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In particolare: la mediazione penale

2. Forme e pratiche della giustizia riparativa

2.2. In particolare: la mediazione penale

La mediazione penale (victim-offender mediation), quale modello

consensuale di gestione dei conflitti, è indubbiamente la più diffusa e

studiata forma di giustizia riparativa. Essa tende ad essere identificata, a

volte, con la restorative justice stessa

143

.

Di fronte ad una certa confusione terminologica che si è riscontrata

nella prassi, nel momento in cui tale pratica si è affermata anche in am-

bito europeo, l’attenzione degli studiosi è stata rivolta alla ricerca di

una sua compiuta definizione, che secondo la dottrina maggioritaria è

stata ritrovata nel:

141 F. R

EGGIO, Giustizia dialogica, cit., 39 s.

142 A. W

OOLFORD, The Politics of Restorative Justice. A Critical Introduction, cit.,

64; R. CARIO, Justice restaurative, cit., 84.

143 M.S. U

MBREIT, R.B. COATES, B. VOS, The Practice of Victim Offender Media-

tion: A Look at the Evidence, in S.G. SHOHAM, O. BECK, M. KETT (ed. by), Interna-

tional Handbook of Penology and Criminal Justice, Boca Raton, London, New York,

CRC Press, Taylor & Francis Group, 2008, 692; L. KURKI, Evaluating Restorative Jus-

tice Practices, cit., 294; D. CERTOSINO, Mediazione e giustizia penale, cit., 63; D. SPEN- CER, M. BROGAN, Mediation Law and Practice, Cambridge, Cambridge Univ. Press,

2006, 150; A. CIAVOLA, Il contributo della giustizia consensuale e riparativa all’effi-

cienza dei modelli di giurisdizione, cit., 50; T. GAVRIELIDES, Restorative Justice Theory

and Practice, cit., 31; A. WOOLFORD, The Politics of Restorative Justice. A Critical In-

troduction, cit., 58; M.S. UMBREIT, A. WARNER ROBERTS, La mediazione penale: valu-

tazione dei centri di Coventry e Leeds, cit., 63, la definiscono: “una delle più importanti

espressioni della giustizia riparativa”. Come precisa G. MANNOZZI, La mediazione nel-

l’ordinamento giuridico italiano: uno sguardo d’insieme, in ID. (a cura di), Mediazione

e diritto penale, Milano, Giuffrè, 2004, 6 ss., il termine “mediazione” va distinto dal

termine “conciliazione”. Con quest’ultimo ci si riferisce, soprattutto nel diritto privato, ad un fenomeno che rinvia ad una vasta gamma di istituti: la conciliazione giudiziale, quale forma idealtipica di definizione della controversia all’interno del processo, e le varie forme di conciliazione esterna al processo, su base contrattuale, più o meno arti- colata (transazione ed arbitrato).

processo, il più delle volte formale, attraverso il quale una terza persona

neutrale tenta, attraverso l’organizzazione di scambi tra le parti, di per-

mettere loro di confrontare i propri punti di vista e di cercare, con il suo

aiuto, una soluzione al conflitto che li contrappone

144

.

Cogliamo anche nelle parole di Ceretti l’influenza di tale nozione,

quando si riferisce ad “un’attività in cui una parte terza e neutrale aiuta

due o più soggetti a capire il motore, l’origine di un conflitto che li op-

pone, a confrontare i propri punti di vista e a trovare soluzioni”, che,

come egli precisa, hanno la forma di una “riparazione simbolica, prima

ancora che materiale”

145

.

Più concentrata sugli effetti del conflitto e sulla riorganizzazione

delle relazioni, ma per il resto non rivoluzionaria, è invece la definizio-

ne della mediazione come “processo attraverso il quale due o più parti

si rivolgono liberamente a un terzo neutrale, il mediatore, per ridurre gli

effetti indesiderabili di un grave conflitto”. Essa, infatti, “non mira al-

l’accertamento di un fatto”

146

, ma mira a ristabilire il dialogo tra le parti

“per poter raggiungere un obiettivo concreto: la realizzazione di un

progetto di riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile

soddisfacente per tutti”

147

. In altri termini:

144 J.P. B

ONAFÉ-SCHMITT, La médiation: une justice douce, Paris, Syros Alterna-

tives, 1992, 16 s.; ID., Una, tante mediazioni dei conflitti, cit., 36. Ripropongono tale

definizione, tra gli altri, M. BOUCHARD, La mediazione: una terza via per la giustizia

penale?, in Quest. Giust., 1992, n. 3-4, 770 ss.; G.V. PISAPIA, La scommessa della me-

diazione, in G.V. PISAPIA, D. ANTONUCCI (a cura di), La sfida della mediazione, cit., 4.

Cfr., altresì, per un inquadramento generale: F. VIANELLO, Mediazione penale e diritto

tra informalità e formalizzazione, cit., 141.

145 A. C

ERETTI, Progetto per un ufficio di mediazione penale presso il Tribunale per

i minorenni di Milano, cit., 91; A. ROIATI, Diritto penale minimo e mediazione penale,

cit., 1049, utilizza invece una formula molto ampia (“subprocedimento capace di inci- dere sull’esito giudiziario”), rilevando che all’interprete è preclusa la possibilità di ad- divenire ad una definizione realmente esaustiva.

146 S. M

OCCIA, Mediazione, funzioni della pena e principi del processo, cit., 344.

147 S. C

ASTELLI, La mediazione. Teorie e tecniche, Milano, Cortina Ed., 1996, 5. Il

profilo degli effetti e dei danni provocati dalla situazione conflittuale, come materia di mediazione, è valorizzato anche da A. CERETTI, Progetto per un ufficio di mediazione

la mediazione non agisce tanto sul terreno dei diritti, confermandone o

meno l’esistenza e identificandone i tratti caratterizzanti e il confine

preciso, quanto sullo scenario più complesso e frastagliato – poiché

denso di implicazioni anche personali e psicologiche – delle esigenze e

aspirazioni delle parti

148

.

Schematicamente, si parla di “attività procedimentata”, strumentale

al risultato intermedio della “riparazione”, che è a sua volta “strumenta-

le all’obiettivo finale: la conciliazione”

149

.

Non si può parlare di mediazione senza parlare di relazione e, citan-

do le parole del filosofo Martin Buber, “chi è nella relazione è parte di

una realtà, cioè di un essere che non è semplicemente in lui, né sempli-

cemente fuori di lui”

150

.

La prospettiva temporale della mediazione è, così, naturalmente del

tutto diversa da quella propria del giudizio.

Potrebbe correttamente parlarsi di una sospensione, in cui non ci so-

no termini o scadenze e le parti sono chiamate a collocare nel passato i

fatti narrati, ricostruendo le coordinate del tempo. Esso è una “dimen-

sione comune”, che lascia lo spazio in concreto alle possibilità future.

La memoria assume “un significato prospettico”, dove si colloca la

considerazione delle conseguenze delle decisioni e delle azioni, in vista

di una decisione futura

151

.

Allo stesso modo, anche la dimensione dello spazio è peculiare. Se,

infatti, nel processo le parti sperimentano una distanza mediata dal di-

ritto, nella mediazione questa viene annullata e le parti condividono uno

spazio comune

152

.

148 F. D

ANOVI, F. FERRARIS, La cultura della mediazione e la mediazione come cul-

tura, Milano, Giuffrè, 2013, 3.

149 C.E. P

ALIERO, La mediazione penale tra finalità riconciliative ed esigenze di

giustizia, cit., 113.

150 M. B

UBER, Il principio dialogico e altri saggi. Edizione italiana a cura di Andrea

Poma, Milano, Ed. San Paolo, 1993, 103.

151 M.A. F

ODDAI, Mediazione e giudizio: due nozioni di responsabilità, in ID. (a cu-

ra di), La scelta della mediazione: itinerari ed esperienze a confronto, cit., 71.

152 M.A. F

Come è stato precisato, “la mediazione è un fenomeno plurale”

153

: la

varietà delle esperienze in materia dimostra che esistono diverse media-

zioni.

Anche per quanto riguarda la materia penale

154

, se di norma la giu-

stizia è orientata staticamente ad accertare i fatti di reato accaduti, a

stabilire le responsabilità e ad irrogare pene, la mediazione rappresenta

un processo dinamico, incentrato sull’incontro tra la vittima e l’autore

del fatto (o apparentemente tali sul piano oggettivo), che si inserisce al-

l’interno della situazione concreta, creatasi con il reato, per far emerge-

re una verità “soggettiva” spesso complessa, che è ancora in corso ed i

cui termini si definiscono progressivamente.

La definizione offerta dalla Raccomandazione No. R. (99)19 del

Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, concernente la media-

zione in materia penale, costituisce un punto di riferimento fondamen-

tale, anche se presenta molti aspetti in comune con quanto descritto per

la mediazione in generale: essa è un

procedimento che permette alla vittima ed al reo di partecipare attiva-

mente, se lo consentono con libertà, alla soluzione dei problemi che il

reato ha comportato, con l’aiuto di un terzo imparziale, il mediatore

155

.

153 J.P. B

ONAFÉ-SCHMITT, Una, tante mediazioni dei conflitti, cit., 48; L. PICOTTI,

La mediazione nel sistema penale minorile: spunti per una sintesi, in ID. (a cura di), La

mediazione nel sistema penale minorile, cit., 302. M. TARUFFO, Considerazioni sparse

su mediazione e diritti, in AA.VV., Mediazione ed ermeneutica giuridica, Padova, Ce-

dam, 2004, 109, parla della mediazione come di un “insieme assai eterogeneo di proce- dimenti diversi che hanno in comune solo la circostanza di vedere la partecipazione di un soggetto che funge da mediatore e di concludersi, quando l’esito è positivo, con un accordo stipulato dalle parti in conflitto”.

154 Si parla infatti di “mediazioni”, condividenti tra loro solo la logica operativa di

fondo, che si richiama alla caratteristica ternaria nella struttura e nei risultati: cfr., sul punto, G.V. PISAPIA, La scommessa della mediazione, cit., 7 s.

155 Tale Raccomandazione è reperibile sul sito istituzionale del Comitato dei Mini-

stri del Consiglio d’Europa (https://wcd.coe.int/). La definizione, qui riprodotta in tra- duzione nostra, nella versione ufficiale è la seguente: “process whereby the victim and the offender are enabled, if they freely consent, to participate actively in the resolution of matters arising from the crime through the help of an impartial third party (media- tor)”. G. MANNOZZI, La giustizia senza spada, cit., 359, offre una definizione più com-

Nell’ambito del giudizio, l’autorità decide se una parte è responsabi-

le, mentre nella mediazione le parti si raccontano, uscendo almeno

provvisoriamente dalla rigidità dei loro ruoli processuali, ma – e ciò

rappresenta una peculiarità della mediazione penale, che si inserisce in

un contesto particolare

156

– senza che si possa del tutto dimenticare,

almeno in partenza, lo squilibrio di posizione che le caratterizza, dovuto

al fatto che normalmente uno dei due soggetti coinvolti ha subito l’offe-

sa che l’altro ha perpetrato e può contribuire con la propria decisione

alla definizione del parallelo procedimento penale

157

. Una peculiare at-

tenzione deve essere prestata proprio alla persona della vittima, la qua-

le, partecipando alla mediazione, può soddisfare un suo duplice biso-

gno: quello di espressione, in primo luogo, potendo descrivere quali

conseguenze anche emotive il reato ha comportato per la sua vita e ve-

dendo riconosciuta così la propria dignità; in secondo luogo, quello di

informazione sul fatto di reato, proprio dalla bocca di colui che l’ha

posto in essere e che può chiarire, dal suo punto di vista, profili rimasti

oscuri. L’autore, infatti, può liberamente fornire la sua versione dell’ac-

caduto, spiegare le ragioni del suo comportamento e descrivere il conte-

sto in cui esso è maturato

158

.

Le parti in mediazione, di regola, non sono in disaccordo sull’esi-

stenza del fatto nel suo nucleo oggettivo essenziale – per il cui accerta-

mento il processo appare luogo molto più adeguato – ma sul significato

dello stesso o, eventualmente, sulla riparazione possibile

159

. Oltre al

conflitto più profondo già esistente, il disaccordo sull’atteggiamento o

plessa: “la mediazione è un processo dialettico di attivazione della conoscenza tra auto- re e vittima (che può funzionare anche come fattore di stabilizzazione sociale) in cui il mediatore è chiamato a ricostruire fra le parti lo spazio comunicativo inter-soggettivo e a trovare un “segno” comune che possa condurre al superamento del conflitto”.

156 C. M

INCKE, La médiation pénale face à ses idéaux fondateurs, cit., 40.

157 G. M

ANNOZZI, La giustizia senza spada, cit., 143 s.; A. ROIATI, Diritto penale

minimo e mediazione penale, cit., 1048.

158 F. R

EGGIO, Giustizia dialogica, cit., 33; AA.VV., Rebuilding community connec-

tions – mediation and restorative justice in Europe, cit., 27.

159 M. M

ENNA, Mediazione penale e modelli processuali, cit., 269; G. MANNOZZI,

La mediazione nell’ordinamento giuridico italiano: uno sguardo d’insieme, cit., 40 ss.;

C.E. PALIERO, La mediazione penale tra finalità riconciliative ed esigenze di giustizia,

sulla riparazione ne fa nascere un altro, che può essere mediato. Le par-

ti sono così chiamate a leggere “fra le righe del conflitto e delle sue im-

plicazioni”

160

e ad assumere liberamente e creativamente una decisione,

ed eventualmente un impegno, spesso redatto per iscritto

161

.

Secondo una concezione di giustizia riparativa ormai diffusa, il dia-

logo “comprensivo” nella maggior parte dei casi non è sufficiente per

un esito pienamente positivo del percorso; ad esso deve seguire la ripa-

razione, atto volontario di responsabilizzazione dell’autore coinvolto

162

.

La responsabilità che entra in gioco in questo contesto non è rivolta al

passato, ma al futuro

163

; non è “sanzionatoria ma riparatoria”

164

e con-

sente il reinserimento del reo nella società

165

. Essa non ha più solo a che

fare con l’essere “responsabili di” qualcosa e per qualcosa, ma deve

intendersi come un percorso che porta i soggetti ad essere “responsabili

verso” (a rispondere l’uno verso l’altro)

166

, restituendo loro un ruolo

attivo fino al riconoscimento della reciproca dignità

167

.

Non sempre, però, l’esito positivo della mediazione penale è quello

che ci si sarebbe potuti immaginare all’inizio del percorso: esso è su-

scettibile di articolarsi in soluzioni diverse

168

. Non si può escludere che

160 F. R

EGGIO, Giustizia dialogica, cit., 138.

161 M.A. F

ODDAI, Mediazione e giudizio: due nozioni di responsabilità, cit., 56 s.;

J.P. BONAFÉ-SCHMITT, Una, tante mediazioni dei conflitti, cit., 22.

162 C. M

AZZUCATO, Per una risposta democratica alle domande di giustizia: il

compito appassionante della mediazione in ambito penale, in AA.VV., Mediazione ed

ermeneutica giuridica, cit., 187 s.

163 C. M

INCKE, La médiation pénale face à ses idéaux fondateurs, cit., 46.

164 M.A. F

ODDAI, Mediazione e giudizio: due nozioni di responsabilità, cit., 57, la

quale si concentra anche sulla storia recente della parola “responsabilità”, che nasce alla fine del Settecento, in coincidenza non casuale con la Rivoluzione francese ed il pro- cesso di costituzionalizzazione britannico. Il termine “responsibility” compare per la prima volta nei discorsi che animano i dibattiti parlamentari inglesi, mentre “responsa- bilité” fa la sua irruzione nella lingua francese, negli stessi anni, per descrivere il dovere di rispondere dei propri atti da parte dei funzionari e ministri. Si diffonde ampiamente nelle diverse lingue soltanto nell’Ottocento.

165 Così J.P. B

ONAFÉ-SCHMITT, Una, tante mediazioni dei conflitti, cit., 29.

166 A. C

ERETTI, Progetto per un ufficio di mediazione penale presso il Tribunale per

i minorenni di Milano, cit., 96.

167 A. R

OIATI, Diritto penale minimo e mediazione penale, cit., 1048.

168 A. M

dai chiarimenti intervenuti nel corso della mediazione possa prendere

vita anche un accordo in cui entrambe le parti, vittima e reo, sono pro-

tagoniste e si impegnano a prestazioni reciproche, convenute in itinere,

senza ricorrere a norme precodificate

169

.

Come è stato puntualmente precisato, nella mediazione penale

l’obiettivo è quello di risanare la frattura, rimuovere il conflitto sotteso

o sorto dal reato, inteso “non come mero ente giuridico o accadimento

statico, bensì come fatto dinamico e «relazionale»”

170

. Ciò che è in di-

scussione, in quest’ambito, non è la definizione penalistica del conflit-

to, che non può certo essere negoziata e rimane solo sullo sfondo rispet-

to al significato dei beni che protegge ed al vissuto delle persone coin-

volte, veri protagonisti della mediazione

171

: “non si media sul contenuto

di un precetto penale, ma a partire da questo si identifica quale tranche

de vie, ipostatizzata in una norma penale, ha dato origine ad un conflitto

sociale”

172

.

In seguito, parlando delle fonti sovranazionali e dell’ordinamento

italiano, si evidenzieranno alcuni problemi che pone questo istituto sul

piano delle garanzie che si rivelano necessarie per una piena integra-

zione del modello nel sistema giuridico e comunque per evitare che

169 G. M

OSCONI, La mediazione. Questioni teoriche e diritto penale, cit., 10. G. FOR- TI, L’immane concretezza, cit., 273, descrive l’incontro tra vittima e reo come foriero di

“spettacolari conseguenze”.

170 G. F

IANDACA, La giustizia minorile come laboratorio sperimentale di innova-

zioni estensibili al diritto penale comune, cit., 152. Cfr. altresì M. MENNA, Mediazione

penale e modelli processuali, cit., 269; A. CIAVOLA, Il contributo della giustizia con-

sensuale e riparativa all’efficienza dei modelli di giurisdizione, cit., 52. Parla di “reato

nella sua dimensione relazionale”, “come segmento delle complesse vicende relazionali che in ogni caso trascendono la lettura unilaterale che ne dà il diritto” anche A. CERET- TI, Progetto per un ufficio di mediazione penale presso il Tribunale per i minorenni di

Milano, cit., 97.

171 G. M

ANNOZZI, La mediazione nell’ordinamento giuridico italiano: uno sguardo

d’insieme, cit., 39; C. MAZZUCATO, Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale.

Spunti di riflessioni tratti dall’esperienza e dalle linee guida internazionali, in L. PI- COTTI, G. SPANGHER (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”. Il volto

delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace, cit., 94.

172 C.E. P

ALIERO, La mediazione penale tra finalità riconciliative ed esigenze di

esso assomigli ad “un meccanismo di accettazione forzata delle preva-

ricazioni messe in atto dalle parti forti”

173

.

È indispensabile però chiarire fin d’ora un presupposto fondamenta-

le. Poiché ci occupiamo della mediazione come strumento che consente

una definizione alternativa dei conflitti, ma è normalmente attivato nel

corso di un procedimento penale, sappiamo che l’impulso alla procedu-

ra viene dato, di regola, da un soggetto pubblico (che, a seconda della

fase in cui si colloca la mediazione, può essere il pubblico ministero o

un’autorità che collabora con questo, la polizia, il giudice), il quale in-

veste della controversia il mediatore o l’ufficio di mediazione

174

.

La partecipazione delle parti è volontaria, ma non si può pensare ad

una “spontaneità totale”

175

: il consenso dell’autore del reato è profonda-

mente condizionato dalla minaccia implicita rappresentata dallo stru-

mento penale

176

. Dalla parte della vittima, invece, si possono incontrare

delle difficoltà nella prestazione del consenso alla procedura mediativa:

la partecipazione può comportare sofferenza, oltre ad un dispendio di

energie e di tempo

177

. Sarà compito del mediatore comunicare a questa i

benefici che possono derivare dalla mediazione, in termini di ricostru-

zione del dialogo e di un’eventuale riparazione, nel rispetto tuttavia

delle sue esigenze e dei suoi interessi

178

.

È necessario garantire che il processo formativo del consenso, nel

corso dell’intera procedura, non sia viziato da forme di pressione psico-

173 M. T

ARUFFO, Considerazioni sparse su mediazione e diritti, cit., 112. Cfr. altresì

F. TULKENS, Una giustizia negoziata?, cit., 661.

174 T. G

AVRIELIDES, Restorative Justice Theory and Practice, cit., 33; G. MANNOZ- ZI, La giustizia senza spada, cit., 137; F. REGGIO, Giustizia dialogica, cit., 32.

175 L. P

ICOTTI, La mediazione nel sistema penale minorile: spunti per una sintesi,

cit., 305.

176 Cfr. G. M

OSCONI, La mediazione. Questioni teoriche e diritto penale, cit., 14;

C. SOTIS, La mediazione nel sistema penale del giudice di pace, in G. MANNOZZI (a

cura di), Mediazione e diritto penale, cit., 51 (“la pena, almeno in potenza, è sempre presente e applicabile”).

177 Cfr. G. F

ORTI, L’immane concretezza, cit., 272. L. KURKI, Evaluating Restora-

tive Justice Practices, cit., 297, sottolinea come, in circa la metà dei casi inviati in me-

diazione, essa non abbia luogo, a causa del rifiuto di una delle parti.

178 G. M

logica che privino il contraente debole di una tutela adeguata. Le prassi

informali sono, infatti, particolarmente esposte a tali rischi

179

.

Quanto agli aspetti operativi e procedurali dell’istituto, esistono

molteplici modelli di riferimento, che delineano fasi diverse

180

.

In generale, comunque, a seguito dell’invio del caso e della relativa

presa in carico da parte dell’Ufficio di mediazione, l’autore e la vittima

vengono prima contattati singolarmente, proprio perché essi possano

liberamente esprimere il loro consenso a partecipare alla procedura. La

fase di preparazione si sviluppa quindi con una descrizione dettagliata

delle caratteristiche e delle regole della mediazione e può durare molto

tempo, perché deve creare le basi adeguate per la prosecuzione del pro-

cesso

181

.

L’incontro “faccia a faccia” tra le parti dovrebbe rappresentare un

requisito irrinunciabile

182

. Non mancano però esempi – non rarissimi –

di mediazione penale condotta unicamente attraverso uno scambio di

messaggi, reso possibile dal mediatore (“shuttle” mediation)

183

.

Alla fase dell’incontro segue l’eventuale accordo e la redazione del

verbale da parte del mediatore. Il monitoraggio degli esiti conclude la

procedura

184

.

In tutte le fasi, il ruolo del mediatore è estremamente importante,

come si può cogliere fin dalle definizioni di mediazione che sono state

179 F. R

EGGIO, Giustizia dialogica, cit., 125; L. PICOTTI, La mediazione nel sistema

penale minorile: spunti per una sintesi, cit., 306. Come rileva F. TULKENS, Una giusti-

zia negoziata?, cit., 659: “ciò che è contrattuale non è necessariamente giusto”.

180 G. M

OSCONI, La mediazione. Questioni teoriche e diritto penale, cit., 11, ad

esempio, descrive una fase di presa in carico, una fase di preparazione, una fase di vera e propria mediazione (divisa in due momenti: la discussione sui motivi e sulle conse- guenze del fatto e la successiva quantificazione dei danni e definizione delle modalità di riparazione) e, infine, una fase di applicazione dell’accordo.

181 A. W

OOLFORD, The Politics of Restorative Justice. A Critical Introduction, cit.,

61; M. LIEBMANN, Restorative Justice, cit., 74.

182 Così A. W

OOLFORD, The Politics of Restorative Justice. A Critical Introduction,

cit., 60 s.

183 A

A.VV., Rebuilding community connections – mediation and restorative justice

in Europe, cit., 19; M. LIEBMANN, Restorative Justice, cit., 76; M.M. WILLIAMS-HAYES,

The Effectiveness of Victim-Offender Mediation and Family Group Conferencing, cit.,