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Molliche di pane nei sentieri del bullismo

di Giuseppe Burgio

1. Molliche di pane nei sentieri del bullismo

La letteratura scientifica descrive spesso il bullismo come se fosse un mo- nolite, parlandone “al singolare”, nonostante emerga – dagli studi stessi – come esso si articoli in realtà in tipologie diverse: bullismo diretto, indiretto, omofobico, cyberbullismo, etc. La mancata articolazione, tuttavia, riguarda in particolare il genere – maschile o femminile – di chi lo agisce e, nonostante sia ormai acclarato che il bullismo maschile e quello femminile assumano configurazioni differenti, la ricerca appare occuparsi – al di là del linguaggio universalizzante usato – del solo bullismo agito da ragazzi. Contro la ten- denza invalsa, il presente contributo vuole invece proporre un’esplicita let- tura di genere del bullismo maschile, nel tentativo di provocare un accresci- mento di conoscenze.

Una seconda critica che è possibile avanzare alla letteratura sul bullismo è, poi, il fatto che essa presenta una sequenza argomentativa quasi sempre uguale: si descrive il fenomeno – anche in maniera sofisticata, distinguendo i vari tipi di bullo, di vittime e di spettatori/aiutanti – per passare poi veloce- mente alla proposta di strategie di intervento educativo tese alla prevenzione e al contrasto del bullismo. Colpisce, nell’argomentazione, l’assenza di in- terpretazioni eziologiche, la mancata ricerca delle cause. Il bullismo viene infatti descritto come un dato di fatto, un elemento ovvio nel contesto scola- stico, una dinamica della cui esistenza quasi non ci si stupisce. Prima di cer- care le soluzioni possibili, tuttavia, mi appare indispensabile chiedersi perché tale fenomeno sorga. Anche perché la scarsa efficacia degli interventi scola- stici anti-bullismo potrebbe essere spiegabile – oltre che dalla complessità del fenomeno e dalla peculiare resistenza che esso offre alle azioni di con- trasto – anche dal fatto che, non essendoci interrogati abbastanza sulle cause,

progettiamo risposte educative generiche, non adeguate al bersaglio speci- fico e, quindi, poco efficaci. Proprio per poter affrontare il piano delle cause nella genesi del bullismo, appare necessario ritornare sull’ampia produzione teorica sul tema, alla ricerca di indizi che possano aiutare a formulare nuove ipotesi, come il presente contributo intende tentare.

Sappiamo, innanzitutto, che il bullismo è un fenomeno scolastico. Questa sembra un’affermazione ovvia, ma perché considerare scontata tale ambien- tazione? Perché il bullismo si dispiega prioritariamente nel teatro scolastico? Perché non attecchisce allo stesso modo in altri contesti?

Un secondo indizio è che la stragrande maggioranza dei fenomeni di vit- timizzazione avviene in pubblico (Menesini, 2000, p. 42; Buccoliero e Maggi, 2017, p. 21). Sarebbe più conveniente per il bullo agire di nascosto, per evitare le possibili sanzioni disciplinari, ma egli conduce i suoi attacchi quasi sempre davanti a spettatori. Escludendo l’ipotesi che il bullo rischi in modo stupido, temerario, senza pensarci, possiamo sospettare che si tratti di una scelta razionale? Un rischio assunto in modo calcolato, in vista di bene- fici potenzialmente superiori? Ma a quali vantaggi facciamo riferimento?

Ancora, il bullismo è – com’è noto – un fenomeno principalmente intra- genere: i ragazzi attaccano principalmente ragazzi, mentre le ragazze si ac- caniscono in stragrande maggioranza contro altre ragazze (Nigris, 2002, p. 94; Batini, 2014, p. 42). Certo, esistono casi di bullismo inter-genere ma, oltre ad apparire meno diffusi, vengono considerati negativamente anche dal gruppo dei pari: un ragazzo che attacchi una ragazza è considerato un vile, mentre una ragazza che colpisse un compagno verrebbe vista come una forma patologica del femminile. Nel caso della violenza agita dalle ragazze, infatti, la nostra società percepisce una duplice deviazione: dalla norma so- ciale, che la violenza infrange, e dalla norma di genere, violata dall’aggres- sività femminile (Giomi, 2017, p. 117).

Il bullismo appare inoltre un fenomeno nel quale i ragazzi risultano sovra- rappresentati: le indagini registrano infatti una chiara predominanza ma- schile, tanto nel ruolo di aggressore che in quello di vittima (Baldry, 2001). Nel nostro orizzonte simbolico, facciamo fatica a riconoscere la violenza agita dalle ragazze e, talvolta, presumiamo addirittura che non debba trattarsi di violenza “vera”. Esiste allora forse un legame tra adolescenza maschile e violenza (Burgio, 2007; 2010)?

Il pensiero corre veloce ad alcuni gravissimi episodi di cronaca, come le stragi scolastiche negli Stati Uniti, che sono state frequentemente l’esito di precedenti fenomeni di bullismo (Gentry e Pickel, 2014, p. 1039). E la pos- sibilità di un nesso peculiare tra maschilità e violenza diventa poi plausibile se pensiamo che, nota Connell,

il massacro della scuola di Columbine aveva rappresentato l’apice di tutta una serie di omicidi dello stesso tipo: uno o due studenti erano entrati armati nella loro scuola e avevano sparato a compagni e insegnanti. Alcune delle vittime erano ragazze, ma nessuno degli assassini lo era (Connell, 2006, p. 27).

Ovviamente, ogni caso di violenza va analizzato in modo autonomo, ma possiamo sospettare nell’adolescenza maschile una specifica facilità nel pas- saggio a un agito violento? E se sì, perché?

Infine, sebbene la rappresentazione condivisa del bullismo descrive un fenomeno che funziona in modo random, che individua come vittime sog- getti non caratterizzati (con la conseguente affermazione che tutti/e po- tremmo esserne vittime potenziali), in realtà esso sembra attaccare di prefe- renza gli appartenenti a quei gruppi che sono già socialmente stigmatizzati (ragazzi sovrappeso, con disabilità, balbuzienti, con un’identità LGBT+, etc.) (Sharp e Smith, 1995, p. 145). Ovviamente, nessuna caratteristica è con- dizione necessaria e sufficiente per la vittimizzazione, ma far parte di gruppi socialmente stigmatizzati implica un rischio maggiore.

Sappiamo, certo, di bulli mingherlini, occhialuti e con le orecchie a sven- tola, di lesbiche che fanno le bulle, o – al contrario – di robusti ragazzoni che vengono vittimizzati etc. Appare però chiaro che il bullismo si dispiega at- taccando la diversità percepita. Ogni gruppo di pari stabilisce infatti regole precise su cosa costituisce l’alterità disprezzabile, fissando norme che sepa- rano il “noi” (l’ingroup) dal “loro” (l’outgroup), individuando in modo chiaro e veloce chi (per qualsiasi ragione) incarna la diversità.

Sulla base di tali indizi emergenti dalla ricerca scientifica sul bullismo, è possibile ora avanzare un’ipotesi eziologica che possa aiutarci a compren- dere meglio la genesi della vittimizzazione scolastica. L’ipotesi che pro- pongo si fonda sull’applicazione al campo del bullismo di quella teoria dei

copioni sessuali che John H. Gagnon e William Simon hanno sviluppato in

relazione a un tema differente – la sessualità, appunto – che appare di primo acchito molto distante dal nostro tema. Per procedere in questo tentativo è allora necessaria un’apparente digressione.

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