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CAPITOLO 2 ANALISI DEL MODELLO DI SVILUPPO ECONOMICO ALBANESE, Il

2.1 Una breve panoramica sui modelli di sviluppo economico

2.1.1 Il modello Harrod – Domar

Nel capitolo precedente si è avuto modo di evidenziare che dopo gli anni novanta il primo governo pluralistico ha cercato fin da subito di eseguire un nuovo programma di sviluppo economico in collaborazione con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale il quale ha consigliato all’Albania di attuare il programma dell’aggiustamento strutturale ovvero un programma che consentiva la stabilizzazione dell’inflazione, la liberalizzazione del mercato e la privatizzazione dell’intera economia (Angjeli, 2007; Biberaj, 2011; Civici, 2014). Le istituzioni internazionali hanno consigliato in seguito consigliato di applicare all’Albania il modello di sviluppo economico di Harrod-Domar. Questo modello, anche se è stato applicato in diversi paesi dell’Africa e in Albania, è un modello che si occupa di problemi che possono sorgere nel mantenimento dello sviluppo una volta che esso si sia avviato e consolidato e soprattutto applicato nelle economie sviluppate (Easterly, 2010). Quando è stato applicato, si riteneva che la crescita economica dipendesse dalla quantità del lavoro e di capitale e che più investimento conduce a un’accumulazione del capitale, il quale genera lo sviluppo economico. Inoltre, il modello implica che la crescita economica dipende dalle politiche economiche che favoriscono l’investimento, l’aumento dei risparmi e l’utilizzo dell’investimento nel progresso tecnologico. Per capire bene questo modello, in seguito saranno dimostrati anche i vari passaggi fatti da Harrod e Domar per arrivare a queste conclusioni.

Harrod (1939) si domandava circa le difficoltà di autoregolazione del sistema economico. Lui partiva dal fatto che dato il:

Yt - la domanda aggregata al tempo t in cui il t= 0, 1, 2…

Kt lo stock di beni capitali al tempo t

S è la propensione al risparmio cioè il rapporto risparmio desiderato/reddito, il che si presuppone di essere constante.

v invece, indica la capacita produttiva.

Abbiamo poi che: It= Kt+1 - Kt inoltre indichiamo ora che: Y*t+1 la domanda attesa dalle imprese al tempo t per il tempo t+1 supponendo che: sYt= It e che la piena occupazione della capacità produttiva sia realizzata al tempo t e le imprese decidano il loro investimento sulla base degli incrementi attesi di domanda Y*t+1 - Yt in modo da

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adeguare la capacità produttiva futura, Kt+1/v alla domanda attesa: It= v(Y*t+1 -Yt). Se le imprese abbiano previsto esattamente la domanda futura, cioè: Y*t+1= Yt+1 allora si può dire che s/v = (Yt+1 - Yt)/Yt

Dove Yt= gy(t) supponendo inoltre che vi sia piena occupazione della capacità produttiva, gy(t) è anche il tasso di crescita del capitale: gk(t)= s/v

Keynes aveva evidenziato le difficoltà di avere un livello d’investimenti sufficiente a generare una domanda effettiva pari alla capacità produttiva esistente. La teoria keynesiana è costruita sull’ipotesi che lo stock di capitale e la capacità produttiva siano dati, pertanto era un’analisi di breve periodo. Domar (1941) parte proprio dal problema keynesiano secondo cui per ottenere la piena occupazione e la capacità produttiva occorre generare un investimento adeguato. Domar rileva che il ruolo dell’investimento è duplice: da un lato contribuisce a formare la domanda aggregata, occupandosi della capacità produttiva esistente, ma dall’altro aumenta poi la capacità produttiva stessa e tende a ripresentare in maniera continua nel futuro il problema keynesiano. Domar (1946) cerca di trovare un livello o un sentiero temporale dell’investimento in grado di mantenere costantemente la piena occupazione della capacità produttiva.

Dato: It= Kt+1 -Kt (1) si supponga ora che Yt= Kt/v (2) e Yt = It/s (3) cioè Yt è determinato dalla domanda effettiva e il livello degli investimenti quando e dato la propensione al risparmio. Detto ciò si può dire che giacché gli investimenti generano domanda effettiva, ma alimentano anche la crescita dello stock di capitale si può ottenere anche il futuro (t+1) il pieno utilizzo della capacità produttiva. Adesso partendo dall’equazione 1, equazione 2 e dall’equazione 2 pero in t+1 si può ottenere che It= Kt+1 –Kt= (Yt+1 -Yt)v dato pero che Yt = It/s si ha che s/v= (It+1-It)/ It= gI(t).

Domar giunge al risultato fondamentale che il tasso di crescita del prodotto e del capitale che occorre per avere permanentemente l’uguaglianza esatta tra domanda effettiva e capacità produttiva dovrebbe essere costante pari a s/v .

Tale tasso di crescita è anche il massimo tasso di crescita economicamente sostenibile perché implica l’assenza di sottoutilizzo della capacità produttiva.

La relazione s/v= gy che l’hanno in comune sia Harrod sia Domar è la relazione fondamentale del modello in questione.

Finora abbiamo spiegato il modello nel caso in cui le previsioni siano esatte, ma ovviamente spesso succede che le previsioni siano imperfette ovvero le singole imprese

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pensano di investire troppo mentre in realtà l’insieme delle imprese ha investito troppo poco generando poca domanda effettiva e spingendo verso il basso le sue attese e rallentando la crescita del capitale. Detto ciò si può anche aggiungere che il modello di Harrod segue un sentiero di crescita equilibrata però questo percorso spesso è instabile perché ogni scostamento da esso conduce sempre più lontano. Esistono molte correzioni o modifiche che potrebbero essere introdotte per ridurre l’instabilità di Harrod e renderlo più realistico ma grazie a questa instabilità si possono capire delle difficoltà di coordinare le decisioni per la politica economica oppure i provvedimenti individuali delle imprese sugli investimenti con gli effetti collettivi che tali decisioni comporteranno.

Fino ad ora abbiamo analizzato la situazione della piena occupazione e della capacità produttiva. Harrod però ha trattato nel suo modello anche la situazione della piena occupazione dal punto di vista della manodopera. Dove Nt è l’offerta di lavoro Ndt è la domanda di lavoro, Yt il prodotto per unità di lavoro quando esiste il vincolo di minimizzazione dei costi e yt è il tasso di crescita. La domanda di lavoro è data da: Ndt= Yt/yt la condizione di pieno impiego, deve essere in: Ndt= Nt portando così: Nt=

Yt/yt.

In conclusione si può affermare che questo è un modello adattato per spiegare la crescita economica, perché esso implicava che la crescita dipende dalla quantità di lavoro e di capitale. L’investimento conduce ad accumulazione di capitale la quale genera lo sviluppo economico. Per questo motivo questo modello aveva implicazioni per i paesi meno sviluppati (Ardeni, 1995 Easterly, 1997).

Detto ciò si può comunque aggiungere che questo modello viene criticato da diversi economisti (Musu, 1980; Boggio e Seravalli, 2003; Easterly, 1997, 2010). La sua critica basilare si rivolge alle ipotesi di sostegno che la crescita sia sufficiente per ottenere la piena occupazione. Tale ipotesi si basa sul fatto che il prezzo relativo del lavoro e del capitale sia fisso e che i due fattori si usino sempre in proporzioni uguali. Il modello spiega inoltre che un investitore è condizionato solamente dal livello dell’output, cosa ritenuta non vera ai giorni d’oggi e soprattutto per i paesi in via di sviluppo dove ci sono anche problemi di corruzione, sicurezza, logistica ecc.

Un investitore, prima di decidere di investire in un paese, non prende in considerazione soltanto il livello dell’output, ma anche una serie di variabili e una serie di

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caratteristiche che può avere un paese piuttosto che un altro. Queste variabili possono essere le dimensioni del mercato, il capitale umano specializzato, la reperibilità delle materie prime direttamente in loco, la distanza con il paese di origine e con la casa madre se si vuole sfruttare il basso costo del lavoro. Un investitore può scegliere un paese in cui investire anche per la tipologia di clientela presente in quel paese oppure ancora, la decisione di investire può derivare da motivi puramente sociali134.

2.2 I PROBLEMI DELL’IMPLEMENTAZIONE DEL MODELLO DI