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Il primo requisito richiesto ai confratelli è quello di portare sopra alla cappa, ossia la veste consueta con indosso la quale si verberano, il segno distintivo della scuola nel quale deve essere rappresentato Francesco con la croce in mano. La pena per chi non lo portasse è di dodici soldi. Probabilmente era la scuola a fornire questo accessorio che possiamo immaginare fosse una sorta di fazzoletto da cucire sulla veste o una medaglia di stoffa da portare al collo. Si legge infatti che sussiste l’obbligo di portarlo una volta che «dictum vel datum sibi fuerit a gastaldo vel decanis»6. Fin dal primo capitolo compare il riferimento alla pratica della flagellazione. Dai provvedimenti successivi si deduce che tutti i confratelli giovani, anziani, ricchi e poveri, erano tenuti a “battersi”, non viene detto niente invece della componente femminile che fu presente fin dalle origini della confraternita. È probabile che la pratica della flagellazione fosse convenzionalmente interdetta alle donne al punto che non c’era bisogno di esprimere divieti in proposito. Le verberazioni

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Ms. A, c. 4ra.

3 Mariegola Cini, c. 2r. 4

Ortalli F., Per salute delle anime, cit. , p. 11.

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Ibidem, p. 12.

84 venivano auto inflitte con lo strumento chiamato disciplina. (la disciplina era lo staffile composto o di strisce di cuoio, in questo caso si chiamava più propriamente flagellum, o di ramoscelli, e in questo caso si chiamava scopa). Le flagellazioni erano una pratica imposta dagli statuti nelle compagnie di flagellanti, ed erano praticate come mezzo per guadagnare benefici spirituali che venivano idealmente messi in comune e condivisi da tutti i membri della confraternita. Per la flagellazione occorreva indossare la cappa. Questa veste di sacco veniva indossata come segno di povertà, come si vestivano Francesco e Domenico; per indossarla occorreva spogliarsi delle vecchie vesti e questo gesto assumeva una forte valenza spirituale, non doveva essere solo un segno di appartenenza alla confraternita, ma la manifestazione esterna di un avvenuto cambiamento di vita7.

Dopo il primo riferimento non diretto alla flagellazione, si trovano indicate in altri capitoli le occasioni in cui era richiesto ai membri di prendere parte alle processioni flagellandosi: in primo luogo era prescritto di battersi ai funerali dei confratelli, anche in caso di esequie in assenza del corpo (cap. 10 e cap. 15), in aggiunta si era scelto come giorno prestabilito per la processione rituale, la prima la prima domenica di ogni mese (cap. 14). Queste erano le uniche norme riferite alle processioni formulate all’interno del primo nucleo dello statuto. A partire dai tempi delle prime addizioni furono inseriti ben quattro capitoli in riferimento alla pratica della disciplina, volti a specificare le modalità con cui doveva essere svolta. In particolare i capitoli 23 e 24 sembrano mettere i puntini sulle “i”: il primo stabilisce che possano considerarsi esenti dall’obbligo di disciplinarsi – solo - i confratelli di età superiore ai cinquant’anni, per questi la pratica è lasciata a quanti la vorranno continuare di spontanea volontà (tuttavia rimarranno tenuti a partecipare alle processioni e ai funerali dei confratelli indossando la cappa). Il secondo, invece, fissa con precisione, i limiti geografici entro i quali tutti sono tenuti a recarsi con la scuola ad accompagnare i funerali dei confratelli verberandosi e con le candele: ossia fino a San Nicola del Lido, fino a San Giorgio in Alga e anche fino a Murano. Al capitolo 26 vengono introdotti tre nuovi giorni ordinati in cui la scuola si impegna a svolgere simili processioni, ossia le due feste di Santa Maria (nei mesi di marzo e agosto) e il Venerdì Santo8. Il capitolo 27 minaccia coloro i quali non parteciperanno alle processioni e non sconteranno le conseguenti pene stabilite, di essere privati del diritto di avere ai propri funerali la processione dei flagellanti della scuola. È interessante questo dato per comprendere quanta rilevanza avessero queste pratiche nella mentalità del tempo. Doveva essere grande il senso di conforto provato da chi moriva con la certezza di essere accompagnato alla sepoltura dai battuti. Questo rito avrebbe contribuito ad estinguere le colpe residue del defunto e avrebbe accresciuto la clemenza divina nei suoi confronti. Quale pena migliore dunque per chi evitava di partecipare alle flagellazioni se non la privazione di questo lusso.

In realtà queste ultime norme appaiono come un tentativo di incrementare e di regolare meglio i momenti in cui si praticava la disciplina per preservarla dall’estinzione. Si vengono a collocare infatti in prossimità del capitolo 29 che registra la decisione, presa nel gennaio 1271, di abbandonare l’obbligo statutario di battersi. Si stabilisce da quel momento, per evitare il declino della scuola, che la disciplina debba essere praticata solo volontariamente. Al posto delle verberazioni vengono indicate ai confratelli delle prassi da seguire in alternativa, considerate un equivalente in termini di beneficio spirituale che apportano. Viene richiesto a quanti rinunceranno alla disciplina di recitare quindici Paternostri la prima domenica del mese, oppure di devolvere le loro prime sei elemosine alle anime dei confratelli.

Nel Quattrocento quella che era una possibilità, la scelta di optare per pratiche sostitutive, diviene protocollo: un capitolo della mariegola Cini registra «Ancora fo ordenado che in luogo del batere lo qual fo

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Cfr. Tonon F., Scuola dei Battuti di San Rocco, cit., p. 45.

8 La processione del venerdì santo fa parte della storia delle quattro scuole dei battuti privilegiate negli atti del

Consiglio dei Dieci. Ogni anno infatti veniva loro rinnovato il permesso di svolgere questa processione prima che suonasse il mattutino di San Marco. Ottennero la prima licenza di riunirsi tutte assieme in questa ricorrenza solo il 23 marzo 1368. Sbriziolo L., Per la storia (…) Le scuole dei battuti, cit., p. 718.

85 lassado çascun frar de la scuola sia tenuto di dir ogni prima domenega del mese XXV Paternostri e XXV Ave

Marie e se per alcuna caxon no li disesse le prime VI limosine ch’eli farà si sia per le aneme de tuti li frari de

la scuola9». È curioso osservare l’“aumento” delle preghiere, quasi a voler dire che anch’esse erano soggette a fenomeni di inflazione. Nella mariegola Cini, si osserva che assieme all’imposizione delle verberazioni si sono perduti anche i riferimenti alle cappe e ai segni distintivi da indossarvi sopra. Questo dà prova del fatto che l’indossare tali indumenti era una prerogativa dei soli battuti. La cappa perse di valore nel corso del tempo, si pensi che nel 1450 ne venne concesso l’uso anche ai facchini della scuola di San Marco che portavano i solaria, i cosiddetti “sfadiganti”, segno che ormai aveva assunto un valore molto esterno10; nel corso del Cinquecento ne venne infine concesso l’uso anche ad alcune scuole piccole11.