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Origini e natura del concordato preventivo

4. Lo “stato di crisi” come presupposto oggettivo del concordato preventivo

4.1. Origini e natura del concordato preventivo

Il Concordato Preventivo trae origine dall’istituto della moratoria dell’antico Codice di Commercio del 1882, mediante la quale il debitore che aveva cessato i pagamenti poteva ottenere una dilazione nel caso in cui fosse stato dichiarato il fallimento o evitare l’apertura della procedura.

Con il r. d. 16 marzo 1942 n. 267, all’istituto veniva attribuito la qualità di strumento rivolto all’imprenditore “onesto e sfortunato” funzionale ad evitare “la inesorabile distruzione della sua impresa”80 e di tutte quelle conseguenze, sia in sede civile che

penale81.

Già nella Relazione del Guardasigilli al Re, al paragrafo 37, era possibile notare come l’istituto, ancor prima della sua regolamentazione all’interno della Legge Fallimentare, aveva mutato la sua originaria impostazione, da strumento avente lo scopo di tutela dell’impresa a “mezzo per il debitore di superare onorevolmente il dissesto e ottenere la sua liberazione attraverso la cessione dei beni ai creditori”.

Se il fallimento era la procedura più dannosa ed infamante per il debitore, il concordato preventivo assumeva natura premiale nei confronti dell’imprenditore il cui dissesto non fosse la conseguenza di dolo o colpa.

La legge fallimentare del 1942 per una parte sottolineava la funzione terapeutica del concordato preventivo ai fini della salvaguardia dell’impresa, per altra parte consentiva l’accesso a tale istituto anche nell’ipotesi di cessazione dei pagamenti,

80 Cfr. Relazione ministeriale al r.d. n. 267/1942, p. 14

81 Cfr. A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Diritto Della Crisi Delle Imprese: Le

palesando la neutralità dell’istituto rispetto alla situazione di crisi dell’impresa82, con ciò si voleva sottolineare come l’istituto non

abbia ontologicamente la finalità di salvaguardia dell’impresa in crisi.

Su tale aspetto si basava la distinzione tra la procedura di concordato preventivo e quella di amministrazione controllata, in quest’ultima infatti la conservazione dell’impresa era il fine esclusivo; mentre nel concordato preventivo, il giudice, nel decidere se concedere o meno l’omologazione, formulava un giudizio di opportunità sul permanere della gestione imprenditoriale, tenendo contezza di tutti gli interessi convergenti nell’impresa, non solo di quelli dei creditori83.

La natura del concordato preventiva è stata, sin dalla sua origine, oggetto di dibattito a causa di due elementi che lo contraddistinguono: da un lato, l’accordo tra maggioranza dei creditori e debitore, unico legittimato ad avanzare la proposta; dall’altro l’intervento istituzionalistica degli organi della procedura, volto a garantire il regolare svolgimento dell’iter concordatario.

Possono individuarsi due distinti orientamenti: i sostenitori della tesi contrattualistica, che fanno leva sull’accordo tra debitore e creditori; ed i fautori della tesi istituzionale, i quali danno peso preponderante all’ammissione al concordato ed al giudizio di omologazione84.

82 P. F. CENSONI, il concordato preventivo e la prospettiva della

riallocazione dell’impresa in crisi, in Dir. Fall., 1, 2008, p. 853

83 Cfr. R. PROVINCIALI, G. RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni di diritto

fallimentare, CEDAM, Padova, 1988, pp. 791 ss. .

84 Secondo R. PROVINCIALI, G. RAGUSA MAGGIORE, Istituzioni di diritto

fallimentare, cit., p. 794, qualsiasi impostazione privatistica deve essere

rigettata, sulla circostanza per la quale ad essere privati sono gli interessi tutelati, fra i quali vi rientra anche la tutela dell’interesse

Con la L. 80/2005 ha avuto seguito un periodo di “gestazione normativa” che ha dato seguito all’affermarsi di una corrente di pensiero indirizzata alla c.d. “privatizzazione del trattamento giuridico dell’insolvenza”85.

La nuova formulazione del concordato preventivo ha visto il riemergere delle tesi contrattualistiche a seguito della maggiore autonomia attribuita alle parti nella gestione della crisi: l’argomento si fondava sulla diminuzione del potere giurisdizionale e sulla centralità data all’accordo fra creditore e debitore nel favorire le soluzioni negoziate delle crisi di impresa. 86

Sulla stessa posizione si assestò la giurisprudenza di legittimità, confermando una concezione “ultraprivatistica” del concordato preventivo, sull’assunto che il tribunale non ha poteri di sindacabilità del piano nemmeno in sede di riesame della proposta ex art. 173 l. fall87.

In realtà parte della dottrina non aveva mancato di sottolineare come le determinazioni dei creditori in sede di adunanza non potessero essere ricondotte allo schema contrattuale, poiché il principale ostacolo risiedeva nel fatto che i creditori fra loro non fossero avvinti da alcun legame contrattuale88. dell’economia, ma la disciplina è di diritto pubblico, ma non solo, gli atti diretti a raggiungere la pronuncia del giudice sono atti del processo. 85 Così D. GALLETTI, Commento all’art. 160, in A. JORIO, M. FABIANI, Il nuovo diritto fallimentare, cit., p. 2269.

86 Si veda G. MINUTOLI, L’autonomia privata nella crisi d’impresa tra

giustizia contrattuale e controllo di merito (o di meritevolezza), cit., p.

1047ss.; G. LO CASCIO, Concordato preventivo: natura giuridica e fasi

giurisprudenziali alterne, in Fallimento, 5, 2013, p. 525 ss.; A. M. AZZARO, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fallimento, 11, 2007, pp 1267 ss.

87 Cass., 25.10.2010, n. 21860.

88 Cfr. D. GALLETTI, La ripartizione del rischio di insolvenza. Il diritto

Sulla stessa linea di pensiero la Cassazione, con sentenza del 15 settembre del 2011, n. 1886489, mutò orientamento affermando

che tra il concordato preventivo ed il contratto esiste una «differenza ontologica», dal momento che manca «l’elemento della

volontà concorde di tutte le parti interessate, destinatarie dei relativi effetti».

Quanto poi alle ipotesi d’invalidità che il tribunale, in sede di omologazione avrebbe potuto individuare d’ufficio, la Corte è stata ondivaga tra i due orientamenti90, al punto che da una

successiva ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite del 15 dicembre 2011, n. 27063 risultavano «profili di non totale sintonia

nella giurisprudenza di legittimità, un non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito ed un ampio dibattito in dottrina con la prospettiva di soluzioni non coincidenti». A chiusura del dibattito si colloca la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 23 gennaio 2013, n. 1521. La Corte di Cassazione nella sentenza ribadisce che non è rimesso alcun sindacato al tribunale inerente l’aspetto pratico-economico della proposta e nemmeno sulla “prognosi di realizzabilità dell’attivo nei termini indicati dall’imprenditore”.

Tuttavia, la Suprema Corte introduce alcuni temperamenti evidenziando che, nonostante le riforme fallimentari mirino a potenziare l’elemento privatistico del concordato preventivo, permangono profili pubblicistici91 in quanto «la crisi d’impresa è

un fenomeno che interessa una collettività di soggetti e non può ridursi al conflitto fra debitore e creditori. Di questo la Corte

89 consultabile al sito www.iusexplorer.it

90 Sul punto cfr. G. LO CASCIO, Concordato preventivo: natura giuridica e

fasi giurisprudenziali alterne, cit., p. 530 ss.

91 Cass. SS.UU., 23 gennaio 2013, n.1521, con nota di F. DE SANTIS, Causa

«in concreto» della proposta di concordato preventivo e giudizio «permanente» di fattibilità del piano, in Fall., 2013, 3, p. 280.

fornisce un’esemplare conferma quando, pur nel valorizzare l’importanza dell’assetto negoziale non dimentica che dalla crisi si dipanano riflessi pubblicistici di indubbio spessore»92. La Corte media tra gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza italiana, definendo il concordato un istituto avente natura ibrida pubblico-privata.

L’altro elemento di novità che si rinviene nella pronuncia è la “causa in concreto” della proposta e del procedimento concordatari, che riempie di contenuto il sindacato giudiziale di legittimità.

La Corte afferma che «il controllo di legittimità del giudice si

realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato».

La “causa concreta” è definita dalla Corte come l’obiettivo che ogni piano concordatario deve perseguire in termini di regolazione dello stato di crisi, che è la funzione economico-sociale del concordato preventivo, e di satisfazione dei creditori.

In tal modo, si pone in capo al giudice di merito l’accertamento in concreto dell’effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento dei creditori e, in via generale, il superamento della crisi per il debitore.

Con riguardo invece alla “fattibilità giuridica” la Corte di Cassazione ha ricondotto al sindacato giudiziale la valutazione sulla compatibilità delle modalità di ristrutturazione ed

92 Cass. SS.UU., 23 gennaio 2013, n.1521, con nota di M. FABIANI, La

questione “fattibilità” del concordato preventivo e la lettura delle Sezioni Unite, in Fallimento, 2, 2013, p. 163

esecuzione del concordato con le norme inderogabili dell’ordinamento93.

Ai creditori è riservato l’apprezzamento della “fattibilità economica” che la corte definisce come «prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati», escluse le ipotesi in cui vi sia una manifesta inidoneità del piano a consentire il superamento della crisi e ad assicurare ai creditori un soddisfacimento seppur minimo. È in tale prospettiva che la distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” diventa fondamentale, in quanto la prima di pertinenza esclusiva del giudice, mentre la seconda di pertinenza dei creditori.

5. Verso la salvaguardia della continuità aziendale:

la Riforma 2012 - 2013

I principi espressi con la riforma del 2005 non ebbero gli effetti sperati, inoltre, in una fase di recessione in ambito europeo, la mancata introduzione di misure volte a facilitare la gestione delle crisi aziendali avrebbe inevitabilmente condotto alla decozione di numerose società94.

È alla luce di ciò che, tra il 2012 – 2013, si rese necessario un ulteriore intervento da parte del legislatore.

Si tratta della riforma che ha avuto origine con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con L. 7 agosto 2012 (c.d. Decreto

93 M. TERENGHI, Verso un superamento della distinzione tra “fattibilità

giuridica” e “fattibilità economica” nel concordato in continuità? in Fallimento, 8-9, 2017, p. 931.

94 A. PENTA, Il concordato preventivo con continuità aziendale: luci ed

Sviluppo), e successivamente integrata dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 (c.d. Decreto del Fare). L’intervento ha avuto lo scopo di migliorare l’efficienza dei procedimenti di composizione delle crisi d’impresa e di promuovere l’emersione anticipata della difficoltà di adempimento dell’imprenditore95.

Le novità di tale riforma consistono sostanzialmente: - nell’anticipazione dell’emersione delle crisi96; -nell’effettiva tutela

del valore della continuità aziendale97; - nell’intensificazione delle

misure protettive del patrimonio in fase antecedente alla scelta dello strumento di superamento della crisi.

Lo strumento del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione risultano implementati nella disciplina e potenziate le soluzioni prospettabili, anche se, il dato politico di maggior rilievo è rappresentato dalla chiara volontà di salvaguardare la continuità aziendale delle imprese, mediante la predisposizione di efficaci strumenti normativi per la trattazione della fase più delicata della vita aziendale98. Con riferimento alle principali novità, vi è in primo luogo quella disciplinata all’interno dell’art. 161, 6º comma, l. fall. che consente 95 Cfr. L. BALESTRA, I finanziamenti all’impresa in crisi nel c.d. Decreto

sviluppo, in Fallimento, 2012, 12, p. 1401. Per una più approfondita

analisi su “decreto sviluppo” si veda G. LO CASCIO, Crisi delle imprese,

attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fallimento, 1,

2013, p. 6.

96 Nella Relazione al D.D.L. di conversione del D.L. n. 83/2012, p. 30 si

legge che l’intervento legislativo persegue lo scopo di «incentivare

l’impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi, piuttosto che quella di assoggettarla a misure di controllo esterno che la rilevino».

97 A. PENTA, Il concordato preventivo con continuità aziendale: luci ed

ombre, cit., osserva come con la riforma viene reciso il «cordone

sanitario» che si formava attorno l’impresa in una situazione di crisi economico-finanziaria, dal momento che lo stato di difficoltà, anche se temporaneo, veniva interpretato come una «malattia irreversibile».

98 L. A. BOTTAI, Revisione della legge fallimentare per favorire la

al debitore di formulare dinnanzi al Tribunale, una “domanda di concordato incompleta”, con la possibilità di produrre il piano in un termine successivo99.

Con il c.d. Decreto del Fare, il legislatore ha previsto la sottoposizione del debitore a obblighi informativi periodici nei confronti del Tribunale, circa la gestione finanziaria dell’impresa e l’attività funzionale alla predisposizione della proposta e del piano.

Altra novità è rappresentata dalla previsione del concordato con continuità aziendale (Art. 186-bis, l. fall.): si tratta di un’opzione che consente la presentazione del piano di concordato in concomitanza con la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso debitore, oppure con la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento di un ramo dell’azienda in esercizio in una o più società.

La previsione di un concordato in continuità aziendale rappresenta il frutto del cambiamento del diritto concorsuale, da una visione statica dei rapporti a quella dinamica dell’impresa. Ulteriori interventi sono quelli relativi agli accordi di ristrutturazione dei debiti e del sistema di finanziamento, il legislatore individua nella c.d. “finanza interinale” una delle maggiori cause impeditive alla pronta risoluzione delle crisi d’imprese100.

99 Cfr. L. A. BOTTAI, Revisione della legge fallimentare per favorire la

continuità aziendale, cit., pag. 925

100 Sul tema dei finanziamenti dell’impresa in crisi si veda L. BALESTRA,

5.1. La continuità aziendale: tra disciplina di bilancio