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CAPITOLO 2 ANALISI DEL MODELLO DI SVILUPPO ECONOMICO ALBANESE, Il

2.3 Uno sguardo sulle teorie degli investimenti diretti esteri

In questo paragrafo proverò a delineare brevemente quali possono essere le ragioni che spingono le imprese a effettuare degli investimenti all’estero piuttosto che a optare per altre strategie di internazionalizzazione. Per fare questo cercherò in seguito di identificare le principali teorie sugli IDE per capire bene quali tipi d’investitori potrebbe attirare l’Albania, o meglio, cosa dovrebbe offrire un paese come l’Albania per attirare IDE. Tra le principali teorie che hanno avuto come oggetto di studio gli IDE e l’internazionalizzazione delle imprese, ritroviamo la teoria del ciclo di vita del prodotto che suddivide la vita di un prodotto in varie fasi all’interno delle quali può capitare che sia conveniente per l’impresa produrre all’estero quel prodotto141. Vernon descrive che i nuovi prodotti sono generalmente creati nei paesi sviluppati, ma nel momento in cui il processo è ormai maturo e standardizzato (ovvero nella fase di declino del ciclo), l’impresa spesso decide di produrre all’estero a costi minori, delocalizzando la produzione attraverso gli IDE in paesi a basso costo del lavoro (Vernon 1966). Questa parte della teoria trova riscontro nella realtà albanese e negli IDE effettuati dalle imprese, come quelle italiane che operano in settori tradizionali largamente standardizzati, quali il tessile e il settore calzaturiero. I paesi avanzati e ad alto reddito

governo vuole fare, serve almeno il triplo del valore di un bilancio annuale medio però la liquidità per comprare nastri adesivi per segnaletica ne aveva per dire dove si può costruire.

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La teoria del ciclo di vita del prodotto distingue le fasi attraverso le quali si realizza l'introduzione di un prodotto tecnologicamente nuovo sul mercato internazionale. Nella fase introduttiva, in cui è ancora presente il supporto della ricerca e della sperimentazione, i costi unitari, e quindi il prezzo, sono piuttosto alti, anche a causa delle spese per la pubblicità. Nella fase di sviluppo è realizzata la produzione standardizzata e la diffusione su larga scala, che porta alla diminuzione del prezzo del bene. In questo modo, aumenta la concorrenza e il produttore tende a cercare sbocchi sui mercati esteri, prima attraverso l'esportazione, poi, nel caso d’imprese multinazionali installando all'estero le proprie fabbriche allo scopo di ridurre i costi di produzione. Nella fase successiva, quella della maturità, il prodotto è ormai accessibile a tutti perché il processo produttivo è ormai completamente standardizzato; il produttore più competitivo sarà quello che riesce a produrre a costi unitari inferiori rispetto alle altre imprese del settore. Nella fase del declino, il prodotto risulta tecnologicamente superato ed è difficilmente commerciabile nei paesi industrializzati; l'unico mercato di espansione è dato dalla diffusione del prodotto nei paesi in via di sviluppo.

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procapite hanno la capacità di innovare e creare nuovi prodotti, hanno un mercato interno capace di essere il primo bacino di consumo e quindi successivamente esportano per allargare il mercato. Tuttavia, quando il bene è oramai diffuso e standardizzato, i paesi sviluppati preferiscono diventare importatori di tali prodotti che possono essere realizzati in paesi a più basso costo dei fattori: diverse imprese del genere hanno già de-localizzato una parte della produzione in Albania. Vernon negli ultimi tempi ha perso molta della sua valenza esplicativa perché non tiene in considerazione molti fenomeni che si sono verificati nella realtà economica negli ultimi decenni. In altre parole l’idea è quella dell’esistenza di vantaggi specifici derivanti dalle caratteristiche del paese ricevente gli IDE (location advantages): secondo Vernon (1966) la scarsità di capitali nei paesi meno sviluppati non impedisce investimenti in impianti per la produzione dei prodotti standardizzati.

Knickerbockers (1973) qualche anno più tardi sostenne che le imprese eseguono investimenti all’estero anche perseguire i rivali sui mercati esteri, specie nei mercati oligopolistici, con l’obiettivo di tenere il passo dei concorrenti. Questo comportamento imitativo, secondo Knickerbockers consente anche alle imprese di ottenere maggiori profitti tramite le economie di agglomerazione che si realizzano nel momento in cui molte imprese si concentrano in un determinato luogo (Knickerbockers, 1973).

Caves aggiungeva che le imprese seguono i loro rivali per questioni d’incertezza e per l’avversione al rischio (Caves, 1993).

Secondo la teoria neoclassica invece, un paese per essere attrattivo deve avere elevati tassi d’interesse e rendimenti alti del capitale investito: questo poteva trovare un riscontro in Albania per il fatto che è un paese con un basso costo di lavoro e un sistema fiscale incoraggiante per gli investimenti che insieme possono aiutare le imprese ad avere rendimenti molto alti del capitale investito. Tuttavia il Paese non ha osservato in quegli anni di transizione un fenomeno marcato di IDE in ingresso a causa dei già citati fenomeni di ristrettezza del mercato, incertezza e corruzione.

Secondo Hymer (1960, 1972) e Kindleberger (1969) un’impresa investe all’estero perché ci sono dei vantaggi nella concorrenza, la possibilità di sfruttare economie di scala oppure vantaggi specifici o la possibilità di aggirare le restrizioni al commercio imposte dal governo estero in cui vengono attuate gli IDE. Quanto detto da Hymer e Kindleberger trova un riscontro solamente parziale con la realtà albanese per il fatto che

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nel 2000 l’Albania entrò a far parte della WTO e nel 2006 firmò l’accordo per diventare membro della CEFTA: tali importanti accordi hanno di fatto sancito l’apertura totale delle barriere commerciali e il libero scambio.

Dunning (1977), tramite il suo approccio OLI (Ownrtship, Location, Internalisation), indica che un’impresa, per eseguire un investimento diretto, deve avere tre ordini di vantaggi: vantaggi del diritto di proprietà, vantaggi legati alle caratteristiche del paese in cui localizzare e vantaggi d’internazionalizzazione cioè quei vantaggi che derivano dall’acquisizione dell’impresa fornitrice ovvero dalle fasi produttive a monte e a valle che precedentemente erano svolte da imprese estere.

Facendo riferimento principalmente ai vantaggi di proprietà e di localizzazione, Helpman (1984) indica che una multinazionale investe in un paese estero se ci sono differenze nella dotazione relativa di fattori sotto l’assunzione che i costi di trasporto siano nulli.

Krugman invece (1985, 1998), tramite le teorie del commercio internazionale e la specializzazione produttiva, identifica che non sono solo i fattori esogeni, quali la diversa dotazione di fattori produttivi, che spingono le imprese a investire all’estero ma anche i fattori dinamici endogeni legati ai rendimenti di scala crescenti che possono essere sia interne, ovvero dentro l’impianto produttivo, sia economie di scale esterne all’impresa determinati da effetti di spillover. I due approcci sopra elencati hanno dei limiti perché possono spiegare bene gli IDE di tipo “verticale” (delocalizzazione di stadi di produzione a monte e a valle) avvantaggiandosi delle differenze nel costo dei fattori produttivi come avvenuto in Albania negli ultimi anni ma non possono spiegare gli IDE del tipo “orizzontale” (delocalizzazione di una stessa fase dell’attività produttiva). Buckley e Casson hanno invece un riscontro più ampio con la realtà degli IDE in Albania. Essi spiegano i vantaggi location specific (sia di natura economica, che socio-culturale e politica) che in Albania sono indubbiamente presenti: basso costo degli input in senso lato, vicinanza culturale con l’Italia142, varie forme d’incentivo all’investimento (Buckley; Casson, 1976). Le imprese italiane coinvolgono sempre più spesso nel processo produttivo anche unità produttive locali; anche per il fatto che essendo solitamente piccole e medie imprese, spesso non hanno la capacità economica di acquistare le imprese locali per internazionalizzare i costi di transazione.

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A livello microeconomico invece, la nuova teoria che meglio spiega gli investimenti in