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Modello riparativo e teorie della pena

2. La giustizia riparativa tra istanze di tutela della vittima e teo-

2.2. Modello riparativo e teorie della pena

Il modello riparativo di giustizia penale è stato contrapposto anche

in Italia, da una parte della dottrina criminologica, a quello retributivo

ed a quello riabilitativo

158

.

Tale netta cesura non appare tuttavia necessaria. Come è stato preci-

sato, gli strumenti della giustizia riparativa sono stati utilizzati in diver-

si contesti che nel complesso sono rimasti ancorati ai propri originari

presupposti retributivi e/o riabilitativi

159

.

Più fertile appare così una riflessione

160

che cerchi innanzitutto di dia-

logare con le teorie fondanti la retribuzione e la prevenzione

161

, dal mo-

mento che svolgono un ruolo determinante le questioni attinenti alle fun-

zioni della pena

162

.

158 M. P

AVARINI, Il “grottesco” della penologia contemporanea, cit., 291; C. BRUT- TI, R. BRUTTI, Sul testo di Giovanni Rossi, in ID. (a cura di), Mediazione, conciliazione

e riparazione, cit., 68; S. VEZZADINI, La vittima di reato tra negazione e riconoscimen-

to, cit., 150 ss.

159 S. C

IAPPI, A. COLUCCIA, Giustizia criminale, cit., 103 ss.; F. VIANELLO, Media-

zione penale e diritto tra informalità e formalizzazione, cit., 134.

160 Va peraltro tenuto fermo, come rileva M. D

ONINI, Per una concezione post-ripa-

ratoria della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, 1167, che il momento afflittivo può

essere diversamente “strumentalizzato” con il mutare delle più generali concezioni della società e dello Stato, perché “la spiegazione della pena è fondamentalmente politica”.

161 Come rileva Roxin, bisogna tuttavia astenersi da un’analisi superficiale dei tradi-

zionali fini della pena, tenendo conto del ruolo della vittima nel sistema penale: C. ROXIN,

Risarcimento del danno e fini della pena, cit., 8 s.

162 Vista la generale tendenza dei diversi autori analizzati a sovrapporre i piani, uti-

lizzeremo in questo contesto, così come nell’uso più comune, i termini “funzione” e “scopo” in modo equivalente – salve eventuali ulteriori distinzioni che sono state opera- te in dottrina – riferendoci alle “teorie della pena”, fin dal titolo, come comprensive anche di eventuali “dottrine di giustificazione”. Per un’articolata distinzione tra teorie e spiegazioni (risposte alle questioni sulle motivazioni giuridiche delle pene e a quelle sulle funzioni da queste di fatto svolte)/dottrine assiologiche o di giustificazione (rispo- ste alle questioni etico-filosofiche sullo scopo che il diritto penale e le pene devono o dovrebbero perseguire) si rinvia invece a L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del

garantismo penale, cit., 314 ss. Cfr., per un’analisi critica delle diverse funzioni della

pena, W. HASSEMER, Perché punire è necessario. Difesa del diritto penale, cit., 57 ss.,

nonché F. CAVALLA, La pena come riparazione, cit., 6 ss. Egli (pag. 54), riprendendo la

Se la pena viene descritta unicamente come “imperativo categorico au-

tolegittimantesi”, di matrice kantiana

163

, la valorizzazione di scopi e mo-

menti riparatori o compensatori si pone in contrasto con la sua pretesa di

assolutezza

164

ed inderogabilità e non può essere generalmente tollerata

165

.

na, come possibilità di fondare la pena su di un principio universale, da quello della funzione, quale mera possibilità di connettere descrittivamente, alla presenza della pe- na, delle conseguenze auspicabili. Nella dottrina contemporanea, infatti, sembra preva- lere questo secondo approccio. Come rileva F. ZANUSO, La concezione retributiva fra

modernità e postmodernità, cit., 161 ss., le tradizionali concezioni del fine della sanzio-

ne penale sono in crisi nella loro versione moderna, perché private del sostrato ideolo- gico su cui si fondavano, ma vengono apprezzate in una veste postmoderna: se non possono più giustificare in senso forte la sanzione penale, sono comunque degli scopi pratici ritenuti generalmente utili. Cfr., altresì, A. MENGHINI, Le sanzioni penali a con-

tenuto interdittivo. Una prospettiva de iure condendo, Torino, Giappichelli, 2008,

22 ss., che parla correttamente di “andamento sinusoidale” con riferimento alla storia delle dottrine relative agli scopi della pena; nonché, L. FERRAJOLI, Diritto e ragione.

Teoria del garantismo penale, cit., 239 ss. e M. ROMANO, Commentario sistematico del

codice penale, III ed., Milano, Giuffrè, 2004, vol. 1, 13 ss. Per una riflessione di base

sulle diverse teorie della pena, nell’ambito della produzione manualistica: G. MARINUC- CI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, V ed., Milano, Giuffrè, 2015, 3 ss.; D. PULI- TANÒ, Diritto penale, cit., 49 ss.; G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte gene-

rale, cit., 731 ss., anche per l’analisi delle fasi evolutive del sistema sanzionatorio al-

l’interno del nostro ordinamento positivo.

163 Come illustra G.V. D

E FRANCESCO, La prevenzione generale tra normatività ed

empiria, in AA.VV., Scritti in onore di Alfonso M. Stile, Napoli, Ed. Scientifica, 2013,

77, persino la filosofia penale di Kant è sottoposta a rivisitazioni in chiave finalistica, che, in alcuni passaggi della Metafisica dei costumi, vedono univocamente riconosciuta alla legge penale la finalità generalpreventiva (ne peccetur) di distogliere i consociati dalla commissione di reati.

164 Anche in senso etimologico: absoluta è da intendersi come “sciolta da finalità

ulteriori”. D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 15, 50 s.: la pena retributiva è fondata su

una pura idea di giustizia fine a se stessa. Egli ne coglie le radici effettive nella vendet- ta, originariamente attuata dall’offeso e dal suo clan e poi, ad uno stadio sufficiente- mente evoluto di organizzazione politica, regolata da un’autorità superiore, capace di porre regole e sanzionarne la violazione, nonché di imporsi all’offensore ed all’offeso. L’idea della giusta retribuzione ha attraversato per secoli la civiltà occidentale ed è storicamente agganciata, secondo l’Autore, “a concezioni della giustizia che traggono pretesa d’assolutezza dall’aggancio alla religione o a un mondo di valori etici conside- rati indiscutibili”.

Sebbene si riscontrino posizioni che, di fronte alla crisi delle teorie

relative ed in particolare dell’idea rieducativa, fanno proprie insisten-

temente le istanze del pensiero retributivo

166

, alla dottrina dominante

appaiono sostanzialmente insuperate le argomentazioni a favore di una

rilettura della retribuzione da funzione autonoma a mero, almeno auspi-

165 D. K

RAUSS, La vittima del reato nel processo penale, cit., 286; F. GIUNTA, Inte-

ressi privati e deflazione penale nell’uso della querela, cit., 118; M. MENNA, Mediazio-

ne penale e modelli processuali, in Dir. pen. proc., 2006, 270; F. MANTOVANI, Diritto

penale, cit., 227; A. MANNA, La vittima del reato, cit., 960; C. ROXIN, Risarcimento del

danno e fini della pena, cit., 8; ID., La posizione della vittima nel sistema penale, in

Indice pen., 1989, 10; S. MOCCIA, Mediazione, funzioni della pena e principi del pro-

cesso, in Critica dir., 2004, 345. Per un’analisi attenta del pensiero kantiano, anche alla

luce delle riletture postmoderne, cfr. F. ZANUSO, Il malessere utilitaristico e l’“antido-

to” kantiano, in F. ZANUSO, S. FUSELLI (a cura di), Ripensare la pena. Teorie e proble-

mi nella riflessione moderna, Padova, Cedam, 2004, 141 ss. Criticamente L. EUSEBI,

Profili della finalità conciliativa nel diritto penale, in E. DOLCINI, C.E. PALIERO (a cura

di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, cit., vol. II, 1113, afferma: “La pena giusta in

sé, cioè giusta “a prescindere”, non esiste, e non solo per l’indeterminatezza quantitati-

va della simmetria fra entità, il reato e la pena, intrinsecamente disomogenee”.

166 Solo questo, infatti, sarebbe in armonia con una visione rigorosa della libertà e

della dignità umana e con il principio per il quale l’uomo non deve essere trattato come mezzo al servizio dei fini di un altro. Cfr. F. CAVALLA, La pena come riparazione, cit.,

53; M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., 134 ss. Cfr. quindi R. LI VEC- CHI, La pena è necessaria, utile ed efficace? Il grande dilemma del diritto penale, in

Riv. Pen., 1991, 11 ss. e V. MATHIEU, Perché punire?, Macerata, Liberilibri, 2007, 170:

lo scopo della sofferenza della pena “è di ristabilire l’equilibrio e di tornare a rendere degno il soggetto di appartenere al sistema della libertà”. In questo senso può leggersi anche il pensiero di J.L. GUZMÁN DALBORA, Pena e misure di sicurezza. Profili concet-

tuali, storici e comparatistici, ed. it. a cura di G. Fornasari ed E. Corn, Trento, Univer-

sità degli Studi di Trento, 2009, 69 s. F. ZANUSO, La concezione retributiva fra moder-

nità e postmodernità, cit., 121 ss. si sofferma in dettaglio sul neoretribuzionismo, quale

rinnovata versione postmoderna delle tesi retribuzionistiche, ed in particolare sulla dottrina del just desert di Norval Morris, in cui tuttavia l’idea retributiva acquista un valore non di fondazione ma di limitazione della sanzione penale. Come invece rileva D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 62, tutte le teorie della pena sono aperte sia a sviluppi

di rigore che di mitigazione del rigore punitivo. G.V. DE FRANCESCO, La prevenzione

generale tra normatività ed empiria, cit., 22 ss., descrive la concezione di Günther Ja-

kobs sulla pena come una teoria assoluta, retributiva, visto che la pena non ha scopi ulteriori ma esaurisce il suo scopo in se stessa, nonostante l’Autore tedesco abbia utiliz- zato per lungo tempo il termine “prevenzione generale”.

cabile, criterio regolatore, di delimitazione o di “misura” nella propor-

zionalità tra pena e colpevolezza per il fatto di reato, o tra pena e misura

dell’illecito e della colpevolezza

167

.

Una parte della scienza giuridica, anche italiana, ritiene infatti che

l’idea retributiva si limiti ad appagare l’esigenza personalistica in un

modo “prevalentemente astratto”

168

e perviene addirittura a descrivere il

retribuzionismo assoluto come incompatibile con la struttura attuale del

167 F. B

RICOLA, La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista, in Foro

it., 1985, V, 1 ss.; ID., Tecniche di tutela penale e tecniche alternative di tutela (1984),

in ID., Scritti di diritto penale, a cura di S. Canestrari, A. Melchionda, Milano, Giuffrè,

1997, vol. I, tomo II, 1515 ss.; A. TOSCANO, La funzione della pena e le garanzie dei

diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 2012, 44; M. DONINI, Non punibilità e idea nego-

ziale, in Ind. pen., 2001, 1060, nt. 61. È questa la variante garantista dell’idea retributi-

va, come la definisce D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 53, che si esprime in un’esigen-

za di proporzione, di giusta misura, poiché il fine non giustifica i mezzi (31). F. CAVAL- LA, La pena come riparazione, cit., 77, descrivendo la concezione di Ferrajoli, precisa

che egli valorizza il criterio retributivo per mantenere la punizione nella quantità minima e così prevenire sia la “ragion fattasi” che le manifestazioni di violenza dello stato, che si incarica di punire per evitare la reazione del privato. F. PALAZZO, Corso di diritto penale,

VI ed., Torino, Giappichelli, 2016, 23 ss., descrive il principio di colpevolezza e di pro- porzione come due principi fondamentali che pervadono il sistema penale, ma traggono origine dall’idea retributiva. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale,

cit., 739 s. ritengono invece che l’esigenza di proporzione tra fatto e sanzione si possa soddisfare senza necessità di recupero della vecchia concezione retributiva, attraverso la valorizzazione dell’avvenuto inserimento della rieducazione nella prospettiva del diritto penale del fatto, come desumibile dalla normativa costituzionale. C. ROXIN, Con-

siderazioni di politica criminale sul principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen.,

1980, 369 ss., criticando fermamente la teoria della retribuzione, ravvisa direttamente nel principio di colpevolezza il limite della pena orientata a fini preventivi: egli separa il concetto di colpevolezza dal principio retributivo. Cfr. altresì W. HASSEMER, Perché

punire è necessario. Difesa del diritto penale, cit., 75; G.V. DE FRANCESCO, La preven-

zione generale tra normatività ed empiria, cit., 47 ss., che parla della prevenzione gene-

rale positiva e delle concezioni per le quali essa va limitata in forza di un criterio ester- no, da prendere in prestito presso le teorie assolute della pena; A. MENGHINI, Le sanzio-

ni penali a contenuto interdittivo, cit., 28; M. DONINI, Le logiche del pentimento e del

perdono nel sistema penale vigente, in D. BRUNELLI (a cura di), Studi in onore di Fran-

co Coppi, Torino, Giappichelli, 2011, vol. II, 906; T. PADOVANI, Diritto penale, cit.,

319 (proporzione tra pena e colpevolezza).

168 F. P

diritto penale

169

. Se si può ritenere che ancora permanga nella coscienza

collettiva l’ideale classico del codice-decalogo, al quale corrisponde

una pena proporzionata al rango dei valori offesi ed alla colpevolezza

individuale

170

e quindi una concezione del reato al quale la pena deve

necessariamente conseguire, un tale paradigma è stato chiaramente

sconfessato “per varie ragioni da un modello di codice (o di legge) co-

me programma di politica criminale”

171

.

Ponendo al centro della riflessione la prevenzione di futuri reati, so-

prattutto in una prospettiva positiva, le teorie relative

172

hanno consenti-

to di guardare ai paradigmi riparativi in termini più incoraggianti.

169 A. M

ANNA, La vittima del reato, cit., 984. In un diverso contributo, egli parla di

“crisi della concezione retributiva della pena”, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, quando “inizia ad affermarsi una funzione della pena che non si legittima in sé, ma che si giustifica solo se è orientata ad uno scopo”: A. MANNA, Risarcimento del danno,

offensività ed irrilevanza penale del fatto: rapporti ed intersezioni, cit., 383. Nello stes-

so senso C. ROXIN, Risarcimento del danno e fini della pena, cit., 15 afferma che la

teoria retributiva non è più sostenuta, “né, in uno stato moderno – per il quale la pena è uno strumento della politica sociale – potrebbe più esserlo”.

170 M. D

ONINI, Il delitto riparato, cit., 3, sottolinea come una giustizia retrospettiva

si accontenti di misurare la colpevolezza e, insieme ad essa, di parametrare i valori che il reato ha sacrificato con la libertà del responsabile: “due misurazioni scientificamente impossibili per disomogeneità dei valori e per inattingibilità dell’anima”.

171 M. D

ONINI, Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale vigente,

cit., 902.

172 W. H

ASSEMER, La prevenzione nel diritto penale, in Dei delitti e delle pene,

1986, 428, parla di “orientamento relativo alle conseguenze esterne”. M. DONINI, Le lo-

giche del pentimento e del perdono nel sistema penale vigente, cit., 900 ss., descrive un

innesto di logiche utilitaristiche nella cultura penale, che impongono all’interprete e al giudice di guardare al futuro. F. BRICOLA, Tecniche di tutela penale e tecniche alterna-

tive di tutela (1984), cit., 1524, definisce la prevenzione generale e quella speciale me-

diante intimidazione “funzioni logiche e coessenziali alla sanzione penale”. Le teorie relative sono state valorizzate ampiamente nell’esperienza contemporanea in adesione ad una concezione polifunzionale della pena – che in Italia ha ottenuto anche riconosci- mento da parte della giurisprudenza costituzionale, sulla scorta dell’art. 27 c. 3 della Costituzione, dopo un periodo in cui la prevenzione speciale come rieducazione era sta- ta relegata a scopo meramente eventuale – almeno distinta per stadi. Come rileva D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 59 ss., la Costituzione italiana dedica alla rieducazio-

ne l’unico riferimento diretto ed esplicito alle funzioni della pena. Essa però non può essere assunta a fondamento o giustificazione generale delle istituzioni penali. Solo do-

ve altre ragioni o necessità fanno sorgere il problema del ricorso al diritto penale, entra in gioco l’idea della rieducazione attraverso la pena, la quale – in ogni caso – non può significare “educazione coatta al bene, né predicazione di valori, né tanto meno lavag- gio del cervello”, quanto invece, più semplicemente, “offerta di chances di recupero al- la persona che ha commesso il reato, per quanto grave possa essere”. Cfr. anche G. FRI- GO, La funzione rieducativa della pena nella giurisprudenza costituzionale, in A. CA- LORE, A. SCIUMÈ (a cura di), La funzione della pena in prospettiva storica e attuale,

Milano, Giuffrè, 2013, 183 ss. A. MENGHINI, Le sanzioni penali a contenuto interditti-

vo, cit., 22 ss., precisa che la proclamazione esplicita della sola finalità specialpreventi-

va non è stata accompagnata da una chiara definizione dei suoi contenuti. Sulla “poli- funzionalità”, cfr. M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, cit., vol. 1,

16 s. (che parla di teorie miste, pluridimensionali o plurifunzionali) e F. PALAZZO, Cor-

so di diritto penale, cit., 36 ss., che si sofferma anche sull’evoluzione della giurispru-

denza costituzionale in materia, ricordando, in particolare, la sentenza n. 306/1993 (in

http://www.giurcost.org/decisioni/1993/0306s-93.html): “Va innanzitutto ribadito, al ri-

guardo, che tra le finalità che la Costituzione assegna alla pena – da un lato, quella di prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittività e retributivi- tà, e, dall’altro, quelle di prevenzione speciale e di rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilità della pena in funzione dell’obiettivo di risocializzazio- ne del reo – non può stabilirsi a priori una gerarchia statica ed assoluta che valga una volta per tutte ed in ogni condizione (cfr. sentenza n. 282 del 1989). Il legislatore può cioè – nei limiti della ragionevolezza – far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l’una o l’altra finalità della pena, ma a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata”. G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale, cit., 9 ss. distinguono lo stadio

della minaccia legislativa – in cui il ricorso alla pena da parte del legislatore si legittima in chiave di prevenzione generale, nei limiti della rieducazione (e cioè in modo che il tipo e la misura della pena minacciata dal legislatore non rendano impossibile, nello stadio dell’inflizione e soprattutto in quello dell’esecuzione, l’opera di rieducazione del condannato), a tutela proporzionata e sussidiaria di beni giuridici contro offese inferte colpevolmente – da quello giudiziale – in cui lo scopo che deve orientare le scelte del giudice nella commisurazione della pena è quello della prevenzione speciale con il limite invalicabile segnato dalla colpevolezza, ma si può cogliere un fondamento giusti- ficativo nelle esigenze di prevenzione generale negativa e positiva – nonché da quello, infine, dell’esecuzione della pena, dove il fondamento giustificativo è il medesimo della fase giudiziale ma la finalità è esclusivamente di prevenzione speciale (rieducazione, non coattiva, che può cedere il passo alla neutralizzazione qualora il condannato non sia suscettibile di essere reinserito nella società, nè appaia sensibile agli effetti di intimida- zione-ammonimento della pena); sostanzialmente nello stesso senso: T. PADOVANI, Di-

ritto penale, cit., 317 ss. Cfr., altresì, G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte ge-

nerale, cit., 738 ss., che riconoscono alla rieducazione, in una dimensione intersoggetti-

Nel momento in cui la punizione deve tendere alla rieducazione del

reo, “ci si rende conto che il sistema punitivo ha come scopo ultimo

quello di garantire una pace sociale inclusiva mediante il rafforzamento

dei legami anche interpersonali”

173

.

Gran parte della dottrina contemporanea

174

si mostra critica e disil-

lusa, proprio di fronte alla sanzione penale tradizionale

175

. Spesso pre-

scindendo dal problema della giustificazione, si chiede se ed in che mi-

sura essa, come è stata fino ad ora concepita, sia in grado di raggiunge-

re le finalità preventive a cui aspira l’ordinamento giuridico e che sono

state in qualche misura inserite nei programmi politico-criminali

176

.

l’autonomia morale dell’individuo, un ruolo primario nelle fasi dell’esecuzione e della commisurazione giudiziale, ma non nella fase della minaccia, in cui l’obiettivo perse- guito è quello della prevenzione generale. Come precisa F. CAVALLA, La pena come ri-

parazione, cit., 63: “considerando l’esperienza contemporanea, non è il caso di esaspe-

rare la distinzione tra i tre concetti relativi allo scopo della pena”, mentre secondo F. MANTOVANI, Diritto penale, cit., 722, “in base a nessuna singola teoria è possibile

spiegare, infatti, la moderna complessità della pena”. Per una valorizzazione dei rappor- ti tra riparazione e finalità preventive cfr. F. GIUNTA, Oltre la logica della punizione,

cit., 345 e A. MANNA, Risarcimento del danno fra diritto civile e diritto penale, in Indi-

ce pen., 1991, 591.

173 R. B

ARTOLI, Il diritto penale tra vendetta e riparazione, cit., 107.

174 Cfr. F. B

RICOLA, La riscoperta delle “pene private” nell’ottica del penalista,

cit., 1 ss. Come rileva D. PULITANÒ, Diritto penale, cit., 62, “il pensiero politico e giu-

ridico moderno è fortemente orientato verso concezioni finalistiche […], il diritto pena- le non può legittimamente pretendere di essere invece l’espressione di una giustizia assoluta”.

175 G. M

ANNOZZI, La giustizia senza spada, cit., 22; F. MANTOVANI, La “perenne

crisi” e la “perenne vitalità” della pena. E la “crisi di solitudine” del diritto penale, in

E. DOLCINI, C.E. PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, cit., vol. II,

1171 ss.; A. MANNA, La vittima del reato, cit., 981. Si tratta naturalmente della dottrina

che ha superato l’idea dell’istanza retributiva come fondamento autosufficiente o giusti- ficazione del potere di punire ed individuato in essa un criterio regolatore nel quadro di un discorso sulle funzioni della pena che tende a ridurre la propria carica etica ed a laicizzarsi.

176 M. S

BRICCOLI, Giustizia criminale (2002), cit., 42; G. ROSSI, La riparazione nel-

l’ordinamento penale italiano, cit., 16. Sulla centralità della prevenzione nella teoria del-

la pena e del diritto penale come diritto di scopo, senza che si riscontri alcuna contrap- posizione con la finalità retributiva cfr. il sempre importante contributo di F. V. LISZT, La

Proprio perché la pena non è un valore in sé, se il diritto penale deve

fungere da strumento di prevenzione di comportamenti indesiderati e ci