Stupisce all’interno di una comunità di fedeli la grande quantità di infrazioni soggette al pagamento di multa. Sono cinque i capitoli in cui si fissa una multa (capp. 1, 5, 30, 49, 52) tutti, ad eccezione del primo (che punisce chi non porta il segno della Misericordia), puniscono il rifiuto delle cariche o negligenze di gastaldo e degani. Ma ci sono ben altri sei capitoli in cui la punizione è stata modificata e probabilmente (stando alle supposizioni già espresse) si è stabilito di sostituire una pena pecuniaria con una pena consistente nella recita di preghiere o nell’elargizione di elemosine (capp. 7, 10, 14, 1567, 25, 26). Tutti questi, ad eccezione di uno (cap. 25, riferito alle riunioni della banca), puniscono assenze dei confratelli a riunioni, funerali, processioni. Ad ogni modo in partenza praticamente tutte le infrazioni possibili dovevano essere punite con multe. Dall’analisi pare di poter dire che in un secondo tempo (queste modifiche, si è detto, furono apportate dalla terza mano che interviene in un momento precedente al 1271, ipoteticamente di poco) si decise di riservare le multe soltanto agli appartenenti alla banca e di alleggerire invece le penalità rivolte ai confratelli. Probabilmente le riscossioni risultavano difficili da gestire oltre che essere mal accettate.
L’espulsione dalla scuola è prevista invece per statuto solo in due casi: per chi non obbedisce agli ordini e non sconta le conseguenti pene (cap. 21 e cap. 30),e per chi non si impegna nel fare pace con i confratelli (capp. 20, 31). Un po’ diverso il caso del capitolo 43, dove la scelta di allontanare gli ufficiali precedenti è rimessa alla discrezione del gastaldo entrante.
A proposito delle multe Sbriziolo sosteneva che il rapporto di procedura penale poteva essere interessante per conoscere l’attitudine morale della confraternita nei confronti dei diversi doveri68. Nel nostro caso sono pochi come si è detto i capitoli che hanno mantenuto la fisionomia originaria. Tra questi capitoli emerge che l’infrazione colpita più duramente era il rifiuto delle cariche (cap. 49), e in particolar modo il rifiuto della carica di gastaldo. Quel che sorprende è che la multa inizialmente doveva punire indifferentemente il mancato adempimento delle norme sull’abito prescritto, l’assenza alle riunioni capitolari, la diserzione delle processioni o dei funerali. Si tratta, di una caratteristica molto comune agli statuti delle scuole di devozione. Vero è che l’obolo richiesto ai confratelli dopo ogni trasgressione potrebbe anche avere avuto un duplice significato simbolico: di personale penitenza e di impegno rigenerativo. «Anche la trasgressione alla regola poteva infatti divenire un’occasione per ristorare materialmente il sodalizio, nella fiducia di ristorare moralmente se stessi: mediante un atto che, nelle intenzioni più genuine, poteva non essere banale»69. Secondo Sbriziolo, le origini di una pena così tipicamente propria delle confraternite potrebbero andare ricercate assai più indietro nel tempo. Secondo la studiosa «non sembra inammissibile farle discendere da quell’unica formula penale che concludeva gli statuti del Duecento, per un collettivo riferimento a tutte le possibili trasgressioni alle norme enunciate. <La stessa prosegue osservando che> (…) quella clausola
67 Questo capitolo in realtà è stato sottoposto a una cattiva correzione, ne risulta un enunciato senza senso, ma
possiamo immaginare che nelle intenzioni si volesse operare una modifica in linea con gli altri interventi.
68
Sbriziolo L., Le confraternite veneziane, cit., p. 32.
100 raccolta con buona discrezione ai piedi della regola, aveva certo trovato un rifugio assai più felice dell’estroverso florilegio in chiave di danaro dei secoli posteriori»70. Il fatto che una multa venga sostituita poi con preghiere ed elemosine rende alla fine indistinguibili i concetti di sanzione e di penitenza, e molto labili le differenze tra la multa e l’elemosina riparatoria.
L’altra pratica che lascia perplessi è quella delle sostituzioni. Ecco i tre esempi che compaiono nel testo originale: ai funerali dei confratelli (cap. 10) era prescritto di recitare dei Paternostri. Chi non lo avesse fatto poteva in alternativa elargire delle elemosine. Nel caso dei funerali delle donne (cap. 11) invece, la presenza stessa si poteva sostituire con la recita delle preghiere o l’elargizione di elemosine. Le verberazioni infine, verranno anch’esse ad essere sostituite da preghiere o elargizioni di elemosine (cap. 29). Il principio dell’interscambiabilità di preghiere ed elemosine viene poi riportato in tutti i casi di sostituzione di penalità che all’inizio richiedevano (secondo l’ipotesi avanzata) il pagamento di multe. Ne deriva un sistema molto elaborato. Nel quale la partecipazione alle funzioni o la pratica della flagellazione possono essere sostituite con preghiere o elemosine, le multe vengono sostituite con preghiere o elemosine, le preghiere stesse sono sostituibili con elemosine. Sembra tutta una questione di calcoli: i benefici che non sono apportati alla confraternita in un modo devono esserlo in un altro. Però andando a controllare le consistenze delle pene nel dettaglio si scopre che queste equivalenze sono arbitrarie, nel senso che sei elemosine potevano sostituire nei vari casi 50 Paternostri (cap. 11), oppure 25 (cap. 10), oppure 20 (cap. 10), oppure 15 (cap. 29). Certo nessuno ci dice se le elemosine consistessero in somme fissate convenzionalmente. In conclusione si constata che alla base esisteva un meccanismo meno rigoroso di quel che ci era parso a una prima lettura71.
La possibilità di sostituire una determinata azione con un’altra in termini equivalenti va fatta risalire agli usi della penitenza tariffata introdotta a partire dal VI secolo dai monaci irlandesi e in uso, a dispetto dei tentativi rigoristi della riforma carolingia, fino al XII secolo72. Questo regime era basato sull’esistenza dei
libri penitenziali, nei quali erano elencati i vari tipi di peccato e le penitenze corrispondenti. La tassa
penitenziale, annessa a ciascun peccato, consisteva in mortificazioni più o meno dure e di durata variabile73. Dal momento che le opere di penitenza si sommavano secondo il numero e la specie dei peccati commessi spesso la penitenza diventava molto pesante se non impossibile da adempiere. In questi casi si era costretti a ricorrere alle commutazioni previste dagli stessi libri penitenziali. Gli elenchi di commutazioni che si trovano spesso a guisa di appendici dei penitenziali, prevedevano, per esempio, che un periodo di digiuno arduo ma corto equivaleva a un periodo più lungo di digiuno leggero. Anche preghiere e genuflessioni ripetute potevano sostituire i digiuni pesanti e, infine, erano possibili riscatti tramite soldi e sotto forma di messe da far celebrare, per le quali, comunque, bisognava pagare74.
70 Sbriziolo L., Le confraternite veneziane, cit., p. 33. 71
Fortini faceva notare che: «si dovrebbe comunque ricordare che il concetto del "paga o prega" era presente fin dall'inizio negli statuti delle scuole dei Battuti. Una Mariegola della Scuola di San Giovanni Evangelista del secolo XIV lasciava ai confratelli, in occasione della morte di un affiliato, la scelta tra cantare cinquanta Paternostri, donare quattro soldi di elemosina o sottoscrivere la celebrazione di una messa per l'anima del defunto. Fortini Brown P., Le
«Scuole», cit., p. 346.
72 Tymister M., Penitenza tariffata, pubblicazione on-line, http://www.tymister.eu/95023/Penitenza%20tariffata.pdf.,
p. 6.
73
Ibidem, p. 3.
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Le matricole
Le matricole contenute nelle mariegole costituiscono indubbiamente un documento all’interno del documento. Meriterebbero un’indagine specifica che aprirebbe molte porte. Nell’ambito di questo elaborato si rinuncia a un tale approfondimento che potrebbe costituire da solo il nucleo di un’ulteriore ricerca. Ci limiteremo a darne una descrizione superficiale avvalendoci di utili contributi apportati da ricerche effettuate in precedenza su questi fascicoli da M. Pozza1 e L. Guzzetti con A. Ziemann2.
Cominciamo col sottolineare che la presenza nelle due mariegole latine di ben sei liste di iscritti va considerata una rarità, un caso fortunato certamente. Basti pensare che delle quasi sessanta mariegole prese in considerazione da F. Ortalli, per citare una statistica già a disposizione, solo sei conservano le matricole3. Questo perché le liste dei confratelli potevano seguire gli statuti in uno stesso codice, ma si potevano anche trovare in manoscritti destinati esclusivamente ad accogliere la registrazione degli iscritti. Si tratta di una fonte ricca ma la cui analisi presenta molti problemi per il sovrapporsi di diverse e successive mani nella redazione di cui non è facile stabilire la cronologia. È già stato rilevato come le liste dei confratelli possano servire alla ricostruzione di una geografia confraternale laddove accanto al nome compaia anche la parrocchia o la città di provenienza, o per l’individuazione di una componente “umana” delle associazioni, qualora le liste riportino anche informazioni circa la professione degli iscritti. Non è affatto semplice invece trarne dati affidabili a proposito della consistenza numerica, proprio a causa della continua riscrittura e correzione. Inoltre, nonostante le informazioni fornite, l’identificazione è resa difficile dalle frequenti e diffuse omonimie che costituiscono un carattere tipico delle fonti veneziane per questo non è facile riconoscere gli iscritti e dare loro un volto definitivo.
Il manoscritto A contiene: una matricola femminile (cc. 9v-10r) e due matricole maschili, la prima senza data (cc. 5v-9r), la seconda datata dicembre 1289 (cc.12 r-15v). Il manoscritto B contiene ugualmente: una matricola femminile (cc. 4r-4v) e due matricole maschili, la prima datata 1 agosto 1319 (cc. 11r-17v) e la seconda senza data (cc. 19r-26v). Le matricole in alcuni casi si trovano ad occupare posizioni interne nel manoscritto, per una più chiara comprensione della loro collocazione all’interno dei rispettivi manoscritti si rimanda alle tavole dei capitoli. I nomi vi sono disposti secondo criteri non univoci: in ordine alfabetico, in base al sestiere ed alla parrocchia di provenienza, ma a volte anche in ordine di ingresso, si presume, non rintracciando nella successione alcun principio ordinatore.
Le date delle liste sono davvero significative. Come ha fatto notare Pozza esse appartengono a un periodo che fu cruciale nella formazione dello stato veneziano, ovvero gli anni immediatamente precedenti e successivi alla serrata del Maggior Consiglio, quando il restringimento della classe aristocratica causò l’esclusione dei popolani dal potere e dagli uffici maggiori, senza però precludere loro la possibilità di fare parte di queste associazioni devozionali e caritative4. Si può osservare che ogni lista si presenta come una parziale riscrittura della precedente. Al momento di redigere una nuova matricola i nomi dei confratelli viventi venivano generalmente riportati nella prima parte della nuova redazione. Questo concatenarsi porta a intendere che l’insieme delle matricole costituisce un documento in una forma di continuità, che non vi furono lacune e, in teoria, nemmeno altre liste all’infuori di queste.
1 Pozza M., Marco Polo Milion: An unknown source concerning Marco Polo, in «Mediaeval Studies», 68 (2006), pp. 285-
301.
2 Guzzetti L., Ziemann A., Women in the fourteenth-century Venetian Scuole in «Renaissance Quarterly», n. 55 (2002),
pp. 1151-1195, New York 2002.
3
Ortalli F., Per salute delle anime, cit., p. 32.
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