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2. GIUSTIZIA PUNITIVA E GIUSTIZIE RIPARATIVE

2.4 L A NASCITA DELL ’ IDEA DI UNA GIUSTIZIA “ RIPARATIVA ”

Abbiamo discusso i limiti, etici e pratici, della pena detentiva, soprattutto nel suo essere pressoché unica risposta alla varietà e modularità del crimine. Nella sua evoluzione storica, la pena sembra derivare dalla pratica della vendetta, così come essa è (stata) praticata in molte società così dette “primitive”.

Abbiamo altresì evidenziato come il carcere – inteso prevalentemente nel suo contenuto di privazione totale o parziale della libertà personale del reo – non soddisfi il bisogno di guarigione della vittima né attivi un vero processo rieducativo e di affrancamento dal male per l’autore del crimine.

Quanto detto fa parte dei contenuti alla base del dibattito che ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di un nuovo paradigma di giustizia, il paradigma riparativo. Il dibattito, oltre che sulla rimarcata insoddisfazione nei confronti del sistema penale vigente, richiama diverse ricerche antropologiche, rimanda enfaticamente alla rivalutazione del ruolo della vittima, accenna a tentativi - a volte acritici – di abolizionismo, assume infine in sé anche posizioni teologiche.

A questi elementi ci sentiamo di aggiungerne uno, molto presente nella pratica legislativa, ma di fatto raramente assurto a modello teorico di riferimento: ci riferiamo al problema del sovraffollamento degli istituti di pena e al carico eccessivo del sistema giudiziario. In questo senso è

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Tesi di dottorato in Scienze sociali, indirizzo Scienze della governance e sistemi complessi. XXVI ciclo. Università degli studi di Sassari

utile e doveroso il richiamo alle osservazioni di chi intende la risposta riparativa al crimine anche come un modo per ridurre drasticamente l’impiego delle agenzie di controllo formale nella lotta contro la criminalità minore, auspicando nuove misure penali, capaci di assolvere la duplice funzione di ricomposizione diretta del conflitto tra le parti e di sfoltimento del carico giudiziario (Ciappi e Coluccia, 1997).

La proposta della Restorative Justice individua concrete modalità per attuare una vera conversione della giustizia penale; si tratta di modelli e istituti diversi ma tendenzialmente caratterizzati da alcuni elementi comuni:

 L’attenzione alla lesione concretamente manifestatasi nell’esperienza del reato;

 La tendenza a integrare attivamente nella ricerca delle possibili soluzioni i soggetti coinvolti nella vicenda;

 La caratteristica di proporre percorsi alternativi rispetto a quelli della procedura o dell’esecuzione penale tradizionalmente intese.

Seguendo questa impostazione diventa spontaneo porre al centro delle attenzioni della giustizia non il “sistema” o un’idea astratta di ordine giuridico, quanto piuttosto le persone intese sia come individui sia nella loro dimensione relazionale. Da ciò consegue che tutta l’impostazione del problema crimine-giustizia-pena viene coinvolta, almeno teoricamente, in un radicale cambiamento di prospettive. La giustizia riparativa non è pertanto solamente un modo di riformare il sistema giudiziario, bensì è un modo di trasformare l’intero sistema legale, le nostre vite familiari, la nostra condotta nel mondo del lavoro, il nostro modo di fare politica. Essa, insomma, è una “visione olistica di cambiamento nel modo in cui si fa giustizia nel mondo” (J. Braithwaite, 2003). E poiché abbiamo ben chiaro il senso del nostro lavoro, ci spingiamo a dire che le pratiche di giustizia

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riparativa possono trovare un humus fertile solo in una società davvero preparata ad accogliere, a cooperare, a collaborare. Una civitas solidale in cui il conflitto è presente, ma affrontato con una visione di superamento e coesione.

Su questa scia alcuni autori (Sullivan e Tifft, 2003) ipotizzano e teorizzano scopi ed esiti della giustizia riparativa che, nella loro visione, giungono al fine ambizioso di creare “modelli di composizioni ed integrazione sociale che hanno come obiettivo dignità umana, rispetto reciproco e uguaglianza”.

È questo il solco principale di tutto questo nostro lavoro, in cui il passaggio dalla ideazione della moderna societas alla costruzione di ambiti sociali solidali e cooperativi passa (anche) attraverso la rivisitazione di un sistema legislativo e giudiziario “altro” rispetto a quello oggi in uso, attraverso l’utilizzo di lenti nuove con le quali osservare (per cambiare) la realtà.

Il cambiamento di lenti, suggerito da Zehr (1994), trova più compiuta analisi nel lavoro di Martin Wright (2001), in particolare in quella che è la disamina dei presupposti della Restorative Justice:

 Il crimine non è un’offesa contro lo Stato ma un danno alle persone e alle relazioni;

 Prima di punire gli autori di reato, ci si preoccupa di riparare al dolore inflitto dalla commissione del crimine;

 La vittima e l’autore del reato possono ricoprire un ruolo attivo, così come la comunità: essa può sostenere la vittima e aiutare l’autore di reato ad attenersi agli accordi presi circa la riparazione del danno.

Seppure in mancanza di una teorizzazione univoca, quanto sopra elencato ci porta a dire che la giustizia riparativa tenta di bilanciare i bisogni della vittima e della comunità con l’esigenza di

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reinserire l’autore del reato nella società. Ha quindi come obbiettivo quello di assistere la vittima nel suo percorso di recupero e di consentire a tutte le parti coinvolte nel caso di assumere un ruolo fattivo.

Tali espressioni vengono ulteriormente rinforzate da chi (Resta, 2001) ritiene che la giustizia riparativa debba nascere con un approccio ecologico: con esso, la questione viene riportata nel luogo dove si producono i conflitti e allo stesso tempo si producono i rimedi (cfr. cap. 1 del presente lavoro), la società e gli individui stessi.

Il termine restorative indica il riparare qualcosa che è stato danneggiato, riportandolo alla sua condizione precedente. Se in italiano non esiste il termine “riparativo” (anche se di questi tempi vi è un abuso di questo “neologismo”), esistono le locuzioni “riparazione del torto o dell’offesa”, “riparazione del danno”, anche nella loro accezione di risarcimento.

“Riparare” si associa all’idea di “rimediare a un’offesa”, ma anche “aggiustare” o “proteggere”. “Aggiustarsi” può anche significare “accordarsi”. Ma l’inglese to restore può anche significare “restituire” o “ripristinare”.

È molto suggestivo imbattersi in questo gioco di rimandi semantici, ma è ancora più utile entrare nella dimensione effettiva della giustizia riparativa per evidenziare come tutti i concetti appena espressi trovino legittimazione e riconoscimento nella (nel nostro paese ancora pioneristica) pratica della giustizia riparativa.

Per fare ciò daremo conto dei principali modelli “riparativi” (e così utilizziamo anche noi un nuovo termine ormai sdoganato).

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