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L’assistenza a quanti si trovavano in difficoltà era uno dei cardini su cui si fondava l’esistenza delle scuole: uno dei suoi presupposti48. Innanzitutto l’attenzione era rivolta verso i confratelli della scuola.

Al capitolo 18 si enuncia la procedura da seguire nel momento in cui un confratello fosse colpito da malattia. Il gastaldo ha il dovere di provvedere di persona o per mezzo di un altro affinché il confratello bisognoso riceva visite due volte alla settimana, allo scopo di aggiornarsi sulle sue condizioni e di portare conforto e consolazione. Si aggiunge che se il confratello infermo fosse trovato essere tanto povero da non potersi sostentare con i suoi beni, la scuola è tenuta a provvedere a lui con i denari accumulati nella cassa comune, e nell’eventualità in cui non vi fossero fondi, i confratelli coinvolti dovranno provvedere di propria tasca. L’enunciato non è completamente chiaro. Si dice infatti che in mancanza di risorse in deposito “tutti” i fratelli sono tenuti a intervenire per sovvenire il confratello povero, ma non si parla di una sorta di autotassazione comune, che alla fine darebbe come risultato un rimpinguamento della cassa comune, si parla di una alternativa che non riguarda l’intera collettività. Allora quel “tutti” va inteso a mio parere come un “tutti quelli che sono nelle possibilità” di farlo e di conseguenza a ciò sono tenuti per un dovere di tipo morale.

Si comincia a percepire un aspetto concreto, uno dei vantaggi offerti ai confratelli in vita. Quando un devoto decideva di iscriversi ad una confraternita, viene da credere, non avesse l’unica preoccupazione del destino della propria anima dopo la morte, ma ricercasse anche una tutela per i momenti difficili, la garanzia di aiuti tangibili. Dall’altro lato, assieme a tutto ciò, nella vita confraternale si intravedeva anche l’opportunità di adoperarsi in opere di beneficenza gratificanti per un buon cristiano e per le quali attendersi una ricompensa divina. La distribuzione di elemosine si presentava infatti come «un mezzo per contribuire alla salvezza della propria anima “acquistando” il Paradiso, in un rapporto per cui il povero era un elemento indispensabile per la vita futura del ricco»49.

Il cap. 29, che ha un carattere un po’ caotico nella misura in cui ricapitola più di un obbligo statutario, ribadisce, tra le altre cose, i doveri di gastaldo e i degani che erano tenuti a essere solleciti e non negligenti nell’informarsi e nel provvedere a tutti quelli in stato di bisogno e la procedura per sovvenire un confratello infermo in povertà. Il capitolo 39 riprende l’argomento già toccato più volte aggiungendo che nel caso in cui un confratello fosse caduto in stato di infermità si sarebbe dovuto coinvolgere anche il guardiano del convento affinché, esso di persona o attraverso un suo vicario o un suo frate, potesse provvedere a una visita consolatoria e potesse raccomandare l’infermo alle preghiere dei suoi frati.

Oltre a soccorrere i propri membri la confraternita si impegnava anche in azioni caritative rivolte verso l’“esterno”, ovvero a persone estranee alla scuola individuate nello specifico nei poveri ricoverati in un ospizio cittadino. L’occasione di incontro a scopo di beneficenza veniva organizzata dalla scuola sotto forma di banchetto caritativo. Il banchetto, era un momento tradizionale delle scuole artigiane e di quelle comuni, ma assume in questo contesto un rilievo particolare. Va detto che la scuola non organizzava solo questo tipo di banchetto, ce n’era almeno un altro, allestito durante l’anno, per essere condiviso con i frati Minori del convento di Santa Maria Gloriosa. Ci sono poi due capitoli riferiti ad un “banchetto della scuola” che sembra essere un puro e semplice raduno conviviale interno alla scuola stessa.

47

Si rimanda al capitolo “Rapporti con l’esterno”.

48

Ortalli F., Per salute delle anime, cit., p. 91.

94 Del banchetto che la scuola organizzava per sfamare i poveri si parla al capitolo 17. Viene prescritto che due volte all’anno, in giorni stabiliti da gastaldo e degani, siano sfamati “i poveri de domo Misericordie”. Tutti i confratelli sono tenuti a partecipare alle spese affrontate per l’occasione, oltre a quelle necessarie alla confraternita. Non è facile dire cosa si intenda con domus Misericordie. Vanno esclusi a questa data legami con la scuola della Misericordia, di Cannaregio fondata nel 1308. Abbiamo trovato altrove l’uso del termine “Misericordia” per alludere alla scuola stessa (contraendo l’intitolazione per esteso). Potrebbe fare riferimento forse ai poveri della stessa scuola ma altrove il termine “domus” non viene mai usato né in senso concreto né in senso figurato per descrivere la scuola.

La mariegola quattrocentesca offre qualche indizio aggiuntivo. Al quattordicesimo capitolo viene ordinato «che do fiade a l’ano quando parerà al gastoldo et ali degani sia pasudi li povri de l’ospedale de la Misericordia, e lo prior del dito luogo sie tegnudo mandar li soi spedaleri a portar la croxe e li cirii ali corpi de la scuola»50. Dal momento che viene detto “ospedale” e si cita la figura di un priore non restano dubbi sul fatto che fosse un ente a sé stante. Il fatto che venissero coinvolti gli “ospedalieri” ai funerali della confraternita fa ritenere inoltre che la struttura non potesse trovarsi troppo lontano dalla sede dei Frari. De Sandre ha identificato la presenza di una domus Misericordie nei testamenti veneziani. Secondo la studiosa, oltre a cinque enti ospedalieri noti (di Santa Maria dei Crociferi, di San Lazzaro, di San Marco, della Santa Trinità, di San Giovanni Evangelista), ricorrono e «si distinguono per una maggiore “presa” sui cives veneziani la domus Dei e la domus Misericordie, ambedue nella seconda metà del secolo in corso di costruzione, e forse per questo in qualche caso accomunati nel ricordo benefico in maniera esclusiva»51. Tra le molte citazioni dei due istituti la De Sandre ricorda quella del testamento di Nicolò de Vivaroto, del 29 giugno 1277, per la sua eccezionalità: il testatore infatti destina 300 lire a ciascun ospedale, alla domus Dei «in reedifficatione» e alla domus Misericordie «in laborerio»52.

Per la studiosa si trattava di «un ospizio di contemporanea erezione con il quale la confraternita aveva stabilito regolari rapporti di frequentazione e aiuto». La conferma di un legame stretto tra la scuola e l’ospedale della Misericordia ci viene dalle matricole degli iscritti contenute in entrambi i codici. In tre liste (delle quattro maschili che compaiono in totale) il primo nominativo ad essere riportato è quello del priore della Misericordia, nelle prime due liste si tratta di un «frater Almerigo»53, nella terza viene detto solo «lo prior de la misericordia»54. C’è poi un’altra fonte utile per datare il legame tra la scuola e questo ospedale agli anni delle origini: si tratta di una lettera di indulgenza inviata alla confraternita dal vescovo di Castello Thomas Franco in data 24 giugno 1263, in cui viene espressamente detto che da alcuni di loro presso l'ospedale della Misericordia all’interno della diocesi è stata fondata una scuola55.

Non è da escludere che la presenza dell’ospedale fosse stata un fattore rilevante per la costituzione di questo sodalizio. La scuola dei mercanti come ipotizzato in precedenza aveva forse bisogno di poveri per

50

Mar. Cini, c. 5ra, il capitolo è stato cancellato.

51

De Sandre Gasparini G., La pietà laicale, cit., p. 941.

52 Ibidem, p. nota 76, p. 959. 53

Ms. A, cc. 5va e 12ra.

54

Ms. B, c. 11ra

55 ASV, ScpS, b. 408. «Thomas Franco Dei gratia episcopus Castellanus universis Christi fidelibus, tam ecclesiasticis

quam laicis per Castellanam civitatem et diocesi constitutis salutem in Domino. Cum utilitati servorum Christi modis omnibus intendere teneamur in hiis maxime que perfectum et salutem (…) animarum et a nonullis eorum apud ospitale Misericordie nostre diocesis scola sit ordinata qui penitentia peccatorum recepta quasi divinitus inspirati super imposito sibi honere carnem suam castigare verberibus cupiunt affectanter ut mereantur coronam accipere non corruptibilem sed eternam. Volentes eosdem in tam laudabili proposito permanere nostram gratiam exhibere sibi cupimus cum effectu. Cuius rei causa tam ipsis quam omnibus intraturis scolam eandem quandocumque corporalem sibi dederint disciplinam si digne fuerint penitentes de iniuncta eis penitentia per criminalibus quadraginta dies et venialium quartam partem auctoritate nobis a Domino tradita misericorditer indulgemus. Datum Venetiis in nostro episcopali palatio M CC LXIII, mensis Iunii, die septimo exeunte, VI indictione».

95 esistere, essendo composta in linea di principio da membri perlopiù benestanti. È possibile dunque che i promotori della nascita della scuola abbiano scelto di accostarsi ad una struttura preesistente da sussidiare per statuto, e che questa nel tempo sia cresciuta con l’aiuto della scuola e abbia intrapreso la costruzione di una nuova sede. Questo si deduce dai lasciti testamentari di cui si è detto. Tuttavia dall’osservazione delle mariegole successive si evince che questo rapporto ebbe termine nel corso del Quattrocento56.

Ritornando all’esame della mariegola si segnala che un ulteriore accenno al pasto organizzato per i poveri della Misericordia si ritrova al capitolo 29. Vi si registrano alcune decisioni prese nel capitolo del gennaio 1271. In particolare tra i provvedimenti per riaggiustare le finanze della scuola, tra le voci di uscita a cui ciascun iscritto deve partecipare compaiono i banchetti allestiti dalla scuola e offerti ai frati Minori e ai poveri della Misericordia.

A un altro genere di banchetto sembra rimandare il capitolo 33 il quale reca memoria di una riunione avvenuta nel giorno di San Vito in cui tra altre cose fu stabilito che tutti i partecipanti al pasto della scuola dovessero versare quattro grossi e mezzo per le spese di tutto l’anno, che chi non fosse venuto dovesse solvere tre grossi soltanto per le spese dell’anno, e che né gastaldo né degani potessero invitare persone non iscritte al detto pasto. Non è esplicitata la natura di questi eventi, la sensazione è che si trattasse di banchetti sociali, ai quali erano ammessi esclusivamente i confratelli, organizzati forse col doppio scopo di incontrarsi e di raccogliere le quote annuali. Al capitolo 53, che riporta una decisione presa il 5 aprile 1329, in occasione del pasto della scuola, il gastaldo di allora, Variento de Toma, ribadisce che nessun confratello avrebbe dovuto inviare qualcuno al suo posto in quella circostanza e che chi non potesse partecipare, fosse comunque tenuto a solvere la somma richiesta per le spese. Qualunque fosse lo scopo di questi raduni a tavola pare si presentassero come un’occasione interessante se in ben due norme si trova la richiesta di non introdurvi estranei.

Una delle attività svolte comunemente dalle scuole alla quale si è accennato, la distribuzione di doti alle fanciulle, entrerà tra le attività della scuola apparentemente molto tardi. Non se ne trova traccia nelle mariegole latine e nemmeno nella mariegola Cini. Solo dallo statuto successivo, datato al 1476, si desume un impegno della scuola in tal senso.