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Principi generali e criteri direttivi della delega legislativa

3.1 (segue): la Raccomandazione 2014/135/UE e potenziali riforme: la Proposta di Direttiva

2. Principi generali e criteri direttivi della delega legislativa

La disciplina dell’insolvenza e delle procedure concorsuali, prevista dal r.d. 19 marzo 1942, n. 267, richiedeva da tempo una rivisitazione massiccia, non solo per la presenza di elementi anacronistici, ma anche per i problemi interpretativi ed applicativi causati da interventi di modifica a carattere sporadico ed emergenziale.

La riforma ha voluto evidenziare segni di discontinuità rispetto al passato, a cominciare dal piano lessicale l’art. 2, lett. a) contiene la previsione dell’abbondono del termine “fallimento e dei suoi

derivati” con l’espressione “liquidazione giudiziale”, si tratta di un

salto culturale mediante cui la crisi è concepita alla stregua di una eventualità fisiologica dell’impresa e non più come stigma morale210.

Il mutamento lessicale si correla ad un altro dei punti fondamentali della riforma, ossia la volontà di favorire il recupero dei valori dell’impresa in crisi che si può evitare a fronte di un tempestivo intervento.

La semplificazione rappresenta poi il leitmotiv della novella, data la necessità di mettere ordine all’attuale complessità normativa, così all’art. 2, lettera d), è prevista una reductio ad unicum della fase iniziale delle diverse procedure concorsuali oggi esistenti. È istituito un unico modello processuale per l’accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza e di crisi211. 210 Si tratta di una scelta che pone l’ordinamento italiano in linea con le scelte adottate dagli altri Paesi europei e lo adegua, peraltro, ai principi elaborati in sede comunitaria ed internazionale. 211 Per maggiori approfondimenti F. DE SANCTIS, Il processo uniforme per l’accesso alle procedure concorsuali, cit., p. 1045 – 1046.

Il modello processuale, improntato a particolare celerità del giudizio, anche in fase di reclamo, sancisce la legittimazione ad agire dei soggetti con funzioni di controllo e vigilanza sull’impresa, con attribuzione della relativa competenza al PM nei casi in cui abbia notizia dello stato d’insolvenza.

Oltre al profilo oggettivo, viene unificato anche quello soggettivo con l’assoggettamento al procedimento dello stato di crisi o di insolvenza di ogni categoria di debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista, o imprenditore esercente un’attività commerciale, industriale, agricola o artigianale, con esclusione dei soli enti pubblici, (art. 2, lett. e).

Alla lett. b) viene eliminata l’ipotesi della dichiarazione d’ufficio del fallimento, di cui all’art. 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270. L’art. 3, comma 1º, della legge c.d. “Prodi bis” prevede il potere/dovere del tribunale di dichiarare ex officio lo stato d’insolvenza nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

La permanenza di questo potere officioso è apparsa come una sorta di “corpo estraneo” rispetto al tessuto del vigente diritto concorsuale e se ne è pure denunciata l’illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza e ragionevolezza) e con l’art. 111, comma 2º, Cost. (principio di terzietà e imparzialità del giudice)212.

La legge delega intende superare i sospetti d’incostituzionalità, con l’obbiettivo di coordinare la legislazione fallimentare al principio generale “ne procedat iudex ex officio”213.

212 D. GRIFFINI, I principi generali della c.d. riforma Rordorf: definizione

dello “stato di crisi” e novità in tema di apertura delle procedure, in

www.judicium.it, Pacini Giuridica, 5 dicembre 2017.

La semplificazione è realizzata, tra le varie misure, anche mediante la tendenziale digitalizzazione delle procedure, con la previsione di modalità di consultazione telematica dei creditori, dell’obbligo, in determinati casi, di inviare comunicazioni via pec, e della proposizione telematica delle domande.

Tra le linee guida dei principi ispiratrici della legge delega n. 155/2017, si legge un generico dovere di recupero dei valori dell’impresa in crisi, con particolare attenzione al profilo della continuità aziendale.

In sintonia con la valorizzazione della finalità conservativa della legge delega, la lettera g), art. 2, prevede di «dare priorità di

trattazione alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale», di conseguenza la procedura di liquidazione giudiziale viene rilegata a extrema ratio, laddove difettino proposte di risoluzione della crisi. Proprio al fine di promuovere il recupero dei valori dell’impresa in crisi ed incentivare la continuità aziendale.

Nella prima versione del d.l.l. venivano apportate alcune importanti modifiche al concordato preventivo, tra cui in primis l’abrogazione del concordato preventivo liquidatorio e la legittimazione di terzi a presentare domanda di concordato liquidatorio214 in ipotesi non di mera crisi, bensì d’insolvenza.

La salvaguardia dei complessi aziendali, quale principale ambizione della riforma delle procedure concorsuali porta con sé la necessità di individuare in via anticipata il sorgere di uno stato di crisi, così da poter attivare le procedure di allerta e composizione assistita della crisi.

214 La commissione Rordorf aveva invece scelto di limitare la rilevanza del concordato liquidatorio alle sole ipotesi in cui il concordato fosse caratterizzato dall’apporto di terzi che consenta di soddisfare maggiormente i creditori.

Gli strumenti “pre-allerta” costituiscono la previsione più innovativa della legge delega ed inoltre rappresentano uno strumento indefettibile per evitare di giungere alla conclamata insolvenza e, più generalmente, all’innescarsi di situazioni gravi ed irreversibili.

È ormai comune l’idea per la quale la salvaguardia dei complessi produttivi e dei livelli occupazionali passa in primo luogo attraverso la tempestività dell’intervento risanatore.

L’attivazione di questi strumenti di allerta risulta collegato, nel sistema predisposto dalla legge delega, ad una serie di incentivi e disincentivi, nonché al ruolo degli organi societari e dei creditori qualificati.

Si persegue, in tal modo, lo scopo di responsabilizzare l’imprenditore, dando a quest’ultimo la possibilità di fronteggiare tempestivamente la crisi dell’impresa al manifestarsi dei primi segnali215.

Proprio nell’ottica della responsabilizzazione dell’imprenditore si colloca la nuova formulazione dell’art. 2086 c.c., come previsto dal decreto attuativo della legge delega, relativo alle modifiche al codice civile.

All’imprenditore viene imposto il dovere di predisporre “un

assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa e della perdita della

continuità aziendale”: viene previsto il dovere dell’imprenditore a predisporre un assetto capace di rilevare e gestire in modo tempestivo il primo segnale di crisi216.

215 Non si è inteso istituire ulteriori procedure da affiancare ed

aggiungere a quelle esistenti, ma sono previsti meccanismi connotati dalla confidenzialità.

216 A riguardo l’art. 4, commi 2 e 3, c.c.i., delinea con diversa ampiezza

tale dovere per l’imprenditore individuale e per l’imprenditore collettivo.

Tale dovere assume un ruolo nevralgico nel diritto della crisi d’impresa, raccordandosi con la previsione delle procedure di allerta, soprattutto ad attivazione “interna”.

Altro punto chiave della riforma è quello della specializzazione dei giudici addetti alla materia concorsuale al fine di rendere efficiente la gestione delle procedure concorsuali217.

La legge persegue l’obiettivo ulteriore della riduzione della durata e dei costi delle procedure concorsuali (art. 2, lett. l) e quello di una maggiore certezza del diritto mediante la riformulazione delle disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi (art. 2, lett. m).

3. La definizione del concetto di “stato di crisi”

Le innovazioni che hanno coinvolto le c.d. procedure concorsuali minori hanno introdotto accanto alla nozione di “stato di insolvenza” quella di “stato di crisi”218, con il chiaro obiettivo di

prevedere soluzioni azionabili in via anticipata rispetto al fallimento (artt. 160 e 182-bis l. fall.).

Di tale concetto non è stata data una definizione e i tentativi di ricostruzione sono stati resi ancora più ardui dal rapporto di continenza tra “stato di insolvenza” e “stato di crisi" posta in essere dal 3º comma, art. 160 secondo cui: «per stato di crisi si

intende anche lo stato di insolvenza».

217 Tra le alternative al vaglio della Commissione si è optato per la

concentrazione delle procedure di maggiori dimensioni presso i tribunali delle imprese, lasciando ai tribunali oggi esistenti le procedure di sovraindebitamento.

218 Si tratta dell’art. 36 D.L. 30.12.2005, n. 273 rubricato «equiparazione

In assenza di una definizione, il rapporto tra crisi ed insolvenza è stato ricostruito nell’alternativa fra reversibilità ed irreversibilità, riservandosi quest’ultima caratteristica all’insolvenza, coerentemente con la natura del fallimento quale strumento di ultima istanza 219.

Nel tentativo di ricostruire la portata del concetto di “stato di crisi” non si sono rivelate del tutto soddisfacenti nemmeno le previsioni derivanti dal contesto europeo.

La Raccomandazione delle Commissione europea n. 2014/135/UE220 prevede un nuovo approccio al fallimento delle

imprese e all’insolvenza, avente l’obiettivo di garantire alle imprese “sane ma in difficoltà”221 la possibilità di attivare in modo

tempestivo gli strumenti di ristrutturazione così da evitare la più grave conseguenza del fallimento.

L’attivazione delle procedure di ristrutturazione viene però subordinato, al fine di evitare casi di abuso, alla circostanza che “le

219 A. JORIO, Fallimento e Concordato Fallimentare, cit. p. 222. 220 Testo consultabile su www.eur-lex.europa.eu

221 I considerando: “Obiettivo della presente raccomandazione è

garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale. Un altro obiettivo è dare una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono”; il XII considerando: “Inoltre, eliminando gli ostacoli all’efficace ristrutturazione di imprese sane in difficoltà finanziaria si contribuisce alla salvaguardia dei posti di lavoro, con effetti positivi sull’economia in generale. Essendo più facile per gli imprenditori ottenere una seconda opportunità, aumenterà anche l’incidenza del lavoro autonomo negli Stati membri. Inoltre, la presenza di quadri efficaci in materia di insolvenza permetterà di valutare meglio i rischi connessi alle decisioni di concessione e assunzione di prestiti e favorirà l’adeguamento delle imprese eccessivamente indebitate, minimizzando i costi economici e sociali insiti nel processo di riduzione dell’indebitamento”.

difficoltà finanziarie del debitore comportino con tutta probabilità l’insolvenza del debitore”222, mentre l’accesso alle procedure di

ristrutturazione è consentito “non appena sia evidente che sussiste

una probabilità di insolvenza”223.

Anche il Regolamento europeo 2015/848 del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza al X considerando prevede che l’operatività dello stesso debba essere estesa “alle procedure

di ristrutturazione del debitore nella fase in cui sussiste soltanto una probabilità di insolvenza”, e tale è secondo i considerando nn. X e

XVII una situazione di “difficoltà economica del debitore”, pur quando le attività da questi svolte si dimostrino ancora

“economicamente valide”: deve essere a rischio la continuità

aziendale, dal cui venir meno si determinerebbe una situazione di insolvenza224.

Secondo la Proposta di direttiva del 22 novembre 2016 il recupero dell’impresa può essere positivo solo a fronte di un risanamento tempestivo, pertanto nel considerando 18 afferma che “è

opportuno che il debitore possa disporre di un quadro di ristrutturazione che gli consenta di far fronte alle difficoltà finanziarie in una fase precoce, quando è probabile che l’insolvenza possa essere evitata e la continuazione dell’attività assicurata. Il quadro di ristrutturazione dovrebbe essere disponibile prima che il debitore sia insolvente ai sensi del diritto nazionale, ossia prima che soddisfi le condizioni per avviare una procedura concorsuale per insolvenza”.

222 XVI Considerando. 223 Art. III, A), 6), lett. a).

224 L. BOGGIO, Confini ed implicazioni dell’ambito di applicazione delle

Dall’esame dei testi europei lo “stato di crisi”, definito in termini di possibilità o probabilità è ricostruito come momento prodromico all’insolvenza.

La Commissione Rordorf si fa carico della confusione che può crearsi fra “crisi d’impresa” e “insolvenza” con la volontà di dare una definizione più chiara e puntuale delle due fattispecie e, corroborata dall’intervento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili traccia le linee di indirizzo per tentare una qualificazione della crisi aziendale che possa essere monitorata sin dal momento della sua emersione mediante gli apporti derivanti dal concetto aziendalistico di crisi225.

In campo aziendalistico la crisi è definita come “quel processo

degenerativo che rende la gestione aziendale non più in grado di seguire condizioni di economicità a causa di fenomeni di squilibrio o di inefficienza, di origine interna o esterna, che determinano appunto la produzione di perdite, di varia entità, che a loro volta possono determinare l’insolvenza che costituisce più che la causa, l’effetto, la manifestazione ultima del dissesto”226.

Nel disegno di legge delega 155/2017 il legislatore elenca tra i principi generali dell’art. 2, 1º co., lett. C, “l’introduzione di uno

stato di crisi, inteso come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica”. In tal

modo se la nozione di crisi coincide con la “probabilità di futura

insolvenza” il momento di aperture della procedura rischia di

essere ritardato eccessivamente ed in tal modo «la nozione di stato

di crisi ricomprenderà esclusivamente le situazioni prodromiche rispetto all’insolvenza vera e propria e suscettibile di degenerare in

225 CNDCEC, “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa”, Documento

Roma, 30 ottobre 2015.

quest’ultima»227, si è inoltre osservato che «quando vi è la

probabilità di una futura insolvenza, è di regola troppo tardi per intervenire utilmente, o per scongiurare una situazione nella quale sia compromessa la possibilità di soddisfazione di tutti i creditori»228.

Nel c.c.i. all’art. 2, n. 1, la crisi è definita come: “lo stato di difficoltà

economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”. L’art. 2, n. 1, deve essere letto congiuntamente all’articolo 16 c.c.i., rubricato “indicatori della crisi”, il quale dispone che “costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario rapportati alle specifiche caratteristiche dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore e rilevabili attraverso appositi indici, con particolare riguardo alla sostenibilità dei debiti nei successivi sei mesi ed alle prospettive di continuità aziendale, nonché l’esistenza di significativi e reiterati ritardi nei pagamenti”.

Così definito, il concetto di crisi, evoca la nozione di continuità aziendale, intesa come la capacità dell’azienda di produrre risultati positivi e generare correlati flussi finanziari nel tempo229,

ed in particolare al principio IAS n. 1, secondo cui “nel determinare se il presupposto della prospettiva della continuità dell’attività è applicabile, la direzione aziendale tiene conto di

227 M. ARATO, La riforma organica delle procedure concorsuali nel

disegno di legge delega elaborato dalla Commissione Rordorf, in O.

CAGNASSO – L. PANZANI Crisi d’impresa e procedure concorsuali, UTET, Torino, 2016 p. 4532.

228 M. CATALDO, La soggezione dell’impresa in crisi al regime di allerta e

composizione assistita, in Fallimento, 2016, 10, p. 1024.

tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo almeno a 12 mesi dopo la data di riferimento del bilancio”230. Emerge però chiaramente che nella disposizione di cui all’art. 16 c.c.i, nella valutazione prospettica che il debitore e il suo organo di controllo deve fare circa l’idoneità dei flussi attesi a coprire i debiti in scadenza la prospettiva del legislatore della riforma è ancora più circoscritta di quella IAS perché fatta su 6 mesi anziché su 12. Viene allora spontaneo chiedersi se un accorciamento dei tempi in tal modo non finisca col sacrificare l’obiettivo della emersione tempestiva della crisi, portando con sé il problema ulteriore di un’individuazione dei confini dello “stato di crisi”.

La disposizione a ben vedere si coordina male anche con ulteriori previsioni contenute nel c.c.i. fra cui l’art. 27 che concede l’applicazione di misure premiali al debitore, nel caso in cui proponga domanda di accesso ad una delle procedure concorsuali oltre il termine di sei mesi o presenti istanza per accedere alle soluzioni concordate della crisi dell’impresa entro tre mesi. Ed invero, un altro termine è quello dell’art. 18 c.c.i. secondo cui i creditori pubblici qualificati hanno il compito di dare avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato “l’importo rilevante” con la conseguenza di doversi attivare nei tre mesi successivi per estinguere il proprio debito, al fine di trovare un accordo con i creditori o avviare una procedura di composizione assistita della crisi. In tal modo viene data al debitore la possibilità di occultare il suo dissesto economico, mediante comportamenti opportunistici. Nella prassi accade ben frequentemente che il momento di verifica della “crisi” viene fatto coincidere con quello di “grave

insolvenza”, vanificandosi le finalità ultime degli istituti pre- fallimentari231.

A ben guardare, nel c.c.i. vi solo soluzioni che consentono d’impiegare strumenti di risoluzione della situazione debitoria ancor prima di una perdita della continuità aziendale; a riguardo l’art. 60 c.c.i. consente all’imprenditore, anche non commerciale, di sottoporre ai creditori un piano idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad “assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”: si tratta dell’ipotesi di un imprenditore che vive una crisi di stampo finanziario prettamente finanziario.

Normalmente si distingue tra232:

- crisi economica, con la quale si intende la semplice perdita della capacità reddituale, imputabile a fattori di diversa natura, sia esogeni che endogeni, che non comportano necessariamente uno sbilancio patrimoniale né una situazione di illiquidità;

- crisi patrimoniale, che è una situazione in cui il patrimonio del debitore ha un valore di realizzo inferiore all’ammontare dei debiti;

- crisi finanziaria relativa alla mancanza di liquidità necessaria per far fronte al fabbisogno monetario, in assenza di uno sbilancio patrimoniale: essa può avere carattere transitorio o cronico, laddove l’impresa non riesca a recuperare i propri crediti. Per tanto con la locuzione “crisi finanziaria” sembrerebbe farsi riferimento a quel concetto di crisi, che quando era vigente

231 A. QUAGLI, Il concetto di crisi di impresa, in Crisi d’impresa e insolvenza prospettive di riforma, atti del convegno 5 settembre 2016, a cura di L. CALVOSA, Pisa, Pacini Giuridica, p. 95 232 V. LENOCI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, Giuffrè Editore, 2010, p. 72-73

l’istituto dell’amministrazione controllata233, avremmo fatto

coincidere con “la temporanea difficoltà ad adempiere”234

In passato secondo la giurisprudenza fra stato di insolvenza e temporanea difficoltà si poteva individuare “un’equivalenza ontologica”235: «il presupposto dell’amministrazione controllata,

consistente nella temporanea difficoltà dell’imprenditore di adempiere le proprie obbligazioni, non è ontologicamente diverso dallo stato d’insolvenza che costituisce presupposto della dichiarazione di fallimento, differenziandosi da quest’ultimo soltanto in quanto, nella prima procedura, sussiste la probabile reversibilità della situazione d’insolvenza»236.

L’insolvenza e la temporanea difficoltà di adempiere venivano equiparate a differenti stadi di gravità del medesimo fenomeno237

in cui l’elemento di diversificazione tra i due era dato dalla possibilità di formulare una prognosi sulla reversibilità della crisi. In tal senso la crisi e lo stato di insolvenza, come presupposto della liquidazione giudiziale, stanno in un rapporto di genus a species e solo allargando le maglie dei confini dello stato di crisi è possibile perseguire l’obiettivo di agevolare l’accesso alle procedure concorsuali nell’ottica di un tempestivo intervento ed in linea con

233 Abrogata a seguito del d. lgs. 5/2006

234 A. BARTALENA Il concordato in continuità, in a Crisi d’impresa e

insolvenza prospettive di riforma, cit., p. 95 235 L. PANZANI, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, cit., p. 123. 236 Cass. 09.09.2005, n. 18066, cit.; Cass 24.08.2004 n. 16709 cit.; Cass. 01.10.1997 n. 9581 cit. 237 G. TERRANOVA, Lo stato di insolvenza. Per una concezione formale del presupposto oggettivo del fallimento, cit. p. 82, p. 127. L’autore sostiene che i due concetti non si presterebbero ad essere fra loro né sovrapposti né opposti. Sempre lo stesso autore in Insolvenza, Stato di crisi,

Sovraindebitamento, cit., p. 88 ribadisce tale pensiero «giacché la prognosi sulle possibilità del debitore di uscire indenne dalla crisi (senza l’aiuto della moratoria) non sarebbe né fausta né infausta, bensì semplicemente dubbia».

la previsione dell’art. 2, 1º co., lett. g) della legge delega che prevede di “dare priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso

alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale” .

In tal modo si svolgerebbe un ruolo più pregnante nella tutela degli stakeholder e si amplierebbe il raggio di operatività degli strumenti di allerta e composizione della crisi, superandosi così il termine dei sei mesi.

4. Procedura di allerta e composizione assistita della

crisi

Il r.d. 16 marzo 1942 n. 267 si è dimostrato deficitario con rifermento alla previsione di strumenti di osservazione preventiva dell’impresa al fine di adottare le scelte più idonee alla