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Fare la spesa, cucinare, mangiare, pulire

5.2. Uno spazio diviso

In una famiglia, chi principalmente fa esperienza quotidiana di queste pratiche e politiche che governano la cucina è la donna. Come possiamo constatare dalle interviste, malgrado i mutamenti nei valori e nelle intenzioni, che risentono delle ideologie egualitarie, gli uomini hanno ancora un ruolo marginale nel lavoro familiare di tutti i giorni, che resta una responsabilità quasi esclusiva delle donne nelle varie fasi della vita, salvo rare eccezioni 156. La gestione delle attività domestiche è un argomento che è stato largamente affrontato nel corso dei videotour realizzati, e la maggior parte delle volte il discorso su come vengono divisi i compiti in casa è emerso proprio durante

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Carla Pasquinelli, La vertigine dell’ordine. Il rapporto tra Sé e la casa, cit., p.29-30.

156 Sulla divisione del lavoro domestico nelle famiglie italiane contemporanee cfr. Rita Ranaldi e Maria Clelia

Romano (a cura di), Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, Roma, ISTAT, 2008, Argomenti n. 33. Sull‟organizzazione dei ruoli familiari in merito alla divisione del lavoro domestico ed extradomestico in campagna e presso i ceti urbani cfr. Marzio Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, il Mulino, 2000 (1a ed. 1984), pp. 409-21.

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la visita alla cucina. Quello che succede nella quasi totalità di queste case lo possiamo sentire direttamente dalle parole di Antonella, un‟insegnante ora in pensione:

«Sì, cucino solo io. Ma, diciamo che Massimiliano, sì… può fare cose… mette l’acqua, assaggia… molto! Lui fa da assaggiatore! […] Poi non gli è mai piaciuto, ecco […]. Massimo magari va a fare la spesa, però cucinare no.[…] Diciamo che per quello che riguarda l’andamento della casa, qui me ne sono sempre occupata solo io tutto io. Tutto io aiutata da una persona che viene, mi dà una mano»

Antonella dice che però questa divisione dei ruoli non porta ad avere conflitti con il marito e con i figli, scherzando si definisce «rassegnata», ma spiega anche:

«Quando mi sono sposata io erano altri tempi, per cui era abbastanza… veniva automatico, poi c’era il fatto che io facevo un lavoro che mi impegnava tanto meno di quanto non impegnasse Massimiliano, per cui era anche un po’ normale, ecco che io lavorassi di più in casa»

Come mette in evidenza Roberta Sassatelli, si ha la percezione che “per le donne, anche per quelle che lavorano fuori casa, la casa è ancora un luogo di lavoro, mentre per gli uomini è essenzialmente un luogo di riposo e di “stacco” dalle responsabilità lavorative” 157

. Questa percezione diviene ancora più netta se si pensa al modo femminile di guardare la televisione in casa. Nello studio etnografico condotto da David Morley tra famiglie londinesi si delineavano due diversi modi di guardare la Tv: uno femminile e uno maschile. Mentre gli uomini riuscivano a guardare con attenzione i

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programmi televisivi, molte delle donne intervistate li guardavano con poca concentrazione, anche perché spesso stavano svolgendo contemporaneamente un‟altra attività domestica 158. Un classico è guardare distrattamente la televisione mentre si stira, come fa Dalia, che sta molto in cucina, «fra il cucinare, lo stirato, il lavare... ci passo tanto tempo», e dice che la televisione le fa molta compagnia.

Dunque ancora prevale, anche se indebolito dall‟incremento dei tassi di occupazione femminile, il modello tradizionale di divisione dei ruoli familiari, caratterizzato dall‟uomo breadwinner, responsabile cioè di procurare le risorse economiche per provvedere alle necessità della famiglia, e dalla donna dedita alle cure della casa e dei figli. Molte delle donne intervistate affermano, come nel caso di Antonella, di occuparsi della casa e di tutte le attività connesse in modo maggiore rispetto ai mariti perché più libere dagli impegni lavorativi. Indagini recenti hanno comunque messo in evidenza qualche segnale di cambiamento, soprattutto quando entrambi i partner sono occupati e hanno un elevato livello di istruzione. Tuttavia si tratta di timidi segnali, non sufficienti a indicare un cambiamento di rotta significativo in termini di gestione del lavoro domestico e familiare 159. Un esempio è costituito da Debora e Tommaso, una coppia più giovane rispetto alle altre persone intervistate. Debora considera il marito come «la donna di casa» dal momento che «non sono io che aiuto lui, ma è lui che…». Tommaso spiega:

158 David Morley, Family Television: Cultural Power and Domestic Leisure, London, Comedia, 1986.

159 Rita Ranaldi e Maria Clelia Romano (a cura di), Conciliare lavoro e famiglia. Una sfida quotidiana, cit., p. 9-10. “Le disuguaglianze nella divisione dei carichi di lavoro familiare hanno radici lontane e riflettono fattori culturali rispetto ai quali non è verosimile attendersi cambiamenti repentini, né tanto meno radicali. Tuttavia rispetto a 14 anni addietro si rileva qualche importante mutamento nella direzione di una maggiore convergenza tra uomini e donne, frutto di opposte tendenze: ovvero una significativa riduzione del tempo di lavoro familiare da parte delle donne e un incremento nel tempo di lavoro familiare degli uomini” (Id., p. 80).

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«Ci siamo un po’ divisi i compiti, io mi occupo della spesa e del mangiare, del cucinare, e Debora si occupa del ciclo dei panni»

Debora precisa:

«Del lavare e stirare… vabbè, ma in confronto a tante altre donne c’ho un aiuto in casa che…»

Per quanto riguarda il pulire e spolverare raccontano:

Debora: «Ascoltami, di solito lo facciamo tutti e due, però ripeto, lui è quello che ci sta più attento, cioè io sono quella un po’ più tranquilla, se vedo due schizzi sullo specchio… ci possono anche stare»

Tommaso: «È il vivere da solo che ti forma tanto da questo punto di vista. Quando stai da solo ti precipita tutto addosso se non… se non ti rimbocchi le maniche… […] Poi bisogna considerare che io sono molto meno impegnato nel lavoro rispetto a Denise. Insegno lettere... il pomeriggio sono sempre libero, l'estate sono relativamente libero... quindi anche per questo...»

In alcune famiglie non c‟è apparentemente una divisione dei ruoli perché vale la regola secondo cui, se c‟è da fare qualcosa, se ne occupa chi si trova a casa in quel momento. In realtà poi ci sono sempre delle attività che gli uomini evitano di fare, come stirare, ed altre a cui possono dedicare momenti particolari, ma che non compiono nel quotidiano, come cucinare. Dunque l‟impressione generale è comunque quella di una diseguale

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ripartizione del lavoro domestico. A questo proposito si riporta un frammento di conversazione avuta con Angela e Mamo, adesso in pensione:

«Ora, ti ho detto, abbiamo questo aiuto in casa per cui siamo… ma fino a quattro- cinque anni fa eravamo io e lui. Quando si lavorava tutti e due non c’erano ruoli, non c’era distinzione. Chi c’era in casa faceva»

Però, chiedendo se i compiti di casa avevano una divisione particolare, rispondono:

Angela: «Certo, diglielo»

Mamo: «Non so stirare!»

Angela: «Bucato e sistemazione bucato era tua»

Mamo: «Si, anche spazzare per terra»

Angela: «Meno, lo facevo più io»

Mamo: «Rigovernare»

Angela: «In alternativa!»

Mamo: «Chi mi vuole prendere per pulire in casa sa che io non stiro!»

Angela: «Anche sullo spazzare direi che abbiamo delle discussioni su come si usa l’oggetto!»

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Mamo: «Io riesco a sopravvivere, però cucinare, cucina lei»

Angela: «La cucina come spazio concepito in una casa è legata più a me di quanto non sia lui, che non ha la passione della cucina. Questo non toglie che non abbia fatto il suo bravo dovere quando c’era bisogno»

Simili dinamiche si riscontrano tra Alba e Danilo: Alba infatti dice che la cucina è uno spazio vissuto in egual misura da entrambi, «di tutti e due, sì. Non ci sono ruoli... precisi qui dentro», ma in realtà è più lei a viverlo nella quotidianità, perché Danilo sta più fuori casa per motivi di lavoro. Come abbiamo visto nel capitolo precedente gli oggetti stessi segnalano chi prevalentemente frequenta uno spazio: in questo caso vediamo che le cose appese alle pareti sono state scelte da Alba, dalle stampe al ricamo con la lettera A. Per quanto riguarda le attività domestiche, c‟è una divisione dei compiti, però poi il grosso viene fatto da Alba:

«Diciamo che Daniele è addetto a stendere i panni ogni tanto, no, ogni spesso, vai! A svuotare la lavastoviglie e portare via la spazzatura, sì, sì»

Mentre spazzare, spolverare, stirare e pulire l‟argenteria spetta ad Alba, quando non c‟è la signora che la aiuta nelle faccende domestiche. Chi si dedica maggiormente alla preparazione quotidiana dei pasti è ancora lei, mentre al marito piace applicarsi in cucina per fare cose un po‟ più particolari, magari in occasione di cene in cui ci sono ospiti:

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Dunque la cucina può essere vissuta sia come luogo del lavoro e delle responsabilità, dove le routine quotidiane relative alla preparazione del cibo sono percepite come noiose e faticose, sia come luogo di svago dove poter compiere un‟attività creativa. Nella cucina di Giulia e Giampiero ci sono una serie di accessori e attrezzature, compresi vari piccoli elettrodomestici, che riflettono la passione di Giampiero per l‟arte culinaria, a cui Giulia invece non è interessata:

«Sì, sì, devo dire la verità, lui [la cucina] l’ha sfruttata molto più di me perché io arrivo… sono più per fare le cose banali banali. Cioè non mi… cioè capito? Poi mi vengono anche bene, però non ho la passione. Sì, non ho la passione, e non mi arrabbio se mi dicono che non è granché, perché lo riconosco, cioè non… non mi piace tanto cucinare. […] Elena (la figlia) cucina, e anche bene»

Avendo chiesto se le figlie danno una mano a cucinare quotidianamente, Giulia afferma:

«No, no, no, lei (Elena) è come il padre, non danno la mano. […]Diamine! Tutti i giorni cucino io! Loro si esibiscono! Diletta anche lei cucina, ma anche lei per sé, molto carine!»

Anche Franca, come Giulia, considera il cucinare prevalentemente un lavoro per la famiglia a metà tra sacrificio e piacere:

«Non sono una grande appassionata di cucina… se lo devo fare lo faccio… è la routine […] A volte mi piace anche cucinare… a volte!»

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Succede che chi si occupa tutti i giorni di fare le scorte, pensare a cosa preparare, cucinare e poi ripulire tutto, lo fa considerandosi “al servizio di un insieme generale di bisogni e preoccupazioni, al quale subordina i propri stessi desideri. Tipicamente, l‟unica volta che non prepara il pranzo o lo prepara con uno sforzo minimo è quando si trova a mangiare da sola” 160. La cucina è dunque una pratica quotidiana affine alla «cosmologia dello shopping» - inteso come fare la spesa - che per Daniel Miller è spesso «regolata dall‟amore», un tipo di amore «compatibile con il senso di responsabilità e di dovere», che talvolta «si accompagna anche al risentimento e all‟odio» 161

. Dunque per Miller esiste un‟aspettativa generale, secondo la quale coloro che fanno la spesa, e la stessa cosa vale per il cucinare, devono subordinare i propri desideri personali alle esigenze e ai desideri di altri. Dalle parole di Luciana si comprende che cercare di accontentare ogni giorno gli altri della famiglia può essere pesante:

«[La spesa] la faccio sempre io, e in effetti la cosa mi pesa più di tutto, e perché ogni volta dover scegliere e non essere mai soddisfatti gli altri […] sinceramente mi piacerebbe poter condividere la spesa, non dico la facesse un altro, condividere»

Dunque fare la spesa come atto di amore, di devozione, in cui si manifestano e si realizzano nella pratica le relazioni d‟amore. Naturalmente questo vale per tutta quella serie di attività che gravitano intorno al nutrire - pensare agli approvvigionamenti, preparare la tavola, cucinare i cibi - e alla cura domestica. Queste attività, che nel quotidiano prendono avvio dalla cucina, sono dunque pratiche che ci permettono di capire la complessità dei rapporti con gli altri, in particolare sottolineano il legame che

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Daniel Miller, Doni Alienabili e merci inalienabili, in Silvia Bernardi, Fabio Dei, Pietro Meloni (a cura di), La

materia del quotidiano, cit., p. 70.

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chi ne è responsabile - tipicamente una donna - ha nei confronti degli altri membri del nucleo familiare. Azioni, ancora una volta, cariche di significati simbolici.