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4.1 (segue): L’organismo di composizione della crisi.

7. Le modifiche al codice civile

La legge delega 155/2017 è intervenuta anche su alcuni articoli del codice civile, introducendo importanti modifiche con lo scopo di adeguare l’impianto codicistico ai criteri direttivi fissati dalla riforma.

Il decreto attuativo sulle modifiche al codice civile prevede che venga modificata la rubrica ed il contenuto dell’art. 2086 cod. civ., da “Direzione e gerarchia dell’impresa” in “Gestione dell’impresa”, con l’aggiunta di un secondo comma, che dispone: “l’imprenditore,

che operi in forma individuale, societaria o in qualunque altra veste, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Si tratta di una disposizione che scandisce l’assoluta centralità del

going concern, inteso come scopo-mezzo per il miglior

soddisfacimento dei creditori, con conseguenti ricadute in tema di

business judgement rule nelle situazioni di crisi293.

Il legislatore consacra l’importanza che nel diritto della crisi d’impresa assume la predisposizione di misure per il tempestivo accertamento e la pronta gestione della crisi, infatti l’art. 2086 opportunamente richiamato negli artt. 2257 (per le società di persone), 2380-bis (per le società di capitali) e 2475 (per le società a responsabilità limitata), rende operativo per tutti gli

293 M. SPIOTTA, La continuità aziendale: una nuova “stella polare” per il

imprenditori l’obbligo di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. Tra i doveri giuridici che gravano sull’amministratore vi è quello previsto dall’art. 2381 c.c., di curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato alla natura e dimensione dell’impresa. Benché dettato con riferimento alla sola società per azioni pare difficile dubitare che il dovere assicurare che la società sia dotata di un assetto organizzativo adeguato gravi sempre e comunque su coloro che sono chiamati ad amministrarla.

Si tratta, cioè, di una norma che esprime un principio generale dell’amministrazione societaria destinato ad operare anche qualora la società non si sia dotata di un organo di amministrazione o non abbia, comunque, istituito la figura dell’amministratore delegato o il comitato esecutivo294.

Pertanto il dovere di diligenza degli amministratori imporrebbe loro di percepire prontamente i segnali di una crisi, con la conseguenza di configurare una responsabilità dell’amministratore che per l’inadeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, non abbia percepito i segnali della crisi aggravando il danno.

Se si guarda alla disciplina delle società a partecipazione pubblica l'art. 14, comma 2, TUSP enfatizza il dovere degli amministratori di monitorare la situazione finanziaria della società e di prevenire e gestire in modo efficace e tempestivo le crisi aziendali: la disposizione da un lato richiama i “programmi di valutazione del

rischio” che l’organo amministrativo è tenuto ad elaborare ed

approvare; dall'altro, la disposizione obbliga gli amministratori ad adottare “senza indugio” i provvedimenti necessari a prevenire

294 R. RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di

l'aggravamento della crisi, a correggerne gli effetti e a eliminarne le cause “attraverso un idoneo piano di risanamento”.

L'omissione degli amministratori nell'attività di prevenzione e gestione della crisi costituisce, ai sensi dell'art. 14, comma 3, TUSP, una "grave irregolarità", suscettibile di essere denunciata ai sensi dell'art. 2409 c.c., nella configurazione ampliata che questo rimedio endosocietario assume secondo il disposto dell'art. 13 TUSP, cioè superando le differenze tipologiche tra s.p.a. e s.r.l. ed eliminando la soglia di partecipazione condizionante la legittimazione a ricorrere, relativamente agli enti pubblici soci295.

Allora alla luce di quanto detto, la modifica introdotta all’art. 2086 introduce il dovere, in capo all’imprenditore individuale o collettivo, di adottare un assetto organizzativo adeguato, dalla cui violazione ne deriverebbe la commissione di una “grave irregolarità” ex art. 2409 c.c., allineandosi con la disciplina prevista per le società a partecipazione pubblica.

Nell’ottica di un rafforzamento del sistema dei controlli nelle s.r.l. la legge delega, oltre ad aver esteso i casi in cui è obbligatoria la nomina dell’organo di controllo e ampliato il novero dei soggetti che possono richiedere al tribunale di provvedere alla nomina di tali organi ove ciò non avvenga nei termini previsti (cfr. art. 14, comma 1, lett. g e h), ha esteso l’applicazione dell’art. 2409 cod. civ. alle società a responsabilità limitata ancorché prive dell’organo di controllo.

Infatti, quanto previsto dall’art. 14 lettera f) consente ai soci e, ove presenti, agli organi di controllo delle società a responsabilità limitata la possibilità di presentare, in caso di fondato sospetto che gli amministratori “abbiano compiuto gravi irregolarità che

possono arrecare danno alla società”, la relativa denuncia al

295 F. GUERRERA, Crisi ed insolvenza delle società a partecipazione

tribunale296.

L’art. 14 lett. A, si pone nel solco di quanto già affermato dalla Corte Suprema297 in ordine alla “legittimazione del curatore

all’esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditor di qualsiasi tipologia di società”, in tale ottica si colloca la reintroduzione esplicita dell’estensione alle società a responsabilità limitata di quanto previsto per le s.p.a dall’art. 2394 c.c. con riguardo all’azione di responsabilità verso gli amministratori riservata ai soli soci.

In questo modo si pone fine ad una questione ancora dibattuta soprattutto nella giurisprudenza di merito e si colma una lacuna normativa nella disciplina vigente delle società a responsabilità limitata ascrivibile ad un difetto di coordinamento della riforma del 2003 del diritto societario.

L’abrogazione dell’art. 2394-bis c.c. in materia di azioni di responsabilità esercitabili nell’ambito delle procedure concorsuali, va letta in coordinamento con l’art. 7 della legge delega che elenca le azioni di responsabilità che possono essere promosse o proseguite dal curatore.

La proposta legislativa sembrerebbe mirare a portare ordine e unitarietà nell'articolato ambito delle azioni di responsabilità esercitabili da parte della curatela fallimentare riunendo, auspicabilmente, la disciplina in un gruppo più chiaro e compatto 296 . L. ABETE, La “bozza Rordorf”: l’impatto delle innovazioni prefigurate in ambito societario, cit., p. 1136 ritiene che: «insinuare nella disciplina della S.r.l. la denunzia ex art. 2409 c.c. importerebbe giustapposizione - del tutto incongrua - al “regime” dei rapporti tra soci, nel cui solco minimale è il margine di intervento dell’autorità statuale, recte dell’autorità giudiziaria, sull’assetto gestorio della società, siccome circoscritto alla revoca semplicemente “cautelare” dell’organo di amministrazione» .

di disposizioni298

La lettera c) dell’art. 14 l. 155/17 introduce poi la previsione per cui l’assoggettamento alla procedura di liquidazione giudiziale rientri nel novero delle cause di scioglimento delle società di capitali ai sensi dell’art. 2484 c.c. .

Nel sistema originario il fallimento conduceva allo scioglimento sia delle società di persone (art. 2308) sia delle società di capitali, tale causa di scioglimento è poi venuta meno per le società di capitali con la riforma del diritto societario nel 2003.

Con la previsione della legge delega art. 14, lett. C, si uniforma la disciplina delle cause di scioglimento delle società di capitali con quella delle società di persone, ponendo fine ai tentativi, di equiparare lo stato di insolvenza con la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale per poter comunque procedere con lo scioglimento della società: il consiglio nazionale del notariato nel suo studio circa la possibilità di configurare una sorta di impossibilità economica di attuazione dell’oggetto sociale aveva osservato, con riferimento alle società di capitali, che “l’oggetto sociale ben può essere conseguito anche da una società che versa in stato di insolvenza, e che dunque, e per ciò solo non è in grado, almeno di regola, di distribuire utili”299.

Altra rilevante modifica è quella introdotta dalla lettera e) dell’art. 14 della legge delega che prevede la determinazione di “criteri di

quantificazione del danno risarcibile nell’azione di responsabilità promossa contro l’organo di amministrazione” che abbiano violato

i doveri di “conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio

298 G.P. MARAINI, L’impatto sul codice civile della legge delega 19 ottobre

2017, n. 155, in www.4clegal.com, 12 febbraio 2018.

299 Consiglio Nazionale del Notariato, In tema di impossibilità di

conseguimento dell’oggetto sociale e scioglimento delle società di capitali,

sociale” di cui all’art. 2486 c.c., al verificarsi di una causa di

scioglimento.

In giurisprudenza è noto il dibattito relativo ai criteri di quantificazione del danno derivante dalla violazione dell’art. 2486 c.c. .

Viene dunque in considerazione la contrapposizione fra l’orientamento secondo cui il danno per illecita prosecuzione dell'attività d'impresa sarebbe pari alla differenza fra attivo e passivo fallimentare e quello secondo cui tale danno dovrebbe corrispondere alla differenza dei netti patrimoniali300.

Il primo dei due criteri induce a determinare il danno prodotto in una somma di denaro coincidente con la differenza tra l’attivo ed

300 Per un maggiore approfondimento si rinvia a L. ABETE, La

responsabilità ex art. 2486 c.c.: brevi spunti, in Società 2, 2014, p. 219:

l’autore effettua un breve excursus delle elaborazioni in tema di quantificazione del danno, sostenendo che nelle ipotesi di omessa o irregolarità delle scritture contabili, il criterio della differenza fra attivo e passivo fallimentare si giustifica alla luce del valore dell’utilità sociale ex art.41, co. , Cost., dal momento che la tenuta delle scritture contabili rappresenta un obbligo dell’amministratore, il quale «non deve per nessun motivo avvantaggiarsi, tanto più in dipendenza del valore dell’utilità sociale cui ha da conformarsi ex art. 41, comma 2, Cost. l’iniziati- va economica privata, delle conseguenze atte a scaturite dall’inosservanza di un dovere che gli incombe ex lege». Sul criterio della differenza dei netti patrimoniali si veda: G. VERNA, Responsabilità degli

amministratori: brevi note sul criterio del decremento dei netti patrimoniali, in Società, 8-9, 2017, p. 939: per l’autore nella differenza

tra netti patrimoniali vi rientrano i danni ai creditori causati dai singoli atti illeciti e dagli atti leciti la cui illiceità deriva dall’illecita continuazione dell’impresa; e ancora sempre G. VERNA, Misurazione del

danno patito dai creditori per la continuazione dell’impresa in perdita ed applicazione di corretti principi contabili, in Dir. Fall., 3-4, 2016, p. 777,

l’autore propone la misurazione del danno in caso di continuazione dell’attività applicando il principio contabile OIC 5, Bilanci di liquidazione.

Per un approfondimento giurisprudenziale si rinvia a U. MACRÌ, Il

comportamento degli amministratori in caso di riduzione al di sotto del minimo legale, in Società, 12, 2016, p. 1408.

il passivo patrimoniale.

Si tratta, però, di un criterio che viene ad essere usato essenzialmente nell’ipotesi della mancanza, falsità o inattendibilità della contabilità e dei bilanci della società dichiarata fallita301, mentre il criterio del differenziale dei netti

patrimoniali trova utilizzo nei casi in cui sia possibile ricostruire la movimentazione degli affari dell’impresa e consiste nella differenza tra il patrimonio netto risultante al momento del verificarsi della causa di scioglimento ed il patrimonio netto risultante al momento del fallimento302.

La modifica introdotta ambisce alla consacrazione ed al perfezionamento degli esiti del travagliato percorso di

301 Si faccia riferimento alla massima Cass. 08.02.2005 n. 2538 che ha

precisato che, nel caso di esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci di una società di capitali, sottoposta a procedura concorsuale (nella specie a liquidazione coatta amministrativa), il danno loro imputabile non può essere identificato nella differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale, sia in quanto lo sbilancio patrimoniale della società insolvente può avere cause molteplici, non tutte riconducibili alla condotta illegittima dell'organo di controllo, sia in quanto questo criterio si pone in contrasto con il principio civilistico che impone di accertare l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima ed il danno. Tuttavia, il criterio ancorato alla differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli amministratori e dei sindaci, ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti, nonché, nel caso in cui la condotta illegittima non sia temporalmente vicina alla apertura della procedura concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto. In www.iusexplorer.it

302 M. VITIELLO, Appunti in tema di quantificazione del danno nelle azioni

di responsabilità della curatela, in www.ilfallimentarista.it, 20 aprile 2012.

elaborazione di quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9100 del 6.05.2015303 in cui è stato precisato che, in caso di perdita del capitale sociale al di sotto del minimo legale, il danno derivante dalla violazione dei doveri di cui all’art. 2447 c.c. non può automaticamente identificarsi nella differenza tra attivo e passivo fallimentare (che può al più integrare un parametro per la liquidazione equitativa) in quanto “nell'azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali [...] l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore [...] onde possa essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento”.

Tuttavia il criterio differenziale dei netti patrimoniali deve essere applicato tenendo conto del fatto che “non tutta la perdita

riscontrata dopo il verificatasi di una causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell’attività potendo in parte prodursi comunque anche in pendenza della liquidazione o durante il fallimento per il solo fatto della svalutazione dei cespiti aziendali in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’impresa304”, c.d. criterio differenziale dei netti patrimoniali rettificato.

Bisogna calcolare correttamente lo sbilancio causato dal proseguimento illecito dell’attività, altrimenti si rischia di porre in capo agli amministratori danni che non hanno commesso.

Infatti, il solo fatto della messa in liquidazione, in ogni caso, produce un decremento patrimoniale non imputabile agli

303 Cfr. L. ABETE, La “bozza Rordorf”: l’impatto delle innovazioni

prefigurate in ambito societario, in Fallimento, 10, 2016, p. 1141

304 Cass. n. 17033 del 2008, vedi anche Trib. Milano 24.01.1983, in

amministratori poiché conseguenza dell’osservazione di una previsione di legge.

Sarà allora necessario utilizzare il criterio dei netti patrimoniali rettificato alla luce dei criteri di redazione del bilancio di liquidazione, in modo da sterilizzare l’abbattimento dei valori contabili che comunque si sarebbe verificato se la società fosse stata posta tempestivamente in liquidazione305. 


Altro criterio è poi quello della quantificazione del danno in relazione alle conseguenze dannose dei singoli atti illeciti.

Seguendo tale parametro si finisce col guardare esclusivamente alle conseguenze dannose del singolo atto, ed è proprio in ciò che il criterio si rivela fallace, mostrandosi incapace di cogliere le interrelazioni fra le singole componenti aziendali.

La valutazione dei costi relativi alla singola operazione fa riferimento al costo industriale riferibile alla produzione di un prodotto specifico, tuttavia il livello di produzione influisce sui costi complessivi dell’impresa in modo non lineare 306.

Al di fuori di casi particolari la contabilità o la semplice ricognizione dei fatti non possono misurare il danno derivante dalle singole operazioni aziendali.

L’azienda è infatti un sistema complesso e la gestione imprenditoriale si estrinseca attraverso una serie di attività volte alla produzione del reddito, che non posso essere valutate in modo parcellizzato.

Per tanto la misurazione del danno, compiuta in assenza di specifiche condotte valutabili singolarmente, non intacca il nesso

305 A. MAMBRIANI, La prova del danno nelle azioni di responsabilità

esercitate dal curatore fallimentare ex art. 146 L.F., documento del 20

settembre 2012, in www.odcec.mi.it .

306 D. GALLETTI, Brevi note sull’uso del criterio dei “netti patrimoniali di

periodo” nelle azioni di responsabilità sociali, documento n. 215, 2010, in www.ilcaso.it, p. 11

di causalità invocato con riferimento alla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, poiché il danno trae origine da specifici inadempimenti, da violazioni contrattuali, oppure dalle leggi che regolano il rapporto fra un soggetto ed un qualsiasi terzo. La gestione infatti non è più vista dal legislatore come una mera serie di atti, bensì quale attività dinamica e pianificata. L’art. 4 della proposta di decreto legislativo recante modifiche al codice civile in attuazione della legge delega n. 155/2017 prevede la determinazione del danno risarcibile secondo le norme previste per l’inadempimento delle obbligazioni, in quanto compatibili con la natura della responsabilità, e solo nel caso di mancanza o inattendibilità delle scritture contabili, consente di usare il criterio del differenziale dei netti.

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