3. LA SOCIETAS LUOGO DI RIPARAZIONE E SOLIDARIETA’
3.4 I MOVIMENTI INTERNI ALLA COMUNITÀ SOLIDALE : LA PSICOLOGIA DELLA PARTECIPAZIONE
PARTECIPAZIONE
“È importante addestrarsi all’ascolto ed evitare di far andare via lo stupore che ci accompagna quando cerchiamo di porci dal punto di vista di un altro, quando violiamo le leggi di gravità del nostro etnocentrismo. Dobbiamo consentirci di mettere a nudo i mille meccanismi attraverso i quali ogni soggetto pone se stesso come centro del mondo spingendo gli altri sullo sfondo, facendoli diventare ambiente, talvolta inquieto e pericoloso per la sua stabilità. Questa tendenza a porsi al centro è umana, troppo umana. Essa non può essere annullata, ma può essere indebolita, scavando all’interno di ogni soggetto delle gallerie che lo portino a confrontarsi con l’infinita quantità di altri soggetti che lo circondano, allenandolo alla coesistenza con loro. L’esperienza dell’altro è quindi un esercizio di decentramento, di indebolimento della nostra chiusura in noi stessi. Se c’è questa disposizione il gioco può iniziare subito, perché per farlo basta guardarsi attorno. E gli esercizi conviene continuare a farli ogni giorno, perché nulla è più facile che perdere la capacità di ascoltare e di sorprendersi. L’atrofizzarsi della capacità di ascoltare, l’avanzare della chiusura in se stessi è un po’ come incominciare a morire” (Cassano, 2003).
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Tesi di dottorato in Scienze sociali, indirizzo Scienze della governance e sistemi complessi. XXVI ciclo. Università degli studi di Sassari
L’esemplare costrutto di Franco Cassano, sopra riportato integralmente e fedelmente, costituisce, insieme ad altri - ugualmente paradigmatici - referenti teorici, la base “etica” d’approccio alla costruzione di nuove società: solidali, cooperative, collaborative, partecipative.
Fanno capo a tali considerazioni in particolare l’ecologia della responsabilità (De Leo, 1996) e l’ottica promozionale nelle loro evoluzioni verso una visione di comunità in grado di favorire/sollecitare/sostenere stili di vita e relazioni orientate al benessere della persona e della collettività (Lent; Brown, 2008).
Con un movimento ricorsivo e circolare, che ricorda i nastri di Möbius o i processi ricorsivi di Hofstadter (cit. Hofstadter, 1979), dobbiamo affermare che il rapporto tra cooperazione e riparazione assume nel nostro lavoro un senso totalizzante, simmetrico a quello tra solidarietà e conflitto. Poiché è particolarmente arduo avventurarsi in eziologie che hanno pretese esplicative della nascita della società prima del conflitto o viceversa, assumiamo la realtà attuale come misura delle cose e affermiamo che oggi il conflitto è presente nei vari strati sociali. Allora, recuperando e rafforzando l’idea della riparazione (intesa come reale superamento del dissidio) come viatico per la solidarietà, possiamo dire che la giustizia riparativa si propone come una giustizia di comunità, un modello che ricerca fuori dalle aule dei tribunali le possibili soluzioni all’evento che ha generato il conflitto. Tale evento di rottura diventa occasione per un intervento più ampio, teso a rafforzare il senso di legalità e potenziare il ruolo di cittadine e cittadini anche nei processi di giustizia. (Patrizi, 2009).
Una concezione più ampia e inclusiva di giustizia riparativa impone di divulgare e promuovere le pratiche riparative non solo nei contesti della giustizia (è, infatti, una finalità rilevante, ma limitativa se circoscritta al fatto trasgressivo della norma penale), ma in tutti gli ambiti in cui si può già
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pensare in un’ottica riparativa: scuole, università, famiglie, comunità, associazioni, cooperative, contesti di lavoro (Patrizi e Lepri, 2011): una comunità che aderisce al modello culturale della gestione del conflitto adottando pratiche riparative è orientata non solo alla riparazione del danno e alla gestione del conflitto, ma alla prevenzione e al benessere (Patrizi 2011).
In tale ottica la gestione dei conflitti e della giustizia, la risoluzione delle dispute, l’intervento sulle devianze, le azioni di tutela e quelle educative vengono tutte realizzate in chiave riparativa: la comunità non delega la responsabilità che le appartiene ma se ne appropria (Patrizi e Bussu, 2003). Il disagio che si manifesta all’interno di una comunità, anche se espresso da un singolo individuo, da una singola famiglia o da un particolare contesto, riguarda la comunità intera, ecco perché lavorare sul benessere della/delle persone significa incidere sul benessere della comunità anche in termini preventivi.
Al riguardo un costrutto importante per analizzare il benessere di una comunità è quello di “capacitazione” sociale e relazionale (Sen,1999) che si riferisce ai livelli di soddisfazione, di partecipazione e attivazione dei cittadini nel proprio contesto di appartenenza; la qualità delle attività che si possono realizzare in maniera costruttiva e soddisfacente è ciò che si intende per rappresentare il concetto di “capacitazone sociale”.
Come afferma Sen, diventare competenti e capaci di fare qualcosa è un processo che non riguarda esclusivamente la persona nella sua processualità, ma contempla inevitabilmente il sistema sociale nel quale è inserita; le strutture sociali in tal senso possono agevolare o meno i percorsi d’azione scelti dalla persona (Patrizi, 2011).
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Un meccanismo fondamentale che determina elevati livelli di cooperazione, solidarietà e responsabilizzazione reciproca in situazione di vita quotidiana è il capitale sociale (Putnam, 2000) che si fonda sulla fiducia, sulla responsabilità delle persone nelle relazioni interpersonali: elementi che contribuiscono alla creazione di un senso di reciprocità generalizzata, ma soprattutto che intervengono a definire una società più solidale dove l’equità sia un obiettivo comune da perseguire per poter davvero contribuire ad un percorso di coesione sociale e territoriale (Patrizi e De Gregorio, 2009).
Non ci può essere riparazione e gestione del conflitto senza comunità, non ci può essere promozione della persona senza comunità e non si può raggiungere il grande obiettivo della coesione sociale se la comunità non si sente, non pensa e non agisce responsabile e partecipe dell’orientamento della vita di ogni suo componente e del suo benessere.
Ciò non significa sostenere influenze di tipo socio-deterministico, ma aiutare le persone a ricondurre le proprie azioni ad ambiti relazionali. Si può affermare, quindi, che ai fini del pieno sviluppo del potenziale psico-sociale e relazionale delle persone sia necessario un buon riconoscimento, sia sul piano razionale sia sul piano emotivo di questi radicamenti affinché si pongano le basi per la co-costruzione del sé in tutte le sue molteplici declinazioni (personale, sociale, familiare, professionale così come descritto nella prospettiva del Liife-design di Savickas (2007) e nella prospettiva di empowerment sociale (Kiefer, 1982, De Leo , Patrizi, 2002).
L’approccio psicosociale si realizza, quindi, all’interno di una visione relazionale, e dunque anche con potenzialità riparative, che dovrebbe essere appunto relazionale, ma anche inclusiva, partecipata, fondata sulla responsabilità come presupposto e risultato di una intenzionalità sociale di benessere da ricercare anche in ambiti inediti (il condominio, oggetto della ricerca, è tra questi).
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L’International Institute for Pratctices Mission, nel 2005, ha definito la prospettiva riparativa come “la scienza di aggiustare (restoring) e sviluppare il capitale sociale, la disciplina sociale, il benessere emotivo e il coinvolgimento civile attraverso l’apprendimento partecipato e i processi decisionali” (Wachtel, 2005). Una comunità che rimanda al costrutto teorico della responsabilità intesa in senso ecologico (De Leo, 1996) e alla sua dimensione relazionale (Zamperini, 1988). L’azione responsabile costituisce l’elemento nodale all’interno di un sistema di aspettative e anticipazioni sulle conseguenze delle proprie azioni, sistema che la conoscenza del contesto e la relazionalità può sostenere. Alla base di quanto detto finora sta una concezione della persona come soggetto intenzionale, competente rispetto ad un ambiente che la percepisce.
L’ambiente di vita diventa conoscibile attraverso le scelte situate che la persona effettua e le interazioni anche simboliche entro le quali costruisce, in un continuo scambio anche narrativo della propria storia.
E’ la visione di una mente pro-attiva, di un soggetto che non reagisce semplicemente a pulsioni interne o a stimoli esterni, ma che agisce “verso” e in funzione delle sue anticipazioni, mediate dal suo sistema di significati, dal modo in cui percepisce la realtà, in interazione con gli altri e con le situazioni cui assegna valore.(Bandur,1987; Lent, 2005)
L’interazione e il resoconto di esperienza che la fonda costituiscono gli elementi decisivi in termini di possibilità che lo scenario mentale (fatto di cognizioni ed emozioni, di mete attese e di effetti negativi, ma sempre relazionali) può aiutare a tradurre. Una persona, anche quando le sue scelte possono apparire incoerenti, involutive, inconsapevoli, sa ciò che fa e conosce ciò che tende al proprio sviluppo.
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Tale impianto permette la ridefinizione e costruzione di nuovi significati generati dall’incontro tra le persone, tra persone e sistemi, tra sistemi e visioni, tra sistemi e visioni politiche della società dove le azioni vengono realizzate attraverso una azione non su (imposizione dall’esterno) e non per (assistenzialismo e deresponsabilizzazione) ma con e tra le persone (compartecipazione e responsabilizzazione) (Wachtel, 1999).