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Potere femminile sugli oggetti domestic

Strategie di selezione, conservazione ed esposizione

4.3. Potere femminile sugli oggetti domestic

Ci sono molti altri esempi che si pongono sulla scia di quelli appena citati: infatti nella maggioranza delle case dove sono state effettuate le interviste, ma azzarderei dire nella quasi totalità, è la donna a detenere il potere di amministrare gli oggetti, accordando loro un posto e organizzando l‟ordine della casa. Giulia mi dice che nel disporre le cose prevalgono le sue decisioni, gli altri della famiglia, anche se non condividono lo stesso gusto, le vanno molto dietro, ad eccezione di una delle figlie che invece tenta di opporsi:

«Giampiero è molto buono e mi lascia fare, sì. […] Dunia è una conservatrice. Quando ho buttato via i divani, prima uno e poi quell’altro, manca poco ci piangeva. Tu vedessi cosa c’è nel suo armadio!»

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Lo stesso vale per Marianna, è stata lei infatti a scegliere gli oggetti che si trovano nella casa e a gestirne la sistemazione, mentre mi dice che ai figli e al marito «non gliene frega niente». Anche Patrizia parla di sue scelte, specificando comunque che è un gusto condiviso anche dal marito e che è una casa dove si sentono bene entrambi:

«E insomma, ho avuto carta bianca, perché poi questa al di là dello stanza che è lo studio di mio marito, poi eeee, insomma, questa qui è fatta a immagine e somiglianza mia più che sua. Ho avuto la libertà di fare cosa volevo, insomma. Da… le scelte sono praticamente tutte mie»

Il tema dell‟esercizio del potere femminile sul decoro domestico è stato trattato da Veronique Dassié nel suo intervento intitolato “Armonie e dissonanze: la coppia di fronte all‟orchestrazione affettiva degli oggetti domestici” 129, presentato nell‟ambito di

un seminario sulla cultura materiale domestica tenutosi all‟Università di Pisa nel dicembre 2010. Come abbiamo visto nel capitolo precedente Dassiè si è principalmente occupata di oggetti della memoria, o d‟affezione, che popolano gli interni domestici. Nell‟affrontare questa tematica, le implicazioni che possono avere gli oggetti sul rapporto di coppia si sono imposte alla sua riflessione: la conservazione degli oggetti domestici implica infatti dei compromessi tra i protagonisti della vita familiare; un gioco di armonie e dissonanze in cui ci si sforza di accettare gli oggetti dell‟altro, ma spesso succede di non comprendere il legame che unisce un partner a certe cose. Questi oggetti d‟affezione spesso non sono particolarmente belli né valgono granché e solitamente non hanno nemmeno un utilizzo specifico, per cui, mentre il proprietario,

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Veronique Dassié, Harmonies et dissonances: le couple face à l’orchestration affective des objets domestiques, relazione presentata per il seminario «Cultura materiale e universi domestici», Pisa, 16-17 dicembre 2010.

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che li vede come cose preziose, non prende proprio in considerazione la possibilità di separarsene, il partner invece è portato a disfarsene poiché al suo sguardo questa qualità affettiva essenziale sfugge. Identificare gli oggetti d‟affezione domestici presuppone dunque di aver avuto accesso alla loro storia o almeno aver avuto conoscenza del loro valore sentimentale. È chiaro che maggiore è la sintonia con l‟altro nel rapportarsi agli oggetti, maggiore è la tolleranza verso ciò che è suo. Comprendere i significati attribuiti alle cose, condividere i criteri di selezione ed esposizione facilita l‟opera di negoziazione dei confini personali a cui lo spazio domestico è continuamente sottoposto. Ad esempio Antonella e Massimiliano condividono lo stesso gusto e lo stesso attaccamento per le cose, infatti Antonella specifica:

«Tutti gli oggetti che sono in questa casa sono frutto di una scelta condivisa, mai unilaterale»

Quindi in queste situazioni il rapporto con gli oggetti domestici produce più armonia che dissonanza. A volte il comune accordo viene raggiunto nel tempo. Angela e Mamo raccontano:

«Abbiamo avuto nella storia passata, quando eravamo più giovani, più intolleranza. Io gli ho fatto buttare via una collezione di lattine di birra perché erano una cosa orribile da pulire, perché erano conservate in cucina, e saranno state due- trecento, non lo so nemmeno. […] Però ora diciamo che questa mania [del collezionismo] la condividiamo forse con più tolleranza uno dell’altro»

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Gli oggetti dunque possono nutrire intolleranza e discordia. Anche se non è stato possibile effettuare un‟etnografia diretta delle dispute familiari intorno agli oggetti, i discorsi riportati dagli interlocutori ne hanno rivelato l‟esistenza. Abbiamo visto infatti degli esempi di microconflittualità parlando dell‟ordine-disordine e dei confini personali che vengono tracciati nello spazio domestico.

Un altro esempio può essere rappresentato da Alba e Danilo che non si trovano d‟accordo sull‟esposizione di alcuni oggetti. Alba a questo proposito dice:

«Danilo non è feticista, per niente. Lui butterebbe via tutto. Si, si, lui farebbe piazza pulita, ah, ah! Ogni tanto [...] soprattutto sulle fotografie, dice: “Ora basta fotografie, basta, elimina!”»

Dassiè osserva che in questo gioco di armonie e dissonanze la grande maggioranza degli oggetti d‟affezione che partecipa al decoro domestico trova spazio a condizione di essere stata autorizzata dalla donna. Anche se in un primo momento molte delle donne intervistate hanno dichiarato di scegliere insieme al marito il posto degli oggetti, nel corso delle interviste è emerso che le decisioni non sono poi così collegiali: quanto si verifica nella maggioranza delle famiglie è che l‟ultima parola in merito alla disposizione degli oggetti in casa, e ancor più in cucina, sta alla donna. Alba, alla domanda se le cose presenti in casa siano frutto di una decisione comune, risponde:

«Mmm, sì... sì... Diciamo in linea di massima sì. Anche se mi sembra queste [delle stampe appese in cucina] le abbia comprate io, però poi, insomma… tanto andava messo qualcosa alla parete… gliele ho fatte vedere...»

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Appeso alla parete c‟è anche un ricamo che raffigura la lettera A.

Alba esclama:

«Mio![…] …Alba!»

Dunque al di là dei discorsi, la presenza stessa di certi oggetti segnala chi li ha posizionati. Ad esempio Luciana mi dice che dal momento che è lei quella che passa più tempo in casa, è libera di gestirla come vuole, tanto che lo spazio comune, cucina e sala, è invaso dai suoi oggettini: i ricordini dei suoi viaggi, le sue collezioni, le piante che cura lei.

Il fatto che sia principalmente la padrona di casa a ordinare e posizionare gli oggetti in funzione dei suoi gusti e delle sue abitudini ci pone inevitabilmente di fronte ad alcuni interrogativi. Innanzitutto ci chiediamo se questo ruolo fondamentale della donna nella geografia degli oggetti domestici non sia da collegare al fatto che la figura femminile viene tradizionalmente associata alla cura della sfera domestica. Molte delle mie interlocutrici hanno dichiarato che effettivamente, per motivi di lavoro, vivono di

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più lo spazio domestico rispetto ai mariti, di conseguenza l‟impronta che lasciano è maggiore. Chiaramente questa dinamica avviene in particolar modo in cucina, spazio femminile per eccellenza 130. Dalia, che cerca di fare scelte di comune accordo con il marito, ma che comunque ha sempre l‟ultima parola sulle decisioni circa la disposizione delle cose, racconta quello che il marito le dice a proposito degli oggetti della cucina:

«Maurizio dice: “Qui tanto ci stai te... fai te”»

Anche Angela trascorre molto più tempo in cucina rispetto al marito Mamo. Avendole chiesto se è stata lei ad occuparsi della disposizione delle cose presenti in questa stanza, dice:

«Si, sempre con la condivisione, ecco. Non mai del tutto sola, però la scelta… queste [decorazioni della Thun] sì per esempio, si sono scelte e qui le ho messe io»

Mamo, il marito, precisa:

«Sì, sì, sicuramente più te, dai»

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Angela: «Però queste [vari oggettini appesi alla parete della cucina] sono cose nostre che magari io ho deciso di mettere qui e lui non ha mai detto di no»

Mamo: «Diciamo che magari se qualcosa non mi fosse piaciuto avrei detto, questo qui non mi piace»

Le riflessioni fatte finora sembrerebbero suggerire che si possono riscontrare delle specificità di genere nella pratica di conservazione degli oggetti 131. Secondo Dassié ci sono degli elementi, dei marcatori di genere, che definiscono la differenza del rapporto di uomini e donne con gli oggetti d‟affezione. La quantità di oggetti conservati è il primo di questi elementi: di fronte a un numero incalcolabile di oggetti delle compagne, gli uomini solitamente hanno poche cose da mostrare. Inoltre, mentre gli oggetti femminili sono solitamente conservati negli spazi comuni della vita familiare, mescolati al resto delle cose, in molte abitazioni si trova uno spazio esclusivamente maschile, spesso uno spazio a margine della casa, un luogo autorizzato e obbligato degli oggetti affettivi maschili 132 – studio, rimessa, garage o laboratorio – dove è relegato ciò che non trova posto nel decoro orchestrato dalla donna. Anche il linguaggio è un marcatore di genere, infatti nei discorsi si può rintracciare un diverso approccio agli oggetti della casa: innanzitutto la donna, in genere, è più prolissa nel dare descrizioni, tanto che partecipa alle interviste con maggiore iniziativa dell‟uomo, che in certi momenti si eclissa e tergiversa; inoltre, alla tendenza femminile a valorizzare il lato estetico e sentimentale di un oggetto, si oppone il rigore tipicamente maschile di una presentazione razionale. In effetti questi comportamenti, che potrebbero essere percepiti

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Irìgaray, una delle massime rappresentanti del femminismo legata al pensiero della differenza, a questo proposito afferma: “la differenza tra uomini e donne si colloca nella natura, nella quantità e talvolta nella qualità degli oggetti conquistati, posseduti. […] Ciò significa che le relazioni tra soggetti e oggetti sono assai più complesse e che le cose e le parole hanno delle proprietà sessuate come i soggetti” (Luce Irìgaray, Io, Tu, Noi: per una cultura della

differenza, Torino, Bollati Boringhieri,1992, p.62).

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Dassiè ricorda anche il portafoglio come luogo privilegiato dell‟affezione maschile, a margine dello spazio domestico.

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come naturali predisposizioni, si riscontrano anche in un numero considerevole delle mie interviste, ovviamente con molte sfumature e con delle eccezioni: ci sono situazioni dove all'opposto è l‟uomo a conservare in maggior quantità. Ad esempio questo succede nella casa di Renato e Paola, dove comunque i tanti oggetti d‟affezione di Renato restano circoscritti al suo studio. Anche Debora può essere considerata un caso a parte, infatti mostra un minor attaccamento alle cose rispetto alle altre donne, e tende a delegare al marito la gestione degli oggetti:

«Ma, fondamentalmente è lui che sceglie […]. Ogni tanto si fa una selezione… che principalmente fa lui, perché io non ci riesco, metto sempre da parte: “ma questo poi vedo”. Metto lì e accumulo. Di solito è lui quello che… è la donna di casa! Lo racconto sempre anche a lavoro… non sono io che aiuto lui, ma è lui che… cioè… […]. Io non mi affeziono agli oggetti […]. Io ho solo un… cosa mi sono portata io? Le fotografie! E basta! Ah ah! poi non ho delle…»

Queste considerazioni, che riproducono schemi di pensiero basati sull‟opposizione maschile/femminile, ci riportano a Bourdieu e alla sua lettura sociologica e antropologica dei rapporti tra uomini e donne fornita nel testo Il dominio maschile 133. Per Bourdieu queste predisposizioni femminili o maschili non sono altro che il prodotto della perpetuazione di strutture sociali, storicamente determinate, la cui legge fondamentale vuole che venga esercitato nell‟ambito domestico, così come negli ambiti pubblici, un dominio maschile. Dunque all‟interno di un ordine sociale che nasce e si regge sugli interessi maschili, le donne si formano e si addestrano a certe virtù e attitudini, mentre gli uomini, anch‟essi prigionieri della rappresentazione dominante, ad

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altre, secondo una concordanza tra strutture sociali e strutture cognitive. Quindi i tratti distintivi maschili e femminili, come quelli sopra citati a proposito del modo di rapportarsi agli oggetti, normalmente percepiti come differenze di natura, sono frutto di una costruzione sociale arbitraria, perseguita costantemente attraverso la riproduzione di schemi di pensiero che oppongono maschile e femminile.