinario: modernità e vita quotidiana, Roma, Carocci, 2007, p.87-98.

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delle tracce di materia organica nel bagno, anche se si tratta solo di capelli” 149

. Secondo Pasquinelli il bisogno di cancellare le tracce del corpo - inteso quale soggetto di bisogni - è un fatto comune a tutti, al di là delle profonde differenze che ci possono essere tra le culture, le collocazioni socioculturali, le usanze locali, le superstizioni e i disgusti personali. Quello che cambia è la soglia di tolleranza nei confronti delle tracce del corpo, cosa che, come ci insegna Norbert Elias, dipende da quella forma di controllo sociale che è il senso del pudore, affermatosi progressivamente nella nostra società a partire dall‟età moderna 150

. Non è un caso che nessuna delle cucine visitate avesse ancora i piatti sporchi di sugo nel lavello.

A proposito delle sue abitudini legate alle attività domestiche Tania dice di essere «fissata da morire» sulla pulizia della casa:

«È una cosa che ti porti dietro dall’insegnamento, ovvio, sì. Io non ho cambiato molto abitudini, nel senso che io la mattina mi alzo devo fare le mie faccende… L’unica cosa che ho cambiato è che prima se non c’avevo tutto perfettamente lucido, tutto

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Carla Pasquinelli, La vertigine dell’ordine. Il rapporto tra Sé e la casa, cit., p. 37.

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Norbert Elias, Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1988 (ed. or. 1969). Elias ripercorre il processo che ha portato la società occidentale verso un disciplinamento delle strutture affettive e di controllo degli uomini in direzione di un crescente autocontrollo e di un‟affermazione delle buone maniere.

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perfettamente pulito fino all’ultimo panno lavato e stirato, di casa non uscivo. Ora no. Tengo il più possibile pulito, il più possibile preciso perché la precisione mi piace, però se poi… hai visto la camerina, non è che mi sto strappando i capelli perché non è a posto, non me ne frega nulla, tanto non è sporca [...]. Mentre prima la sera magari mentre guardavo la televisione pulivo il mobile, facevo i vetri, pulivo tutto, tutto lucido e finché non me ne riandavo a letto… Cioè, io dovevo riandare a letto… ah bene è tutto pulito!»

È una questione di codici di comportamento, secondo cui rispettare le norme di igiene e di decoro è segno di buona educazione, almeno per la nostra cultura. Per gli indù, ad esempio, è necessario eliminare le tracce del corpo per riacquistare la purezza, che però non ha niente a che vedere con l‟igiene: sono codici culturali diversi, che non si fondano sui valori sporco/pulito, ma piuttosto su quelli puro/impuro. Pasquinelli riporta proprio l‟esempio di una cucina organizzata secondo le regole di vita indù, considerata il luogo più puro della casa, ma che dà l‟impressione di un luogo dove regnano sporco e disordine: “un pavimento di terra battuta o di cemento spalmato con sterco di vacca, pareti nere di fumo, piatti e suppellettili sparse per terra, alcuni barattoli di sale e di curry, un tagliere, un mortaio, qualche vecchia pentola, un fornelletto a cherosene o un fuoco per terra di legna mista a sterco di vacca essiccato” 151

. Ma adottando il criterio del puro/impuro si scopre che ogni cosa rivela essere governata dall‟intento di evitare contaminazioni con persone o oggetti considerati impuri: così lo sterco di vacca serve per purificare l‟ambiente, i piatti sporchi sono accatastati sul pavimento in quanto oggetti in avanzato stato di contaminazione da tenere separati, la posizione del focolare, o del fornello, dipende dal fatto che rappresenta il centro simbolico della stanza. Ogni

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gesto atto a preservare lo stato di purezza è equiparabile alle nostre azioni quotidiane mirate al ripristino dell‟ordine e della pulizia: piccoli rituali del quotidiano, frutto di strategie di disciplinamento.

Si è parlato della cucina come un luogo di pratiche quotidiane, che scandiscono il tempo della domesticità in modo routinario e rituale. Il tema delle routine domestiche è stato affrontato da Ben Highmore in un saggio che si pone nell‟ambito di un‟interessante ricerca comparata su famiglie italiane, svedesi e nordamericane di classe media, che prende in analisi gli aspetti più banali e abituali della sfera domestica, aspetti che solitamente vengono dati per scontati 152. Nel suo saggio Highmore si chiede quali effetti abbia su di noi la ripetitività della vita quotidiana: nelle abitudini infatti c‟è qualcosa di profondamente ambiguo e problematico dal momento che comprendono simultaneamente opposti stati mentali di consapevolezza e disattenzione, o semplicemente di concentrazione rivolta altrove 153. Pensiamo al cucinare: sono gesti che ben conosciamo, che abbiamo appreso fin da piccoli guardando i grandi, e poi si sono sedimentati negli anni con la pratica fino a diventare gesti automatici che non richiedono un impegno particolare della coscienza. Paola racconta:

«Io a casa mia ero abituata a non fare niente... ma proprio niente niente! Ho imparato vedendo cucinare la mia mamma che per tanti anni è venuta qui e ha cucinato per noi. Devo dire la verità, è stato come se avessi assorbito naturalmente... perché mai mi sono

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Questa ricerca internazionale, di tipo etnografico e discorsivo, ha come titolo Everyday Lives of Working

Families: Italy, Sweden, and United States. È stata promossa dallo Sloan Center on Everyday Lives of Families

(UCLA, US) con lo scopo di comprendere come le famiglie affrontano e risolvono i problemi della vita quotidiana a livello di conciliazione tra sfera privata e sfera lavorativa, cura dei bambini e normale svolgimento delle routine familiari. La ricerca italiana è coordinata da Clotilde Pontecorvo. Alcuni dei risultati della ricerca sono presentati in Paola Di Cori e Clotilde Pontecorvo (a cura di), Tra ordinario e straordinario: modernità e vita quotidiana, Roma, Carocci, 2007.

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Ben Highmore, Compiti a casa. Routine, estetica sociale e ambiguità della vita quotidiana, in Paola Di Cori e Clotilde Pontecorvo (a cura di), Tra ordinario e straordinario: modernità e vita quotidiana, cit., pp. 68-86.

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messa lì a guardare cosa faceva... ho imparato senza rendermene conto... sono gesti che ti sono entrati in testa senza rendertene conto»

Proprio perché l‟apprendimento delle regole del quotidiano avviene in modo inconscio, spesso la capacità di saperle applicare è percepita come una dote naturale. Renato infatti dice:

«Ma, forse c'è il DNA, perché io ho sempre saputo cucinare, anche se nessuno mi ha insegnato... Mi ricordo... i miei avevano un ristorante ma non è che io bazzicassi in cucina o cose del genere. Mangiare tutti i giorni al ristorante non è bello... allora io la sera mangiavo da solo, o con un amico, in casa mia e mi cucinavo... prendevo le cose giù [al ristorante] e finivo di cucinarle. Ho cominciato con la bistecca, le patate fritte… Poi come tutti quelli che si interessano di cucina, leggi, vedi, assaggi, inventi. Comunque riguardo alla cucina... secondo me... uno ci deve essere portato... non si insegna la cucina... uno se la sente addosso, sa da sé cosa deve fare»

Highmore scrive: “le abitudini e le routine di ogni giorno ci rassicurano con la loro familiarità dolce e usurata o ci irritano ricordandoci continuamente quanto gli imprevisti e gli eventi inconsueti siano assenti dalla nostra vita? Quando laviamo i piatti o cuciniamo, il tempo ci sfugge mentre sogniamo a occhi aperti o ci crolla addosso sotto il carico del lavoro ripetitivo?” 154

. La routine serve per conferire ordine e controllo alla nostra esistenza - che altrimenti sarebbe del tutto vincolata alle contingenze del contesto - dunque, dal momento che infonde una certa regolarità e prevedibilità alla nostra vita, è un fatto rassicurante. Allo stesso tempo però evocare ogni giorno gli stessi gesti,

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facendo del tempo domestico un un tempo ciclico che si sussegue immutato, è un fatto che talvolta viene percepito come opprimente e monotono. Comunque è un tempo, quello dedicato alle attività domestiche routinarie, che può essere dilatato o contratto a proprio piacimento, applicandosi più o meno alle varie cose che devono essere fatte. Dalle interviste emerge che nel corso degli anni si tende a cambiare atteggiamento nei confronti del tempo dedicato alle faccende domestiche in direzione di una sua contrazione. A questo proposito Angela dice:

«Prima eravamo presi dall’idea di dover pulire, sterilizzare apparentemente tutta la casa, poi con il passare degli anni, la sterilizzazione si lascia un po’ più correre, diciamo che si va nell’ordine, nella pulizia, ma non nell’ossessione, ecco»

Lo stesso argomento è stato toccato da Tania:

«Allora, le attività domestiche ti devo dire la verità, io sono molto attiva a livello domestico. Nel senso che sono una persona che mi piace molto tenere preciso, pulito… però ultimamente ho… […] mi sono un po’ rivista, e allora mi sono anche detta che ogni tanto bisogna anche sapersi concedere del tempo, proprio concedersi il tempo, che io ne ho sempre avuto poco»

A delimitare i confini delle faccende domestiche non è solo lo spazio, ma anche il tempo: un tempo scandito proprio dalle attività che si svolgono sulla base dei ritmi naturali delle funzioni biologiche: l‟ora di rifare i letti, l‟ora di andare a fare la spesa, l‟ora di cucinare, l‟ora di sparecchiare, ecc. Ma in realtà, come afferma Pasquinelli, tempo biologico e ritmi del lavoro domestico sono sintonizzati sui ritmi collettivi:

114 In ogni società non si mangia quando si ha fame né si dorme quando si ha sonno, ma sempre a ore stabilite secondo una tacita convenzione sociale, quali “l‟ora di pranzo” e “l‟ora di cena” o la tanto detestata dai bambini “ora di andare a letto”. […] Sono i flussi di entrata e di uscita di quanti abitano la casa che decidono delle fasce orarie in cui ci si può dedicare a mettere in ordine e che sono generalmente imposti dagli orari di lavoro e da quelli scolastici 155.

Contrariamente alle nostre percezioni ciò che avviene entro questo spazio è retto da nessi, non sempre visibili, che lo mantengono in rapporto con un contesto assai più ampio delle quattro mura domestiche, secondo il detto: «il personale è politico». In definitiva si può parlare della cucina come luogo di pratiche, ma anche di politiche.